Worst Love [Luke Hemmings]

Av _giorgias_96

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Sai? Siamo come due mari in burrasca. Ci scontriamo forzatamente come due nemici, ma ci uniamo inequivocabilm... Mer

ATTENZIONE ⚠
Prologo
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 7
SCUSATE - SONO VIVA
Capitolo 8

Capitolo 6

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Av _giorgias_96

Canzoni per il capitolo:

Burnin up: Lauren D'Elia.

Blame: Calvin Harris ft John Newman.

War of hearts: Ruelle.

Devi mettere una pietra sopra al passato, dicevano. Sì, avrei dovuto mettere uno scoglio dalle notevoli dimensioni e dall'ingente peso sul bacio tra me e Luke. Nonostante fossero già passati quattro giorni, durante i quali mi ero comportata come una emarginata sociale, non facevo altro se non pensarci regolarmente. Ogni secondo era buono per una sgradevole dose di autolesionismo.
Devo ammettere, però, che nemmeno Luke aiutava a farmi sentire meglio e in pace con me stessa; giustappunto si comportava peggio di uno stronzo perennemente inacidito. Pensavo che il primato in quel preciso ambito toccasse a me, ma evidentemente mi sbagliavo. C'era, effettivamente, chi mi superava.
Ad esasperare la situazione, nonostante a me non importasse minimamente con chi lui si allietava a trascorrere i suoi pomeriggi all'insegna del divertimento, c'era Cassidy. La mia adorata amichetta dal magnetismo insormontabile. Non capivo cosa ci trovasse di tanto spassoso nel trascorrere ore intere in sua compagnia; il bello di tutta la situazione surreale era che in realtà a lui quella povera ragazza dalla fervida immaginazione non interessava minimamente, almeno da ciò che ero riuscita a captare dalle chiacchierate notturne tra lui e Ashton. Sì, perché nel corso dei giorni - forse per affievolire la mia noia e curiosità - ero arrivata a fingermi anche una spia della CIA professionista, appostandomi dietro la sua porta dopo esser sgattaiolata furtivamente dalla mia stanza, provando a non destare sospetti in mia madre, così da origliare ore e ore di conversazioni davvero prive di fondamento.
Avevo appreso molte cose, ad esempio: a Luke non piaceva troppo rimanere in una stanza dove mi trovassi anche io, perché era come rimanere intrappolati con un fantasma al quale avevano tolto le facoltà oratorie. Ma cosa si aspettava da me, esattamente? Che andassi da lui e facessi finta di non averlo praticamente costretto a baciarmi quasi contro la sua volontà? Mi sentivo già abbastanza in imbarazzo, e sopportare anche il fatidico momento "dobbiamo parlare di quello che è successo quella notte", non rientrava di certo tra le voci che avrei voluto eliminare dalla mia lista "cose da fare prima di passare a miglior vita".
Non so bene se fu colpa mia, o solo perché Luke era davvero uno stupido idiota, ma era come se si stesse avvicinando a Cassidy. Non che ci trovai qualcosa di male; per quel che mi riguardava potevano affrontare il tramonto in sella ad un cavallo bianco, con pizzi e tulle - del vestito di lei - che pendevano in giù verso un prato fiorito ed incontaminato. Magari, in quel caso, il suddetto cavallo avrebbe potuto inciampare dopo averli erroneamente pestati, ed entrambi avrebbero fatto una fine terribile, mentre io me ne stavo ad osservare la scena con in mano una confezione di popcorn al burro, incapace di trattenere le risate. Sì, in quei giorni mi reputavo una persona col gene della cattiveria penetrante e raggelante, senza riuscire a provare alcun dispiacere per aver augurato loro una capatina innocua al pronto soccorso. Sì, ragazza cattiva non si avvicinava nemmeno a ciò che fossi davvero.
Alcuni avrebbero potuto definirla gelosia, ma no, non lo era affatto. Si trattava di principio. Principio perché lui aveva fatto di tutto pur di farmi passare una settimana angusta, e per di più gettandomi tra le fauci velenose della sua nuova amica del cuore.
Però, ero comunque contenta; Michael, Ashton e Calum si erano mostrati agguerriti pur di difendermi. Non era facile sfuggire alle unghie aguzze di un capo cheerleader iroso come Cassidy. Però sospettai che Michael lo facesse anche per poter prenderla in giro più di quanto si limitasse a fare prima. Che fosse per il primo motivo o per il secondo, poco interessava. Per questo avevo trovato in Michael un amico degno di questo appellativo.

