Psychotic [h.s.] (Italian tra...

Por TheCousinsGang

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"L'amavo non per il suo modo di ballare con i miei angeli, ma per come il suono del suo nome poteva mettere a... Más

Psychotic (Italian translation)
SONG - LIST
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 17
Capitolo 18
Capitolo 19
Capitolo 20
Capitolo 21
Capitolo 22
Capitolo 23
Capitolo 24
Capitolo 25
Capitolo 26
Capitolo 27
Capitolo 28
Capitolo 29
Capitolo 30
Capitolo 31
Capitolo 32
Capitolo 33
Capitolo 34
Capitolo 35
Capitolo 36
Capitolo 37
Capitolo 38
Capitolo 39
Capitolo 40
Capitolo 41
Capitolo 42
Capitolo 43
Capitolo 44
Capitolo 45
Capitolo 46
Capitolo 47
Capitolo 48
Epilogo
Ringraziamenti
AVVISO
THE COUSINS' GANG POV

Capitolo 6

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Por TheCousinsGang

Camminavo lungo le strade fredde, non tanto entusiasta di andare a lavoro. Era freddo e nevoso, come sempre, ma qualcosa nell'aria mi faceva sentire una sorta di depressione. Forse era solo uno di quei giorni.

Nonostante il mio umore schifoso, sorrisi al ricordo della passeggiata con James per il ritorno a casa.

Era un gentiluomo e anche molto divertente. Iniziava davvero a piacermi; lui non era per niente come Harry, anzi, erano piuttosto gli opposti. James era umile e dolce, Harry, invece, era spavaldo e maleducato. James lavorava duramente e ad Harry probabilmente non importava. Mentre James iniziava a piacermi sempre più, il mio odio nei confronti di Harry cresceva di pari passo. Era come se l'affetto per James fosse contrastato dall'odio per Harry.

Al pensiero dello psicopatico, una pila di sensazioni anonime si abbatté su di me. Qualunque cosa fosse, non mi piaceva. Magari era il senso di colpa o l'odio, non lo sapevo. Il solo pensiero di lui mi faceva venire il mal di testa. Scossi la testa, provando a mandar via l'immagine dei suoi capelli disordinati e delle sue labbra rosso ciliegia. Non avrei più sprecato il mio tempo a pensarlo.

Come mi avvicinai alla blanda struttura del Wickendale, notai un'auto carina, vicino i gradini di pietra. Diamine, quanto avrei voluto una macchina. Stavo risparmiando così da poter prendermene una, per evitare il fastidio di dover andare a lavoro a piedi.

Si aprì lo sportello, ed una donna ben vestita ne uscì fuori; indossava un cappotto beige abbottonato e delle ballerine carine. I suoi capelli, lunghi fino alle spalle, erano di un color ramato, e dal suo viso ipotizzai avesse circa trent'anni. Mi domandai cosa ci facesse una donna del genere in un posto come questo, mentre lei si avvicinava ai gradini di ciottoli. Fu allora che notai la grande telecamera nella sua mano.

Era una reporter.

Non sapevo il perché, ma sentii un'ondata di fastidio per la sua presenza qui. Sapevo stesse facendo solo il suo lavoro, ma molti reporter erano troppo ficcanaso e avevano un atteggiamento di superiorità, per questo sentivo un'avversione generale nei loro confronti.

Entrai nella struttura, pochi passi dopo di lei, accolta con gratitudine dall'aria riscaldata della struttura. Iniziai a dirigermi verso l'ufficio delle infermiere ma indugiai ad ingranare a causa della scena che stava accadendo davanti a me.

La reporter si fermò davanti ad un'inespressiva signora Hellman, che sembrava infelice come sempre. Sembrava come se lei e la reporter senza nome fossero in una sorta di discussione, ma non fui in grado di decifrare le loro parole, a causa delle grida provenienti da qualche parte lungo il corridoio. E dopo, con uno sguardo arrabbiato e qualche altra parola da parte della signora Hellman, la reporter si precipitò fuori dalla struttura.

Cosa diavolo era appena successo? Ignorai i miei pensieri e pensai che domandarlo alla signora Hellman non fosse una buona idea. Così decisi di dirigermi verso l'ufficio, quando notai una figura abbronzata e curva camminare verso la mia direzione.

"Kelsey!" Esclamai.

"Hey Rose! Dove sei stata?"

"A lavoro," risposi facendo spallucce.

"Beh, devono averci tenute davvero occupate perché non ti vedo da un sacco."

"Qualche giorno, ma si," risi.

Kelsey lavorava come psicologa e si occupava della salute mentale dei pazienti; io, invece, mi accertavo della loro salute fisica. Entrambe eravamo molto impegnate e non sempre riuscivamo a vederci e a scambiare due chiacchiere.

