The Only Exception //IN REVIS...

By rachele_stylinson

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Dove Louis è un ragazzo insicuro che ama leggere libri per bambini e Harry un ragazzo più grande, che si doma... More

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27 "The End and the beginning"
Epilogo

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By rachele_stylinson

Faceva freddo.

La neve spumosa e candida scendeva pigramente dal cielo volteggiando nella notte come una pioggia di piccole piume trasportate dal vento;
I fiocchi di neve, così grandi da fare impressione, si depositavano come una morbida coperta su tutto il profilo delle campagne inglesi, imbiancando completamente ogni singolo lembo di terra ed avvolgendo il paesaggio in una sorta di temporanea quiete organizzata.

Era il 24 dicembre 1999 e la piccola cittadina di Doncaster nello Yorkshire veniva lentamente sepolta dal gelido manto dell'inverno ormai già inoltrato.

Quella notte, mentre l'intero borgo veniva imbiancato, nessuna persona era sveglia.
Se ne stavano tutti rannicchiati nel propio letto sotto enormi plaid colorati: chi accanto al focolare per evitare di congelarsi, chi appallottolato nelle coperte come un bruco nella sua crisalide, chi con le braccia intrecciate al corpo di un'altra persona per stare più vicini e scaldarsi a vicenda... C'era persino chi se ne stava avvinghiato al proprio cuscino, per sopperire almeno per poco alla mancanza di calore e di affetto nel  proprio solitario giaciglio.
Fatto sta che in quel momento tutta la città aveva gli occhi chiusi e la mente persa nel mondo dei sogni.
Tutti, davvero,
Fatta eccezione per un bambino di appena 8 anni con una zazzera di capelli castani terribilmente scompigliata e gli occhi blu come la notte più scura.

Il piccolo Louis Tomlinson, a differenza probabilmente di tutti i suoi sonnacchiosi coetanei, se ne stava comodamente seduto sul davanzale della finestra della sua piccola stanza; osservava i fiocchi di neve depositarsi pigramente sull'erba ingiallita del suo
giardino, senza neppure una briciola di sonno ad appannargli lo sguardo e la mente. Se sua madre lo avesse beccato ancora sveglio a quell'ora probabilmente lo avrebbe fatto nero, questo Louis lo sapeva benissimo, Eppure quei meravigliosi fiocchi bianchi, così grandi e soffici che parevano quasi batuffoli di cotone, lo incantavano. E nonostante nella sua mente si fosse ripetuto più  e più volte di cercare di dormire, non riusciva in alcun modo a distogliere lo sguardo dal suo giardino ormai quasi totalmente imbiancato.
Era come in trance, ipnotizzato dalla danza lieve ed inevitabile di quella specie di minuscoli astri gelati che pian piano cancellavano qualsiasi colore del mondo sostituendolo con il loro infinito candore.
Louis aveva da sempre condiviso la sua smisurata passione per l'inverno, infatti non c'era anima viva all'interno della famiglia che non sapesse quanto quella stagione gli stesse a cuore. Però non tutti sapevano che la vera passione del bambino dagli occhi d'abisso erano, appunto, quegli enormi fiocchi di neve. Louis li aveva sempre ammirati con timorata devozione ed in un certo senso li invidiava, persino...
Aveva invidiato la leggerezza con cui danzavano nell'aria gelida, il loro potere di depositarsi sulle cose e cancellarne la consistenza, immergendoli nella loro dimensione di realtà statica ed eterna, dove il candore nasconde le crepe ed i difetti e riesce a persuaderti nel credere che la bellezza risieda anche dove non c'è.
Soprattutto gli invidiava il volo, o almeno, la leggerezza con cui ogni singolo fiocco fluttuava nell'aria per poi depositarsi delicatamente a terra, indipendentemente dall'altitudine e dalla distanza percorsa in caduta.
L'ultima volta che Louis aveva provato a 'volare' risaliva giusto alla primavera precedente, quando si era buttato fiducioso dalla finestra della sua stanza immaginando di essere una rondine, volando esattamente per 3 metri in una ripida picchiata che gli era costata un braccio ed una gamba rotti, le urla isteriche ed i rimproveri di sua madre, più una notte di ricovero in ospedale.
Non un gran guadagno effettivamente, ma questo lui non poteva saperlo prima di saltare.
Per un secondo, un secondo soltanto, l'aveva sfiorato, cadendo, il pensiero che lui non avrebbe mai potuto neppure avvicinarsi alla leggera destrezza di una rondine, o all'immacolata perfezione di uno dei suoi adorati cristalli di pioggia congelata, ma questo pensiero fu così dolorosamente fugace da sparire nell'esatto istante in cui il suo corpicino gracile stramazzò al suolo.
L'impatto, a quanto poteva ricordare, era stato devastante e brutale, niente di paragonabile a tutte le cadute che gli erano capitate in precedenza nella vita.
Per un millesimo di secondo prima di svenire, Louis ebbe persino il coraggio di domandarsi se pure la neve dovesse sentirsi a quel modo una volta depositatasi a terra... eppure, quando si fu svegliato, di questi pensieri già non gli era rimasto nulla, non una sola briciola, come ghiaccio al primo disgelo.
Ma aveva 8 anni il piccolo Louis, alla sua età certe idee vanno e vengono come le foglie degli alberi...
E Nonostante questo, c'erano molte altre cose che il piccolo ammirava della neve!
La lista era lunga, interminabile. Louis avrebbe potuto scrivere un libro un giorno su tutte le cose che sapeva ed apprezzava di quella stagione.
Eppure, a dirla tutta, c'era una sola cosa che il bambino dagli occhi azzurrissimi non gradiva, ed ironia vuole che questa fosse probabilmente la caratteristica che più accomunava e separava  al contempo i due:

