зоо

By ochaurobora

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Anna Baroni ha 27 anni, un incarico da interprete e una vita noiosa. Fino a quando, un mattino, esce di casa... More

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By ochaurobora


La salvezza aveva il sapore del narcotico buono e la luce gentile del lato sud.

Aprire gli occhi era stato facile, sentiva la moneta cadere a terra, decretando il suo destino.

La gabbia è pulita, resto qui, vengo punita, muoio.

La gabbia è sporca, sfondo il buco, scappo, vivo.

Aveva fretta di tornare a fuoco ma restava difficile, nonostante si sentisse bene e non le facesse male la testa. Annusò l'aria e le sembrò che il fetore fosse rimasto lo stesso.

Non sperare troppo, non sperare o la delusione ti ucciderà.

Alzò la mano e se la guardò, lercia, le dita senza unghie tutte incrostate e gonfie. Lei di certo non era stata lavata. Era supina sul giaciglio di paglia, girò piano la testa per per guardare fuori.

Ciao, Narciso.

Il coccodrillo dormiva a pancia all'aria accanto alla gabbia vuota con la griglia. Oltre, contornata dai brutti ritocchi che la contraddistinguevano, quella di Nicola. I ranghi erano serrati, le tre facevano da barriera per oscurare qualunque cosa ci fosse dietro.

Nasconde qualcosa. Forse è un buon segno. Il giorno che fosse tutto a vista sarebbe l'ultimo.

Si spinse sulla spalla, rotolò di fianco e guardò in fondo. Non vedeva ancora benissimo, ma la latrina era un pasticcio di roba nerastra e avanzi di paglia. Non aveva la forza di perdersi in congetture, quindi terminò la rotazione, si mise supina e cominciò a spingersi con i piedi per avvicinarsi. Con il movimento l'effetto del narcotico scemava più rapidamente, non aveva quasi per niente nausea. Più si avvicinava al buco e più vedeva che era come lo aveva lasciato, anche se aveva lavorato al buio. La copertura dello sfigato era ottima, dissimulava perfettamente il buco sotto. Anna si mise a sedere, le spalle contro le sbarre, e mise insieme un piano.

Mi rimetto in piedi, devo stare bene, devo essere al massimo delle forze.

Mangio tutto quello che posso e bevo tutto quello che posso senza stare male.

Provo a verificare che non sia qua dentro con noi, per quel che vale, ma sarebbe comunque un azzardo, un tiro di dadi, devo credere che non ci sia o non farò nulla.

Sfondo il pavimento.

Scappo.

Tra "sfondo il pavimento" e "scappo" c'erano infinite variabili. Aveva deciso di non aprire le gabbie di nessuno, di non perdere tempo, ma se davvero Lui fosse stato via, assente per una settimana? C'era il modo di farlo, di salvare tutti quanti, o almeno quelli che sarebbero stati in grado di scappare. E qui già nascevano i primi dubbi: Giulio non poteva andarsene da solo, era un fatto, ma Sandra non lo avrebbe abbandonato.

Se ha un briciolo di istinto di autoconservazione...

D'accordo, ma tendenzialmente avrebbe tentennato, cercando una soluzione, provando ad aiutarlo, e questo sarebbe stato un impedimento.

Problema suo.

Poi non aveva nessuna intenzione di liberare il Rosso o il coccodrillo, per quel che ne sapeva avrebbero potuto aggredirla entrambi, chi glielo faceva fare. Bella era inutile liberarla, era cieca e pazza, le faceva un favore a lasciarla lì.

Nicola aveva la pistola.

Poteva essere vero che non avesse i proiettili, ma vai a sapere. Lo liberi, uno con la pistola? Un affiliato a una cosca mafiosa fatta di due sole persone? E se era d'accordo? E se gli avesse sparato contro, se LE avesse sparato contro? Non valeva la pena correre un rischio simile. Avrebbe liberato Romualdo, sì, e le altre tre scimmie, ma nessuno di loro era una priorità, nemmeno se il carrozzone fosse stato completamente vuoto. E questo era un problema, il secondo problema era che, se avesse avuto un margine minimo di azione, avrebbe dovuto cercare qualcosa con cui coprirsi.

La coperta di quando sono stata male.

Qualcuno aveva accennato a una coperta che era stata messa anche a Giulio, se non si sbagliava, e poi c'erano i vestiti di tutti loro, quattordici persone compreso Mino, poteva averli buttati, ma la sua borsa era ancora lì, e allora forse li aveva era un feticista, conservava tutto, potevano essere tutti insieme nel fantomatico dodicesimo carrozzone, quello in cui viveva.