Dopo che quei quattro giorni passarono con la rapidità di una lumaca intenta ad attraversare la Muraglia Cinese, potei trovare sollievo solo quel sabato mattina, dove a svegliarmi non ci pensarono certamente gli uccellini con il loro cinguettio armonioso, ma bensì mia madre armata di scodelle e arnesi culinari che non avevo mai visto prima di allora. E io che avevo sperato di poter dormire qualche oretta in più, proprio perché non avevo scuola; invece lei non voleva cedere alle cattive abitudini della pigrizia, altrimenti avrebbe dovuto formattarmi come un apparecchio elettronico.
Munita di acciaieria, cominciò a produrre un assordante rumore caustico orripilante, tanto che rischiai un lieve infarto. Mi alzai velocemente, urlando a perdifiato pensando che l'armata russa ci stesse attaccando nel cuore della mattinata, ma quando la sentii sghignazzare e acclamare il sole come una sacerdotessa azteca, tentai di pensare a vari incantesimi di stregoneria che avevo visto solo in Charmed, per poterle fare perdere tutta quella voglia pimpante che si portava dietro, fuori dalle lenzuola.
«Che problemi hai?» domandai a voce alta, voltandomi verso il comodino per controllare la radiosveglia malconcia dovuta alle varie battaglie eroiche che avevamo avuto, e constatai quanto fosse esageratamente presto per essere un fine settimana all'insegna del dolce far nulla. Erano solo le nove.
La sentii appoggiare gli utensili rumorosi verso la parte finale del materasso, ai miei piedi, e intravidi un sorrisino dolce farsi spazio tra le labbra accuratamente colorate di rosso scuro.
Facendo più attenzione, onestamente, sembrava esser pronta per uno di quegli eventi mondani di alta classe, dove solo le persone di un certo livello sociale prendevano parte. Non che sfoggiasse uno di quegli abiti lunghi, da sera, con lo spacco, ma stava indossando un prendisole verde scuro, coi sandali con la zeppa del medesimo colore.
«Perché sei vestita così?»
«Perché? Non posso indossare un vestito senza prima chiedere a te il consenso?» inarcò un sopracciglio, sfidandomi.
Ma certo, mamma, perché dovresti mai chiedere il permesso a me?
«Perché mi hai svegliata?» domandai, ignorando la sua folgorante frecciatina inutile, calciando il lenzuolo dal corpo, mentre sulle gambe nude cominciò a formarsi uno strato delicato di pelle d'oca.
Mi sedetti, facendo penzolare le gambe oltre il lato destro del letto, aspettando con negligenza una sua risposta.
«Abbiamo una ospite. È una ragazza davvero dolcissima.»
Oh, mio Dio.
«Fammi indovinare... Capelli scuri, occhi del medesimo colore, e pelle così liscia e abbronzata da farla sembrare una modella brasiliana?» arricciai il naso, grattandone la punta con l'indice.
Lei sbarrò gli occhi, annuendo come se avessi appena descritto una dea; anche se, per quanto potesse starmi antipatica, la ragazza in questione sembrava essere davvero una divinità greca, dalla indubbia bellezza.
«La conosci?»
«No, e non è che abbia tutta questa voglia di intrattenermi con la sua compagnia.»
Lei roteò gli occhi, esasperata, e si passò le dita sulla mascella delicata, battendo il medio sopra il mento.
«Non esser ineducata, tesoro. Vieni a conoscerla, ti piacerà, ne sono sicura», affermò risoluta, con un timbro che non ammetteva repliche.
Era divertente; l'ultima volta che mi avesse detto una cosa del genere risaliva al giorno della partenza. Aveva detto che mi sarebbe piaciuto Luke - come persona, sia chiaro - e non aveva mai avuto torto come in quel momento. Io e lei avevamo differenti concezioni per poter definire una persona davvero brava, o comunque in grado di farcela andare a genio.
Non potevamo essere più diverse, io e lei, almeno in quell'ambito.

Nonostante continuassi a rifiutarmi di scendere giù per aggregarmi a quel gruppetto, mia madre mi promise di farmi andare alla fantomatica festa, quella sera. Per quanto non potesse interessarmi partecipare, Sarah mi aveva chiesto di supplicarla, se necessario, affinché potesse lasciarmi andare, anche perché Luke non aveva più insistito per portarmi con sé a tutti i costi. La mia presenza non era più così importante. Questo per far capire che tipo di rapporto poco tollerante aleggiava tra noi.
Mi preparai velocemente, sostituendo la tuta, con cui ero solita dormire, con un paio di jeans slavati e una canottiera lisa, dal colore porpora dopo vari lavaggi estremi in lavatrice. E il colore di partenza era il corallo.
Raccolsi i capelli in una coda disordinata e mi decisi a scendere in cucina, dove trovai Cassidy accanto a lui, seduta dove solitamente prendevo posto io, e Nick di fronte a lei impegnati a ridere per non so quale ragione. Anche mia madre, scesa qualche minuto prima di me, stava partecipando alla conversazione, interessata alle parole che le uscivano di bocca.
Quest'ultima, l'unica che notò la mia presenza facendomi sentire un essere vivente in carne ed ossa e non inconsistente, mi fece un segno con la mano invitandomi ad avanzare, al che il resto si voltò verso di me. Luke non mi sorrise, anzi si irrigidì; il sorriso di Cassidy si tramutò in una smorfia raccapricciante, lanciandomi occhiatacce di puro disgusto. Come se a me facesse piacere fare colazione in sua presenza. Avevo già la bocca dello stomaco serrata, quindi avrei anche evitato una esemplare figuraccia davanti tutti i presenti.
«Ella, tesoro, non rimanere imbambolata lì davanti. Vieni a sederti con noi.» Fu mamma a rompere il silenzio generato dal mio arrivo. Luke strinse le labbra in una linea impercettibilmente dura, e tornò a prestare attenzione a Cassidy, la quale si era già dimenticata della mia presenza corporea in quella stanza.
Avanzai cauta verso il tavolo, colpendo distrattamente con la punta delle scarpette la sedia di Luke. Probabilmente per renderlo partecipe della mia esistenza, dato che - fino a quel giorno - sembravo essere diventata un fantasma.
Mi toccò accomodarmi a capotavola, tra mamma e lui, mentre gli occhi di tutti erano focalizzati sulla ragazza.
Dopo quindici minuti di discussione su quanto lei fosse contenta di rendersi utile per Luke, portandogli i compiti e gli appunti di algebra e storia, mi schiarii la gola sgranchendomi le dita di una mano come se avessi dovuto prepararmi ad uno scontro all'ultimo sangue.
«Mi dispiace interrompervi, ma potresti passarmi la frutta, Cassychiesi dolcemente, usando di proposito il nomignolo che Luke le aveva donato come pegno del loro infinito amore inesistente. Inesistente quanto la sua fantasia da oca giuliva, perché ero convinta che lei avesse sì la bellezza, ma un cervello vuoto come i buchi neri universali.
Lei sbattè le palpebre smarrita, come se non si aspettasse che la prima tra le due a iniziare a parlare con l'altra, sarei stata io.
«Prendila da sola», rispose stizzita. Allargai gli occhi, allibita, contando fino a dieci prima di maltrattarla verbalmente. Se Nick e mia madre non vedevano che tipo di arrogante fantoccio avessero invitato in casa, allora dovevano soffrire di stupidità progressiva.
Gli adulti, o quelli che avrebbero dovuto esserlo, la guardarono in tralice, così scosse il capo ricomponendosi, e mi sorrise. Afferrò il cesto con la frutta e me lo gettò davanti, senza dare nell'occhio.
«Ecco a te, cara.»
Se prima di allora avevo considerato il comportamento di Luke infantile, senz'altro quella ragazza superava le mie aspettative.
Poteva una persona risultare più indisponente di lei?
Mi voltai verso Luke, osservandolo con biasimo. Anche lui mi stava fissando, col medesimo occhio critico, come se fosse colpa mia se Cassidy fosse per natura una diciottenne frivola.
Ignorai l'occhiata eloquente, continuando a sorridere, angelica.
«Mi chiedo solo come possano piacerti le ragazze biologicamente problematiche. Per non parlare del fatto che sembra non avere un minimo di scatola cranica.»
Lui, per tutta risposta, allungò il piede colpendo la mia caviglia. Mi morsi la lingua prima di dirgli quanto fosse tornato il solito fastidioso imbecille, e mi limitai a scrollare le spalle.
«Sai? Ti preferivo quando ti piangevi addosso per quella tua amica che - evidentemente - ti ha spezzato il cuore. Sembravi più umano», lo rimbeccai arrogante, addentando la mia mela.
«Quindi tu e Luke siete amici?» chiese Nick, mentre teneva un braccio attorno le spalle di mia madre.
Cassidy aveva continuato a tenere le labbra distese in un sorriso imbarazzato, senza alcuna motivazione, rimanendo comunque assorta nella sua spiegazione futile su come fosse rammaricata circa il rapporto amichevole col mio fratellastro. Quest'ultimo, in tutto ciò, stava continuando a passarsi le dita tra i capelli scarmigliandoli maggiormente.
Sembravo esser stata proiettata in un universo parallelo, ancora una volta, e cercavo di capire cosa esattamente ci trovassero tutti in Cassidy.
Bellezza fisica ed estetica a parte, aveva l'animo nero come il carbone, e la simpatia sprezzante di chi non aveva effettivamente mai riso in vita sua. Sembrava sempre seria, non conosceva alcuna espressione facciale, eccetto quando parlava con me; in quel caso riuscivo a toccare il suo disappunto. Potevo ritenermi privilegiata.
«Lukey, che ne dici se cominciassimo a studiare? Potremmo iniziare con filosofia», propose lei, elettrizzata all'idea di passare del tempo sola con lui.
Il problema era che non frequentava la classe di filosofia, e poco ma sicuro che non sapesse cosa si studiasse per quella materia. Così mi intromisi io incurante del suo ammonimento.
«Cassy, ma tu non frequenti filosofia con noi. Posso aiutare io Luke a studiare.»
Vedendo i suoi sogni sfumare, sembrò che mi avesse alzato il dito medio, ma non ne ero sicura, anche perché fu un movimento così irruento che pensai di aver immaginato tutto.
I nostri genitori ammutolirono, e fu Luke ad intervenire.
«Cassy, ha ragione Ella. Pensavo avessi portato gli appunti di storia contemporanea.»
Forse avevo qualche problema visivo, ma non vi era alcuna traccia di carpette o fogli che mi portassero a credere all'apparente motivo della sua presenza, quella mattina. Poi supposi che, in realtà, Cassidy era migliore di me anche per fare la stalker. Non che io fossi arrivata ai suoi livelli: non mi trovavo sempre negli stessi luoghi frequentati da Luke, tanto meno mi avvinghiavo a lui come un rampicante o come se fosse stato chissà quale dolce raro e prelibato difficile da trovare sul mercato.

