Take On Me [Completa - In Per...

By GiovanniCaroli

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[Storia vincitrice ai Watty Awards 2019, categoria "Romance"] Esistono incontri che sono incastri perfetti tr... More

Dedica
Capitolo 00
Capitolo 01
Capitolo 02
Capitolo 03
Capitolo 04
Capitolo 05
Capitolo 06
Capitolo 07
Capitolo 08
Capitolo 09
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 17
Capitolo 19
Capitolo 20
Epilogo

Capitolo 18

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By GiovanniCaroli

Manto di piombo.
Molto più in basso del sole. Molto più in alto di me.
Grigio. Pesante. Freddo.
L'una che sembra volta di pomeriggio inoltrato. Pare abbia voglia di scaricare tutta l'acqua di cui è capace. E lo capisco, mi sento ugualmente grigio. Ugualmente pesante. Ugualmente freddo.

Alla fine è ripartita. Esattamente come quand'è arrivata: nella stessa stazione, dallo stesso binario, alla stessa ora.
Tre giorni passano in fretta. Maledettamente in fretta. Il tempo è un fottuto tiranno e basta che distogli lo sguardo per un momento dall'orologio che quello ti succhia tutto il carburante dal serbatoio, lasciandoti a secco, a strisciare nel deserto. E prima che te ne riesci a rendere conto, non ti è rimasto nulla. Soltanto un album di ricordi.
Magnifici ricordi. Che però altro non sono che impronte nella sabbia, sulla riva. Immagini, suoni, odori, sapori. Destinati a confondersi per poi sbiadire. E sparire.

È sbagliato viverci. Ma cos'altro mi resta, ora che lei non c'è più? Ora che la distanza tra noi è ritornata a crescere?

Le ho chiesto di farmi una promessa. Che questa sarebbe stata la prima, ma non l'ultima. Ha taciuto e mi ha baciato, una volta in più. E stretto forte, una volta in più. Ha parlato ma solo quando era troppo tardi per insistere. Troppo tardi per non accettarla, quella promessa. Urlata dal finestrino del treno, mentre partiva e la velocità mi sferzava fuori e dentro. Ha promesso qualcos'altro. Qualcosa di bello, sì, ma che ha un insopportabile retrogusto amaro.

Ti prometto che non ti dimenticherò.

E io l'ho guardata andare via, via lontano. Avrei voluto correre, prolungare, tirare fino all'impossibile la molla del nostro contatto. Fino a quando la banchina non fosse finita e l'elastico spezzato.

Ma non ce l'ho fatta. M'è venuto meno qualcosa. Al centro del petto.
Le gambe non si sono mosse. Sono rimasto inchiodato qui, fermo alla sua promessa. Che somigliava davvero troppo a un addio. Guardandola diventare più piccola, verso l'orizzonte.

Se n'è andata. Lasciandomi praticamente nulla. Solo il ricordo del suo viso, il profumo della sua pelle, il sapore della sua bocca. In cambio s'è portata via qualcosa di più prezioso. Ch'è troppo prezioso. Che se non me lo restituisce io non ci vivo, perché non ne ho un'altro di ricambio. E adesso al suo posto c'è un vuoto che non si colmerà più.

M'avesse raccontato prima le sue intenzioni...

Quanto meno avrei potuto dirle che mi sarebbe andato bene lo stesso, che non avrei obiettato, che avrebbe potuto tenerselo. Però almeno l'avrei potuta pregare di non trattarlo male, perché quello è l'unico che ho.

Inizia a piovere.

Fuori dalla stazione è una battaglia unidirezionale tra cielo e terra. Impari, a colpi di fucilate violente. Non ho l'ombrello con me ma va bene così. Con la pioggia a inondarmi il viso.

Si confonderanno meglio...

*

Non si connette più. Non la sento da quel giorno, da quando è stata qui. E sono quattro settimane.
Controllo la mia casella di posta elettronica, sapendo già di non trovare nulla. E infatti è miseramente piena.

Di niente.

Avevo capito tutto già da quel momento, da quella seconda volta sul maledetto binario nove.
Crudele. Bastardo. Che non è altro...

Il suo nickname non torna grassetto. La nostalgia che provoca è disarmante. La sua mancanza mortale. Il suo desiderio lancinante.

Ondeggio il vetro in un movimento circolare, attorno al suo baricentro. Per raccoglierne le ultime gocce. Sorso veloce. L'ultimo, non ne rimangono altri.

Mi hai distrutto... non vuoi nemmeno chiedermi scusa? Ridammi ciò che m'hai preso, maledizione! Non lo sopporto più questo vuoto che ho dentro...

Parlo, solo nei miei pensieri, davanti al suo ambiguo e misterioso e oscuro e fottuto e maledetto e dolcissimo sorriso stampato, sulla superficie di uno schermo e sul fondo di una bottiglia di Jack. Iniziata per fuga. Finita per necessità.

Perché mi hai fatto questo? Perché mi hai illuso? Ma che t'ho fatto per meritarlo? Di quale peccato, di quale colpa mi sono macchiato? Davvero mi punisci così, soltanto perché mi sono innamorato di te?

Sto per cedere. Collassare come un castello di carte sotto il peso del vuoto, del suo vuoto, della sua assenza. E di troppo veleno dentro vene tremanti, fragili come cristallo.