La freddezza.

La gelida freddezza che gli intorpidiva le dita ogni qualvolta ne tenesse un cumulo tra le mani. Louis la detestava! Oltre a causargli spesso febbre e raffreddore- conseguenza abbastanza ovvia data la sua corporatura minuta e la sua salute a dir poco cagionevole- quel gelido torpore, Quel brivido freddo che lo percorreva piano lungo tutto il corpo e che gli faceva accapponare la pelle, lo trovava fin troppo familiare.

Non era mai stato un bambino agitato.
A dire il vero il suo passatempo preferito era sempre stato quello di sedersi sotto il suo salice piangente ed ascoltare sua madre leggere con amore le sue storie preferite per ore ed ore. Lui non giocava alla guerra come gli altri bambini della sua età, e non rincorreva le bimbe solo per far loro dispetti e metterle in imbarazzo.
A lui, semplicemente, era sempre bastato un buon libro, una bella voce, ed una storia che lo trasportasse lontano, ed improvvisamente ecco che davanti ai suoi occhi si aprivano un'infinità di vite diverse.
Sua madre aveva letto per lui sin dai suoi primi attimi di vita, quando ancora non era altro che un minuscolo esserino addormentato nel suo grembo, e Louis avrebbe sempre pensato a questo fatto come ad un segno del destino. La lettura era da sempre stata l'unica cosa realmente in grado di calmarlo, persino durante le liti dei suoi, o quando l'atmosfera in casa diventava così pesante da ostruirgli i polmoni, al piccolo bastava chiudersi in uno dei quei mille rifugi della mente e dimenticarsi almeno per un po' chi era e cosa realmente significasse vivere nel suo mondo.
Aveva imparato a leggere all'età di 5 anni, e per quanto suo padre non fosse d'accordo, Louis non si era mai allontanato da casa senza un libro da allora.
Era il suo rifugio segreto, il suo modo di nascondersi senza doversi preoccupare di essere ritrovato.
Mentre leggeva, il bambino dagli occhi profondi spariva completamente dal mondo che lo circondava, ed all'improvviso non era più Louis Tomlinson ma Sherlock Holmes, pronto per risolvere l'ennesimo caso di omicidio, Oppure Oliver Twist! Il piccolo orfano dalla vita piena di avventure! Oppure ancora, il suo amato Peter pan! Il ragazzo che non voleva crescere e che insieme a Wendy e ai suoi fratelli avrebbe volato per sempre, spensierato, verso l'isola che non c'è.
A volte gli piaceva nascondersi nella sua stanzetta, sdraiarsi a terra e chiudere gli occhi stretti stretti, così da cancellare ogni colore, ogni sagoma, ogni ricordo del mondo reale, immaginando con forza di trovarsi all'interno di una qualunque di quelle favole.
Immaginava, ogni tanto, di essere l'eroe della storia e non solo una comparsa.. ed amava quell'illusione come amava poche altre cose al mondo. La amava ancor più del gelato alla vaniglia, o delle feste di compleanno, forse persino più della neve!