Giunto il momento dei saluti, quando fortunatamente Cassidy aveva inteso di essere di troppo, mia madre mi consigliò di accompagnarla alla porta come una vera padrona di casa; una casa che non mi apparteneva, e che - per di più - avevo denigrato i primi giorni dal nostro arrivo con tutta me stessa.
Luke, da vero galantuomo quale non era, aveva accompagnato la fragile arpia al portone, così fui costretta a sorbire interi monologhi di lei su quanto fosse rimasta impressionata dalla nostra famiglia, e che era lodevole per lui preoccuparsi di disperati casi umani come me.
La mia rabbia era così tanta e repressa che, senza pensarci due volte, mi spinse a desiderare di prenderla per i capelli e farla supplicare di farmi smettere. Non che lo facessi di proposito, ma la cattiveria evocata in me da quella persona era opprimente.
«Smettila, Cassidy. Smettila di comportarti così con lei. Che diamine ti ha fatto? Non la conosci neanche», la rimproverò lui aspramente, incrociando le braccia sotto il petto e assumendo quell'espressione accigliata a cui ero stata abituata, quella settimana.
Cassidy, un bignè di nitrato e cloroformio, imbronciò le labbra zampettando civettuola verso di lui. Stese le dita sulla maglietta grigia che indossava, ne tracciò i bordi con le lunghe unghie smaltate di nero, e fece ondeggiare i lunghi capelli lisci e scuri, inclinando infine la testa verso la sua spalla.
«Abbiamo passato quattro giorni fantastici, insieme. Perché non ripetiamo l'esperienza anche la prossima settimana? Magari», soffermò lo sguardo su di me, con un improvviso timbro cupo, «senza che tu faccia da tata alla tua sorellina.»
In quel determinato frangente di mio crollo sociale tra i due stupidi al mio cospetto, non potei far altro se non ridacchiare per la convinzione di quella mia adorata nemesi, tant'è che scossi il capo stentando a credere a ciò che avessi sentito.
«Innanzitutto, sarei la sua sorellastra, anche se ancora non posso essere definita tale. Poi, non sono sicura di voler ascoltare cosa tu e lui vi siate prodigati a fare in questi sensazionali giorni mozzafiato. Sai, ho appena finito di mangiare e la mia digestione è fin troppo lenta. Tu non vuoi che questa bambina ti rovini i vestiti e quelle scarpe», dissi inarcando un sopracciglio ponendo le mani sui fianchi, e indicando - infine - le sue immacolate Converse di tela bianca e blu.
«Possibile che tu non riesca a tenere la bocca chiusa?» domandò Luke, ed io annuii concorde.
«Cassidy, anche il tuo Lukey vuole che tu tenga la bocca chiusa.»
Lui mi assestò una gomitata sul braccio, e strinse le palpebre in due fessure.
«Veramente stavo alludendo a te, Ella! Non puoi rispondere male ad una mia ospite. È da maleducati», mi rimproverò sardonico. Come, prego?
Ovviamente l'altra rise così tanto che la sua risata sembrava più lo squittio di uno scoiattolo. Almeno gli scoiattoli erano carini da ammirare, invece lei... Beh, avrei preferito piangere sangue pur di non vederla.
«Dovresti dar ascolto al tuo fratello maggiore, non credi? Ora, perché sei ancora qui? Non hai altro da fare come sistemare le tue bambole?»
Luke, palesemente incavolato con me, non mi difese. Non che ne avessi bisogno, ero abbastanza adulta da farmi da avvocato difensore, solo che era snervante osservare il suo disinteresse verso colei con cui aveva scambiato la saliva qualche sera prima.
«Sapete, ragazzi, siete fatti l'uno per l'altra. Com'è che si dice? Ah, sì: i coglioni camminano sempre in coppia.»
Li lasciai lì, senza constatare se la mia uscita, non proprio ad effetto, fosse stata efficace o meno.

