Psychotic [h.s.] (Italian tra...

بواسطة TheCousinsGang

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"L'amavo non per il suo modo di ballare con i miei angeli, ma per come il suono del suo nome poteva mettere a... المزيد

Psychotic (Italian translation)
SONG - LIST
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 17
Capitolo 18
Capitolo 19
Capitolo 20
Capitolo 21
Capitolo 22
Capitolo 23
Capitolo 24
Capitolo 25
Capitolo 27
Capitolo 28
Capitolo 29
Capitolo 30
Capitolo 31
Capitolo 32
Capitolo 33
Capitolo 34
Capitolo 35
Capitolo 36
Capitolo 37
Capitolo 38
Capitolo 39
Capitolo 40
Capitolo 41
Capitolo 42
Capitolo 43
Capitolo 44
Capitolo 45
Capitolo 46
Capitolo 47
Capitolo 48
Epilogo
Ringraziamenti
AVVISO
THE COUSINS' GANG POV

Capitolo 26

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بواسطة TheCousinsGang

HARRY'S POV.

Cuocere i biscotti.

James era tornato e avrebbe potuto portare via Rose in qualsiasi momento, il Wickendale stava facendo test illegali al cervello dei pazienti, e noi avevamo disperatamente bisogno di un piano di fuga; ma eccoci qui a cuocere dei fottuti biscotti.

Mi stavo davvero stancando di tutta questa routine; andare in terapia, partecipare a stupide attività di gruppo, e quella che preferivo meno, cuocere. Era come se stessero cercando di infondere normalità nelle vite dei pazzi, e di trovare una cura per le menti più incurabili.

Per non parlare del fatto che noi fossimo ammanettati quindi non riuscivamo a fare nulla di buono, e i pazienti non potevano neanche avvicinarsi ai forni. Per fortuna, c'erano anche altre attività oltre a quella dei biscotti. Delle volte facevamo artigianato, disegno o qualcos'altro di altrettanto stupido. Tuttavia, durante queste attività, io mi trovavo un posto in disparte per poter fumare e stare in sante pace.

E questo fu ciò che feci anche questa volta. Afferrai una sedia di plastica da un piccolo tavolo nell'angolo della "cucina" e mi sedetti, la sigaretta già accesa tra le mie mani. Inalai la nicotina dentro i miei polmoni e la soffiai fuori, creando degli anelli di fumo nell'aria. Una custode, donna coi capelli neri intorno alla quarantina, sorvegliava i pazienti e li aiutava mentre un paio di guardie circondavano la stanza, pronte ad intervenire, in caso di emergenza. Ogni tanto riuscivo a cogliere degli scorci di conversazioni dei pazienti, e ad unire i pezzi di ciò che stavano dicendo. Non ero mai intervenuto in queste conversazioni, dal momento che qui erano tutti pazzi, ma era interessante ascoltare. Era come se, da quelle poche parole, io riuscissi a capire qualcosa sulle loro vite. Tipo come quella di una donna, di nome Jane, con degli occhi grigi e dei capelli color paglia. Era molto più grande di me, intorno alla trentina.

Quando parlava la sua voce era calma. Bastava che un impiegato o un paziente dicesse una parola troppo ad alta voce o facesse un movimento troppo brusco, che lei si allontanava da loro. O quello, oppure li fissava con attenzione, con occhi vigili. Solo il modo in cui parlava nervosamente e difficilmente faceva capire molte cose. Non sembrava essere pericolosa, piuttosto il contrario. Sembrava spaventata. Probabilmente, prima di essere rinchiusa qui dentro, le era stato fatto del male, tanto male. Era costantemente tesa e nervosa, ma probabilmente, per procurarsi un posto al Wickendale, anche lei aveva fatto del male a qualcuno, prima che questo qualcuno lo aveva fatto a lei. Aveva fatto qualcosa di malvagio e folle per essersi meritata un posto qui. O almeno, questo era ciò che pensavo per averla sentita parlare in quel traballante, tono preoccupato.

