Psychotic [h.s.] (Italian tra...

By TheCousinsGang

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"L'amavo non per il suo modo di ballare con i miei angeli, ma per come il suono del suo nome poteva mettere a... More

Psychotic (Italian translation)
SONG - LIST
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 18
Capitolo 19
Capitolo 20
Capitolo 21
Capitolo 22
Capitolo 23
Capitolo 24
Capitolo 25
Capitolo 26
Capitolo 27
Capitolo 28
Capitolo 29
Capitolo 30
Capitolo 31
Capitolo 32
Capitolo 33
Capitolo 34
Capitolo 35
Capitolo 36
Capitolo 37
Capitolo 38
Capitolo 39
Capitolo 40
Capitolo 41
Capitolo 42
Capitolo 43
Capitolo 44
Capitolo 45
Capitolo 46
Capitolo 47
Capitolo 48
Epilogo
Ringraziamenti
AVVISO
THE COUSINS' GANG POV

Capitolo 17

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By TheCousinsGang

Wickendale. Era un posto di segreti non detti. Manteneva il famigerato nascosto, taceva l'esplicito, deteneva il folle. E teneva appena l'ultimo briciolo di sanità mentale dei suoi pazienti, pezzi di un puzzle diroccato. Queste persone ferite chiamavano Wickendale casa o inferno, in base a come sceglievano di vederlo.

A giudicare dalla sua struttura piacevole agli occhi e dai suoi gradini di pietra stravaganti, uno poteva pensare che fosse ben mantenuto e persino carino all'interno.

Ma persone con questi pensieri non avrebbero potuto sbagliarsi di più. Era un istituto mentale, dopotutto.

Ma se dai un'altra occhiata oltre i suoi ampi corridoi e gli uffici principali, scopri che ci sono tanti altri terrori racchiusi nella struttura, al di là di ciò che i dipendenti ti consentono di vedere.

Ci sono tre reparti, ognuno per ciascun gruppo di esseri umani squilibrati. C'era anche un reparto per bambini, ma da tempo è stato rimosso. Ogni reparto ha la sua infermeria, ufficio principale, guardie e ovviamente, i pazienti.

Nascosta in un angolo lontano dell'istituto, c'è Ella Faren. Lei è sul punto di essere spostata al secondo reparto, la sua infermità mentale è peggiorata progressivamente. Ma ben pochi se ne sono accorti. Perché lei non lo ha mai dimostrato, non ha mai pronunciato le parole che le si mescolavano nella testa malata. L'unica volta che aveva rivolto la parola ad un dipendente, in un modo abbastanza maleducato, è stato un anno fa. Tutto ciò che voleva era un'altalena, così aveva detto. Per far sembrare la sua cella ancora più sua, aveva richiesto un'altalena. Odiava essere tranquilla. Voleva sentirsi come se stesse volando. Per cui urlava e piangeva e sbraitava e scalciava fin quando, finalmente, il guardiano prese un'altalena e la impiantò nella sua stanza per zittirla. E da allora lei era felice. Anche quando pioveva e la sua cella era scura, sedeva nella sua camicia da notte, ondeggiando avanti e indietro mentre sorrideva e canticchiava sopra le catene scricchiolanti.

In un'altra parte della struttura c'è Damen Raloff, che era stato tenuto in camicia di forza per tempo immemore. Veniva sempre tenuto sotto controllo e veniva nutrito con un cucchiaio quando mangiava, nessuno osava liberarlo. Perché era un auto cannibale. Perlomeno così lo chiamavano. Incominciò con le sue dita, poi con la sua intera mano destra. Poi è degenerato dando la caccia ad altre persone, divorando carne umana. Ed era peggiorato così tanto che quasi venne trasferito nel Reparto C. Ma lui stava effettivamente migliorando, per cui era al sicuro dal posto pericoloso. Per il momento.

E poi c'era Cynthia. Era stata una paziente al Wickendale per tanti anni prima che sparisse misteriosamente. Aveva ucciso il padre, si. Infatti lo aveva accoltellato al petto 47 volte. Per questo motivo era stata mandata in questo istituto. Era pazza, dicevano. Aveva accoltellato il padre senza una buona ragione, doveva essere pazza. Le persone le gridavano accuse e credevano di sapere cosa lei fosse. Credevano lei fosse un'assassina a sangue freddo. Ma non capivano che ogni feroce pugnalata equivalesse a quante volte il padre l'aveva portata in cantina per molestarla. La violentò 47 volte, per cui il numero delle pugnalate al petto non sarebbe apparso così strano se soltanto le persone avessero ascoltato abbastanza per capire le sue ragioni. Ma no, Cynthia non aveva prove e nessuno avrebbe ascoltato, così lei era qui.