O forse no...
Forse era ancora troppo piccolo per ragionare davvero su un pensiero simile, eppure gli sarebbe piaciuto un giorno avere un valore...
Gli sarebbe piaciuto un giorno avere un valore per qualcuno...
Louis non era molto bravo a farsi amici, per essere onesti. Era una di quelle cose da cui cercava di sfuggire con il pensiero il più delle volte, ma su cui ogni tanto gli era inevitabile soffermarsi.
Certo, i suoi lo spedivano spesso e volentieri a giocare con il figlio dei vicini, Stanley ('Stan per gli
Amici') Lucas, ma per dirla tutta a Louis, Stan, non era mai veramente andato a genio...
il piccoletto dalla folta testa di ricci ed il viso pallido ricoperto di lentiggini, parlava continuamente ed incessantemente di tutte le marachelle che combinava nella giornata. Ogni giorno ne combinava una nuova, fra le più eclatanti Louis ricordava la volta in cui aveva scarabocchiato il muro di casa con dei marker indelebili per fare dispetto al padre che non lo aveva portato allo zoo per il compleanno, oppure quando aveva lanciato dalla finestra dell'aula lo zaino di un suo compagno di classe solo perché il poveretto non gli aveva passato le risposte del test di matematica, o ancora di quando aveva sollevato la gonna alla piccola Lucy Rose davanti a tutti i suoi compagni solo per prenderla in giro...
A Louis, Stan, sarebbe dovuto sembrare un tipo forte! O Almeno, questo era l'immaginario generale dei suoi coetanei nei confronti del suo vicino di casa,
Però, per quanto si sforzasse, non riusciva a compiacersi delle sue assurde marachelle. Non importa quanto ancora ci avesse provato, probabilmente non ci sarebbe riuscito mai.
Non riusciva a trovare divertenti o anche lontanamente interessanti le storie che Stan gli raccontava ogni qualvolta si trovavano per giocare, e per quanto fingesse, la sue mente trovava sempre il modo di allontanarsi e fuggire, sviando su qualsiasi cosa fosse anche lontanamente più interessante.
Infondo quelle che Stan chiamava "avventure" erano nulla confronto a quelle di cui lui aveva letto nei suoi libri, no? Valeva davvero la pena di considerarle come tali?

Chissà... Ma torniamo a noi

Indubbiamente Il nostro piccolo Louis era un gran sognatore! E la sua fervida immaginazione lo trasportava sempre in posti magici e fantastici dove potersi avventurare e divertire come più gli piaceva.

Peccato che questo non andasse molto a genio ai suoi coetanei..
Ecco infatti perché Louis era anche e soprattutto un bambino estremamente solo;
Non giocava mai alla lotta e non inseguiva mai le bambine della sua classe per dar loro fastidio come invece facevano tutti gli altri.
Non rideva alle battute o ai versacci di Stan, che in genere erano sempre causa di ilarità e trambusto durante le ore i lezione,
Ma sopratutto, a scuola Louis non parlava.

Mai.