Ma cosa definisce davvero la follia? È la tua mente a farlo o la mente della persona che esprime il giudizio? Perché, a tutti noi, non importa chi siamo, capita di impazzire a volte. Ci sono delle volte in cui sappiamo troppe cose oppure delle volte in cui sappiamo troppo poco. L'ignoto può essere un luogo spaventoso, questo è vero, ma scoprire questo ignoto può rivelarsi persino più spaventoso.

E per me, questa è la definizione di uno psicopatico. Una persona che sa troppo poco; le sue emozioni sono state prosciugate e i suoi pensieri sono stati annebbiati. Gli psicopatici sono persi in se stessi, ma coscienti a tal punto da commettere azioni terribili. Non hanno motivazioni per i loro crimini e nessun rimorso, solo un piccolo grilletto o una specie di fantasma che li fa acquistare forza e coraggio. Non sanno distinguere il bene dal male, ma è probabilmente la mancanza di sentimenti il motivo principale per cui loro non sappiano come comportarsi dinnanzi ad essi. Sono psicopatici perché sono violenti per nessuna ragione in particolare, e pieni di odio senza una spiegazione concreta.

Ma c'è anche un'altra estremità. Così come ci sono persone che sanno troppo poco, ci sono quelle che sanno troppo. Questi psicopatici sono troppo coscienti e consapevoli di tutto ciò che li circonda. Permettono a queste cose di entrare nelle loro menti e di consumarli. Loro non provano emozioni e sentimenti ma sanno ascoltare. Sanno come mimare le sensazioni degli altri. Mentono, manipolano, e fanno in modo che tu non indovini mai le loro vere intenzioni.

Al Wickendale ci sono entrambi i tipi. Questo manicomio è infestato da psicopatici, sociopatici, maniaci, o come cazzo volete chiamarli. Ed io riuscivo a capire a quale categoria appartenessero solo dal loro modo di parlare.

Rosa non rientrava in nessuna di queste categorie. E pregai che anche qualcun'altro l'avesse ascoltata e l'avesse capito.

Non appena Rose entrò nella stanza, cacciai questi pensieri via dalla mia mente. Mi si avvicinò in quella ripugnante uniforme blu che in qualche modo lei riusciva a rendere più decente.

"Hey," le sorrisi.

"Ciao," rispose con uno dei suoi sorrisi genuini, sedendosi sul pavimento accanto a me. "Allora. . . non hai intenzione di fare i biscotti?"

"Nah," dissi. "Mi siedo sempre qui e aspetto che finisca sta cazzo di attività di merda."

Lei mi guardò con aria interrogativa. "Non diventa noioso dopo un po'? Non ti viene voglia di qualcosa di diverso?"

"No," risposi. "Beh, sì, ma preferisco starmene seduto invece che fare degli stupidi biscotti. Perché dovrei preparare dei biscotti con dei pazzi che probabilmente sputano nel cibo? E poi dai, non ci sono neanche le gocce di cioccolato."

Invece di rispondermi, si alzò dal pavimento e si spolverò. "Perché no?" Chiese, porgendomi la mano. Tolsi la sigaretta tra le mie labbra e l'afferrai tra le mie dita. Non riuscii a nascondere il mio sorrisetto, e sapevo che alla fine l'avrei accontentata.

"Dai," supplicò. "Stai sempre a lamentarti, ed ora che puoi fare qualcosa di diverso, decidi di rimanere seduto qui? Non ha senso. E poi, dobbiamo ancora parlare con gli altri pazienti."