Molti tipi di criminali rimanevano nelle loro celle ogni notte, ognuno con storie diverse. Alcuni erano effettivamente pazzi, ma altri avevano delle ragioni per i loro crimini. Una piccola parte di loro era persino innocente. Costretti ad essere tenuti in ordine da numerosi dipendenti e guardie.

Questi dipendenti che controllano l'edificio hanno anch'essi qualche follia al loro interno, tutti ce l'hanno.

Ciò che distingue i pazienti, è la loro decisione di agire. Hanno permesso alla loro follia di sopraffare la loro sanità mentale. Ad eccezione delle decisioni, i pazienti e i dipendenti sono davvero molto simili.

Infatti, uno di questi dipendenti ha squilibrato se stesso. Qualcuno tra i tanti lavoratori del Wickendale doveva essere rinchiuso nell'edificio insieme a tutto il resto, e non vigilare le sale.

Perché uno di questi dipendenti è un assassino.

E non si poteva dire chi sarebbe stata la sua prossima vittima.

ROSE'S POV.

Ero un relitto emotivo mentre uscivo dall'ufficio di Lori.

La storia di Harry mi aveva lasciata senza parole, e i miei pensieri avevano perso tutte le varianti per potersi concentrare soltanto su suoi ricci scompigliati e sul suo bellissimo sorriso.

Ma questa volta, invece di domandarmi che tipo di pensieri fossero, lo sapevo già; erano pensieri di adorazione e di stupore. Ed ero preoccupata per come questi sentimenti si fossero sviluppati e trasformati così velocemente in questa specie di amore, sotto l'incantesimo di Harry. Non sapevo per quanto tempo ancora avessi potuto trattenermi nel vederlo rinchiuso nella sporcizia e nella crudeltà di questo edificio, e non sapevo per quanto sarei stata capace di astenermi dal baciarlo.

Ma venire a sapere dell'innocenza di Harry aveva finalmente calmato una delle mie più grandi paure, anche se aveva tirato fuori altre preoccupazioni. Perché, se non era stato Harry ad uccidere quelle donne, chi era stato a farlo?

Prima che avessi tempo per riflettere sulla domanda, vidi Kelsey alla fine del corridoio.

"Kelsey!" Dissi, realizzando di non averle parlato da giorni.

"Hey Rose!" Mi salutò con un sorriso, accelerando il passo. "Che fine avevi fatto?" Continuò una volta che mi raggiunse.

"Harry è innocente," dissi senza riflettere, sentendo il bisogno di condividere la notizia con qualcuno.

"Cosa?" Chiese.

"Lui è innocente." Le diedi del tempo per elaborare l'informazione, le sopracciglia si alzarono per poi aggrottarsi in confusione.

"Come fai a saperlo?" Domandò lei.

Avrei dovuto soltanto dirglielo, ma in un certo modo sentivo che l'informazione di Harry dovesse essere tenuta al sicuro, come se il nostro legame si sarebbe potuto rompere se avessi detto a qualcuno ciò che mi aveva vulnerabilmente confessato. Non si trattava della storia della mia vita. In più, lei avrebbe potuto credere che fossi ingenua anche se gliel'avessi raccontata, e avrebbe potuto giustificare la testimonianza di Harry come una menzogna.

"Lo so e basta," fu la risposta per cui optai.

"Rose, sai di sembrare pazza, si?"

"Si," dissi, sapendo che ci sarebbe voluto del tempo per convincere tutti della nuova scoperta. "Ma è vero, Kelsey. Anche tu già sai che non è come tutti gli altri pazienti qui. E hai sentito cosa ha fatto oggi?"

Kelsey annuì. Probabilmente Lori glielo aveva già raccontato quando si stava occupando di Molly.

"Già, è stato fantastico. Mi ha aiutato a sedarla meglio delle guardie. E non mostra neanche segni di pazzia."

"I migliori criminali non lo fanno." Disse, con totale sicurezza.