Il pomeriggio raccontai a Sarah la piccola faida sorta quella mattina, e lei mi chiese se avesse potuto farmi visita.
Quando arrivò con un borsone, mi domandai cosa il suo cervello avesse macchinato.
«Ti sei improvvisata serial killer?»
Lei non capì, così le indicai il borsone.
«Oh, no! Ho portato i vestiti da mettere stasera. Mi hai detto che tua madre ti manderà alla festa, quindi ho supposto che avremmo passato il pomeriggio insieme. Verrai con me e Cal.»
«Sicura? No, perché non so se Luke...»
Trasse un respiro profondo. «Luke andrà con Cassidy», buttò lì, tutto d'un fiato, portandomi a sedermi sul letto.
«Oh. Cioè, ho notato che ultimamente sembrano andare d'accordo, ma non credevo così tanto. Cos'è cambiato?» domandai più a me stessa, provando a capire dove i pezzi del puzzle andassero collocati per avere un quadro chiaro e completo della situazione.
Lei si strinse nelle spalle.
«Calum non mi ha detto molto, ad esser sincera. Anche io credevo che il loro rapporto si limitasse solo ed esclusivamente su una base puramente casuale. Non sono nemmeno amici, il che mi riconduce ad un ritorno alle origini. Sai, no? Cassidy e il magnetismo del suo tempio violato.»
«Oddio», sussurrai, passando le mani sul viso per coprirmi gli occhi. «Hai una visione così delicata di tua cugina, Sarah.»
«Merita di peggio. In ogni caso, ripensando a ciò che mi hai detto, sul loro avvicinamento improvviso, ho ripensato a mercoledì sera. Ricordi quando non sei voluta uscire, per non so quale motivo?»
Annuii, incitandola a continuare con un fluido movimento delle mani. Il fatto che non volessi mettere piede fuori di casa, la sera a cui stesse alludendo, era proprio perché ero convinta che, aggregandomi alla comitiva di Luke, mi sarei rovinata la serata, deteriorandola pure alla mia amica, che non voleva altro se non trascorrerla tranquillamente con il proprio ragazzo.
Lei iniziò a parlare, interrompendo il fluire dei miei pensieri.
«Eravamo al Joyce, quel pub in centro e, ovviamente, ci hanno raggiunto Luke, Michael e Ashton. Indovina un po' chi si è presentata in quel luogo poco sofisticato per sua maestosità la regina del lusso? Sì, proprio lei: Cassidy.»
Il che mi portò a pensare che Cassidy aveva impiantato un ricevitore GPS sul cellulare di Luke. Non era possibile che fosse a conoscenza di ogni suo singolo spostamento. Stava diventando davvero irritante.
«Ma ha una vita?»
La guardai arcuare le sopracciglia, e digrignò i denti.
«Credimi, Ella, la sua vita ruota attorno a Luke. Per ora è diventato il piatto prelibato che sa di non riuscire ad ottenere.»
«E Luke in tutto ciò che ha detto? Voglio dire, è chiaro che dovrebbe essere infastidito.»
Poi ripensai alla stupidità che avevo detto; lui non era infastidito più del dovuto, come aveva dimostrato quella mattina.
Lei, però, mi sorprese e annuì solennemente.
«Le ha detto di smetterla di seguirlo ogni qualvolta esca, che non è di sua proprietà - chiamalo scemo - e che non è interessato alle avances di una pazza psicopatica come lei. Dovevi vedere la sua espressione: aveva le vene del collo così gonfie che ho pensato subito al peggio. Credevo potesse esplodere da un momento all'altro, e nessuno avrebbe fatto nulla per impedirglielo», rise sempre più sguaiatamente al ricordo.
«Inoltre anche Michael non è rimasto in silenzio. Le ha fatto capire che, se solo l'avesse vista gironzolare intorno ad uno di loro - me compresa - avrebbe ricorso agli avvocati per ottenere una ingiunzione. Io stavo letteralmente morendo soffocata dalle risate.»
«Chissà quanto ne sarà rimasta basita, poverina» sussurrai quasi intenerita. Non che rispettassi il comportamento di Cassidy, tutt'altro. In un certo senso aveva meritato ogni singola parola.
«A volte mi chiedo come fai ad essere mia amica. Ti voglio bene e tutto, ma quella ragazza - che Dio mi perdoni - è un flagello per la società umana mondiale.»
Ero più sicura che il suo disprezzo per la cugina dipendesse da anni di brutte vicissitudini trascorse ad autoccomiserarsi, ma non mi sembrava intelligente affermare l'ovvio.
«Bene. Ma adesso cosa è cambiato? Perché sembra il suo cagnolino?»
«Perché è stupido? Non lo so. Sembrava in un altro mondo, quella sera, come se fosse accaduto qualcosa di irrimediabile», confessò, ed io inizia a pensare ad un modo semplice e indolore per raggiungere l'altro lato del globo senza disseminare sospetti. Non che mi reputassi importante e che Luke potesse esser preoccupato per quel maledetto bacio, ma era una opzione ragionevole da non scartare.
«Tu hai qualche idea in proposito? D'altronde vivete sotto lo stesso tetto.»
Presa dal panico, cominciai a blaterare stupidaggini, le quali terminavano con un «no» sempre più acuto.
«So che non è bello da dire, ma la odio. So che saremo sempre imparentate, ma vorrei non condividere il gruppo sanguigno con una ragazza del genere.»
«Hai bisogno che la odi anche io?» scherzai, sorridendo.
Lei ricambiò.
«Pensavo che già lo facessi. Voglio dire... Sta attaccata a Luke come una cozza. Io sarei infastidita, al posto tuo», replicò.
Corrugai la fronte.
«Perché dovrebbe fregarmene qualcosa della compagnia con cui si diletta Luke? È il mio fratellastro, per diamine.»
Sapevo che il tono colpevole, di chi stesse mantenendo chissà quale segreto esagerato, non giocava a mio favore, ma sperai di poter ingannare almeno lei.
«Sì, sarà pur il tuo fratellastro, ma non avete alcun legame genetico, voi due», puntualizzò, come se fosse una di quelle donne vissute con chissà quante esperienze alle spalle.
Come se non ci pensassi ormai giorno e notte, anche stesso.
No, non potevo ingannarla.
«Mia madre potrebbe mettermi alla gogna», sussurrai impercettibilmente, quasi abbattuta.
«Okay, vero. Allora che mi dici di Ashton? Ci ha già provato con te, o sbaglio?» alluse pragmatica.
Le lanciai un'occhiata scocciata, e le diedi una pacca leggera sul braccio.
«Ti sbagli di grosso. Non ha provato a fare proprio un bel niente.»
«Ma ti sarebbe piaciuto, no?»
«No», risposi velocemente, con convinzione.
«Non sono davvero pronta a cimentarmi in una storia d'amore. Non penso che faccia per me», risposi sincera, scrollando le spalle.
Lei sogghignò, fingendo di credermi.
«Deve essere brutto quando forze di causa maggiore si intromettono, e si è costretti a nascondere l'attrazione che lega due ragazzi che sanno di non poter avere futuro.»
«Già, fa schifo», espirai, con la mente alla deriva. Poi rinsavii.
«No, aspetta, cosa? A me non piace Luke», rettificai nel panico.
«No, Ella. A te non piace affatto Luke, scherziamo? Come ho anche solo pensato una cosa del genere. Allora dai un'occasione ad Ashton; Calum mi ha confessato che gli piaci», ammiccò.
«Non credo sia una buona idea», ribadii battagliera.
«Per chi? Per te o per Luke?»
«Perché insisti sempre con Luke? Sei un'amica crudele. Sicura che non piaccia a te, Luke?»
«Sono la migliore che potesse capitarti», si imbronciò. «E sì. Per quanto possa essere carino, ho occhi solo per Calum.»
Era vero che mi consideravo fortunata ad avere trovato un'amica come lei, ma non avrei mai contributo a far crescere il suo ego confessandoglielo.
«Come hai detto tu, comunque, Luke per te è out. Giusto?»
«Mi sembra ovvio. Ora possiamo smettere di parlarne?» sospirai stanca.
«Oh, certo, Ella. In quanto tua amica ho il dovere assolto di non farti deprimere, quindi cominciamo a prepararci, Calum sarà qui tra qualche ora.»