Sospirai, fingendo di essere infastidito mentre afferravo la sua mano e mi alzavo. Aveva ragione, ieri, il "facciamoci-degli-amici" non era andato tanto bene. La maggior parte dei pazienti con la quale avevamo parlato, ci aveva ignorato, ci aveva urlato contro o aveva iniziato a dire cose che noi non eravamo riusciti a capire. Tuttavia, avevamo fatto un passo avanti, con quel ragazzo, Damien. All'inizio non aveva parlato molto, ma mentre stavamo per spostarci ad un altro tavolo, aveva mormorato, "C'è qualcosa che non va. C'è qualcosa che non va e dobbiamo risolverlo." Non ero sicuro se stesse parlando di qualcosa nella sua testa o di qualcosa riguardo il Wickendale.

Ma apparentemente Rose non era ancora soddisfatta. "Tu inizia da qui, io vado a parlare con altra gente," disse. E poi se ne andò, raggiungendo il tavolo al centro della stanza.

Con riluttanza, mi girai e presi in considerazione le varie opzioni. C'era una dozzina di pazienti nella stanza, nessuno di loro sembrava amichevole. Ma notai Jane seduta in una delle poche sedie del tavolo, mentre realizzava qualcosa di identificabile con la pasta.

Mi avvicinai e rimasi in piedi accanto a lei, attento a non spaventarla. Non c'erano altri matterelli per cui afferrai un pezzo di pasta per me ed iniziai a schiacciarlo con le mie mani. "Ciao."

La donna alzò lentamente il suo sguardo, per poi guardarmi con prudenza.

"Sei Jane, giusto?" Le chiesi con noncuranza, fingendo di essere più interessato alla pasta.

La sua voce venne fuori in un leggero sussurro. "Sì."

"Io sono Harry."

Lei mi guardò per un momento, prima di abbassare nuovamente il suo sguardo, senza dire una parola. Merda, ed ora? Rose era molto più brava di me in queste cose. Voglio dire, riuscivo facilmente ad interagire con le persone, ma non con persone del genere. Con loro bisognava sforzarsi per farli parlarle, ed io ero a corto di parole.

Guardai Rose in cerca di aiuto ma la trovai a parlare con un altro paziente, e sembrava che stesse davvero avendo una conversazione. Sapevo di dover fare lo stesso ma poi iniziai a pensare a quanto mi piacessero i capelli di Rose, quando li scioglieva. Sembrava molto più giovani con i capelli che le ricadevano in quelle lunghe onde, il loro colore scuro risaltava perfettamente il suo viso, mettendo in risalto le sue labbra rosee. E notai che i primi due bottoni della sua uniforme fossero sbottonati, abbastanza da rivelare le proporzioni del suo petto. La guardai mentre si chinava per afferrare la taglierina del biscotto in plastica dal tavolo e l'uniforme si alzò leggermente  e - cazzo, lo stava facendo apposta?

"Come fai a sapere il mio nome?" Disse una vocina accanto a me.

Con riluttanza, distolsi i miei occhi da Rose; avevo dimenticato di essere nel bel mezzo di una conversazione.

"Penso di averlo sentito in giro."

"Da chi?" Chiese, il suo tono preoccupato. "Chi te lo ha detto?"

"Nessuno in particolare, mi ricordo semplicemente di averlo sentito da qualche parte. Probabilmente da un dipendente, non preoccuparti."

Il suo corpo si irrigidì. "È stato lui, vero?" Disse a bassa voce.

Girai completamente il mio viso, per guardarla dritto in faccia. "Chi?" Chiesi.

"Io . . . io non posso dirlo. Non ne voglio parlare." Scosse il capo e abbassò lo sguardo; non avrebbe più risposto alle mie domande.

Sospirai e mi diedi un'occhiata in giro, trovando Rose con un cucchiaio pieno di pasta per biscotti in una mano, mentre lo leccava e continua a parlare con il suo nuovo compagno.

Dio, lo stava facendo di proposito.

Alzò lo sguardo per un momento e mi colse a guardarla. Non riuscii a capire quale espressione stesse indossando ma notai il sorrisetto che stava cercando di nascondere. Continuò a leccare quel fottuto cucchiaio ed io stavo letteralmente impazzendo.