"Beh, io so che non ha ucciso nessuno. Sono assolutamente certa di questo. E ho intenzione di farlo uscire da qui e di mostrare a tutti la verità riguardo al Wickendale, e tu mi aiuterai."

"No, non lo farò!" Protestò. "Rose, almeno aspetta di avere delle prove. E fino a quando non le troverai, non voglio essere messa in mezzo in questa storia, e devi tenere i tuoi pensieri per te stessa. Se alla Signora Hellman giungesse la voce di ciò che stai combinando, non sarebbe affatto contenta. Già sospetta di voi due." Disse Kelsey, e assieme alle sue parole, un brivido freddo si fece strada lungo la mia schiena.

"Cosa vuoi dire?" Chiesi preoccupata.

Kelsey sospirò e si guardò le spalle, i suoi occhi scrutarono il corridoio.

"Vieni con me." Ordinò, la voce caduta in un sussulto, mentre mi afferrava il braccio e mi trascinava vicino ad un ripostiglio di riforniture.

"Cosa stai facendo?" Domandai mentre chiudeva la porta dietro di lei, voltandosi verso di me e verso gli stracci e le scope.

"Ascoltami, okay? Non puoi dire niente di tutto questo alla Signora Hellman o a qualsiasi altro. Parlare di fare uscire qualcuno da qui ti porterà in grossi guai, non sai in cosa tu ti stia cacciando." Parlò solennemente e seriamente, come mai prima.

"E in che tipo di guaio, Kelsey? Perché tu ovviamente sai qualcosa che io non so riguardo al Wickendale o riguardo Cynthia, o riguardo entrambi, e non me lo hai ancora detto." Dissi, abbinandomi al suo tono.

Fece un profondo respiro e guardò da una parte all'altra il ripostiglio, come per assicurarsi che nessun'altro fosse qui. Dopo mi guardò negli occhi, contemplando se fidarsi o meno di me.

"D'accordo, è arrivato il momento che tu sappia." Sospirò. "Ma te lo dirò solo per non farti andare in giro a fare altre domande."

Annuii, sollevata ma anche nervosa di scoprire la verità.

"Ad essere onesta, non so nemmeno io cosa stia succedendo qui. Tutto quello che so è che Cynthia è scomparsa, e la Signora Hellman non vuole che parliamo di questo. Tu sei piuttosto nuova, quindi probabilmente non si è preoccupata delle persone come te e delle guardie. Ma delle persone come me che la visitano ogni giorno e che hanno i suoi documenti, noi siamo quelli di cui è preoccupata. Così è venuta nel mio ufficio e mi ha detto di bruciare i miei documenti su Cynthia, di non parlare mai più di lei o avrei perso il mio lavoro. E questo è tutto ciò che so. Sono confusa quanto te."

Ero scioccata e un po' delusa per la sua informazione. Scioccata perché era una cosa assurda da parte di un direttore eliminare semplicemente un paziente dalle conversazioni dei dipendenti, farla scomparire dai file riservati e renderla inesistente. E delusa perché speravo di risolvere il mistero contorto, e non essere lasciata con altre domande.

"Okay," dissi. "Grazie per avermelo detto."

"Certo, ma non osare dirlo a qualcun altro. Non ti preoccupare e non fare domande. Qualcosa sta accadendo e qualunque cosa sia, probabilmente è meglio restarne fuori."

Annuii in accordo. "Okay, lo farò."

"E smettila di girare intorno ad Harry così tanto. L'altro giorno la Signora Hellman mi ha chiesto se ci fosse qualcosa tra voi due; è già sospettosa."

"Cosa le hai detto?" Chiesi.

"Le ho detto soltanto che non sapevo davvero nulla ma che probabilmente tu volevi assicurarti che lui stesse bene e l'ho riassicurata dicendole che tu sia professionale e che non faresti mai cose che non dovresti."

"Grazie infinite," sospirai, sollevata. "E starò più attenta."

"Bene. Ma comunque, dovremmo fare qualcosa questa settimana. Fare shopping, andare a pranzo o cose del genere," suggerì lei e non potei far a meno di ridere del suo improvviso cambiamento d'umore.

"Fantastico," dissi. "Ma prima dobbiamo uscire da questo ripostiglio."

**

Uscii dal Wickendale, nella fredda atmosfera dell'inverno imminente con il mio cappotto abbottonato stretto al mio corpo tremante.