***

A parte l'imbarazzante tragitto tra casa mia e il consolato dove si sarebbe svolta la festa, fortunatamente nessuno dei tre aveva preso parola. Calum non mi domandò perché l'amico si stesse comportando in maniera bislacca da qualche giorno - anche se dallo sguardo preoccupato che mi aveva inferto non appena mi vide, mi fece capire che avrebbe voluto risposte poco evasive - e gliene fui profondamente grata. Già il solo fatto che avrei dovuto vederlo con Cassidy era una punizione pressoché adeguata per il mio insano comportamento da liceale con gli ormoni alla deriva.
Avevo in mente una sola cosa: divertirmi per quanto mi fosse possibile, e cercare di non incrociarlo neanche per caso. Se lo avessi scorto, avrei cambiato strada. O, almeno, ci avrei provato.
«Odio le feste di Ethan», prorruppe Calum, assorto a contemplare aspramente chiunque vedesse in giardino. Ragazzi ubriachi già ad inizio serata; la cosa - benché fosse la prima vera festa a cui partecipassi - non mi sorprese più di tanto. Penso che a tutti quanti piacesse testare i propri limiti, anche se l'esagerazione stava sfiorando i livelli dell'assurdo.
Non sono mai stata un tipo bigotto e pudico, ma ancora non capivo il senso del perché bisognasse rischiare un coma etilico pur di assaporare l'ebbrezza del divertimento. Letteralmente.
Quel luogo era surreale, per usare un eufemismo.
Il giardino, poco curato, era composto per lo più da un medio strato di erba assolutamente incolta, che rendeva il cammino faticoso. Soprattutto per coloro che, come me e la mia amica, avevano messo delle decolette col tacco.
Sarah aveva caparbiamente insisto affinché indossassi uno dei tre vestiti che aveva portato con sé. Tra quello corallo, quello cobalto e quello nero, optai per l'ultimo. La stoffa non era pesante, ma nemmeno così leggera da impedirmi di sudare una volta esser acceduta all'interno; la gonna a palloncino era rigida e arrivava appena sopra il ginocchio, mentre il corpetto era tutto di pizzo lasciando scoperta la schiena, dove la profonda scollatura di chiudeva qualche centimetro sopra il fondoschiena. Era l'unico colore col quale potevo abbinare il mio unico paio di scarpe eleganti, e non particolarmente alte, che si chiudevano attorno la caviglia con un cinturino scamosciato.
Sarah, invece, indossava un vestito a tubino blu scuro, perché convinta che riuscisse a risaltare meglio la tonalità mogano dei suoi capelli. Era un semplice vestito di raso, con uno scollo a cuore le cui bretelline spesse si intersecavano dietro il collo e poi ancora verso la parte anteriore, come una sorta di collana a girocollo. Ad esso aveva abbinato un paio di sandali color panna che, nonostante fosse più bassa di me, le avevano dato l'illusione di avere la mia stessa altezza. Con molto disappunto di Calum, comunque, il quale arrivava appena sotto il capo minuto.
Tornai a guardare davanti a me, dato che mi fossi distratta ad assistere ad una scena davvero riprovevole: una ragazza, ad occhio più piccola di me, vagava incespicando in giardino reggendosi al muretto basso che delineava il perimetro della modesta casa. Reggeva in mano una bottiglia di vodka liscia, e di tanto in tanto ne portava il beccuccio alle labbra, accennando una smorfia ogni qualvolta il liquido le scendeva giù per la gola. Era davvero penoso.
In quel momento mi trovai in accordo con Calum: se la maggior parte delle feste fossero state come quelle, allora avrei fatto prima a starmene a casa a guardare qualcosa in TV

«Sì, mio cugino non è proprio famoso per le sue feste tranquille. E poi, diciamocelo, cosa vi sareste aspettati di trovare ad una festa universitaria? Ancora è presto; sono convinta che la serata degenererà tra un paio d'ore», affermò Sarah sibillina, afferrando la mia mano e quella del fidanzato, per trascinarci verso l'atrio.