Cercai di non guardarla ed iniziai a fare altre forme sull'impasto, borbottando di tanto in tanto un 'ciao' ad un paziente, senza ottenere una risposta in cambio. Ma dopo un po', mi annoiai e decisi di averne avuto abbastanza delle frecciatine di Rose, così mi diressi verso di lei, quando 'l'ora di cottura' era quasi giunta al termine. Non sembrava fosse occupata, stava soltanto ritagliando un ultimo biscotto a forma di stella. La ragazza con la quale stava parlando doveva essere andata via.

"Mmm, per caso qualcuno è grintoso oggi?" Domandai.

"Grintoso?" Chiese, sembrando divertita dalla parola e continuando a guardare il biscotto.

"Già, sai perfettamente cosa mi stai facendo," dissi, incapace di trattenere il sorrisetto sul mio viso.

Si voltò per guardarmi, fissandomi con della finta innocenza nei suoi grandi occhi. Portò un dito sulla sua bocca e lo succhiò seducentemente, per rimuovere l'impasto rimasto sulla sua pelle, senza distogliere lo sguardo. "Cosa vuoi dire, Harry?"

Oh mio dio. Misi la mia mano sulla sua schiena per avvicinarla a me, ma lei si allontanò, prima che io avessi potuto fare altro. "Torno subito."

Mi morsi il labbro e gemetti per la frustrazione mentre mi passava davanti. Si voltò a guardarmi e scossi la mia testa, facendola ridacchiare mentre consegnava un vassoio di biscotti alla custode, per metterli nel forno. Era molto. . . sicura di sé oggi. Adoravo tutto ciò che stava facendo. Era così sexy, così forte, ma allo stesso tempo dolce e carina.

La osservai mentre aiutava gli altri pazienti a consegnare i biscotti alla custode, la quale la ringraziò. Rose venne verso di me ma prima che potessi dire qualcosa, la donna parlò. "D'accordo gente, la cottura è finita. Domani avrete i vostri biscotti. Uscite dalla porta e andate immediatamente dalle vostre guardie."

La sua voce risuonò attraverso la stanza e tutti iniziarono a dirigersi verso la porta. Ma io incontrai gli occhi di Rose e sollevai la mia mano come per dirle di aspettare, e lei sembrò aver capito il messaggio, poiché rimase ferma al suo posto.

Non avevo ancora finito con lei.

ROSE'S POV.

I pazienti iniziarono a dirigersi verso la porta. Tutti uscirono fuori dalla stanza, uno ad uno. Guardai l'ultima donna, con un'uniforme macchiata, uscire dalla stanza e chiudersi la porta dietro di lei; eravamo soli. Anche la custode sembrava essersene andata, probabilmente dalla piccola porta nel retro.

Harry si avvicinò, ritrovandosi solo a qualche centimetro di distanza da me, mentre continuava a fissare ancora la porta, ed io non potei fare a meno di ridere a causa del suo strano comportamento. "Harry cosa stai--" Iniziai a chiedere, ma la mia frase si trasformò in un gemito quando sentii il suo ampio petto premere contro il mio, inchiodandomi contro la fredda parete.

"Mmm," mormorò dal profondo della sua gola, e riuscii a sentire la sua voce vibrare nel suo petto mentre le sue mani grandi si posavano sui miei fianchi.

Non mi stavo di certo aspettando tutto questo; non che mi stessi lamentando.

La punta del suo naso sfiorò la mia mascella, il suo respiro caldo vi lasciò una scia di pelle d'oca. Profumava di biscotti e di fumo di sigarette. Le sue labbra viaggiarono sul mio orecchio.

"Non vedo l'ora di uscire da qui così che possa scoparti," ringhiò quasi.