Non avevo visto Harry dalla nostra ultima conversazione, e già mi ritrovai a sentire la sua mancanza.

Volevo assicurarmi che stesse bene. Desideravo ascoltare la sua profonda voce rimbombargli dentro al petto, volevo vederlo sorridere quando mi sollevava un po' su di morale. Ma probabilmente era nascosto nella sua cella tutto il giorno o era presumibilmente in qualche attività di gruppo, che lui odiava.

Aveva riempito i miei pensieri per tutta la giornata, mentre eseguivo i blandi compiti che la Signora Hellman o Lori mi avevano chiesto di fare.

Ma finalmente la lunga giornata era terminata e sarei potuta ritornare a casa con James e poi dormire un po'.

Non l'avevo visto uscire fuori dall'edificio e lo aspettai cinque minuti ma faceva davvero freddo.

Ero sul punto di andarmene e ritornare a casa senza di lui quando dei fari attraversarono la nebbia , una macchina nera si muoveva lungo la strada di fianco a me. Guardai con invidia il veicolo, sperando disperatamente di averne uno anch'io, specialmente in tempi come questi.

L'auto era in agguato lungo la strada e rallentava man mano che si avvicinava arrivando a fermarsi completamente accanto a me.

Un'ondata di panico mi colpì lungo tutto il corpo, numerose teorie si fecero strada nella mia testa su chi sarebbe potuto essere al volante.

Lo scoprii molto presto quando il finestrino fu abbassato, rivelando James che stava indossando un sorriso a trentadue denti.

"Hey Rose!" Sorrise, quasi urlando per farsi sentire sopra il motore.

"Ciao," dissi, sollevata che non fosse qualche omiciattolo. "È la macchina di tuo fratello?"

"No," rispose. "E' mia."

"Davvero?" Domandai. Non sapevo avesse comprato un auto.

"Sì, l'ho presa ieri dopo il lavoro," mi disse, sorridendo con orgoglio al suo veicolo. "Vuoi un passaggio?"

"Va tutto bene, posso camminare."

"Non è un gran problema, posso accompagnarti," mi disse.

Per qualche ragione esitai, sebbene non sapessi il perché.

"Dai, si gela!"

Alla fine accettai e raggiunsi il sedile del passeggero, aprendo la portiera e scivolando all'interno del caldo sedile. "Grazie."

"Nessun problema," sorrise.

Rimanemmo fermi per qualche minuto, godendoci il tepore del riscaldamento e la fuga dall'aria gelida. Sentivo lo scricchiolio della ghiaia e di ciottoli sotto l'auto e il vento soffiare.

Oltre a questi suoni, era sceso il silenzio tra noi, sembrando quasi che non avessimo nulla da raccontarci.

Ironia della sorte, non appena mi accorsi del silenzio, James parlò.

"Merda, penso di essere a corto di gas," disse. "Non so se ce la faccio a portarti a casa. Ti dispiace se ci fermiamo a casa mia molto velocemente? E' vicino e ho un gallone di gas lì."

"Certo," dissi, anche se diventai immediatamente nervosa.

Sebbene non ne sapessi il motivo. Era stato a casa mia due volte per cui non sarei dovuta essere così riluttante ad andare nella sua.

Guardai con attenzione mentre ci facemmo strada lungo un sentiero sterrato, seguito da una sterzata e da alcuni giri disposti attraverso alberi spessi, prima di arrivare ad una casa di mattoni.

"Carino," commentai, la casa era di medie dimensioni con un prato ben curato e un porticato in legno.

"Grazie," disse, tirando fuori le sue chiavi non appena fermò l'auto. "Vieni dentro," mi disse indicando col capo verso la casa.

Tolsi la cintura ed uscii, foglie cadute scricchiolavano sotto i miei piedi mentre camminavo. Spinse la porta e la tenne aperta per me.

Una volta entrata, fui accolta da un grazioso salotto, un divano e due sedie di fronte il camino di pietra, ogni seduta drappeggiata da una coperta e una variante di cuscini diversi. Era molto normale e famigliare, e questo calmò il mio piccolo nervosismo.

"Mentre siamo qui, vuoi un po' di cioccolata calda?" Domandò James.

"Certo," sorrisi. Non la bevevo da una vita.

James sparì in cucina, mentre io mi accomodai sul divano. Sentii lo schiocco delle tazze e dell'argenteria dietro di me.

