Take me away

By smallcactusstories

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Niccolò, aretino, ventidue anni, ha una passione sfrenata per i lego che l'ha portato a iscriversi a ingegner... More

Dedica
Mandanti e complici
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Cassata e arancini
Matrimonio o interrogatorio?
La dimostrazione è lasciata al lettore
Come volevasi dimostrare
Se son rose fioriranno... se son peonie...
Personaggi

Venerdì diciassette? No, mercoledì sei

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By smallcactusstories

Storia scritta per gioco e per ridere un po', eventuali stereotipi sono messi per fare battute non per offendere. Eventuali riferimenti a fatti e/o persone puramente casuali.
Se volete segnalare eventuali errori, le mie "poche" diottrie mancanti vi saranno riconoscenti. 

NB: alta presenza di battute a sfondo matematico.

Divertitevi pure con questi due grulli alle prese con un luuuungo viaggio in treno, qui si abbonda di fluff >3< 





«Attenzione, treno in transito al binario quattro. Allontanarsi dalla linea gialla».

La voce metallica proveniente dall'altoparlante si confondeva con il rumore della pioggia battente sulla tettoia che copriva solo in parte il marciapiede.

Il treno stranamente in orario aveva illuso Niccolò la mattina: da quando era sceso alla solita stazione, aveva attraversato il solito sottopasso grigio illuminato da luci a led poste vicino al soffitto ed era arrivato alla fermata per aspettare Domenico e avviarsi con lui verso l'università, era stato un precipitare di eventi con velocità esponenziale.

L'autobus che aveva saltato una corsa, lasciandolo accanto al palo di metallo con sopra il cartello bianco e arancione con l'indicazione delle linee che transitavano da lì - 2 e 20 - ad aspettare Domenico che doveva arrivare con il bus per un tempo indefinito.

Il temporale improvviso che l'aveva sorpreso nello stesso luogo, ovviamente privo di pensilina.

L'ombrello che aveva fatto cilecca nel momento stesso in cui l'aveva aperto.

Le sette ore di lezione che si prospettavano davanti.

Ed era solo mercoledì.

Sospirò passandosi una mano tra i capelli castani, ormai completamente bagnati dalla pioggia. Cominciava a credere che mercoledì sei fosse il cugino lontano del venerdì diciassette: non si presentava spesso a far visita, ma quando lo faceva era sempre in grande stile.

Si voltò verso sinistra, cercando di scorgere almeno la testa del treno: niente. Quelli che passavano non erano altro che treni diretti a Firenze Santa Maria Novella o verso la costa. Quello per Arezzo pareva latitante. Tirò fuori il telefono, controllando l'ora: il treno aveva un ritardo di venti minuti.

Lo rimise con un gesto secco nella tasca dei pantaloni. Non sapeva se fosse peggio quella giornata d'acqua in pieno giugno – cosa strana da una parte, ma benvoluta dall'altra, visto l'afa che aveva attanagliato la città nei giorni precedenti – o l'imminente sessione estiva.

Rimase a fissare i binari con sguardo vuoto, valutando l'idea di farsi un'altra maratona su Netflix prima di andare a dormire piuttosto che riguardare gli appunti. Tanto c'era tempo all'esame del venticinque.

Poi, anche l'attesa del treno, finì: il sibilo della frenata lo riscosse dalla dura scelta della serie da guardare e con un sospiro afferrò lo zaino nero che aveva appoggiato in terra. Come trovò un posto libero, si fiondò a sedersi, lasciò cadere con poca grazia lo zaino sul sedile di fronte, rovistò tra i quaderni finché non trovò le cuffie – ovviamente arrotolate in un groviglio improbabile.

Appoggiò lo sguardo al finestrino, aspettando con impazienza che il treno ripartisse: non vedeva l'ora di tornare a casa e lasciarsi alle spalle quella giornata d'inferno.

Mentre il treno ripartiva dalla stazione di San Giovanni Valdarno, gli arrivò un messaggio. Sbuffò, tirando fuori il telefono dalla tasca.

-Perché non mi hai salutato?

Non fece in tempo a rispondere che una sfilza di faccine tristi rischiò di mandare in palla il suo telefono.

-Smettila! rispose subito. Dall'altra parte della chat c'era Marta, la sua migliore amica dai tempi della prima liceo, attuale studentessa di medicina.

-Allora, perché non mi hai salutato?Sono offesa! continuò lei annettendo almeno dieci faccine arrabbiate.

-Avevo da prendere il treno.

-Non è una buona scusa, sai che io sono più importante di un mezzo di trasporto.

-Non volevo tornare alle dieci a casa, sai com'è. Netflix mi aspetta.

-Perché non chiedi a Domi di guardare qualcosa con te? Potrebbe essere ciò che fa scattare la scintilla tra voi. Sto già progettando il vostro matrimonio, preferisci le rose o le peonie?

-Le travi di acciaio sentenziò Niccolò chiedendosi che roba fossero le peonie. Si rese conto troppo tardi dell'errore commesso. Marta trovava doppi sensi in tutto – complici le infinite storie d'amore a sfondo erotico che leggeva.

-Forse aspetti solo quella di Domi?? Andiamo, Ninì. Non mentirmi.