I miei occhi si spalancarono e rimasi scioccata dalle sue parole; nessuno mi aveva mai parlato in quel modo prima d'ora. Beh, nessuno tranne Harry. Sentii una scia di calore scorrere sulle mie guance, che erano probabilmente colorate di rosso, dal modo in cui le labbra carnose di Harry si espansero in un sorriso irresistibile. Ma il sorriso non durò a lungo mentre le sue labbra si spostavano sul mio collo, lasciandovi dei piccoli succhiotti.

"Sei così sexy, Rose," sussurrò, il suo respiro caldo aumentò i brividi sulla mia pelle. Con ogni parola detta, le mie ginocchia divennere sempre più deboli. L'effetto che lui aveva su di me era indescrivibile. La mia mano finì tra i suoi ricci mentre le labbra Harry continuavano a muoversi avidamente lungo il mio collo. Ma dopo alcuni esilaranti momenti, portò le sue labbra sulle mie, non volendo sprecare altro tempo.

Erano incredibilmente carnose e morbide mentre si avvolgevano intorno alle mie. Mi baciò con passione mentre la sua lingua si immergeva nella mia bocca, muovendosi con sicurezza. Il desiderio intenso e la passione erotica ci lasciarono entrambi senza fiato, facendoci ansimare ad ogni movimento delle nostre labbra; la sensazione era quasi travolgente. Harry, in qualche modo, riuscì ad avvicinare il suo corpo ancora più vicino al mio, spingendo violentemente la sua forte corporatura sulla mia.

Mi aveva bloccata, non riuscivo più a muovere un muscolo; non che io volessi farlo.

Tirò leggermente il mio labbro inferiore con i suoi denti ed istintivamente, afferrai con più forza una ciocca dei suoi capelli, ed Harry sembrò apprezzare questo gesto, un ghigno apparve sulla sua bocca. Le sue labbra toccarono ancora una volta il mio collo, baciando e succhiando la pelle; era tutto così incredibile. Feci del mio meglio per rimanere in silenzio, non volendo che qualcuno ci sentisse ed entrasse dentro. Ma non dovetti farlo per molto, perché lui si allontanò subito dopo. Le nostre guardie si stavano probabilmente chiedendo dove fossimo, ma io volevo ancora di più.

"Dai, Rose," disse senza fiato, a qualche centimetro di distanza. "Voglio dire, so che mi vuoi ma non puoi avermi tutto in questo momento, le guardie ci stanno aspettando."

Scossi la mia testa e risi. "Mi dispiace, non ho potuto resistere."

Harry ridacchiò e si allontanò dal mio corpo, permettendomi di muovere. Andò verso la porta, la sua mano avvolta intorno alla maniglia; ma invece di uscire, la tenne aperta per me. I suoi occhi color smeraldo rastrellarono il mio corpo quando gli passai davanti ed io non potei fare a meno di rivolgergli un enorme sorriso.

Prima di aprire completamente la porta, sentii la sua mano sul mio sedere, stringendolo leggermente. Strillai per lo stupore ed Harry ridacchiò accanto a me.

"Harry," lo rimproverai, ma non potei aggiungere altro quando la porta si aprì, ritrovandomi davanti Brian e la mia guardia, il cui nome avevo appreso fosse Kelvin, in piedi contro la parete del corridoio. Una volta usciti, entrambe le guardie afferrarono le nostre mani, trascinandoci in direzioni opposte. Lanciai un ultimo sguardo ad Harry, solo per realizzare che lui mi stesse già guardando. Mi fece l'occhiolino ma le sue fossette resero il gesto adorabile piuttosto che seducente, e noi potei fare a meno di ridacchiare per questo.

Una volta girato l'angolo, stavo ancora sorridendo. Forse, solo forse, se fossimo potuti sopravvivere alla Signora Hellman e al suo orribile figlio, avremmo potuto creare il nostro spicchio di paradiso, in mezzo a quest'inferno. Fino a quando non fossimo usciti da qui, avrei cercato di resistere, con Harry al mio fianco.