Rimasi seduta per altri cinque minuti, prima di alzarmi per andare alla ricerca del bagno.

Mi alzai dal mio posto, camminando attraverso il corridoio. Trascinai i miei piedi sulla moquette, realizzando di avere ancora le scarpe addosso.

Oh beh, probabilmente saremmo andati via subito e le mie scarpe erano abbastanza pulite.

Continuai a camminare attraverso il corridoio, quando notai una piccola porta di legno sulla destra. Dovrebbe essere questo. La mia mano si sollevò e le mie dita si allargarono sul punto di raggiungere la maniglia.

"Cosa stai facendo?" Una voce oscura domandò proprio dietro di me.

Saltai allarmata, facendo scattare di lato la mia testa.

Phew, era solo James.

"Scusa, mi hai spaventata." Sorrisi. "Stavo solo cercando il bagno."

Il viso di James non si ruppe in un caldo sorriso come sarebbe accaduto solitamente, la sua espressione rimase priva di emozioni.

"Beh, non è questo." Disse. "È quello alla fine del corridoio." Si misi davanti alla porta della stanza, come se non volesse farmi vedere l'interno.

"Okay." Dissi, i miei nervi ritornarono mentre mi affrettavo verso il bagno.

Chiusi la porta dietro di me e feci un respiro profondo. Ciò era strano. Perché era così protettivo su qualsiasi cosa ci fosse in quella stanza? Cosa stava nascondendo?

Niente, dissi a me stessa. Stavo probabilmente esagerando di nuovo. Nonostante ciò, rimasi il più tempo possibile nel bagno, aggiustando i miei capelli a sciacquandomi le mani più di quanto ne avessero bisogno.

E quando aprii la porta, la curiosità mi stava mangiando viva. E se ci fosse davvero qualcosa in quella stanza? Sapevo che questo fosse stupido, ma dovevo sapere.

"James?" Gridai.

Nessuna riposta. Era ancora in cucina. E in questo caso, non sarebbe stato un problema se avessi dato un'occhiata. Solo un'occhiata veloce per dare sollievo alla mia mente.

Silenziosamente, mi precipitai verso la porta, guardandomi le spalle per assicurarmi che lui non fosse stato in grado di assistere alla mia sfiducia.

Una volta assicuratomi che James fosse fuori dal mio campo visivo, girai lentamente la maniglia. Lentamente, lentamente. . . quasi fatta. . .

"Cosa pensi di fare qui?" Domandò di nuovo la voce di James, il suo corpo così vicino al mio da poterlo sentire dietro di me.

Ebbi a malapena tempo di voltarmi che fui spinta violentemente contro il muro, il suo ampio petto spingeva contro il mio.

Ma che cazzo.

"Ti ho detto di non andare lì, Rose."

"Scusa." Soffocai.

Chiunque quest'uomo fosse, non era James. O almeno non il James che conoscevo.

Mi rannicchiai per la paura, cercando di scappare via da lui, ma fallii miserabilmente.

Mi aveva bloccata.

"Stupida, stupida Rose." Disse soddisfatto, scuotendo la sua testa in disapprovazione. "È una cosa positiva che tu sia bella."

"James, cosa stai facendo?" Domandai, la mia voce uscì fuori come uno squittio pauroso.

"Non è ovvio?" Disse, il suo solito caldo sorriso cresceva in uno di minaccia. "Sto per farti diventare la mia prossima vittima."

I miei occhi quasi spuntarono fuori dalle loro orbite, terrorizzati.

"No." Sussultai, non volendo crederci.

Tirò la sua testa all'indietro per emettere una risata rumorosa, il suo petto vibrò contro il mio mentre rideva.

"Sì. È vero. Dio Rosy, aspettavo questo momento da mesi." Disse, e rabbrividii al nomignolo. "Dovevo solo portarti qui, a casa mia, ma avevo prima bisogno della tua fiducia. E sapevo che l'avrei ottenuta, avevo i miei occhi su di te da quando sei arrivata al Wickendale. Eri così bella, con dei meravigliosi capelli lunghi." Disse affascinato, torcendo una ciocca tra le sue dita.

Il mio labbro tremava e il mio corpo era traballante, cercando di spingerlo via mentre lui rimaneva ancora lì, come se io non stessi neanche cercando di sfidarlo.