Guardai l'orologio sul fondo della sala, per vedere se avessi del tempo per parlare. Ero arrivata presto, guadagnandomi qualche minuto.

"Allora, cosa hai fatto in questi giorni?" Domandai.

"Non molto," disse. I suoi occhi guizzarono in giro come se fosse preoccupata di qualcosa.

"Tu, invece?" Chiese, cambiando argomento.

Mi morsi il labbro inferiore, chiedendomi se avessi dovuto dirle qualcosa riguardo Harry, anche se non c'era molto da raccontare. Avevamo parlato solo poche volte.

Decisi di raccontarglielo lo stesso, spiegandole ogni singola conversazione, nel miglior modo possibile. Decisi di omettere il dettaglio della mano di Harry che insinuava sulla mia gamba. Il ricordo accese un rovente desiderio in me, ma lo scacciai immediatamente via.

"Wow!" Disse, non appena ebbi finito. "Beh, questo non è giusto!"

"Umm, non mi considero fortunata a dir la verità..."

"Io lo farei! Mi piacerebbe parlare con lui ed entrare nella sua mente per leggere e capire meglio i suoi pensieri." Disse, sgranando gli occhi, mentre cercava di immaginare i suoi pensieri.

Aveva questa passione per le menti pazze, voleva capire come funzionavano, cosa le distingueva da quelle delle persone normali e cose del genere.

"Non l'hai ancora incontrato nel tuo ufficio?" Domandai.

Di solito Kelsey vedeva tutti i pazienti dopo una settimana dal loro arrivo.

"Sì, certo che l'ho incontrato. Ma è più intelligente degli altri, mi vede solo come una strizzacervelli. È così chiuso in se stesso, ma mi piacerebbe avere una normale conversazione. Solo per calmarlo e tranquillizzarlo, senza fargli l'interrogatorio e senza prendere note. "

"Allora non farlo." Replicai, mentre Kelsey annuiva. "D'accordo, farò tardi, ci vediamo dopo!"

"Aspetta, devo dirti una cosa." Kelsey disse prima che potessi andare via.

"Io. . .umm, io. . ."Iniziò a dire, guardandosi intorno con fare circospetto, come se fosse preoccupata di essere vista. "Sai cosa? Non importa. Ci vediamo dopo." E con questo, si girò ed andò via.

Quello che era appena successo era davvero strano. La curiosità mi stava mangiando, desiderosa di sapere ciò che avesse da dire. Ma non avevo tempo di seguirla e domandarglielo, perché avrei fatto tardi. E, l'unica cosa che detestavo di più oltre a non sapere le cose, era arrivare in ritardo.

-      -

La giornata di oggi era un mix di noia, impegni e cambiamenti di umore. Fui sollevata, come sempre, quando l'orologio segnò le dodici, l'ora di pranzo. Era buffo come, anche se ero sempre riluttante nel vedere Harry, il pranzo fosse la mia parte preferita del giorno. Era comunque più interessante del raccogliere forniture mediche ed aiutare a riempire fogli di carta.

Quando entrai dalle grandi porte della mensa, i miei occhi, ancora una volta, andarono alla ricerca di lui. Solitamente, era semplice da trovare la sua travolgente presenza anche tra la folla. Ma non c'era da nessuna parte, così afferrai un mazzo di carte dal tavolo di giochi e mi sedetti al nostro solito posto ad aspettare.

Mi girai i pollici per un po', mentre aspettavo, ma diventò subito noioso. Così sparsi le carte sul tavolo ed iniziai a sparpagliarle. Dopo, le organizzai in modo tale che ogni mucchio avesse lo stesso numero, e poi le mescolai di nuovo.

Dopo altri cinque minuti di attesa, posai le carte sul tavolo. Erano già passati dieci minuti, ma non c'era nessun segno di lui. Dove poteva essere?

Non appena la domanda affiorò nella mia testa, Harry entrò dalle porte.

E fu come la scena di un film. Come se le luci lo illuminassero improvvisamente, catturando l'attenzione di tutti i presenti nella sala. Tutti gli occhi si posarono sulla sua figura, come se fosse famoso. Con l'unica differenza che non lo guardavano con soggezione o adorazione. Anche il più cattivo dei pazienti sembrava essere spaventato, mentre lo osservava. Era come se tutti fossero preoccupati che si sarebbe potuto scatenare da un momento all'altro.

Ma lui non lo fece.

Al contrario, si leccò semplicemente le sue deliziose labbra e si diresse verso di me, senza fare caso agli sguardi.

"Rose." Mi salutò mentre prendeva posto.

Ero leggermente sorpresa che l'avesse fatto. Dopo quello che era succeseo ieri, una parte di me pensava che non sarebbe mai venuto.

"Ciao Harry."

