Elements: Perdita (in revisio...

By WinterSBlack

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(3) Ultimo capitolo della trilogia di "Elements". Sophie Hunter è arrabbiata e brama il sentimento che più di... More

Prologo
1. Sof: le Basi
2. Jase: Sono all'Inferno
Attenzione
3. Sof: Base3
4. Jase: i primi mesi
5. Sof: Aylen
6. Jase: l'unica amica
7. Sof: Per la Base di Sky
8. Jase: Cotta
9. Sof: Odiata
10 Jase: Addio a tutto
11. Sof: San Francisco
12. Jase: Sono un Geminus
13. Sof: fuggiaschi
14. Jase: la mia ragazza al Campo
15. Sof: Bisogno
16. Jase: un vero amico
17. Sof: prime lezioni Imperium
18. Jase: fratelli e sorelle
19. Sof: l'amore di Aiden
Quiz sorpresa (Stop alle risposte! Dedicato solo a chi vuole ripassare)
Risposte dell'autrice
20. Jase: Lo scimmione
21. Sof: missione anti-Law
Ancora quiz
Soluzioni Autrice
22. Jase: la grande missione
23. Sof: il video
24. Jase: Tentativo di fuga
Errore!!! Non è un aggiornamento.
25. Sof: Inaspettato
26.Jase: evitare
26. Jase: Evitare
27. Sof: Alimentare il fuoco
28. Jase: Piccoli
29. Sof: Partenza
Interviste p.1
Intervista p.2
Intervista p.3
30. Jase: Lei
Intervista p.4
31. Sof: Con le spalle al muro
Intervista
32. Jase: Nella tana
Messaggio impotante
33. Sof: Il figlio dell'Orfano
Avviso importante
34. Jase: Sulle tracce di Max
Intervista all'autrice
35. Sof: Cieco
36. Jase: Corsa
37. Sof: Sono tornati
38. Jase: Litigi
LinkS
39. Sof: La caduta
40. Jase: Amichevole
41. Sof: Gelosia
Compleanno di James
42. Jase: Confusione
Beta & Prompt
43. Sof: Organizzazione
Vi amo
44. Jase: Tre parole
45. Sof: Verità e bugie
46. Jase: Fratelli
48. Jase: Ambiguo
49. Sof: L'arte del tradimento
50. Jase: Bellezza
51. Sof: Alle porte
52. Jase: Stella
53. Sof: Caos e ordine naturale
54. Jase: Natura morta
Novità future
55. Sof: Dolore
56. Jase: Meglio arrivederci che addio
57. Sof: Sovrastata
58. Jase: In conclusione
Sof. Epilogo
F. I. N. E. : Finali impressioni nettamente espresse
Elements: Rimasta
Giveaway (chiuso)
Partecipanti Giveaway e scadenza
Vincitori del giveaway
HP: 19 anni dopo
Prologo Elements: Rimasta

47. Sof: Debole ma forte

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By WinterSBlack

Distruzione. C'era solo distruzione dietro di me. E io scappavo da essa. Davanti però c'era lui che stendeva la mano verso di me.
«Sophie» mi chiamava. Allungai la mia, pronta ad afferrargliela ma non ci arrivavo, non ci riuscivo. Mentre l'inferno mi raggiungeva.
«Sophie.» mi chiamava.
Mi tuffai verso di lui e per un momento rimasi sospesa a mezz'aria, con le mani tese.
«Jay» sussurrai afferrando le sue spalle.
«Svegliati!» esclamò spaventato.

Spalancai gli occhi e mi ritrovai a stringere la vita di qualcuno. Una vita sottile.
Alzai lo sguardo per ritrovarmi un seno abbastanza prosperoso.
Mi staccai immediatamente.
«Umh, scusami» mormorai imbarazzata.
«Tranquilla, era piuttosto piacevole» scherzò Opal agitando la mano. Mi lanciò uno sguardo e sorrise gentilmente.
«Se ti può consolare non sei il mio tipo» mi disse con tremenda dolcezza.
«Oh, beh, grazie...» balbettai. Poi mi resi conto che probabilmente la stavo offendendo.
«Cioè, non ho nulla contro...» iniziai.
«Sophie, non ti devi spiegare. Si sentono tutti a disagio quando scoprono che sono bisex. Per quale motivo poi? Sono sempre io, no?» affermò spostandosi i capelli ricci indietro con un gesto. Li scosse facendoli ondeggiare in modo ammaliante.
«I miei gusti non mi cambiano, però la gente pensa di sì. Cosa credete? Che vi salti addosso da un momento all'altro?» affermò. «Sempre lì a pensare e a giudicare. E poi che differenza fa se mi piacciono anche le donne? A parte il fatto che hanno un appendice in meno, non sono diverse dagli uomini.» disse con una smorfia.
«Io non volevo offenderti.» le dissi. «Mi spiace» abbassai lo sguardo.
«Ti sta prendendo in giro.». Nox si avvicinò a noi. «Non è per nulla offesa, fa solamente un po' di scena.» spiegò mentre la ragazza gli dedicava la linguaccia. Nox le sorrise.
«Abbiamo ricavato la colazione. Poi partiamo immediatamente.» ci informò prima di dileguarsi a passo felpato.
«Non ha dormito nemmeno questa notte» notò Opal con un sospiro.
«Ti preoccupi molto per lui.» affermai gentilmente.
Lei rise.
«Certo! Dopo tutto quello che ha fatto per me e mio fratello? Come potrei non farlo?» esclamò.
«A Jase e Nox dobbiamo la vita e siamo stati molto fortunati a imbatterci in loro.» mi disse sorridente. «Non si potrebbe avere degli amici migliori.» affermò orgogliosa. Poi sembrò che altri pensieri avessero attirato la sua attenzione.
«Andiamo a far colazione» affermò saltando in piedi e allungando una mano. La accettai e mi feci trascinare verso gli altri.