Non so bene cosa mi aspettassi, visto il delirio a cui avevo assistito fuori, ma di certo non una casa ancora in ordine dove la gente sedeva tranquilla sul divano o le poltrone. Immaginavo più un macello di vasi rotti, i cui cocci sarebbero rimasti disseminati a terra fino al giorno successivo quando qualcuno non avesse preso in considerazione l'ipotesi di mettete in ordine prima di avere un esaurimento nervoso.
Inoltre, che la casa fosse modesta l'avevo notato a primo acchito già dall'esterno, l'atrio era composto due attaccapanni appesi uno per parete; un piccolo portaombrelli di alluminio, rovinato da un lato; una mensola in marmo opaco dove riuscivi ad appoggiare un mazzo di chiavi e un telefonino, se si era fortunati, vista la dimensione.
Si accedeva ai vari ambienti tramite piccoli e stretti corridoi: uno portava verso la sinistra - dove immaginai esserci il soggiorno e poi la cucina - e l'altro continuava dritto, ma era troppo buio per capire se fossero lì tutte le stanze da letto dei confratelli.
«È una mia impressione, o mi sembra di aver sbagliato posto?» mi decisi a proferire, guardandomi attorno sospettosa.
Sarah appoggiò una mano sul mio avambraccio.
«Il posto è questo, Ella. Solo che, essendo le dieci e mezza, ancora non c'è nessuno che dia un po' di brio a questo mortorio.»
«Ma non sarebbe dovuta iniziare mezz'ora fa?» domandai innocentemente, sbattendo le palpebre perplessa.
Lei rise scuotendo il capo.
«Qual'è stata l'ultima festa a cui sei andata senza che nessuno ti pregasse per farlo?»
«Penso quella di Jace, per il suo diciassettesimo compleanno. Jace è un mio...» Cosa? Amico? Conoscente? Non sapevo più come definirlo, anche perché l'avevo bellamente ignorato nonostante lui continuasse a inviare mail velate di romanticismo. Sarah e Calum, entrambi in attesa che concludessi la frase, mi osservarono concentrati.
«Uhm... Un amico di Chicago.»
«Non sei mai uscita a fare baldoria con i tuoi amici?» si stupì Cal, al quale fece eco la mia amica.
Negai un po' imbarazzata, scrollando le spalle.
«Diciamo che non sono mai stata totalmente libera, quando vivevo sola con mamma.»
Sarah annuì.
«E tuo padre?»
«Sono separati», tagliai corto non volendone parlare. Sarah recepì il messaggio e mi fece l'occhio prima di dire: «Passerai una serata divertente, te lo prometto».

Verso mezzanotte la casa iniziò a riempirsi di ragazzi e ragazze, la maggior parte universitari annoiati, decisi a trascorrere un sabato sera differente, anche se era molto relativo. Immaginavo che trascorrevano ogni sabato sera in quel modo, e mi chiesi come facessero a non annoiarsi con la solita routine monotona. Non che potessi parlare proprio io: io navigavo nella monotonia, anche se diversa dalla loro.
Intravidi Ethan, il ragazzo che organizzava la festa, passare a qualche metro di distanza dove mi trovassi io e, non appena mi vide, si avvicinò con un sorriso compiaciuto.
«Tu sei la ragazza che ho visto con Luke qualche sera fa, giusto?» biascicò avvicinando le labbra al mio orecchio.
Trattenni il respiro non appena il sentore di varie fragranze alcoliche mi colpirono le narici, spostandomi di poco, lontana da lui.
«Ella. Mi chiamo Ella», annuii.
Sarah e Calum, che si erano allontanati mezz'ora prima per recuperare qualcosa da bere, si fermarono al mio fianco, e Cal mi porse un bicchiere rosso, plastificato, contenente quella che sembrava essere birra.
Lo ringraziai con un cenno del capo.
«Non sapevo che venissi anche tu, Sarah», sentii dire a Ethan.
Avvertii lei irrigidirsi, ma fu breve.
«Sai com'è. Sono venuta con la mia amica», mi indicò e poi col mento indicò Calum, «e il mio ragazzo.»
Ethan le fece scivolare un braccio attorno alle spalle.
«Non credevo ti piacessero gli scarti di mia sorella. Per quel che vale, Calum è un mio carissimo amico.»
Mica tanto, pensai, visto il modo in cui lo avesse descritto.
Poi si schiarì la gola, e ci salutò per tornare a intrattenersi con altri litri di baorbon scadente.
«Che tipo», sussurrai indignata.
Sarah roteò gli occhi.
«È un coglione arrogante. Mi son sempre chiesta come abbia fatto mio zio a sposare quella donna così frigida e indisponente. Hai visto come sono venuti su i figli.»
«Tanto per la cronaca: io e quel tipo non siamo affatto amici. Poi con quale delicatezza si è permesso di dire che Sarah arranca gli scarti di Cassidy? Semmai, è il contrario», la difese Calum, punto sul vivo.
«Tesoro, sei dolcissimo, ma in un certo sai che è vero. Ma sai? Chi se ne frega. Il suo giudizio è superfluo come la persona che l'ha detto. Ora, Ella, che ne dici di andare a ballare?» propose elettrizzata, strappandomi il bicchiere di mano per appoggiarlo sopra un mobile.
Ridacchiai, le afferrai la mano e mi lasciai condurre verso il soggiorno dove vari gruppetti cominciavano a dimenarsi a tempo di musica, sulle note di Blame di Calvin Harris.
E fu lì che li vidi: Luke e Cassidy intenti a ballare in maniera provocante al centro della pista improvvisata. Lui le teneva una mano sulla vita, e lei una sul torace coperto da una camicia bianca lievemente sbottonata.
I miei piedi camminavano ma ero totalmente concentrata su loro due per accorgermi di star pestando i piedi a tutti coloro che incrociassero il mio cammino.
Balbettai una serie di «scusa» abbastanza flebili, tant'è che non potevano essere recepiti dai malcapitati visto il volume della musica che riempiva l'abitacolo.