Ben presto venne emarginato dagli altri. Era diverso... "troppo silenzioso e tranquillo" aveva detto l'insegnante ai suoi genitori, il primo anno di scuola elementare.

"Deve aprirsi di più! Per farlo parlare bisogna tiragli fuori le parole di bocca. Non gioca mai con gli altri, all'intervallo se ne sta solo soletto seduto al banco a leggere i suoi libri... Se provi a chiedergli 'chi è il tuo migliore amico?' Lui risponde 'Peter pan'! Mi dispiace dirle queste parole, signora Tomlinson... Ma suo figlio ha qualcosa che non va"

Quella sera, Louis aspettava che sua madre terminasse il colloquio con l'insegnate al di fuori della porta della sua aula. Giocherellava con le sue piccole dita nervosamente, spaventato da cosa la maestra potesse dire alla sua amata mami in uno dei pomeriggi più bui e freddi dell'anno. Fuori dalla grande finestra che si affacciava sul cortile della scuola, i suoi amici fiocchi di neve scendevano piano dal cielo argentato e lui ne seguiva i movimenti lenti con i suoi grandi occhi di bambino, tentando, come meglio poteva, di rilassarsi e di respirare.
Il gelo che andava pian piano stratificandosi dentro di lui era, a quel punto, quasi percepibile a contatto con la sua liscia pelle di fanciullo, quasi come fosse fatto di marmo o di bronzo ed il freddo gli passasse attraverso senza trovare resistenza. Non sapeva spiegarsi il perché di quella sensazione, tantomeno sapeva spiegarsi quando fosse iniziata a dilagare in modo così preoccupante.
Forse era stato quando suo padre era andato a comprare le sigarette per l'ultima volta.
Quella sera sua madre aveva pianto tanto e Louis non ne aveva ancora compreso il motivo. Suo padre era uscito, come di consueto accadeva negli ultimi tempi, indossando il cappotto buono e gli stivaletti pesanti, portando con sé uno zaino ed una sacca simile a quella dov'è babbo natale trasporta i regali.
Aveva chiuso la porta alle sue spalle senza fermarsi a lungo a salutare, e quando l'aveva visto, nascosto sul ciglio della porta della sua stanza ad osservare la sua fuga silenziosa, aveva preso un lungo respiro ed aveva borbottato di aver finito le sigarette.
Papà fumava molto, lo aveva sempre fatto. Louis ricordava ancora l'odore penetrante del tabacco sui suoi vestiti ed il fumo grigiastro che gli scaturiva dalle labbra mentre guardava le partite in televisione. Negli ultimi anni il vizio l'aveva portato ad uscire sempre più spesso di casa per recuperare altre sigarette, quasi sempre a seguito di una brutta discussione con la mamma, ed ogni volta passava sempre un po' più di tempo prima che lui tornasse.
A volte si trattava di giorni... altre volte, di mesi...

Quella fu l'ultima volta che Louis vide il volto di suo padre.
Ed ancora, nel suo candore ingenuo di fanciullo, cercava nonostante tutto di convincere se stesso che prima o poi l'avrebbe visto rientrare da quella stessa porta solo per lui.
Per un po' l'aveva aspettato lì ogni sera.
Per un po' aveva voluto credere alla sua stessa bugia.
Eppure, alla fine, aveva capito.
Aveva realizzato perché la mamma stesse piangendo così tanto quella sera e mai in vita sua si era sentito così inutile a qualcuno...
Più avanti, aiutandola a fare pulizia delle cose che papà si era lasciato alle spalle, avrebbe trovato nascoste in mezzo a pile di vecchi vestiti almeno una decina di pacchetti di sigarette intatti, quelle stesse Dannatissime sigarette che suo padre si lamentava di finire così spesso.
Non l'avrebbe mai più aspettato. Nè perdonato. Ed, in cuor suo, sperava con tutte le sue forze che non facesse mai più ritorno nella sua vita.
Eppure qualcosa di lui era rimato per sempre. Ed era quel gelo. Quel freddo insostenibile che non fece altro che diffondersi e crescere insieme a lui, come il gemello che non avrebbe mai voluto. Come il fantasma di cui non avrebbe potuto liberarsi mai.