«Poveretto, non lo facciamo mangiare con noi solo perché è il cattivo?» mi sussurrò Opal riferendosi a Philip.
«Mangia solo perché poi non cammina. Fosse per me resterebbe a digiuno.» affermai senza nemmeno voltarmi.
«Quale crudeltà.» mormorò la ragazza. Seguì con lo sguardo il tavolo e mi diede una gomitata per attirare la mia attenzione.
«Marie era una ex di Ryder?» mi chiese indicando la ragazza che ci aveva accolti. Alzai le sopracciglia, sorpresa dalla domanda, e seguii il suo sguardo. Marie e Aiden conversavano normalmente. Non notavo negli occhi di lei un qualche tipo di attrazione, e francamente, nemmeno in Aiden. Erano assolutamente normali.
«Non lo so, può darsi» risposi. Ripensandoci, non sapevo praticamente nulla di Aiden, tranne le cose che mi aveva voluto raccontare.
Gli occhi di Opal scorsero di nuovo tra i presenti, curiosi e vispi.
«Di lei che mi dici?» mi sussurrò Opal indicando con un cenno Coral. Sembrava una creatura smarrita tra gli uomini feriti tra cui era seduta.
«Umh, era una Ribelle.» affermai. «E... È stata assegnata alla squadra di Aiden dopo che...» deglutii ripensando alla ragazza morente che ho avuto tra le braccia. Alla promessa che non ero riuscita a mantenere. Strinsi gli occhi per cancellare il pizzicare delle lacrime. «Era alla dipendenza di Law» affermai. L'espressione di Opal cambiò.
«Quello schifoso porco.» sussurrò la ragazza spostandosi un ciuffo dalla fronte con un gesto della mano.
«Quindi lo sai?» le chiesi.
«Lo so cosa? Che stuprava ogni ragazza sotto le sue dipendenze? Certo che sì. Quando vivevo ancora con i miei, ha pure osato venire a chiedere ai nostri genitori se avevano qualche bocconcino da cedergli. Come se fossero oggetti. Gli piaceva una ragazza timida e silenziosa. Era la migliore del gruppo di mamma e lei adorava quando lei suonava il piano, anche Zachy la adorava. Poi è stata trasferita e non ho più sentito parlare di lei.» affermò addentando la crosta del toast.
«Pensavo fosse Courtney la migliore del gruppo dei tuoi genitori... Cioè, è quello che mi ha detto Jay.» le dissi.
«Courtney Young? L'ex di Jase?» chiese la ragazza per poi interrompersi. «Ops, scusa. Magari non ti piace che parli delle ex del tuo ragazzo.». Inarcai un sopracciglio.
«Delle?» sottolineai. «Non c'è stata solo Courtney?» chiesi a disagio. Non mi doveva importare. Era passato, non mi doveva importate.
«Cioè, Young è stata solo quella con cui è durato di più... Le altre erano avventure.» aggiunse con le mani alzate. Inarcai un sopracciglio. Nel senso che non era vergine come mi aveva detto?
Opal si sentiva chiaramente in colpa per aver detto troppo. Sentiva di aver messo in pericolo il suo amico. Ma non mi feci conclusioni affrettate. James non mi aveva mai mentito, aveva nascosto informazioni, ma mentire no. Era probabile che non avesse detto agli amici il suo piccolo segreto. Scossi la testa per non pensarci.
«Lascia stare.» le dissi. «Non sono arrabbiata.» aggiunsi. «E James non è nei guai.» la rassicurai.
«Quindi, se entrambe non stiamo mentendo, Courtney è la famosa ragazza del piano.» ripresi.
«Uh, dici? Non è come la ricordavo.» disse picchiettando l'indice sul mento. Poi si mise a ridacchiare. «Cielo! Se Zachy lo scoprisse avrebbe un infarto» disse ridendo.
«Aveva una cotta per lei?» mi informai.
«Oh, no! Zach non ha mai cotte. Lui è più un...» Alzò lo sguardo per cercare la risposta in aria. «Un "farò arrivare alle stelle ogni bella fanciulla, poiché se lo meritano."» affermò. «Però ha una passione per le ragazze timide, silenziose e misteriose.».
Capii quel giorno che a Opal Day piaceva molto parlare. Veramente molto.
«E sai una cosa? Anche a me piacciono.» ridacchiò.
«Ehi, Sof» Aiden si avvicinò a noi.
«Siamo il primo gruppo a partire» affermò.
«Chi saremo?» chiesi.
«Io, te...»
«Scommetto che volevi dirlo da un po', vero, occhi blu?» ammiccò Opal. Aiden alzò le sopracciglia sorpreso.
«Umh, lei, il tuo amico Nox, Coral e il prigioniero. Sono riuscito a convincere gli altri che è meglio che stia sotto il tuo sguardo. Altrimenti ti arrabbi.» affermò sorridendo.
«Ora preparati. Si parte, i Dirigenti avevano vecchie armi, possono tornarci utile.» affermò.