Magari si mette i nostri vestiti come in Psycho.

Comunque doveva concedersi del tempo per cercare qualcosa con cui coprirsi, se i suoi calcoli erano giusti erano in febbraio, e correre fuori nuda al freddo, magari per chilometri e per ore l'avrebbe probabilmente uccisa. Non aveva più visto nevicare dalle finestre, ma non si sapeva mai, lì dentro di certo non faceva caldo. Non vedeva nessuna delle due stufe dalla sua posizione, ma la temperatura non era crollata drasticamente, dovevano essere lì intorno. Prese un bel respiro, si alzò in piedi e rimase ad ascoltarsi. La testa era appena ovattata, la nausea stava passando, le mani non le facevano troppo male.

Dovrò sistemare la paglia per bene in modo che a una prima occhiata possa credere che sto dormendo là sotto.

Hansel e Gretel, gli ossicini di pollo.

Avercelo, un ossicino di pollo.

Ma aveva una bella scheggia, piccola e acuminata, se l'era tenuta da parte apposta tenendola bene asciutta. Era il suo piano di riserva.


Se mi trova, non mi prende viva.

*

«Ehi?» aveva inutilmente chiamato più volte, bussando ai lati del carrozzone. «Ehi?»

Nessuna risposta. Non poteva guardare le finestre dal suo lato ma intuiva dalla luce che non fosse più mattino. Nessuno si svegliava, non Nicola, non chiunque fosse al suo fianco, sempre che ci fosse, non il coccodrillo. Le aveva dato da pensare, che il coccodrillo dormisse, il coccodrillo non dormiva mai, non veniva addormentato mai.

Non è vero, quando sono arrivata dormiva eccome, e anche il Rosso.

Forse. O forse fingeva, allora come ora. Ma Anna era talmente oltre, ormai, da scrollarsi di dosso anche questo dubbio. Il momento era arrivato. Nel sacchetto aveva trovato avanzi abbastanza recenti di una specie di rollè di carne, grissini stantii, patate rinsecchite e una dose generosa di pane secco. Aveva mangiato tutta la carne, sentendosi sazia già dopo la prima fetta, insistendo per mangiarne una seconda, il suo stomaco non avrebbe retto di più. Le venne una vaga sonnolenza e accondiscese a mettersi sdraiata qualche minuto, il senso di sazietà le aveva mandato in tilt l'organismo. Aveva dormito poco, non c'era stato alcun cambiamento apprezzabile, e aveva deciso di mettersi al lavoro.

Chi si sveglia vedrà cosa sto facendo.

Significava solo il coccodrillo, che sapeva già tutto, sempre che fosse in sentore, Nicola era troppo lontano per capire cosa stesse facendo.

Ma lo sentirà.

Dopo settimane di accortezze e silenzio era arrivato il momento di spaccare tutto, e non poteva farlo silenziosamente. Scoperchiò il buco, gettando la copertura di paglia e sterco e sangue e spinaci secchi. Toccò in diversi punti il bordo frastagliato, ne scelse uno e calò il tallone. Il legno si staccò subito, cadendo rumorosamente a terra. Anna tese l'orecchio. Nessuna reazione. Con la mano staccò due schegge acuminate che erano rimaste mezze su e mezze giù, toccò di nuovo i punti vari del bordo, scelse un altro punto e diede un secondo colpo. Il legno non cedette. Lo colpì ancora e niente. Lo osservò da vicino, poi allungò il braccio nel buco, avverrò il pezzo che si era appena staccato e la zeppa, ormai consumata moltissimo sulla punta, e li usò diagonalmente, come scalpello e martello. Dai e dai il pezzo venne via, ma nonostante tutte le accortezze il pavimento in quel punto non era abbastanza usurato, non era lì che lei e Mino avevano scaricato solidi e liquidi per mesi.

Non basterà colpirli col piede, non dappertutto.

Cambiò zona, si avvicinò al punto che sovrastava la sbarra di ferro, colpì entrambi i lati con gli strumenti invece che col piede e cedettero subito, era legno quasi completamente marcio. Infilò il piede, allungò la gamba fino alla coscia. Toccava terra rimanendo praticamente in piedi, la coscia ci passava tutta.

Ora arriva con una falce...

... cazzo, sono praticamente fuori!

Controllò il coccodrillo.

«Narciso?»

Non un movimento, di nuovo il dubbio che fosse morto, che lo fossero tutti salvo lei, ma non riusciva a provare paura per una cosa come questa.

Se ci passa una coscia ce ne passano due.

Riprese gli attrezzi e ricominciò.