E dopo ci fu silenzio. Un silenzio imbarazzante, fino a quando Harry non distolse il suo sguardo da me.

Cercai di alleggerire la tensione, rimescolando le carte e cercando di tenermi occupata, per non pensare a cosa dire. Sobbalzai quando Harry poggiò la sua mano sulla mia per fermarmi; un tocco sorprendentemente gentile.

"Fermati. Non voglio giocare a carte." Disse.

Ero sul punto di chiedergli cosa avessimo dovuto fare, sperando non avesse risposto dicendo di voler semplicemente parlare. Poiché, nonostante lo avessimo fatto poche volte, non mi piaceva come andavano a finire le nostre conversazioni.

Ma fortunatamente si alzò dalla sua sedia ed andò verso il tavolo di giochi. Per mia sorpresa, prese un gioco da tavolo e capii si trattasse di "Clue" dalla confezione verde intenso della scatola. Quasi lo stesso colore degli occhi di Harry, ma senza quella lucentezza mozzafiato di vitalità.

"Clue?" Chiesi per confermare la sua scelta.

"Ironicamente, sì." Disse mentre prendeva le pedine del gioco.

Il suo umore sembrava essere molto più leggero oggi, il che mi faceva molto piacere.

"Beh, è stata una pessima scelta. Vincerò io in ogni caso." Gli dissi.

"Sicura?" Mi chiese in tono di sfida.

"Sì, certamente. Non ho mai perso una partita. Ho giocato cinque volte contro tutta la mia famiglia e ho sempre vinto." Dissi, sorridendo al ricordo.

"Ma quanto sei speciale? Vorrei avere il tuo talento," disse sarcasticamente. "E fammi indovinare, questa tua famiglia è felice, perfettamente ricca e siete tutti laureati ad Harvard o in una scuola di medicina con il massimo dei voti, ho ragione?"

Le sue supposizioni contro la mia famiglia mi provocarono un bel po'; quello che aveva detto era lontanissimo dalla verità.

"A dir la verità, no, ti sbagli. Mio padre era un alcolizzato e ci abbandonò quando ero piccola. Subito dopo, mia madre si sparò, evidentemente perché non riusciva a sopportare il dolore. Così, vissi per un po' con i miei poveri nonni, i quali avevano a mala pena il cibo necessario per sopravvivere. Lavorai sodo per avere dei buoni voti, e ci riuscii, dopo ottenni il mio appartamento e il lavoro qui, sempre con i soldi che ho fatto facendomi in due. Quindi smettila con le tue dannate ipotesi e fatti gli affari tuoi."

L'espressione sul suo volto era inestimabile. "Mi dispiace, Rose. Non avevo idea." Disse.

Nei suoi occhi c'era rammarico e compassione, ma poi ricordai che gli psicopatici fossero bravi a simulare le emozioni umane, quindi non potevo sapere se le sue scuse fossero sincere o meno.

Replicai comunque con un "non fa niente".

"Ma ora che ti ho detto questo, raccontami qualcosa su di te."

"Va bene." Scrollò le spalle. "Cosa vuoi sapere?"

C'erano così tante cose che volevo scoprire su di lui, ma le parole fuoriuscirono tutte insieme.

"Hai ucciso quelle donne? E se l'hai fatto, qual era la ragione? Cose le è successo? Sii onesto. Dove sei cresciuto? Parli ancora con i tuoi genitori? Come si sente la tua famiglia riguardo a tutto ciò? E dove sei..-?"

"Wow!" Ridacchiò, alzando le mani in segno di resa. "Vacci piano, amore. Risponderò solo ad una domanda per ora."

Dannazione. Probabilmente avrebbe risposto anche ad altre, se non lo avessi interrogato in quel modo. Ci pensai su, per un momento, cercando di non fare confusione. Ero sul punto di chiedergli se fosse colpevole o meno, ma una parte di me non voleva ancora saperlo. E dubitavo che lui mi avrebbe risposto con sincerità.

"Okay, però mi prometti di essere onesto?" Chiesi.

Annuì ed unì le sue mani, guardandomi negli occhi con un'espressione seria. Scelsi una domanda alla quale avrebbe potuto rispondere con sincerità.

"Qual è la tua più grande paura?" Chiesi, finalmente.

Harry non rispose subito. Corrugò le sue sopracciglia, e tirò fuori dalla tasca una sigaretta e l'accendino. Odiavo ammetterlo, ma quando mise le sue mani a coppa intorno all'accendino e socchiuse gli occhi per inspirare, rimasi completamente affascinata.

Era dannatamente sexy.

"Bella domanda." Mormorò, la sigaretta che spuntava dall'angolo della sua bocca.

Aspettai pazientemente, mentre metteva il suo accendino nella tasca, prima di guardarmi nuovamente negli occhi.