Lì, su quel davanzale, quel 24 dicembre, Louis ripensava intensamente a quella sera, mentre aspettava che sua madre terminasse il colloquio pre pagellino e all'esterno la neve cadeva lenta ed ipnotica a colmare le mancanze; si chiedeva cosa fosse realmente accaduto dentro di se quando, pensando a suo padre mentre contemplava il cortile imbiancato, aveva per un secondo distolto lo sguardo, ed i suoi occhi freddi ne avevano incontrati un altro paio: verdi, immensi, così meravigliosamente caldi da sciogliere in un istante tutto il gelo di quell'inverno infinto.

Si trattava di Un ragazzino alto e smilzo dalla folta criniera riccioluta, che stava saltellando allegramente per il corridoio principale insieme ad un gracile biondino dall'accento (secondo lui) decisamente strano.
Per un secondo, un secondo soltanto, quell'ammasso informe di capelli si era spostato nella sua direzione, ed era stato lì che le aveva viste: quelle due pozze di acqua smeraldina screziate d'oro come la superficie di un lago in un pigro pomeriggio d'estate, come un germoglio di quercia in procinto di sbocciare, o i rami del suo amato salice che ondeggiavano piano trasportati dalla brezza estiva...
Louis non era capace di descrivere cosa avesse provato in quel momento. Non avrebbe saputo descriverlo neppure se ci si fosse impegnato!
Una sorta di calore... un tepore inaspettato lo aveva attraversato piano e si era depositato in lui, come fosse stato un abbraccio, ma non uno qualsiasi, bensì uno di quelli che non ti aspetti e che ti coglie alla sprovvista quando più ne hai bisogno. Era una sensazione nuova, intrusiva, ma terribilmente piacevole e Louis ne fu maledettamente imbarazzato, tanto che percepì le sue guance farsi rosse con la stessa violenza con cui il suo cuore gli affondò ne petto.
Il ricciolino gli aveva sorriso.
Un sorriso sdentato e fatto di fossette (tantissime fossette), ma uno dei più bei sorrisi che il piccolo avesse mai visto. Osservando quelle increspature perfette nelle sue guance a Louis nacque nello stomaco l'irresistibile desiderio di avvicinarsi e toccarle.
Non sapeva perché, ma sentiva che se l'avesse fatto, una parte della sua anima l'avrebbe ringraziato per sempre. È buffo come a volte basterebbe così dannatamente poco per iniziare qualcosa di grande: un briciolo di coraggio in più, l'attitudine a prendere le cose quando arrivano e come arrivano. Però questo non è il nostro caso.
E Louis era un bambino timido, troppo timido.
Così aveva semplicemente distolto lo sguardo, interrompendo la magia, tornando a fissare i suoi amati fiocchi candidi mentre il tempo intorno a lui tronava a scorrere ad un ritmo normale.
Il suo piccolo cuore stava affondando nel suo petto con una velocità costante mentre, piano piano, il calore che lo aveva infiammato fino a qualche attimo prima si diradava lentamente, abbandonandolo.

Sua madre era uscita dall'aula del colloquio subito dopo, la sua faccia leggermente preoccupata ed un po' triste. Lo aveva preso dolcemente per mano, con la solita delicatezza che il bambino aveva sempre amato, e lo aveva condotto fuori dal istituto in silenzio, a piccoli passi.

Il piccolo Louis si era guardato per un attimo alle spalle mentre si dirigeva verso l'uscita, con il cuore che batteva un po più forte ed un briciolo di speranza ad accendergli lo sguardo.
Ma ormai era tardi.

Occhi caldi era scomparso nel nulla.

Una volta a casa sua madre gli aveva parlato. Gli aveva riferito le parole della sua insegnate e Louis aveva visto nei suoi occhi una preoccupazione che mai la donna aveva mostrato in sua presenza.