-Forse leggi troppi fumetti porno le rispose mentre si sentiva andare le guance in fiamme. Era felice del fatto che Marta avesse accettato il suo orientamento sessuale e che cercasse in tutti i modi di combinarlo con qualcuno – Domenico era il primo della lista che pure gli aveva preparato –, ma ogni tanto risultava troppo invadente. Il solo pensiero che con Domenico ci potesse essere qualcosa oltre all'amicizia e alle infinite discussioni tra matematici e ingegneri lo mandava in tilt. Era consapevole di provare qualcosa per lui, ma poteva anche finire il mondo, lui non avrebbe mai fatto il primo passo. Inoltre, odiava quel soprannome. Gliel'aveva affibbiato quando la professoressa di latino – esasperata dal continuo chiacchiericcio di lei – l'aveva spostata accanto a lui, famoso per essere il taciturno della classe. Subito Marta aveva iniziato a punzecchiarlo, storpiando il nome in Ninì. E Niccolò aveva sospirato, lasciando che per tutti e cinque gli anni lei continuasse a chiamarlo in quel modo.

-Ciao, Niccolò. Voglio fare un gioco con te. gli scrisse poco dopo Marta sotto una gif di Saw.

-Giuro che ti strozzo con il tuo stetoscopio.

-Non osare toccarlo. Mi serve per fare i big like su Instagram!

Niccolò si sbatté una mano sulla fronte, preparandosi a scendere.

Camminò fino a casa, continuando a guardare la scritta "Sta scrivendo..." sotto al nome di Marta. Lo preoccupava il fatto che fosse andata a prendere una gif da un film horror, genere che lei notoriamente odiava. Alzò le spalle, infilandolo in tasca non appena arrivò davanti al portone in legno della propria casa. Abitava a pochi passi dalla stazione, cosa che gli permetteva di dormire fino agli ultimi cinque minuti e divorare un cornetto mentre faceva a gomitate con gli altri passeggeri sul treno del mattino.

Suonò il campanello, ritenendo una fatica troppo grande il cercare le chiavi nello zaino. Come sperava, sua madre era già rientrata dal lavoro visto che lo aprì e lo accolse sul pianerottolo, con indosso un grembiule da cucina giallo fluo che il marito le aveva regalato per Pasqua e le braccia incrociate. Teneva in mano un mestolo gocciolante sugo di pomodoro. Si leccò le labbra, pregustando già la cena che sua madre stava preparando.

«Quante volte ti ho detto di usare le chiavi?» sbottò lei sbattendo il piede sul pavimento.

Niccolò la superò entrando in casa. «Mi stava fatica cercarle nello zaino!»

Teresa seguì il figlio nel salotto, dirigendosi poi in cucina. Niccolò appoggiò lo zaino vicino all'attaccapanni, salutando con una carezza il gatto nero e bianco – un orrore per lui, tifoso della Fiorentina – appisolato su un mobile. Quello fece le fusa, strusciando la testa contro la mano del ragazzo e lo seguì quando si appoggiò allo stipite della porta scorrevole della cucina, osservando la madre, una donna sui quarant'anni, dal fisico alto e slanciato e i lunghi capelli castani raccolti in una crocchia disfatta. Lavorava come guida turistica dopo essersi laureata con il massimo dei voti in Lingue, ma considerava la cucina come il suo regno tanto che nessun altro era autorizzato a mettere mano alle stoviglie.

«Allora, tesoro, com'è andata?»

«Al solito, ho solo preso un'acqua pazzesca, vado a farmi una doccia».

«Fattela calda così non prendi un raffreddore!» urlò Teresa mentre il figlio sistemava il tappeto verde in bagno. Niccolò scosse la testa, appoggiò il telefono sul mobiletto accanto al lavandino, scorrendo le canzoni fino a trovarne una che gli piacesse. Ammontò i vestiti vicino al muro, dando un'occhiata ai vari bagnoschiuma agli aromi improbabili che sua madre aveva comprato – probabilmente erano in offerta, si disse prendendo in mano il contenitore viola e spremendone abbastanza sulla mano. Profumava di mirtilli e more, cosa che gli fece venire ancora più fame. Solo in quel momento si rese conto di aver divorato solo un pacchetto di patatine per pranzo, essendo in ritardo per andare alla mensa, avendo dimenticato i soldi e il pranzo a casa.

Avvolto nell'accappatoio, prese il telefono e si diresse in camera. Lo lanciò sul letto, si strofinò i capelli, ma il trillo di Whatsapp lo bloccò sul posto. Era un messaggio di Marta che recitava: -Ciao, Niccolò. Voglio fare un gioco con te. Facciamo una scommessa: tu e Domi partite per un bel viaggetto soli soletti, ma se torni fidanzato con lui mi lavi tutta la Ferrari che papi mi compra per il compleanno; se torni single oltre a essere un bischero, ti compro un computer nuovo.


L'angolino buio e misterioso

*fa capolino da dietro l'angolo* che ci faccio qui? 
Diciamo che sono uscita dalla mia confort zone e per una volta ho deciso di prendere in mano una storia d'amore leggerina senza guerre o morti ammazzati nei dintorni ^^" 

Ho preso abbastanza ispirazione da ciò che mi capita la mattina quando vado all'università, ma è stato solo un modo per iniziare la storia, il resto della trama è tutto inventato uwu

Be', spero non venga fuori una gran trashata e che la storia possa piacervi, se volete darmi un feedback sentitevi liberi, io non mordo e se sono critiche costruttive le accetto ben volentieri :)


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