Sarah si fermò accanto a loro, dandomi l'opportunità di studiarli meglio. Lei indossava un paio di pantaloncini neri e un top bianco dedito a risaltare la carnagione scura.
Provai a eseguire gli stessi movimenti delicati della mia amica, ma quando un paio di occhi chiari intercettarono i miei, mi paralizzai. Anche lui aveva smesso di ballare, aveva persino allontanato le mani dal corpo di Cassidy, lasciandole cadere lungo i fianchi.
Sentii un formicolio farsi strada sulla mia pelle accaldata, e provai a reprimere un sussulto quando con il capo indicò l'ingresso.
Si chinò verso il viso di lei per sussurrarle qualcosa all'orecchio, e poi la lasciò lì, incamminandosi verso il luogo che poco prima mi aveva indicato.
«Io... Uhm... Vado a prendere una boccata d'aria», mentii, alzando il tono della voce per farmi sentire dai miei amici.
Calum annuì e afferrò Sarah dalla vita accostandole il capo al proprio petto.
Zigzagai tra la calca di corpi sudaticci, allungando il collo per vedere dove si fosse fermato Luke.
Ero proprio ridicola. Mi ero ripromessa di ignorarlo se avesse provato a parlarmi. Ero così contraddittoria, dannazione!

Una volta esser giunta all'ingresso, una mano si posizionò attorno al mio polso, e venni tirata verso il corridoio buio, il quale portava alle varie camere da letto.
Ma non si trattava di Luke, bensì di Ethan che, non appena si rese conto di aver preso me, mi lasciò andare ed io barcollai sulle mie stesse gambe.
«Scusa, ti ho spaventata?»
Non era realmente preoccupato, era evidente dal sorrisetto provocatorio e sfacciato che gli contornava le labbra sottili.
Il suo respiro colpì la punta del mio naso, e io continuai ad indietreggiare per quanto mi fu possibile, fin quando le mie spalle non entrarono in contatto con la parete fredda e ruvida.
«È tutta la sera che ti osservo», commentò, avvicinando le dita verso la mia spalla destra.
Aggrottai la fronte, guardandolo confusa.
«Un po' inquietante, non ti sembra?» dissi io, sollevando il mento a mo' di sfida.
Lui si morse il labbro, mentre un bagliore fioco illuminava a malapena il riflesso chiaro dei suoi capelli corti.
«Non avevo notato quanto fossi bella. Mia sorella non ha un bel giudizio su di te.»
«Tua sorella, scusa se te lo dico, ma non ha un buon giudizio per nessuno, se non per sé stessa», replicai saccente.
Pensavo si sarebbe arrabbiato, invece mi sorprese con la sua risata rauca, dovuta all'alcol e alla troppa nicotina.
«Che vuoi farci. È fatta così.»
«Questo non la giustifica.»
«Non mi va di parlare di lei. Perché invece non pensiamo a divertirci? Insieme», mormorò suadente, avvicinandosi sempre più al mio viso.
Gli appoggiai le mani sul petto, spingendolo lontano.
«Abbiamo concetti differenti, al riguardo. Mi stavo divertendo parecchio con i miei amici. A proposito, devo proprio tornare da loro», borbottai.
Feci per passargli accanto, ma lui fu più svelto e mi riprese dal polso. Mossa che mi fece arrabbiare più di quanto non avesse fatto con la sua sola presenza.
«Mia cugina è impegnata col ragazzo. Non vorrai mica far da terzo incomodo, no?»
«Meglio esser il loro terzo incomodo, che stare qui con te. Da sola», sottolineai.
«Ti spavento?» sorrise.
«In questo preciso momento mi dai sui nervi», lo corressi.
Gli sorrisi serafica, ma lui con un movimento fulmineo chiuse lo spazio tra noi, e appoggiò le labbra sulle mie.
Strabuzzai gli occhi, e gli morsi il labbro inferiore, ma a quel punto non avvertito più il peso del suo corpo sul mio.
Fissai, difatti, Luke tenerlo per le spalle e solo allora mi accorsi di quanto fosse alto.
Portai le mani dietro la mia schiena, per stabilizzarmi, e deglutii. Con tutto che Luke fosse intervenuto in mio aiuto, non gliene ero certamente grata. Non ero mica un damigella del settecento in pericolo, me la stavo cavando benissimo da sola.
«Ethan, è minorenne, e poi è la mia sorellastra. Che c'è che non va in te?» lo rimproverò duramente, strattonandolo dalle spalle.
Ethan sollevò le mani in segno di resa, ma mi stava dando la schiena quindi non vidi che tipo di faccia aveva assunto. Potevo vedere solo il volto di Luke, la sua mascella indurita e i tratti irruenti.
«Non stavamo facendo nulla di male, amico. Rilassati», gli diede una pacca amichevole sul braccio.
«Mi rilasserò quando avrò la certezza che la lascerai stare», ribatté. E così dicendo lo spinse verso il soggiorno, e avanzò verso di me.
Portò le dita sul mio zigomo.
«Tutto okay? So quanto possa essere fastidioso Ethan, quando beve», si scusò per lui.
Mi scostai dal suo tocco.
«Sto bene, e non avevo bisogno che intervenissi. Avevo la situazione sotto controllo.»
Lui sogghignò ironicamente.
«Sì, e faceva parte del tuo piano farti palpeggiare in un angolo buio della casa? Wow, Ella, hai ragione: avevi tutto sotto controllo.»
«Non dirmi che adesso vuoi assumerti le responsabilità del fratello maggiore, Luke. Io e te non siamo un bel niente», ringhiai frustrata, spingendolo dalle spalle.
Lui afferrò le mie mani e intrecciò le dita con le mie, allungandole verso l'alto, contro il muro dietro me.
I suoi respiri aumentarono, divenendo più confusi e impetuosi.
«E vuoi che non lo sappia, Ella? So bene che non sono tuo fratello, cazzo! Ci penso ogni dannata notte, dopo martedì. Cosa vuoi che ti dica? Preferisci che ti dica che in questo momento vorrei solo baciarti, per far sì che il sapore di quel coglione sparisca dalle tue labbra?» digrignò i denti, e io sentii il mio fiato farsi più corto, quasi inesistente.
«Non puoi averlo detto davvero», bisbigliai incerta.
«Perché? Perché ti ho ignorata? Sì, Ella, ti ho deliberatamente ignorata, in questi giorni. Il problema è che sono attratto da te. Attratto fisicamente. Ho pensato solo che - se ti avessi ignorata - avrei superato questa stupida pressione che avverto ogni dannatissima volta che ti vedo.»