Nox aprì una porta scorrevoli che sembrava una parete fino a pochi minuti prima e ci ritrovammo in una stanza con le vetrate tappezzate da armi. Erano tutte di piccola taglia, facili da nascondere.
«Servitevi» ci disse Aiden che si limitò ad appendersi alla cintura una borraccia d'acqua.
Opal non era interessata alle armi e rimase in disparte ad osservare. Coral, al contrario, si riempì di lame che nascose tra i vestiti. Nox raccattò solamente qualche binocolo e quello che sembrava un telefono, poi afferrò un paio di orecchini e me li porse.
«In caso ti perda, ti possiamo trovare con queste.» affermò. Inarcai un sopracciglio, seccata all'idea, ma decisi di non protestare.
Dieci minuti dopo eravamo per le strade. Aiden camminava davanti a dirigere mentre Opal teneva a braccetto il nostro prigioniero sbuffante. Coral e io chiudevano la fila molto più indietro, tendendo d'occhio gli altri davanti. Nox invece era sparito, ma sapevamo che fosse lì da qualche parte a controllare gli altri e noi da lontano. Avevamo deciso di non camminare in gruppo per sicurezza.
Coral teneva gli occhi fissi sulla nuca di Philip Smith che sembrava trovare piacevole la compagnia di Opal. Il suo sguardo era perfino più truce del mio. Sentendo i miei occhi su di lei si voltò verso di me, alzando la testa e facendo sparire le sopracciglia corrugate. In un batter d'occhio quel volto divenne di nuovo giovane e infantile. Gli occhioni pieni di curiosità, che facevano una domanda non esposta.
«Quanti anni hai?» le chiesi di punto in bianco.
La ragazza fece un'espressione stupita.
«Beh, se sopravvivo al quattro luglio, andrò per i quindici.» affermò aggiustandosi il foulard al collo.
Quindi è solo una quattordicenne. Pensai.
Coral abbassò lo sguardo, lasciando che la frangia le coprisse gli occhi e continuò a torturare il pezzo di seta al collo. Ripensandoci, la ragazzina portava sempre quel fazzolettino di seta. Anche quando eravamo al mare, ce l'aveva legato. Forse rappresentava qualcosa di significativo. Poi lo notai, un segno rosso, troppo regolare per essere una cicatrice di battaglia, ma poco uniforme per essere un solo brutto ricordo. Coral notò il mio sguardo e fermò la sua camminata. Si portò le mani al collo e si accovacciò, richiudendosi nella sua cupola protettiva.
«Non mi guardare.» sussurrò con un filo di voce. Diedi un occhiata agli altri, che proseguivano a camminare. Poi mi accovacciai accanto a lei.
«Coral...» la chiamai.
«Non voglio che tu mi veda» sussurrò passandosi le dita tra i capelli scuri per poi coprirsi il volto. Stupita, appoggiai una mano sulla sua, sperando che alzasse lo sguardo e mi desse delle spiegazioni.
«Senti, è tutto okay. Non ti chiederò nulla, se non vuoi parlare.» affermai cercando di essere gentile.
«Cosa ti rende così forte?» mi chiese lei alzando lo sguardo. I suoi grandi occhi da cerbiatto mi pregavano di darle una risposta che calmasse l'ondata di panico che le stava montando. Lì, sul marciapiedi di una strada deserta di un quartiere abbandonato, in pieno mattino, cercando ma allo stesso tempo evitando i Ribelli.
«Non sono forte» replicai automaticamente.
Lei mi guardò con gli occhi ancora lucidi sgranati, stupita dalla mia risposta secca.
«Io... Io... Scusami, ti sto importunando.» affermò nervosa abbassando lo sguardo. «Dimentocati quello che ho detto. Era solo la paura che stava parlando»
«E tu non ascoltarla» affermai. «Ti direi di ascoltare il cuore, ma mi sembra una frase troppo sdolcinata» dissi con un sorriso, cercando di metterla a suo agio con una pessima battuta.
Lei si rimise in piedi e rispose al mio sorriso.
«Dovremmo raggiungere gli altri» affermò mettendosi in cammino, come se non avesse appena avuto quel crollo.
«Ti posso raccontare una storia?» mi chiese.
«Certo, di tempo ne abbiamo a volontà» concessi.
Lei fece un sospiro e poi iniziò: «C'era una volta...».