"E che pelle adorabile." Disse in un bisbiglio.

Le sue dita si trascinarono lentamente sulle mie braccia, dopo sul mio collo, dopo sul mio viso mentre faceva scorrere il suo indice sulla mia guancia.

Ad ogni tocco delle sue dita il mio cuore batteva sempre più velocemente come se fosse sul punto di esplodere dal mio petto.

Girai la mia testa di lato, ma questo gli consentì soltanto maggiore accesso al lato della mia faccia.

"La Signora Hellman aveva detto che tu era fuori città quando quelle donne vennero uccise." Dissi, come se questa affermazione avesse potuto portare a qualcosa di buono.

Le mie lacrime ora si stavano liberamente rovesciando sul mio viso.

Ricevetti un'altra risata in risposta, mentre il suo dito si spostava sotto il mio occhio per asciugare le lacrime. "Non è una sorpresa che abbia detto così. Voglio dire, certamente mia madre mi avrebbe coperto."

Con la paura che stava opprimendo i miei pensieri, mi ci volle un momento per elaborare le sue parole.

La Signora Hellman era sua madre.

"Ma ora basta parlare, bellissima. Divertiamoci un po'." Mormorò, il suo alito viziato scorreva sul mio collo.

Stavo per morire.

Ma improvvisamente, in questo istante, pensai ad Harry.

Aveva avuto ragione su James sin dall'inizio, avrei dovuto ascoltarlo. Lui aveva perso Emily a causa di quest'uomo crudele che una volta pensavo fosse mio amico.

E ora avrebbe perso me.

L'ho immaginai nella sua cella, le lacrime cadere dai suoi occhi mentre piangeva un'altra morte di una delle uniche persone che teneva a lui.

Ma no, non potevo lasciare che questo accadesse. Lui non se lo meritava. Dovevo vivere.

Questa forza ritrovata, mescolata con la mia adrenalina, costruì qualcosa dentro me, i miei muscoli stavano urlando di correre, mentre James cacciò un coltello tascabile dalla sua tasca di dietro.

Scalciai il mio ginocchio sulle sue parti basse, e dopo immediatamente calpestai il suo piede con la mia scarpa. Fui grata di non averle tolte.

Borbottò per il dolore mentre si girò e si piegò per terra, lasciandomi libera. Mi girai e iniziai a correre, ma James fu veloce a riprendersi.

Mi inseguì e afferrai un grande libro dal tavolino da caffè al centro del salotto, gettandolo dietro di me. Afferrò l'oggetto colpendomi mentre caddi con un tonfo, la mia testa martellava per la botta.

Se il suo obiettivo era quello di rendermi incosciente, ci stava quasi riuscendo.

Quasi.

Ero ancora in grado di pensare, la mia testa girava mentre il mio corpo rimaneva a terra. Venne verso di me, i suoi occhi scrutarono il mio corpo in cerca di movimento. Ma non azzardai a muovere un muscolo, lasciandolo pensare che fossi incosciente. Potrei usarlo a mio vantaggio.

"Bah." Borbottò in approvazione.

Sentii i suoi passi sparire attraverso il corridoio, immediatamente aprii i miei occhi mentre esaminavo la stanza per un'arma improvvisata. Tuttavia non c'era nulla, nulla che io avessi potuto usare.

Troppo in fretta udii James ritornare, dopo aver recuperato qualsiasi cosa di cui avesse bisogno.

Veloce, Rose, pensa. Ma non c'era tempo per pensare, così afferrai l'oggetto più vicino; un pezzo di legno ammucchiato vicino al camino adiacente.

Afferrai l'oggetto giusto in tempo mentre la bella sagoma di James appariva attraverso la porta.

"AHHH!" Urlai, buttando il pezzo di legno sulla testa di James con maggior forza possibile.

Non appena il mio bastone cadde temporaneamente a terra, anche il corpo di James fece lo stesso, finendo al suolo dove mi trovavo ancora io. Non persi tempo a controllare se fosse cosciente o no, i miei piedi mi trasportarono fuori dalla porta.

Proseguii lungo l'erba e dentro i boschi, correndo, correndo e correndo. Accelerai nella fredda notte, creando più distanza possibile tra me e James.

Perché sapevo che mi avrebbe seguita, e le chance per me di sopravvivere diminuivano ad ogni passo che facevo.

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