"Vedi Tesoro... So che a causa di papà hai sofferto molto. Ho sofferto anche io, lo sai... Però non puoi continuare così. Non puoi chiuderti in te stesso e tagliare il mondo fuori. I tuoi compagni non giocano con te perché non sanno come prenderti, le maestre dicono che a stento rispondi loro quando vieni interpellato..." Stringeva con le mani affusolate la stoffa purpurea della sua sciarpa preferita e teneva gli occhi stanchi puntati sulla testa china e scarmigliata del figlio.
Louis non aveva il coraggio di alzare lo sguardo. Dopo tutto quello che aveva passato sua madre si sentiva solo un ulteriore delusione per lei e non sarebbe mai e poi mai riuscito a sostenere il suo sguardo, soprattutto in quel momento.
"Louis..." Lo aveva chiamato lei piano, ed il piccolo aveva lentamente alzato gli occhi dalla superficie rugosa tavolo.

"Tesoro mio... Sai che ti voglio bene con tutto il cuore, vero?" Aveva continuato, attirandolo a se e cingendo le sue spalle in un morbido abbraccio caldo...
'caldo come quegli occhi' fu un pensiero fugace, ma fu abbastanza per farlo arrossire di nuovo.
Aveva annuito, con il viso schiacciato contro il suo seno per nascondere al mondo il rossore del suo viso, ed aveva accennato un piccolo sorriso mentre le sue dita affusolate gli accarezzavano i capelli con delicata premura. Sua madre era la persona che più amava sulla faccia della terra, l'unica veramente in grado di capirlo e di apprezzarlo per com'era.
"Anche io ti voglio bene mamma" aveva sussurrato a contatto con il suo petto, aprendo bocca forse per la prima volta nella giornata.
La sua voce era infantile e tenera, molto più acuta rispetto a quella degli altri bambini della sua età. Louis la odiava perché una volta, in classe, Stan l'aveva paragonata a quella di una bambina e tutti avevano riso di lui. Era anche questo uno dei motivi per cui a Louis non piaceva parlare molto, ma questo alla mamma non l'avrebbe mai raccontato.

"Cerca di collaborare con gli altri quando sei in classe, okay? E ti prego... Parla! hai così tante belle cose da dire piccolo mio... non tenerle sempre tutte per te"
Sua madre gli sorrise, con il sorriso luminoso e perfetto che riservava solo per quelle occasioni. Gli lasciò un bacio rumoroso sulla fronte, facendogli arricciare il naso per un momento e procedette a scompigliargli leggermente il lungo ciuffo di capelli che abitualmente stava a coprirgli gli occhi. Dopodiché si alzò, stanca, e si diresse a piccoli passi verso la sua camera.
"Mamma!" La richiamò lui, mentre già stava salendo le scale diretta al piano superiore.
"Si, Tesoro?" Lo guardo, la stanchezza adesso palpabile nella sua voce.

"Tu amavi papà...Vero?"

Louis non potè vederlo, ma gli occhi di lei si inumidirono quasi all'istante e la sua mano, così affusolata e morbida, strinse il corrimano di rovere così forte da farsi sbiancare le nocche. Si ripeté più volte che non doveva piangere, non lì, non davanti al suo bambino, e così riuscì a trattenersi quel poco che bastava per apparire tranquilla e mantenere intatta la sua inoppugnabile armatura.