Coral

C'era una volta, una bambina dell' Ohio.
Quella bambina non aveva nessuno e non ricordava di aver mai avuto una famiglia. Ricordava però, il nome e la data di nascita. Non sapeva chi l'avesse informata, ma erano cose che sapeva. Viveva per le strade, affamata, sporca e debole. Era costantemente maltrattata dai piccoli delinquenti di Scovill Avenue, uno dei quartieri più malfamati di Cleveland. La bambina era costretta a rubare e a scappare il più veloce possibile per poter sopravvivere. Certe volte, avrebbe voluto vendicarsi su tutte le persona che la maltrattavano, perché era colpa loro se si trovava in quello stato. Ma poi si ricordava di non essere nessuno. Di non meritare la vendetta.
Quella bambina, ero io. Ma poi, come in ogni favola, un avvenimento cambiò per sempre la mia vita. Ma a differenza delle principesse, non migliorò affatto. 
Quel giorno speciale, accadde una cosa stranissima. Una macchina lunga e scura, con i finestrini oscurati giunse nel quartiere. Non avevo visto niente di più bello nella mia vita. Ma allo stesso tempo ero preoccupata. Le bande avrebbero attaccato. Con una certa agilità, imparata col tempo, mi infilai tra i vicoli stretti e maleodoranti, saltai pareti e mi arrampicai su scale antincendio arrugginite, passando scorciatoie su scorciatoie per trovare di nuovo quell'auto. Non sapevo perché lo facevo. Non avevo nessuna possibilità contro i delinquenti che avrebbero sfasciato quella macchina. L'auto si fermò nel grande parcheggio del mini market, evitando le linee delineate da cocci di birre di vetro.
L'autista scese in fretta e andò fino in fondo all'auto per aprire la portiera. Un uomo in completo grigio scese con eleganza, ravviandosi i capelli biondi. Emanava un'aura che incuteva un certo timore.
Puntualmente sentii il rombo dei malviventi. Un gruppo di motociclette seguite da due auto nere e rubate accerchiarono i nuovi arrivati. Partirono le risate e gli ululati da difensori di territori. Osservavo impotente come al solito dal balcone cadente di una casa. Il vento sferzava i miei capelli e cantava con la banda. Non sentivo da dove mi trovavo, ma era chiaro che Bear, il capo, stava lanciando al nuovo arrivato le sue solite minacce, prima di ordinare ai leccapiedi di attaccare.
Fu un attimo e tutti quanti, furono a terra, colpiti da qualcosa che non ero riuscita a vedere.
«Brucia quei rottami.» sentii dire dall'uomo in completo. Il suo autista alzò la mano e a quel punto pensai di avere a che fare con il Diavolo. Dalle mani dell'autista comparvero delle sfere di fuoco che lanciò contro le motociclette dei feriti.
Ero terrorizzata. Non avrei dovuto assistere a quella scena, sarei dovuta fuggire. Scavalcai di nuovo la ringhiera e mi arrampicai sul cornicione, saltellando per giungere alle scale antincendio, da dove sarei fuggita. Con il cuore che batteva a mille, pensai solo a levarmi di torno, ma appena misi piede a terra qualcosa mi afferrò per i capelli e iniziò a trascinarmi. Iniziai ad urlare e a scalciare, seguendo il terrore che aveva conquistato la ragione. La mia vita faceva schifo. Ma non volevo morire. Ma non importava quello che volevo io. Non era mai importato a nessuno e nemmeno a me.
La presa sui miei capelli svanì e io caddi a terra, respirando l'asfalto duro e ruvido. Le lacrime agli occhi mi offuscavano la vista rendendomi difficile mettere a fuoco. Alzai lo sguardo e vidi un paio di scarpe lucide e dall'aria costosa. Seguendole verso l'alto vidi i pantaloni e vidi l'uomo biondo in completo guardarmi dall'alto in basso. Mi sentii così misera e minuscola in quel momento.
«È lei che ci spiava» affermò quello che mi aveva tirato i capelli. Un uomo grosso e corpulento con un paio di occhiali da sole.
«Questo microbo.» affermò l'uomo con un tono graffiante e pieno di disprezzo. Abbassai lo sguardo, ancora più schifata da me stessa.
«Quanti anni hai?» mi chiese. Non risposi. Non volevo dargli altri motivi per dirmi la verità.
«Stupida bambina, il Capo ti sta parlando!» ringhiò l'autista accendendo le fiamme sui palmi delle mani. D'istinto indietreggiai e andai ad afferrare la gamba dell'uomo.
«Abbassa le fiamme, Norman.» affermò l'uomo. Terrorizzata, lasciai la presa e iniziai a strisciare indietro, tenendo gli occhi fissi sui due stranieri. Finché la mia mano non andò ad urtare qualcosa. Voltandomi, mi ritrovai davanti un volto che mi fissava. Gli occhi erano vitrei e il collo bagnato era stato perforato da qualcosa, facendo uscire un rivolo di sangue. Gridai spaventata. Era uno dei delinquenti. I miei occhi andarono alle mie mani, ritrovandole sporche di sangue. Ero finita nella sua pozza. Mi guardai intorno e notai anche tutti gli altri delinquenti a terra senza vita. Strillai ancora, terrorizzata a morte.
«Zitta bambina, altrimenti sarò costretto a far fuori anche te.» affermò gelido l'uomo. Tacqui all'istante.
«Quanti anni hai» ripeté.
«Io... Nove» mormorai.
«Ci sono altre bambine qui? Oltre a te? Bambine che sono nessuno come te, intendo.» mi chiese. Scossi la testa. Non capivo nemmeno il motivo di quelle domande.
«Che spreco di tempo. Quattrocchi mi aveva detto che qui avrei trovato quello che volevo.» sbottò sprezzante l'uomo.
«Signore, può prendere sempre lei.» intervenne l'autista. Gli occhi gelidi dell'uomo mi puntarono, percorrendomi da capo ai piedi. Mi sentii tremendamente in pericolo quel momento.
«Prendila» disse, poi si voltò verso l'auto.
«È sicuro di non voler cercare meglio?» gli chiese l'autista aprendogli la portiera.
«No. Sono stufo. Pensavo di avere più pazienza ma non è così, mi accontenterò di quelle che ho.» affermò entrando. Dopodiché l'autista mi raggiunse.
«Se fiati o ti muovi ti brucio viva.» affermò l'uomo prendendomi per un braccio e sbattendomi dentro l'auto.
L'interno era pulito, morbido e bianco. Mi ritirai in un angolo, con gli occhi dell'uomo addosso e cercando di non sporcare nulla con le mie mani ancora insanguinate.
Un finestrino si abbassò automaticamente, rivelando la nuca dell'autista.
«Signore, magari negli altri quartieri...» insistette l'autista.
«Tranquillo Norman, non mi sono scordato del tuo premio. Troveremo qualcuna adatta a te.» affermò l'uomo versandosi un calice di liquido rosso.
«In che mese sei nata?» mi chiese indicandomi con il bicchiere.
«Luglio.» sussurrai.
«Inizio o fine?».
«Fine»
«Beh, Norman, siamo fortunati, sarà una Ignis.» ridacchiò. L'autista rise con lui.
«Ragazzina, ti mostrerò il tuo futuro da qui in poi.» mi disse. «Tu servirai me, David Law. Ma prima, ti consegnerai alla B.L.C. e ti farai fare l'operazione. Dopodiché, tornerai da me.» mi disse. Non avevo capito nulla di quel che aveva detto, sapevo solo che la mia vita non sarebbe stata mai più la stessa.