*

I frammenti sul pavimento erano ovunque, briciole, pezzi, perfino polvere sottile. Anna aveva usato la zeppa per staccare delle nuove schegge, tra cui una di forma simile che l'aveva subito sostituita. Il legno cedeva di più lateralmente, rispetto al fondo, quindi finì con l'essere più largo che lungo, ma ancora riusciva a infilarci dentro solo i polpacci, oltre il ginocchio non scendeva. Se solo non ci fosse stata l'asta di metallo sarebbe stata fuori già da almeno un'ora, e adesso la luce stava cambiando.

Non aspetto domani, non aspetto più niente.

Il coccodrillo non si svegliava, nessuno degli altri si svegliava, ma lei riusciva a vedere solo il legno, non sentiva più il male alle mani e ai piedi. A un certo punto si era infilata dentro con la testa.

Sai che ridere se resto incastrata e muoio così?

Aveva avuto una visuale inedita di tutto il capannone, prima le ruote del carrozzone del coccodrillo, poi quelle di un altro, sul lato corto, molto lontano altre ruote e altre basi di gabbie, ma in mezzo... in mezzo c'era la sua postazione. Un tavolo e una sedia di cui vedeva le gambe. Una cassa. Uno scatolone. Si sentì mancare e tornò su, riprendendo fiato e facendo tornare la circolazione al suo posto.

Sta in mezzo, dietro di noi, tutti i carrozzoni hanno il fondo verso il centro e quelli sotto le finestre non lo vedono perché sono schermati dagli altri.

Le venne un dubbio, prese fiato e si sporse ancora, come in apnea. Non vide gambe. Provò a ruotare in tutte le direzioni, perdendo il senso dell'orientamento, vedendo ruote e aste e cartone e legno, ma niente di umano che si appoggiasse a terra. Bene così. Tornò su saggiando il bordo del buco ovaleggiante. Doveva far cedere ancora dieci centimetri nella parte più dura e sarebbe riuscita a passare. Si fece tentare dall'idea di rovesciare l'acqua ovunque, ma non avrebbe avuto senso, l'area bagnata poteva attirare la sua attenzione quando fosse tornato, e invece lei aveva deciso di risparmiare ogni secondo possibile, ammucchiando gran parte della paglia a ridosso delle sbarre, anche se ormai era ridotta così male da non avere volume. Iniziò a menar colpi che rimbombavano in suoni ottusi per il capannone, e di nuovo nessuno reagì, non una Rosso o una Bella.

Se ha dato a tutti il narcotico buono, perché non si svegliano?

Una parte del legno era venuta via, l'altra non ne voleva sapere. E la luce era diventata bassa, e lei non voleva aspettare, non poteva aspettare per pochi centimetri. Si mise in piedi accanto al buco, la mano appoggiata sul fondo della gabbia, a imprimere maggior forza, e cominciò a battere con il piede sinistro. Un colpo, due colpi, tre colpi. Scariche elettriche le risalivano su per il tallone, così dolorose da annullare ogni altro indolenzimento. Si era aspettata il rombo di un tuono, frammenti ovunque, un contraccolpo che le avrebbe spezzato la schiena, e invece, semplicemente, a un certo punto le dita del piede sinistro toccarono il nulla. Era in equilibrio su una gamba sola, cicogna scheletrica e spiumata, puzzolente e lurida, ma libera. La gamba a mezz'aria, il legno sotto sparito, inghiottito dal buio senza aver fatto alcun rumore.

me lo sto sognando

E invece il buco era lì. Ci infilò un piede, poi due, la fitta costante a che si arrampicava dal tallone fino a coscia e inguine. La punta del sinistro toccò terra per prima, era un suo diritto, il destro lo seguì e quel che restava del suo bel culo sodo passò dal buco. Era in piedi, bizzarra ballerina con un carrozzone come tutù. Si sentiva stranita, costretta ad esortarsi di andare avanti, muoversi ancora, perché

non c'è nulla di più largo dei fianchi.

si disse, e piegò le ginocchia. Sentì le schegge seguirle le costole, poi la pelle arricciarsi e niente, rimase lì.

Non ci passo.

Per poco, per nulla non ci passava. Iniziò a sbattere le mani, a cercare di tirarsi su spingendo con i piedi ma sentì un dolore terribile al fianco, come se il legno si fosse piegato ad artiglio e l'avesse catturata.

Non è possibile.

Cazzo, è uno scherzo di Dio!

Ma subito restituì la beffa al mittente.

Se non mi libero allora mi recido la carotide e muoio così, dissanguata, non gliela do la soddisfazione di trovarmi domani incastrata come un coniglio nella tagliola.

Spinse ancora, niente, non andava né su né giù.