Avrei dovuto saperlo, in amore si perde sempre. È la seconda volta che lo scopro. Che stupido, la prima non m'era bastata?

Metto nel lettore un disco che non ci voleva proprio. Che mi fa stare peggio.
La quinta traccia è nera. Come me, come il buio della stanza. Come queste prime quattro settimane senza lei. Al ritornello ci arriva come la scure di un boia.
Veloce. E senza alcuna pietà.

Ooh, I know she gave me all that she wore...

No... non ci credo che non poteva darmi di più, Eddie!

And now my bitter hands chafe beneath the clouds, of what was everything...

Le mie invece stanno ferme. Morte. Come tutto il resto, del resto...

Oh, the pictures have all been washed in black, tattooed everything…

Su questo ti do ragione. Si sono sciolte anche le mie, sporcando tutto anche le cose belle...

Dovrei smetterla ma non ce la faccio. Riesco a ferirmi soltanto quando sono troppo debole per ribellarmi. È la parte peggiore di me che prende il sopravvento, quando la tristezza scioglie le sbarre che l'imprigionano.
Ed è cattiva, quella parte. Una vera stronza.

Povero illuso. Quando la smetterai di credere che meriti una torta intera? Accontentati delle briciole, saziati di fame e impara a stare al posto tuo.

Sbuffo. Detesto l'autocommiserazione che parla, specie quando non riesco a farla tacere, specie quando non riesco a fare nient'altro che guardarla crescere.

Fortuna che qualcosa l'interrompe.
Suono. Trillo bitonale.
Orario strano.

Mentivo, al videocitofono riesco a strisciare per arrivarci.
Sgrano palpebre e pupille. Le tonalità di grigio del piccolo schermo in bianco e nero non bastano a renderla anonima.

Laura...

Mi rivolgo all'orologio a parete, alle mie spalle sopra mensole impolverate. Le due di buio.

Che ci fa qui, a quest'ora? È ora di gechi e vampiri, non di prodighe rondini.

Apro lo stesso, nonostante qualcosa mi suggerisca che non è una buona idea.
Sento i suoi passi sulle scale. Lenti e pungenti. Sarà venuta a darmi il colpo di grazia.

Che s'accomodi, non m'importa...

Davanti la porta. L'accolgo lì, non la faccio entrare. La primavera è finita da un pezzo, non è più momento di ritorni di fiamma e ripensamenti last minute.
Mi reggo con un braccio, sull'intelaiatura della blindata. Lei mi fissa incredula.

Il suo un tono acuto e fastidioso. Un toccasana per ogni mal di testa etilico.
«Edo! Ma che... che hai?»

Il mio un biascicato ironico. Di chi ha meno sangue che alcol, in circolo.
«Hai sbagliato casa, Lalla. Non vivi più qui.»
«Ma sei... sei ubriaco?»

È una domanda stupida, retorica e inutile. Lo vede che mi sono portato dietro un cadavere di vetro, ormai vuoto. Senza volerlo m'è rimasta appiccicata, attaccata alla mano, come fosse lei a volersi ubriacare di me.
«Per favore, non cominciare... che vuoi? Che sei venuta a fare?»

Esita.
La scuoto. Con le parole, s'intende.
«Oh, allora?»
«Perché ti sei ridotto così?»
«Non sono affari tuoi. Non più.»
«Quindi... hai ricominciato a...?»

Alzo ancora la voce. Stufo. Stanco.
«Ancora co' 'sta storia? La pianti di fare la misteriosa del cazzo che hai rotto e ti decidi a parlare chiaramente?»

Lei non risponde. Replica uno scenario già visto, scontato quanto noioso. Mi accende tutta la rabbia repressa, lo sconforto di ore passate a ingoiare veleno. E riacquisto lucidità in un istante, ma solo per modo di dire. Soltanto dalla mefitica nebbia dell'ebbrezza.
Si volta per andare via ma la blocco fracassando la bottiglia nel centro del soggiorno. È uno schiaffo di vetri infranti che la fa sobbalzare. E me ne fotto che l'ho spaventata.

Si ferma, ghiaccio lungo la schiena. Le lancio l'ultimatum, l'ultimo gancio possibile, l'ultima occasione di redenzione prima della rimozione totale. Dentro o fuori. E stavolta basta. E basta per sempre.
«Se non mi rispondi ora, non farti rivedere mai più...»

La mia frase è un lazo che le si fa cravatta e poi cappio, attorno al collo.
Silenzio. Immobilità finta.
Sto tirando senza pietà.
Poi shock che mi fa mollare la presa. Un luogo, un posto che non mi sarei mai aspettato. Che fra tutti non avrei mai immaginato. Lo dice prima di scappare velocemente, incespicando sui tacchi.
Portandosi appresso il mio lazo che sfrega tra le mani, ustionandole.
«Stanno nel bagno, dietro il vetro...»

E si chiude pure la canzone alle mie spalle. Insieme al rumore di punte battenti, sul pavimento dell'androne. Entrambe, dissolte nel silenzio.

Mi sono sbagliato, era nera ma non era affatto una rondine...
Che vada a fanculo, insieme al suo mistero.

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