Era probabilmente peggiore della vita da ladra delinquente. Appresi il motivo per cui Law era entrato a far parte della mia vita. David Law aveva una gran passione per... Il genere femminile, ma purtroppo per lui, le giovani Imperium che gli venivano assegnate da Susan Blackwood non erano abbastanza modellabili. Non erano assolutamente devote e per la maggior parte dei casi, lui era costretto a ucciderle per inobbedienza. Non era questo il lavoro dei Luogotenenti. Law sfruttava la sua posizione per avere tutto quel che voleva. Ma non era questo che Susan aveva promesso agli Imperium che passavano dalla sua parte. Per questo Law non amava le persone che venivano direttamente dalla B.L.C., avevano aspettative troppo alte che lui puntualmente deludeva. Perché lui voleva in realtà solo una schiera di servi. Per questo, andava lui stesso alla ricerca di giovani menti, come la mia, influenzandoli a diventare a lui devoti, per poi fare di loro degli Imperium che sarebbero poi tornati da lui. Era un'operazione più rischiosa, diceva, ma migliore, poiché saremmo stati fedeli a lui e non a Susan. Ma in realtà voleva solo toglierci anche l'illusione di poter vivere una vita migliore. Alcuni non tornavano, ma lui poi li stanava. Ma questa situazione valeva solo per le femmine. Gli uomini li prendeva da Susan, e sceglieva sempre Ignis abbastanza stupidi da poter corrompere con denaro e donne.
Io ero ancora troppo giovane. Passavo il mio tempo ad allenarmi da sola. Senza voler essere coinvolta in qualcosa. Temevo il giorno in cui mi avrebbe chiamata nelle sue stanze. Da quelle stanze provenivano... Rumori, voci e suoni...
Ma era una cosa inevitabile.