"Vuoi davvero sapere cosa mi spaventa di più?" Chiese, esalando una nuvola di fumo.

Annuii, sperando non continuasse a parlare con quel tono di voce lento e seducente. Si guardò attorno, come se qualcuno ci stesse osservando, e poi si avvicinò di più.

"La mia più grande paura è quella di non uscire mai più da questo posto. Di rimanere chiuso qui dentro per il resto della mia vita. Non sarò in grado di avere dei figli, una casa tutta mia, un lavoro o anche i miei stessi vestiti. Dovrò stare qui seduto con questi idioti psicopatici, e non potrò avere una normale conversazione con nessuno tranne che con te. Dovrò stare stretto in una lurida cella e udire urla e mormorii per tutta la notte. Non ho dormito per niente, e mi sento orribile. E il posto stesso che ti porta alla pazzia. E se morissi qui, Rose? E se l'unico edificio che vedrò per i prossimi cinquant'anni sarà questo? Non rimarrà niente di me, perché non ho niente da dare. Invece di un funerale, ci saranno persone intorno all'edificio che diranno 'ho sentito che quel maniaco che aveva spellato tre donne finalmente è morto nell'istituto la scorsa notte' e ne saranno felici. Questo sarà l'unico ricordo che la gente avrà di me: lo psicopatico è finalmente morto. E la parte più brutta di tutto questo è che la paura non va mai via, perché è proprio sotto i miei piedi."

Fui presa alla sprovvista dal suo discorso, non mi aspettavo si sarebbe divulgato così tanto. Ed immediatamente, provai compassione. Sapevo che non dovevo, lui meritava anche peggio, ma non potei fare a meno di immaginarmi come sarebbe stato essere al suo posto. Essere rinchiusi al Wickendale, per il resto della vita, non sembrava essere una cosa piacevole.

E se fosse davvero innocente? E se stesse passando tutto questo per niente? Scacciai via il pensiero. Certo che era colpevole. Doveva esserlo.

"Sembrerò maleducata, ma non posso dire di essere dispiaciuta per te." Gli dissi.

Lui sospirò semplicemente e poi fece un altro tiro dalla sua sigaretta.

"Sai, se provassi a fare amicizia con gli altri pazienti, potrebbe non essere così male." Suggerii.

Lui rise e scosse la testa. "Beh, no grazie."

"Perché no?" Domandai.

"Stai scherzando? La maggior parte della gente riesce a mala pena a formulare una frase sensata."

"Questo non è vero. Molti pazienti non sono così pazzi come sembrano. Hai provato almeno a parlarci?" Chiesi.

"No, e non ho intenzione di farlo."

"Beh, questo è stupido."

"Oh, andiamo Rose. Non dirmi che tu vorresti davvero fare amicizia con loro se fossi al mio posto. Li eviteresti, e lo sai che ho ragione."

Beh, questo riuscì a zittirmi. Aveva ragione, se fossi stata al suo posto, non avrei voluto fare amicizia con nessuno.

Guardai Harry e notai che non mi stesse più guardando, per cui non riuscii a vedere quali emozioni stesse trattenendo. Ma improvvisamente, alzò lo sguardo. I suoi occhi verdi erano ancora illeggibili, dietro le sue lunga ciglia. La sua espressione era seria quando iniziò a parlare.

"Posso essere il Signor Green?" Chiese.

Scoppiai immediatamente a ridere e guardai il gioco sul tavolo. Lo avevo completamente dimenticato. Mi aspettavo dicesse qualcosa di più profondo.

"Certo."

"Hai una bella risata." Disse improvvisamente.

"Cosa?"

"Ho detto che hai una bella risata."

Sogghignò mentre quel dannato rossore colorava di nuovo le mie guance. Odiavo quando succedeva.

"Grazie." Borbottai.

Non volevo prolungarmi sul suo commento e rendere ancora più intenso il rossore sulle mie guance, così guardai le piccole figure del gioco sul tavolo, e ne scelsi una, nel tentativo di tenermi occupata.

Proprio mentre stavo per prendere la figura della Signora Scarlett ed iniziare il gioco, un tuono scosse la sala. Simultaneamente, io ed Harry guardammo verso l'altro, nonostante la visuale del cielo fosse bloccata da un soffitto grigio.

Un paziente di nome Damian, del quale non conoscevo i crimini, si avvicinò alla finestra polverosa. Guardò fuori con occhi selvaggi, sembrando eccitato per qualsiasi cosa stesse per accadere.

"Woohoo!" Esclamò con una voce roca, girandosi e guardandomi negli occhi. La sala diventò silenziosa e tutti lo guardarono aspettando di scoprire la causa di tale eccitazione.

"La tempesta sta arrivando."

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