Solo lui era in grado di rendermi felice, anche se solo per un istante. Ogni volta che lo vedevo, il mio cuore batteva più velocemente, e il mio sorriso diventava più ampio. Lo sapevo che mi stavo innamorando di lui, e pregavo solamente che anche a lui stesse succedendo la stessa cosa. Ero troppo persa dal pensiero delle sue labbra carnose e delle sue grandi mani sui miei fianchi per realizzare di esserci avvicinati ai bagni.

"Dieci minuti per fare la doccia e poi si pranza," brontolò Kelvin.

Entrai velocemente nella stanza, estremamente grata di trovarla vuota. Entrai in una delle docce e mi lavai rapidamente. Non c'era nessuno shampoo o balsamo, solo una saponetta ed un asciugamano. Mi strofinai via tutta la sporcizia di questo posto, ma dei pensieri impuri su Harry presero il sopravvento. Iniziai ad immaginare delle goccioline d'acqua rotolare sul suo petto nudo, le sue forti braccia, la lieve curva dei suoi addominali, la profondità della sua linea -V.

Scossi la testa per liberare la mia mente da questo tipo di pensieri, avevo solo pochi minuti di tempo per asciugarmi e vestirmi. Uscii velocemente fuori dalla doccia ed usai l'asciugamano per asciugare parte dell'umidità dai capelli, guardando il mobile di fronte a me.

Una delle poche cose decenti che faceva il personale del Wickendale, era fornirci un'uniforme pulita su ogni banco della doccia. Noi dovevamo lasciare quella vecchia appesa alla tenda in modo tale da essere lavata, ma chi poteva saperlo, magari un paziente avrebbe potuto facilmente dimenticarsi di farlo e avrebbe potuto mettere l'uniforme sporca nel posto di quella pulita; per cui non ero certa fossero sempre pulite.

Ma questa che ora stringevo tra le mani odorava leggermente di detersivo, per cui decisi di indossarla. E mi stava anche molto meglio della precedente, decisamente troppo grande per me. Ai dipendenti non importava molto quali uniforme andassero alle donne e quali agli uomini.

Uscii fuori dal bagno con i capelli ancora mezzi bagnati, per far sì che Kelvin mi portasse a pranzo. Durante il tragitto verso la mensa, mi accorsi di un altro difetto del Wickendale. Tutto era così distante, bagni in una zona, mensa nella parte opposta, l'infermeria in una zona completamente diversa. Come se loro non volessero troppe persone in una stessa zona, come se stessero cercando di separarci tutti.

Ma uno dei problemi più grandi del Wickendale spuntò alla fine del corridoio; la Signora Hellman. Guardava dritto davanti a sé mentre camminava, i suoi occhi non incontrarono mai i miei. Era come se io fossi invisibile, e sperai che si stesse comportando così solo perché si sentiva in colpa per avermi rinchiusa qui. Non voleva affrontare le sue colpe. Io invece, la guardai.

E per qualche strana ragione, anche se le azioni di James erano più orribili delle sue, odiavo la Signora Hellman tanto quanto odiavo lui. Erano entrambe due persone mostruose, ma qualcosa riguardo la signora Hellman accendeva in me una rabbia, che non avevo mai provato prima. E questa rabbia aumentò ancora di più mentre lei passava di fianco a me, perché fu allora che riuscii finalmente a vedere il graffio sulla sua faccia. Si estendeva dal suo zigomo fino al suo labbro superiore, ed era molto profondo. Se l'era probabilmente procurato da sola. Ma aveva incolpato me, dicendo che io l'avessi "attaccata". E anche se non fosse così, avrei tanto voluto farglielo io.

Ma Kelvin continuò a trascinarmi prima che io potessi avere la possibilità di farlo davvero, spingendomi in un altro corridoio, fino a raggiungere la mensa. Entrai e notai Harry seduto sulla sua solita sedia ad aspettarmi. Lo raggiunsi velocemente, prendendo posto proprio di fianco a lui.

"Hey," mi salutò, dandomi un piccolo bacio sulla guancia.