«Ciao Coral». Law portava la camicia aperta è un paio di pantaloni da tuta e girava con i piedi nudi nel suo appartamento. Nonostante fosse lussuoso, preferivo di gran lunga la mia logora stanzetta al primo piano.
Tenevo sempre lo sguardo basso. Non avevo il coraggio di alzarlo.
«Sei diventata grande» affermò accomodandosi alla sua sedia.
«Quanti anni hai ora?» mi chiese, anche se sapevo che ne era a conoscenza.
«Dodici e mezzo.» dissi con tono fermo. Avevo sentito dire che Law adorava le persone che si lagnavano e piangevano. Volevo mostrarmi diversa, anche se ero proprio quel tipo di persona debole.
«Vieni qui, cara» disse con sussurro. Avrebbe dovuto suonare suadente. Ma mi spaventava e disgustava. Non volevo essere toccata. Non volevo che nessuno mi toccasse. Mi sarei frantumata, rotta come un pezzo di vetro. Non mi mossi dalla soglia.
«Ti ho detto di venire» disse più minacciosamente. Mi costrinsi ad avanzare non sapendo che fare. Chiusi gli occhi, sperando che poi tutto sarebbe finito presto. Sperando che tutto svanisse. Strinsi gli occhi per tutto il tempo, annullandomi, senza piangere, pensando a quando sarebbe finita. Ad ogni tocco mi sentivo più sporca, ad ogni vestito caduto mi sentivo più spezzata.
Lui aveva una passione. Aveva un collare per cani. Serviva per tenere fermi. Ad indebolire perché nessuna usasse i propri poteri su di lui. Ma comunque non avevamo speranza. Lui ci poteva spegnere in qualunque modo.
Alcune Ribelli più grandi dicevano che era bello. Non capivo quale piacere ci provassero. La cosa mi disgustava. E io mi disgustavo. Non osavo dire di no. Pensavo che tutto quello che mi succedeva, fosse normale. Non pensavo che esistesse una vita migliore. Non avevo speranze.
Presto, però, divenni la sua preferita. Mi chiamava spesso.
Ogni giorno mi annullavo. Ma non ero capace di tenermi tutte quelle cose dentro. Mi facevano pensare troppo. E per dimenticare, andavo ad allenarmi. Sfogavo tutto sulle sacche di sabbia. Insultavo tutti mentalmente, mentre davanti agli altri mi comportavo come la debole che ero.
«Coral Caine» qualcuno mi chiamò e mi voltai di scatto. Una delle ragazze di Law mi guardava dall'alto in basso. Indietreggiai di un passo appena vidi il bagliore di una lama dietro la sua mano.
«Non ho fatto niente» affermai intimorita, sotto lo sguardo di quella ragazza.
«Oh, ed invece sì, piccola, schifosa, inutile ragazzina.» sussurrò maligna. Ogni parola affilata mi trafiggeva. Mi sarei dovuta abituare da tempo a tutto ciò, ma non riuscivo ancora ad accettare veramente di non essere nessuno. «Esisti» mi disse. «E sono qui per sistemare le cose» affermò. Strinsi gli occhi quando lei alzò la mano. Ma venne fermata.
Rialzando lo sguardo vidi l' autista Norman cacciare via la ragazza. Poi si voltò verso di me.
«Stai bene?» chiese. Ma non c'era nulla di premuroso nella sua voce. Mi faceva ancora più paura di una ragazza che mi voleva morta. Avanzò di un passo, ma io ne feci uno indietro.
«Ehi, ssssssh, tranquilla.» sussurrò alzando le mani. Per tranquillizzarmi. Ma quelle parole mi misero ancora di più in allarme, parlava come lui. Non avrei permesso che ci fosse stato un altro lui a sopraffarmi.
In un batter d'occhio la palestra andò in fiamme. Saltai addosso all'uomo e inizia a bruciarlo, sfogando su di lui tutta la mia rabbia e aggressività. Ma poi lo sentii urlare dal dolore, un dolore che sarebbe finito solo con la morte. Una morte che sarebbe arrivata se non mi fossi fermata. Balzai indietro, ritornando in me, mentre l'antincendio scattava. L'autista Norman non si riprese mai da quello shock e... La cosa mi piaceva.

Ma anche Law venne a sapere del mio incidente. Dopo ore con quel collare al collo, mi disse che mi aveva promosso.
«Norman non può più essere il mio braccio destro. Quindi quel ruolo andrà a te. Ovviamente ciò vuol dire che passeremo... Molto più tempo insieme.» disse rivestendosi. Mi limitai a guardare i miei polsi rossi, c'erano ancora i segni delle sue dita. Ero così fragile che rimanevano sempre cicatrici. Eppure, mi ero sentita forte quando avevo sconfitto Norman.

Law mi portava alle assemblee, alle visite dagli altri Luogotenenti, ma mi tenevo sempre in disparte. Realizzai da quei viaggi che il mondo era molto più grande di quel che pensassi. Che i Ribelli erano molti di più, che i Luogotenenti non erano per niente tutti come Law. Che forse, c'era qualcosa che mi poteva aiutare. Forse potevo ambire a qualcosa di meglio. Iniziai ad informarmi, a fare ricerche e scoprii che la B.L.C. non era come Law la descriveva. Non avevo passato abbastanza tempo lì, per capire tutte le gerarchie. Studiavo e sognavo e l'idea di potermene andare si fece spazio nella mia mente. Tenni per me quei desideri, ma avere un sogno, mi rendeva più sopportabile qualsiasi cosa. Venni a sapere di Sophie Hunter, e decisi che lei sarebbe stata la mia massima aspirazione. La ammiravo. Credevo fermamente che se fosse tornata, avrebbe risolto tutto.
Intanto, i miei compiti non erano più solo da accompagnatrice.
Diventavo sempre più aggressiva, ogni volta che Law mi ordinava di eliminare qualcuno. Ma non mi limitavo a quello. Mi piaceva provocare dolore, perché mi faceva sentire migliore, e piano piano iniziai a conoscere una parte repressa di me che non conoscevo. Quella parte voleva bruciare tutto. Quella parte voleva solo colpire. Quella parte non voleva essere solo vetro.
Avevo visto più morte io che lui. Il lavoro sporco lo facevo io. Una macchina assassina che non conosceva eguali. Così avevo vissuto la mia giovane età. Ad uccidere. Uccidere. Uccidere. A subire, ad essere il giocattolino perverso di quell'uomo. Ogni volta che combattevo perdevo la mia identità. Mi sentivo divisa in due. Una parte che cercava disperatamente di trattenersi, quella ingenua, che aspettava ancora un glorioso futuro. E l'altra. Una parte che vorrebbe solamente vedere i nemici bruciare assieme a lei.
Continuavo a fare ricerche su Sophie Hunter e la B.L.C. all'insaputa di Law, per potermi in qualche modo liberare dagli incubi che provocavo per colpa sua.
Presto Sophie Hunter divenne l'argomento principale anche di Law che occupato com'era, non aveva nemmeno il tempo di sfruttare me. Era troppo concentrato su Sophie Hunter e su James Sharp. Law si era offerto per essere colui che avrebbe portato a Susan sua nipote, eppure la donna aveva ugualmente assegnato il compito al Geminus. Law si sentiva surclassato.
Poi arrivò la mia opportunità di scappare. Law era andato personalmente a rapire la sorella di James Sharp. Sapevo per esperienza che ogni volta che passava il famoso Geminus nei territori dello Yeti, si formava un gran caos. E avendo la sorella, lui sarebbe arrivato di sicuro.
È così fu. Appena Law ebbe mobilitato i Ribelli per prenderlo, io me ne andai. Presi a correre, diretta il più lontana possibile da quel luogo. Miravo di raggiungere la Base di Miami, non perché fosse la più vicina, ma perché era dove Law non si sarebbe mai spinto oltre che la Base 1. Ma l'Alaska era irraggiungibile per me.