«VAFFANCULO!» gridò al capannone vuoto, e afferrò martello e scalpello, scheggia e scheggia, cercando un punto in cui riuscisse ad agire e che non fosse davanti alla pancia, dove c'era un po' di agio. Prese a menare colpi sul bordo attaccato al fianco sinistro e il dolore si fece lacerante.

«MI STACCO LA CARNE!» urlò a nessuno «MI STACCO LA CARNE MA DA QUI ESCO!»

Il dolore si fece bruciore, la pressione al fianco sparì di colpo, sentì caldo, sulla pelle, sulle mani.

L'ho fatto. L'ho fatto davvero, mi sono procurata un'emorragia. E forse sto morendo e questo è l'ultimo pensiero.

Ma poi le schegge corsero ad accarezzarle le ascelle, catturare per un attimo i capelli per poi lasciarli andare, le ginocchia incontrarono il cemento. Si rattrappì in un gomitolo di carne, occhi a terra.

Sono fuori.

*

C'è mancato poco.

Questa volta ho avuto quasi paura.

Non poteva finire così, vero?

Io ti aspetto.
Io e il fucile ti aspettiamo insieme.

*

Respirava piano, sorrideva nella penombra che andava spegnendosi, qualche minuto e lì dentro non ci avrebbe visto più.

Non sarò qui.

Voltò la testa verso il piccolo mondo che le aveva fatto da guscio per quei mesi. Ruote, tante, tantissime ruote che disegnavano ombre incerte. Il coccodrillo visto dal basso, una sagoma appena accennata.

Devo andare.

Da che parte è la porta?

Si trovava sul lato sud, la porta era dall'altra parte, all'angolo del lato nord, doveva attraversarlo tutto.

Ricorda i vestiti.

Strisciò su mani e ginocchia, sapendo che stava per venire allo scoperto davanti a tutte le telecamere. Ci ripensò e tornò indietro. Infilò la mano cercando a tentoni la scheggia acuminata che aveva preparato per sé, nel caso la fuga andasse male. Tornò sotto il bordo del carrozzone, lo superò carponi e si rialzò. La vertigine, la libertà, in piedi fuori dal luogo che era stato il suo solo spazio, non più abituata a misure che superassero qualche metro. Fece un paio di passi, le sembrava di avere i piedi gonfi, mentre si avvicinava al coccodrillo addormentato

ora apre gli occhi, si butta fuori e mi agguanta

e poi si voltò.

Rosso.

Nel quasi buio, un'intuizione più che una visione, il suo carrozzone era davvero rosso. Aveva un bel bordo, meno rovinato degli altri, di un colore che non sapeva definire, oro? Le sbarre come un ghigno trattenuto, e sopra, a troneggiare, la scritta

гиена

Doveva andare.

Doveva andare assolutamente, non poteva indulgere in romanticismi simili, doveva attraversare il capannone e andare dall'altro lato, prendere la porta

sarà chiusa

allora spaccherò i lucchetti dei portelli

e scappare. Si avvicinò al coccodrillo, lo guardò da vicino. Forse dormiva, forse fingeva. Gli passò a sinistra, quando l'ombra catturò un lembo della sua mente. C'era un altro carrozzone, nascosto, a ridosso dell'angolo, staccato dalla sua gabbia di un paio di metri.

E' il suo.

E' il dodicesimo.

Ma invece lo seppe subito, che era il carrozzone di Saverio, messo in castigo in un angolo, verticale, le sbarre spalancate e protese verso il lato corto, in attesa.

Di cosa?

Ed ecco i pezzi che andavano a posto. Il coccodrillo era addormentato quando lei era arrivata, ora la gabbia del suo

Amore?

Ragazzo?

punto di riferimento lì dentro era spalancata. E tutti dormivano, tranne lei. E questo voleva dire che

sta portando qui qualcuno. Qualcuno che prenderà il posto di Saverio.

E lo stava portando lì ORA.