"Ciao," sorrisi. "Allora, che facciamo oggi? Carte o Clue?"

"Hmm," pensò Harry. "Nessuno dei due." E con ciò si alzò, raggiungendo il tavolo dei giochi vicino la parete laterale. Lo vidi cercare qualcosa in particolare, afferrando un gioco da tavolo; scacchi.

Tornò a sedersi e poggiò il cartone sul tavolo, facendo muovere i pezzi del gioco.

"Harry, non ho idea di come si giochi a questo gioco."

"Non ti preoccupare, te lo insegno io," disse.

E così, spostai la mia sedia di fronte alla sua per poter giocare correttamente, ed impiegai un po' di tempo per capire i pezzi e le strategie; facemmo tre prove, solo per farmi capire la dinamica del gioco. E poi, decidemmo di fare una vera partita.

Vinsi io.

"Come diavolo fai ad essere così brava ai giochi da tavolo?" Mi domandò Harry, una volta finito di giocare.

"Non lo so," risposi, trascinando la mia sedia di nuovo vicino la sua. "È uno dei miei tanti talenti."

Mi sedetti di fianco a lui e posai la mia testa sulla sua spalla; era così bello farlo senza che le guardie ci guardassero in modo strano. Ora che eravamo entrambi dei pazienti, sembrava che a loro non importasse.

"Quali sono altri tuoi talenti?" Chiese Harry.

"Hey, stavo solo scherzando prima."

"Lo so," ridacchiò lui. "Ma insisto."

"Hmm," dissi, cercando di pensare. "Mi piace disegnare, per cui credo ne sia già uno. E suonavo il pianoforte quando ero piccola."

"Disegno e pianoforte," concluse, annuendo in approvazione.

"E tu?"

"Non ho alcun talento," disse semplicemente.

"Oh, dai Harry, devi averne uno."

Scosse semplicemente il capo.

"Okay, d'accordo. Allora qualche hobby?"

Rimase in silenzio per un po', immerso nei suoi pensieri, prima di risponde. "Mi piaceva scrivere," mi disse. "Quando ero piccolo avevo questa specie di diario su cui scrivevo ogni giorno, solo per riportare i miei pensieri su carta."

Scrivere. Per qualche strana ragione, gli si addiceva perfettamente. Lui cercava di nasconderlo ma era così dolce e poetico, così intelligente. Riuscivo ad immaginarlo seduto, curvo, su un diario, a scrivere accuratamente pensieri ed emozioni. E all'improvviso, mi venne una voglia pazzesca di leggere questo diario.

"Ce l'hai ancora?" Chiesi.

"Il diario? No, l'ho strappato. C'erano così tante lettere e pensieri su Emily, ma quando seppi della sua morte, decisi di ridurlo a brandelli."

Il mio cuore doleva per lui ogni volta che mi parlava di lei. E il fatto che il killer di Emily fosse proprio in questa stanza, faceva aumentare il mio dolore. Ma decisi di non condividere questo pensiero con Harry; non volevo farlo di nuovo arrabbiare.

"Dovresti iniziare a scrivere un nuovo diario," suggerii, ma non appena lo feci, Harry scosse il capo. "Perché no?"

La sua voce divenne più silenziosa quando parlò. "Perché ho paura di leggere i miei pensieri."

All'inizio pensai che fosse una cosa strana, ma poi riuscii a capirlo. "Anche io ne avrei." Risposi.

E poi, non parlammo molto, ma io ed Harry non avevamo bisogno di parole. Rimanemmo in silenzio, con la mia testa sulla sua spalla, e con la sua sulla mia. Rimanemmo così per un po', rilassandoci e tranquillizzandoci.

Ma ovviamente, le cose belle non duravano a lungo. E le nostre erano appena terminate, poiché James aveva iniziato a fissarci dall'altra parte della stanza. Harry non aveva ancora notato i suoi sguardi, ma io sì. All'inizio, decisi di non prestare molta attenzione, ma poi lui cominciò a camminare verso di noi e il mio cuore iniziò a battere forte nel mio petto.