Sentii dire che Law fosse caduto in disgrazia per colpa di James Sharp. La cosa positiva era che non avrebbe avuto tempo per me. Raggiunsi la grande base di Miami, sana e salva, ma gioii troppo in fretta perché mi catturarono e mi buttarono in cella.
Non aspettai molto che qualcuno venne a trovarmi. Era un uomo dalla pelle e i capelli bianchi. Il suo sguardo era freddo e distaccato.
«Mi chiamo Robert Steel» si presentò. «Tu sei la Ribelle che si è consegnata.» disse.
«Sì, signore» affermai con tono fermo.
«Voglio darti una possibilità per riscattarti dai tuoi errori.» mi disse. Abbassai immediatamente lo sguardo e mi sentii una persona sporca e orribile a quelle parole. Speravo veramente che giunta alla B.L.C., tutto si sarebbe risolto.
«Mi occuperò io di te, d'ora in poi.» affermò.
Non era un tono gentile, ma per qualche motivo venni rassicurata.
«Mr. Steel, il telefono.» sussurrò una guardia Imperium.
«Non ora.» replicò Steel.
«Ma... Sembra venga da Las Vegas...» insistette l'Imperium. Quelle parole attirarono l'attenzione dell'uomo.
«Tira fuori questa ragazza e aiutala ad ambientarsi in questa Base.» ordinò l'uomo prima di andarsene. Il ragazzo obbedì immediatamente e aprì la cella.

Non è che quella ragazzina di nome Coral Caine avesse riconosciuto nella B.L.C. un mondo migliore. Semplicemente alla B.L.C. sentiva che il suo sogno di un mondo e una vita migliore potesse realizzarsi. Semplicemente si sentiva protetta e lontana da quelli che l'avevano ferita. Poi, dopo Law, tutti i Ribelli erano diventati suoi nemici e li abbatteva con gioia quando poteva. Prese molto seriamente l'operazione e quando fu assegnata ad una squadra, fu probabilmente la cosa più bella che le fosse mai capitata. Sapeva che Aiden Ryder non si fidava di lei, ma era stato ugualmente la persona più gentile che avesse mai conosciuto. Seth Frost era freddo, ma le aveva dato il benvenuto e un benvenuto era un'accettazione. Nonostante Joanne Sharp avesse chiaramente fatto capire il suo dissenso, non aveva fatto nulla per cacciarla via. Poi aveva conosciuto lei, il suo idolo, Sophie Hunter. Non era come se l'era aspettata, ma non poteva far altro che ammirarla. Avrebbe voluto metterla in guardia da Philip Smith, ma non ne aveva il coraggio. Aveva troppa paura che lui la riportasse indietro. Aveva paura delle conseguenze. Si sentiva finalmente accettata e non voleva perdere tutto. E poi c'era Eli Twain. Il suo primo amico. Il mio primo amico.
Eli era quel genere di ragazzo che andava d'accordo con tutti. Era quel genere di ragazzo che io invidiavo. Era quel genere di persona che non potevi odiare. Era quel genere di persona per cui ti affezionavi. Non mi ero mai affezionata a qualcuno. Speravo di poter avere quel rapporto con Sophie, ma dal momento in cui l'avevo conosciuta, avevo capito che era di tutt'altro livello. Inavvicinabile con la mia sciatteria. Ma Eli, lui era diverso. Lui vedeva più degli altri e nonostante i suoi problemi, aveva trovato tempo per la sottoscritta. Mi aveva fatta sentire migliore e più importante di quanto non fossi, semplicemente parlandomi e scherzando con me.

