The delirium.

By alinablossom-

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Los Angeles, fiumi di alcol e droga, giri di prostituzione e mafia. Una famiglia povera, un padre disperato c... More

The delirium.
Terzo capitolo.
Quarto capitolo
Quinto capitolo.
Sesto capitolo.
Settimo capitolo.
Ottavo capitolo.
Nono capitolo
Decimo capitolo.
Undicesimo capitolo.
Dodicesimo capitolo.
Tredicesimo capitolo.
Quattordicesimo capitolo.
Quindicesimo capitolo.
Sedicesimo capitolo.
Diciassettesimo capitolo.
Diciottesimo capitolo.
Diciannovesimo capitolo.
Ventesimo capitolo.
Ventunesimo capitolo.
Ventiduesimo capitolo.
Ventitreesimo capitolo.
Ventiquattresimo capitolo.
Venticinquesimo capitolo.
Ventiseiesimo capitolo.
Ventisettesimo capitolo.

Secondo capitolo.

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By alinablossom-

Il sabato mattina Kimberly si alzò dal suo letto con una strana voglia di scappare da quella famiglia. Era stanca di tutto e tutti, stanca della sorella che frignava come una lattante, stanca della madre che la trattava male e stanca del padre che la insultava in continuazione. La sera precedente poche ore dopo la notizia sconvolgente che il padre aveva comunicato alla famiglia, Kim era nel suo letto a leggere uno di quei libri che una normale adolescente avrebbe scartato a priori, uno di quelli con la copertina massiccia e impolverata che hanno il peso pari a quello di un mattone e il padre aveva di colpo iniziato a insultarla e a ringraziare il Signore, senza alcun pudore, della grazia che gli aveva fatto. Non ci volle un interprete per far capire alla diciassettenne di cosa il padre parlava, lui ringraziava il Signore della scelta che William Parker aveva fatto ed era ripugnate.

Quella mattina per fino la strada che percorreva abitualmente per andare a scuola le sembrava diversa, guardava tutto con occhi diversi, come se quella non fosse la sua vita, come se la sua anima non fosse contenuta in quel corpo. Osservava la sua vita andare avanti come una spettatrice e non la viveva più come la protagonista qual era, perché sapeva che quella strada che tanto odiava per via dei sassi a terra e del dolore che questi ultimi le provocavano, non l'avrebbe più ripercorsa. E finalmente tutto acquistava un senso, si era sempre sentita esclusa da resto del mondo, si era sentita di troppo in quella famiglia e in quella scuola, forse perché il suo posto non era mai stato quello, forse perché il destino aveva in serbo qualcosa di migliore per lei. Il suo posto era accanto a William Parker.

Kim non aveva mai conosciuto William, ma avrebbe fatto di tutto pur di andare via da quella famiglia, per lasciarsi alle spalle tutto quello schifo che era costretta a chiamare vita. Era quasi arrivata a scuola, mancava davvero poco. Intravedeva ragazze con gli auricolari nelle orecchie e con l'Ipod tra le mani, avrebbe tanto voluto averne uno anche lei. Kim amava la musica ma non poteva ascoltarla sempre purtroppo. Aveva sempre odiato la domanda 'Che genere di musica ascolti?' Perché secondo lei non c'è un preciso genere o un solo cantante, ogni tipo di melodia si adatta allo stato d'animo del momento.

Non era mai stata molto socievole, in realtà era una ragazza timida che si preoccupava troppo del giudizio della gente e che quindi preferiva rimanere sempre in disparte. S'impressionava facilmente, infatti, anche se mentre cammina per strada sente qualcuno ridere associa la risata dell'individuo con un gesto discriminatorio, pensa sia dedicato a lei. Dopo la notte della perdita della verginità la situazione era peggiorata parecchio, ormai tutti la evitavano quasi come la peste. Non parlava con nessuno, se non con quei pochi ragazzi che si avvicinavano per chiederle quanto si prendeva a notte o per offenderla con frasi tipo 'Non ti avrei scopata neanche se fossi stata tu a pagare me, che coglione quel tipo!' una cosa che faceva ribrezzo a Kim. Avrebbe tanto voluto difendere il ragazzo che gli aveva portato via la verginità, l'unico essere umano che le avesse mai dedicato vere attenzioni, ma preferiva stare zitta e far finta di nulla, far finta che le parole che le dicevano non avessero nessun effetto su di lei.