"Harry," dissi, raddrizzando la mia postura.

"Cosa? Che è successo?"

Tutto ciò che fece fu seguire il mio sguardo, ed anche lui iniziò ad irrigidirsi.

James si diresse verso il nostro tavolo, fermandosi vicino a me. Mi veniva da vomitare.

"Hey," salutò, sembrava stesse parlando con me. Non risposi. "Devo fare un favore a Kelvin e devo riportarti in cella, il pranzo è terminato."

Harry si alzò immediatamente, le sue mani poggiate sul tavolo, mentre i muscoli delle sue braccia di irrigidivano . "Col cazzo che lo farai," disse volgarmente, fissando James con uno sguardo freddo come il ghiaccio.

James rise leggermente ed alzò le mani in segno di difesa. "Wow, rilassati Harry. Devo solo portarla nella sua stanza, andrà tutto bene."

A quanto pare, la personalità da 'Signor Bravo Ragazzo' era ritornata.

"Smettila di dire cazzate, James, non la porterai da nessuna parte."

James continuò a guardare Harry, l'accenno di un sorriso arrogante si intravide sulle sue labbra. "Dai, Rose." Disse, afferrando il mio braccio.

Io mi allontanai da lui nello stesso istante in cui Harry spinse James.

"Cazzo. Non devi toccarla," disse Harry, facendo del suo meglio per non alzare la voce.

"Hey," si aggiunse una quarta voce; la guardia di Harry, Brian, si era appena avvicinata. "Tutto apposto qui?" Avrei voluto gridare di no, ma era ovvio che stesse parlando a James e che qualsiasi parola io avessi detto, sarebbe stata ignotata

"Sì," rispose James. "Harry è un po' nervoso oggi." Harry rise ed alzò gli occhi al cielo. "Devo solo portare Rose nella sua cella e lui si è incazzato."

"Harry," sospirò Brian. "Lascia che la riporti nella sua cella così nessuno dovrà sedarti."

"Va bene, ma vado anche io con loro," disse lui. Brian guardò James, poi Harry e poi me, come se non sapesse cosa fare.

"Va bene," lo rassicurò James con un sorriso finto. "Posso portarli entrambi."

Brian, dal momento che sapeva che James fosse il figlio della Direttrice, annuì con riluttanza, ritornando vicino alla parete.

E il mio cuore affondò nel mio stomaco. Non ero sicura se il fatto che Harry venisse con me, mi confortava o mi spaventava. Sicuramente non avrebbe lasciato che mi succedesse qualcosa di brutto. Ma non era di questo che avevo paura; avevo paura per lui. Se fosse iniziata una lotta tra James ed Harry, sapevo che avrebbe vinto Harry, ma lui non avrebbe pensato alle conseguenze.

Eppure , avevamo lasciato che James ci riportasse nelle nostre celle, attraverso i corridoi bui del Wickendale; da soli. Forse anche Harry stava provando la mia stessa paura, poiché accettò volentieri la mia mano.

James continuò a proseguire lungo il corridoio, ed io pregai soltanto che ci stesse riportando nelle nostre celle e nient'altro, anche se ne dubitavo. Una volta raggiunti il terzo corridoio, le luci divennero più fioche, ed io ed Harry ci guardammo, perplessi.

"Uh, nessuna delle nostre celle è qui," gli disse Harry, e fui fiera di lui per essere riuscito a controllare la sua rabbia. O almeno, finora.

Sperai che James non avesse cattive intenzioni. Ma, quando si fermò di punto in bianco sui suoi passi, quella speranza si disintegrò in un secondo. Si girò lentamente, e quando il suo viso fu visibile sotto le luci fioche, notai il sorriso maligno sul suo volto.

"Lo so," disse.

E fu quel sorriso a farmi capire che qualcosa di brutto stesse per succedere.

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