«Dimmi una cosa, tu vedi dentro le persone?» gli chiesi una volta.
«Spiegati meglio.» mi disse spaccando una roccia con un braccio.
«Nel senso che vedi cosa la gente prova.» affermai imbarazzata.
«Umh, no. Sarebbe piuttosto inquietante, non credi?» ridacchiò accarezzandosi la nuca.
«Ma sembra che tu capisca tutti.» insistetti.
«Oh, beh, perché talvolta le persone emanano... Delle vibrazioni quando si sentono in un certo modo. E io riesco a percepirle, tutto qui. Per esempio, Seth non riesco mai a capirlo. Sembra che nulla lo tocchi. Non emana nulla. Oppure Joanne, lei invece emana fin troppe vibrazioni che mi confondono e non riesco a distinguere quello che sente.» mi rivelò ridacchiando.
«Wow! Dev'essere figo!» esclamai entusiasta. «E io che genere di vibrazioni emano?» chiesi emozionata.
«Tu? Tu sei in costante mutamento.» mi rivelò facendo dei movimenti con la mano. Le foglie sul terreno iniziarono a spostarsi, ma poi capii che non erano loro, ma il suolo su cui erano appoggiati.
«Quando ti ho conosciuta, era un costante "preoccupato" che ti aleggiava intorno. Ma poi, poi con il tempo si è placato. Ma continua ad esserci. Hai paura, hai una costante paura che non dovrebbe esserci, ma questa paura muta in continuazione.».
Quelle parole mi toccarono in un modo diverso. Mi ferirono. Ma non nel modo in cui lo facevano gli altri. Era come se mi sentissi in colpa per quello che ero.
«E tu? Senti le tue stesse vibrazioni?» gli chiesi.
«È questo il mio problema, Cor. Sento gli altri ma non me.» mi disse. Poi mi sorrise. «Qui è pulito, andiamo a mangiare qualcosa. Sento che tra un po' Aiden ci chiamerà, quindi vorrei mettermi prima qualcosa sotto i denti» affermò accarezzandosi in modo esagerato la pancia. Risi.
«Il tuo intuito è infallibile! Meglio muoversi allora! Scommetto che arrivo prima di te, lumacone.» risi allegra correndo verso la mensa.

Poi ci fu il momento della disfatta di Law. Sophie Hunter l'aveva ridotto ad uno straccio. Vederlo strisciare come un verme mi provocò un certo dolore. Ero disgustata da me stessa. Ero disgustata dal fatto di essere stata sottomessa da un essere tanto patetico. Ero felice che Sophie gli avesse dato quella lezione. Ma sentivo che sarei stata più felice se l'avessi ridotto io in quel modo.
Le cose successero troppo in fretta. Lui si liberò dalla presa del terreno di Sophie e puntò con una lama ghiacciata su di lei. Lei non se ne accorgeva, mi sorrideva, come se avesse dato una lezione a Law per me. Sfilai la lama dalla cintura e lo affondai nel suo petto. Sentii la carne trapassarlo, fissai i suoi occhi sgranarsi e il rivolo di sangue sporcargli il mento. Era stupito. Davvero non se l'aspettava? Affondai nuovamente la lama, questa volta più in profondità, fino all'elsa. Dovevo assicurarmi che perisse, che non facesse più del male a nessuno. Quell'uomo mi aveva rovinato la vita. Mi aveva sporcata ed infangata e in quel momento stava morendo. Stava morendo per mano mia. Crollò a terra, ormai privo di vita, ma non potei far altro che prendere quel sacco di merda a calci. Calci sempre più forti. Non era giusto che fosse morto così. Non aveva pagato niente. Non era giusto. Troppo comodo. Qualcuno mi fermò dall'assalto, ma io volevo ancora prenderlo a calci. Però era morto. Era morto e io non potevo fargliela pagare più di così. Era morto e io avevo ancora paura di lui. Era morto senza capire i suoi errori. Questi pensieri mi tormentavano ogni notte, senza lasciarmi in pace. Non riuscivo a star bene con me stessa, perché ogni volta che mi guardavo allo specchio, vedevo ancora i segni che lui aveva lasciato. E poi ero impura. Nonostante avessi solo quattordici anni, non potevo vantare della mia castità. Mi sentivo orribile e schifosa. Ma cercavo sempre il modo di riscattarmi. Dando il massimo contro i Ribelli, liberando la mia bestia interiore e cercando di farmi più amici possibili. Magari iniziando dai Gemelli.

«Mi dispiace» sussurrai. Mi sporsi e l'abbracciai stretta, mentre delle lacrime iniziarono a spuntarmi dagli occhi.
«Ah! Non dire così!» esclamò lei agitata.
«Oh, scusami. Non vuoi essere abbracciata.» esclamai scansandomi e asciugandomi gli occhi con il dorso della mano. Anche lei aveva iniziato a piangere.
«Non ti ho mai chiesto scusa per averti trattata male quando ci siamo conosciute» affermai.
Lei scosse la testa.
«Avevi problemi ben più grandi.» mi scusò.
«Io... Sono tua amica.» le dissi sorridendo.
Lei fissò con i suoi occhioni da cerbiatto per poi aprirsi in un ampio sorriso.
Il momento di complicità durò poco. Una feccia infuocata ci passò in mezzo e andò a conficcarsi nel muro. Ne seguirono altre.

Angolo Autrice

Tandan! Scusatemi, avrei dovuto pubblicare ieri ma non sono riuscita a finire in tempo 😖.
Beh, spero che questo capitolo vi abbia chiarito un po' di cose.
Sinceramente è stato difficile scriverlo. È un argomento sensibile e io non ho le capacità per renderlo migliore. Scusate 😔.

Angolo riflessione
-Quest'oggi si parla di Coral Caine. Qualche commento su di lei?
-Cosa ne pensate dei miei finali di capitolo?

Giochino del giorno.
Descrivete il vostro personaggio preferito dettagliatamente e lasciate che siano gli altri ad indovinare di chi state parlando. Però, dovrete descriverlo in modo originale, per esempio attraverso metafore, paragoni, poesie, dialoghi eccetera e non in elenco.

Detto questo vi propongo la notte della dichiarazione pitturata a caso da me.

Il prossimo capitolo è dal POV di James e vanta il titolo "Ambiguo".

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