Una volta raggiunta la scuola si affrettò ad entrare non prima di aver incrociato sguardi maligni e commenti inopportuni. Era una delle migliori nella sua classe, amava studiare e arricchirsi, forse perché vedeva lo studio come una via di fuga dalla sua vita o probabilmente perché voleva eccellere in qualcosa per far si che la sua famiglia non la denigrasse più.

«Buon giorno.»

Salutò il professore d'italiano, il migliore mai avuto prima. E Kim si ritrovò a ricambiare mentalmente il saluto e ad aggiungere un piccolo discorso di addio nonostante odiasse quella parola, sentiva il bisogno di pronunciarla perché era quello il saluto che voleva dare alla sua vecchia vita.

«Sono arrivati i carichi di droga, Signor Parker.»

Il giovane Parker era notevolmente stufo di avere tutta quella gente tra i piedi, avrebbe voluto congedarli tutti, mandarli a fanculo con un unico grande gesto, ma sapeva che era impossibile, c'era della droga che stava per arrivare quindi nuovo lavoro e di conseguenza nuovo denaro.

Lui amava il denaro, ti garantiva una sicurezza unica, era sempre stato, anche da bambino, molto ricco, infatti, il padre non gli aveva mai fatto mancare nulla, neanche il sangue sulle scarpe dei morti che si trascinava dietro. Dal primo momento il padre di William, Josh Parker, aveva messo in chiaro la posizione del figlio facendogli capire che per quanto avesse studiato nella vita, lui avrebbe ereditato il grande Impero che con gli anni si era costruito a Los Angeles e il potere che aveva nella mafia e la situazione non è mai dispiaciuta a William, anzi gli piaceva pensare che le persone provassero terrore all'udire il suo nome, lo allettava.

«Vediamo di sbrigarci Tony.»

Con un gesto repentino della mano incitò uno dei suoi scagnozzi a muoversi. Non ricordava i nomi di tutti gli uomini che lavoravano per lui, avrebbe dovuto ricordare una lista di nomi infinita, gli rimanevano nella mente solo quelli che si erano in qualche modo fatti notare e Tony era uno di quelli ed anche per questo era uno degli uomini di cui William si fidava di più.

Il giovane Parker si alzò e prima di lasciare il suo studio passò per la cucina, dove trovò il suo personale.

«Preparate la stanza degli ospiti, non voglio trovare neanche un acro di polvere, altrimenti saprò a chi rivolgermi, siamo intesi?»

Parlò con il suo gelido tono di voce che incuteva paura a tutti in quella stanza.

«Si signore.»

Sussurrarono in coro le badanti annuendo, non volevano di certo essere licenziate e tutte le persone che lavoravano per Parker sapevano che era un tipo irascibile e che vederlo arrabbiato non era un bello spettacolo, forse anche per questo era così temuto. Prima di varcare il portone di casa e salire nella sua lussuosa auto, guardò l'orologio. Erano le due, tra sole sei ore avrebbe avuto una nuova bambolina con cui giocare.

«Si svelta a mangiare perché devi studiare e finire di preparare le tue cose.»

Ricordò la madre posando il piatto di pasta bollente dinanzi alla figlia minore per poi servire anche la maggiore. Kim era magra, anche se amava il cibo. La madre aveva sempre fatto differenze anche e per sino nella divisione del cibo; difatti, inizialmente, Kim pensava di sbagliarsi quando metteva a paragone il suo piatto con quello della sorella, le porzioni di quest'ultima erano sempre più abbondanti ed era una cosa abbastanza evidente a cui Kimberly non aveva mai dato troppo peso. In realtà era un tipo di ragazza che cercava sempre e in tutti i modi di negare l'evidenza e aveva fino allora funzionato, ma le cose cambiano. E stava per cambiare anche la sua vita.