Si mosse verso il lato corto, ma poi

I VESTITI!

deviò infilandosi tra il coccodrillo e un altro carrozzone sul lato corto per passare dal centro, nella postazione del mostro, a cercare la coperta, o un vestito, o qualcosa, e se non lo avesse trovato allora avrebbe preso della paglia, oppure sarebbe andata incontro alla morte e basta, ma fuori da lì. Strinse la scheggia e uscì, ripiegata su se stessa, nel centro del capannone, il luogo da cui era stata presa ogni decisione, a meno di dieci metri dalla sua gabbia, da tutte quante le gabbie, come un piccolo cuore avido. Era infinitamente più piccola di quanto non immaginasse, un tavolo, forse una vecchia cattedra scolastica, una sedia, un computer portatile chiuso e tre grandi caricabatteria appoggiati lì dietro. Molte bottiglie d'acqua a terra in uno scatolone insieme a carta igienica e carta da cucina. Una borsa termica che forse conteneva del cibo. Una cassa chiusa vicino a due scatoloni, potevano contenere ogni cosa, comprese le munizioni. Nessun fucile. Mosse un passo all'interno, verso il tavolo, piegata in avanti, i gomiti a sfiorare il pavimento ruvido, grezzo. A terra un segno tracciato dietro alle ruote del carrozzone sul lato corto, nel punto in cui andavano posizionate. Non c'era nessuna casualità. Al terzo passo la sua testa si rialzò, la cattedra così reale da sembrare finta. Il computer era collegato a un caricabatteria, accanto al quale c'era un secondo filo arrotolato. Anna allungò la mano quasi con timor reverenziale. Un computer, la vita vera, quella che scorreva fuori da quel posto.

Toccò il mouse.

La luce azzurra la illuminò.

Lo schermo era diviso in nove parti, nove piccole finestre che inquadravano ciascuna una gabbia, per intero o parzialmente. Era una visione così distorta della realtà che viveva da mesi e mesi che la sua mente faceva fatica a capirne il senso. Non riusciva a riconoscere i carrozzoni né chi vi dormiva dentro, cercò la sua ma le sembrò di non vederla, era tutto così buio e strano e alieno, le riprese notturne a infrarossi o sa dio cosa. Era incantata, come la preda davanti agli occhi del serpente. Ma un campanello d'allarme.

Cosa?

Seguì con gli occhi il filo del portatile

acceso

che si infilava nel caricabatteria.

Se lui è via perché il computer è in carica?

E di colpo tutto insieme. Il computer non era andato in stand-by, lei aveva solo toccato il mouse e quello si era acceso, non era lì abbandonato da un giorno, era lì abbandonato da

un rumore.

Qualcosa che veniva spostato, un oggetto che toccava il legno.

La consapevolezza.

Mi sta guardando. Ha qualcos'altro con cui mi controlla! Non è mai andato via!

E' UNA TRAPPOLA!

e un'eco nella mente

E' UNA TRAPPOLA, SAVERIO!

Corse in avanti usando muscoli che non sapeva di avere, si buttò a terra, infilandosi sotto il primo carrozzone possibile, strisciando all'indietro, non sapeva bene in che direzione, non riusciva più a distinguere se sul lato lungo o sul lato corto, passò tra due ruote sgomitando, tornò a guardare verso la cattedra e vide i piedi. Erano accanto alla scrivania, perfettamente al centro e calzavano degli enormi stivali di gomma. Poi un rumore infinitesimale, uno scricchiolio, uno scatto.

E' il fucile.

SCAPPA, SAVERIO!

Ruotò la testa a destra e poi a sinistra, infilando lo sguardo di taglio tra il carrozzone sotto cui si trovava e quello di fianco, andando oltre, nel buio.

La porta è lì.

Sarà chiusa.

No, è aperta, è sempre aperta, lo ha detto Vasco, lo ha detto Saverio, lo hanno detto Sandra e Nicola, la porta è sempre aperta, e se credo che è aperta lo è.

E ci volle credere, ci dovette credere perché ogni rumore era cessato e aveva la certezza che Lui l'avesse vista e stesse per puntare il fucile.

Non muoio qui.

A spingerla fu un istinto senza nome che negava ogni possibilità che non fosse arrivare a quella porta. Scattò fuori e subito la gomma degli stivali risuonò contro il cemento, con maggior calma perché mentre lei correva Lui prendeva la mira, e Anna lo sapeva, e sbucava davanti a Giulio senza vederlo, sentendo un non suono, uno sbuffo, uno spostamento d'aria, e lei ruotò istintivamente le spalle, mentre un ciuffetto verde la superava poco sopra la spalla e lei lo intravedeva nel riverbero infinitesimale della luce dello schermo, solo un'ombra, gigantesca, immensa, completamente coperto, anche il viso, con addosso degli occhiali enormi che dovevano essere il visore notturno, e faceva qualcosa col fucile, lo ricaricava mentre lei vedeva la maniglia, e vi si aggrappava volendo urlare, ma la voce non c'era, era debole e magra e assetata e Lui era tranquillo, certo che non gli sarebbe sfuggita perché dove voleva andare, lui aveva le forze e il tempo e la calma e il visore notturno e mille munizioni rimpinzate di narcotico. La porta si spalancò sul nulla e lei si gettò fuori.

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