Mi morsi il labbro, e lui accarezzò i miei capelli, attorcigliando un ricciolo con l'indice fino a giungere su quello inferiore per allenarlo col pollice dalla morsa dei miei incisivi.
Serrai le labbra dopo un incomprensibile singulto.
«E ha funzionato?» domandai stupidamente.
Io e le mie frasi idiote. Perché , ogni qualvolta mi sentissi nel panico, ponevo domande del tutto sciocche? La mia stupidità era colossale.
Lui fece spallucce.
«Non tanto», fu costretto ad ammettere con un lungo sospiro febbrile.
Asserii col capo, non sapendo cosa dire, e Luke mi condusse verso una delle stanze da letto.
Mi spinse dentro chiudendo la porta a chiave, senza darmi il tempo di guardarmi attorno.
Infilò le dita tra i miei capelli e mi baciò.
Mi leccò le labbra per avere l'accesso completo che tanto anelava, e quando glielo concessi avvertii la sua lingua collidere con la mia.
Chiusi gli occhi, lasciandomi trasportare dalle sensazioni, e non mi accorsi che ci eravamo distesi su uno dei letti. Lui aveva appoggiato le ginocchia ai lati del mio bacino, per sorreggere il peso, ed io portai i palmi ai lati del suo viso, approfondendo il bacio famelico.
Si distese su di me, reggendosi sul materasso col gomito, mentre l'altra mano si insinuava indisturbata sotto la gonna, sfiorando ogni mia terminazione nervosa. Mi solleticò la pelle sensibile delle cosce, tracciando l'inguine con i polpastrelli.
Afferrai il retro del suo collo, infilando impaziente le dita dentro il bavero della camicia, per poi arrivare alla parte anteriore sbottonata, per testare la linea sporgente delle clavicole.
Gemette, stringendo, tra le dita della mano rimasta inerme accanto il mio capo, i miei capelli.
Allontanò le labbra lasciandole vagare giù per il mio collo, e poi sempre più giù fino alla scollatura dell'abito.
Ansiami, graffiandogli il petto, e sollevando un ginocchio.
Lui si spinse un po' più avanti, riportando la bocca sulla mia.
I nostri respiri si mescolarono, e quando capimmo di dover riprendere aria, ci staccammo ansanti.
Posizionò la fronte sulla mia, e mi baciò il naso.
«Parlavo proprio di questo, Ella. Non sono sicuro che la prossima volta riuscirò a fermarmi. Ho avuto difficoltà già adesso. Quindi ho una proposta un po' inappropriata. Poi sarai libera di darmi uno schiaffo», ansimò, cercando di riprendere ossigeno.
Impietrita, lo guardai senza indugio, aspettando che si decidesse a proferire parola.
Si tirò su, in piedi davanti a me, mi tese la mano per aiutarmi ad alzarmi, e allacciò le braccia massicce attorno la mia vita.
«Perché non lasciamo sfogare questa attrazione? Intendo a livello puramente fisico. So che ti avevo detto di star lontani l'uno dall'altra, ma io personalmente non ci sono riuscito. E neanche tu sei indifferente, altrimenti non avresti ricambiato il bacio di poco fa. Sono sicuro che riusciremo a non coinvolgere i sentimenti, e se uno dei due inizia ad avvertire qualsiasi campanello d'allarme, allora smetteremo immediatamente.»
Boccheggiai senza sapere esattamente cosa dire.
«Cioè una sorta di legame fisico senza alcun sentimento», ripetei atona.
Annuì lentamente, studiando i miei occhi sicuramente dilatati per la proposta.
«Pensi di potercela fare? Non voglio iniziare niente se non sei totalmente convinta», mi avvertì. Per me sarebbe stata la prima volta, la prima volta che mi facessi coinvolgere in un tipo di relazione puramente fisica, senza lasciare che i sentimenti si intromettessero.
Nonostante i mille dubbi sul funzionamento di questo piano totalmente privo di fondamento, la mia voce uscì totalmente convinta quando pronunciai «sì». Era un accordo che faceva acqua da tutte le parti, ma io ero bravissima a infilarmi in situazioni ambigue.
Lui ne rimase meravigliato, anche perché da come aveva il viso prono era convinto che gli stessi per tirare un pugno sull'occhio.
Così, sollevato, mi afferrò dai fianchi, premendo la punta delle dita sulla stoffa. Stringendomi a lui, mi baciò un'ultima volta. Ma prima di tornare alla festa, lo bloccai, tirandolo dalla manica della camicia.
«Solo se si tratta di un tipo di strano rapporto monogamo. Okay frequentare altra gente, ma mai andare a letto con qualcun altro», dissi risoluta.
Non che stessi parlando per me, ma per lui e Cassidy. D'altronde era evidente anche ad un neonato che Cassidy voleva raggiungere la seconda base con Luke, e io non volevo certamente vivere con la consapevolezza di star facendo una cosa a tre. Era raccapricciante.
«Sono d'accordo. Niente sesso al di fuori di noi due.»
Avrei dovuto stilare una lista con su scritto le cose che non avrei mai più dovuto ripetere una volta che il nostro strano rapporto insano fosse finito.
Promettendo di non farne parola con nessuno, tornai da Sarah che non aveva fatto domande vedendomi spuntare con Luke.
Quest'ultimo mi sorrise allegro, facendomi volteggiare di tanto in tanto, senza preoccuparsi degli sguardi altrui.
Poi mi lasciò con Sarah mentre lui raggiunse Michael e Ashton, arrivati quando eravamo troppo impegnati a definire i punti base dell'accordo.
Niente sentimenti, avrei potuto farcela ad occhi chiusi. Dovevo solo continuare a ripeterlo; magari anche nella mia testa quella sarebbe diventata la realtà.

---

A/N:

Allora sono in super ritardo ma non è colpa mia o di qualcun altro.
Non pretendo di certo trovare qualcuno che sia disposto a leggere questa storia, perché gli aggiornamenti stanno avvenendo lentamente e mi dispiace immensamente tanto.
Ora, qui c'è il capitolo spero che vi piaccia questa nuova versione, perché a me personalmente piace più di quella vecchia.
E nulla. Un bacione grande.

Fortsätt läs

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