La giornata passò abbastanza velocemente, Kim rimase chiusa nella camera della sorella per tutto l'intero giorno. Era strana la velocità con cui si abituava alle novità, aveva anche già smesso di definirla camera sua. Quel giorno Kim studiò pur sapendo che il giorno successivo non sarebbe andata a scuola e neanche quello dopo ancora. Aveva con il tempo imparato ad amare lo studio ed era diventata una piccola dipendenza di cui non voleva e non poteva fare a meno. Oltre a studiare quel giorno terminò anche l'ultimo libro che in precedenza aveva preso in prestito dalla biblioteca. Quando avrebbe potuto restituirlo? Presto, sperava. In realtà in cuor suo Kim sapeva che quel presto sarebbe evidentemente durato in eterno.

Non dovette preparare nessuna valigia enorme, i panni che possedeva rientravano in un borsone, massimo due che già teneva preparati da quando il padre gli aveva comunicato la notizia.

Il rumore di una porta che cigolava la fece risvegliare dal suo dormiveglia, si alzò di scatto e iniziò i riti di saluto per la camera. Insomma desiderava lasciare quella casa ma era pur sempre l'ambiente che l'aveva vista crescere.

«Dobbiamo andare.»

Fu il padre a interrompere il circolo rapido e sconnesso di parole che circolavano nella sua mente. Lo guardò e fiera come mai prima d'ora, annuì convinta. Afferrò i suoi borsoni e avanzò verso la porta e quando il padre provò a essere gentile, cercando di alleviarle il peso, lei affrettò il passo con aria superiore e orgogliosa.

Non ci furono né lacrime, ne profondi dolori. Un unico solo abbraccio della madre dato tanto per e uno dalla sorella dopodiché Kim salutò quelle persone come vecchi conoscenti e uscì per l'ultima volta da quella porta.

Il viaggio fu quanto di più silenzioso avesse mai affrontato, per fortuna non fu molto lungo, infatti, dopo circa mezz'ora arrivarono a destinazione.

Osservando quella villa imponente a Kimberly brillarono gli occhi, non aveva mai visto niente di così lussuoso, stratosferico e magnifico in vita sua. L'esterno della villa era pitturato con del semplice bianco e le ferriate dei balconi e delle persiane erano di un grigio topo. Si accedeva tramite un cancello elettronico e c'era un piccolo giardino abbastanza curato con una bellissima fontana sul lato destro. Un maggiordomo chiese il cognome del padre prima di farlo accedere all'interno.

I due scesero dall'auto e con passo spedito si recarono all'entrata dove un altro uomo li attendeva.

«Benvenuti, da questa parte il Signor Parker vi attende.»

Kimberly sorrise sincera all'uomo e guardandosi attorno lo seguì.

I muri erano beige chiaro e c'erano parecchi quadri affissi per la casa, termine inappropriato per quell'ambiente. I corridoi erano abbastanza lunghi e c'erano molte porte, quella villa era immensa.

Si bloccarono dinanzi ad una porta socchiusa e l'uomo bussò ricevendo subito dopo il consenso da una voce roca e matura. Kimberly entrò nella stanza a testa bassa osservando con gli occhi il pavimento, per fino quello era bello. C'erano diversi uomini in quella stanza, ne sentiva la presenza. Sentì il padre parlare ma non si concentrò più di tanto sul vero significato di quello che diceva.

«Kimberly.»

D'un tratto si sentì richiamare da quella stessa voce che aveva poco prima dato il permesso per farli entrare. Alzò per la prima volta da quando era in quella stanza la testa e il suo sguardo si scontrò con un paio di occhi scintillanti dello stesso colore del cielo.

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