"Si, lo amavo... Ma non mi importa! Non più ormai. E sai perché?"
Louis scosse goffamente la testa.
"Perché io ho te, amore mio. E questo è tutto ciò di cui ho bisogno al mondo" sorrise, la voce appena incrinata, ed il piccolo percepì una fitta al cuore che per un attimo lo paralizzò sul posto.
Le sorrise.
Delle minuscole rughette d'espressione si formano ai lati dei suoi occhi, prova inconfutabile che il sorriso fosse sentito e sincero. Sua madre Distolse lo sguardo dopo qualche secondo, mentre una lacrima solitaria le rotolava sulla guancia in silenzio ed andava a depositarsi sulla stoffa morbida della sua sciarpa ormai spiegazzata. Si diresse a passo un po' più veloce verso la propria stanza, mentre sentiva alcuni singhiozzi già pronti a spezzarle in due il respiro e quando si chiuse finalmente la porte alle spalle poté lasciarsi andare in un disperato, silenzioso, eccesso di pianto.
Gli occhi di Louis rimasero persi ad osservare le scale deserte ancora per qualche minuto.

La sua mente sommersa da infinite tonalità di verde e profumi estivi.

Il piccolo ancora non riusciva a capacitarsi del perché... Non sapeva niente di quell'esperienza sconosciuta, in tutti quegli anni di scuola (ben 3!) non una volta gli era capitato di vedere quel bambino in quello stesso corridoio.
Come ti chiami, occhi caldi... chi sei?
Era questo il quesito della serata, e non poteva fare a meno di pensarci, mentre dondolava i piedi nel vuoto ancora seduto su quel davanzale.
Quella notte di neve, a Doncaster, tutta la città stava dormendo. Tutti quanti, nessuno escluso, eppure Louis esitò ancora per un attimo sul ricordo di quel bambino, sulla perfezione di quei due solchi che scavavano avidi sulle sue guance lisce ed arrossate. Aveva sorriso per lui... e quel sorriso aveva smosso un uragano capace di distruggere in un attimo ogni sua barriera.
Poi però Louis ricordò il giaccone pesante, l'odore del tabacco sui vestiti, i pacchetti di sigarette rinvenuti nell'armadio... le lacrime della mamma...
"Sì, lo amavo..."
queste parole gli trapanavano il cervello tanto quanto il tanfo del tabacco che ancora ogni tanto percepiva in salotto. Se l'amore poteva realmente ridurre una persona in quello stato, Louis pensò che non avrebbe mai voluto amare. Decise che non l'avrebbe fatto, che non ci sarebbe cascato, così Sarebbe stato al sicuro dal dolore, così non avrebbe dovuto dimenticare.

Il suo piccolo orologio emise un suono simile ad un 'bip' e lo sguardo freddo del bambino guizzò sull'oggetto appoggiato placido affianco al suo lettino. Il display segnava mezzanotte in punto e lui sorrise mentre nuovamente tornava a guardare fuori dalla finestra.

Era il 25 dicembre 1999 ed in quel momento Louis promise alla notte che non avrebbe amato mai.
Aprì lievemente la finestra- tremando un poco per il freddo pungente- e si affacciò ad osservare la sua amata Doncaster di notte. Tutto era tranquillo e la neve continuava a scendere pacifica e silenziosa come sempre aveva fatto. Il piccolo chiuse gli occhi e nella sua mente si proiettò per un istante ancora l'immagine del ragazzino dalle guance forate e dai folti ricci castani.

"Buon Natale occhi caldi" aveva mormorato con un filo di voce. Quella frase si era pesa nel vuoto, attutita forse dalla neve come da un cumulo di ovatta, Louis esitò ancora un secondo sul davanzale, ad aspettare quasi che la neve gli desse una risposta, ma dopo qualche minuto di assoluto silenzio si tirò indietro e richiuse con attenzione la finestra della sua stanza.
Pronunciare quelle parole lo fece sentire meglio, quasi come se avesse rivelato un segreto alla notte e le avesse così chiesto di custodirlo al posto suo.
Si ritirò infine sotto le coperte calde del suo letto, con il petto più leggero e gli occhi già socchiusi e
Lascio che il tepore delle coperte lo cullasse dolcemente verso il sonno.

Suo malgrado, sognò fervidamente quella notte, e sognò di perdersi in un abisso di smeraldo, cullato da onde sommesse che parevano insenature profonde.

"That was the day that I promised I'd never sing of love if it does not exist, but darling You are the only exception"

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