Bruciare ||Harry Styles ||

FleurduMar tarafından

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ATTENZIONE QUESTA E' UNA FANFICTION RATING ROSSO a causa di un linguaggio a volte molto volgare e la numerosa... Daha Fazla

1 - Dolce attesa
2 - Silentium!
3 - Saprai che non t'amo e che t'amo
4 - Un amore, violento, fragile, disperato
5 - Bevo a una casa distrutta
6 - Never give all the heart
7 - La madre
8 - Non andartene
9 - Ah, che nostalgia ho di te
10 - Ah! L'amor, l'amore ond'ardo
11 - Chiudi gli occhi amore, lascia che io ti faccia cieca
12 - Quand je t'aime
13 - Quando non c'è più rimedio è inutile addolorarsi
14 - Molta pazzia è divino buon senso
15 - Se tu vuoi un amico addomesticami
16 - Metti a repentaglio tutto ciò che hai
17 - Colui che genera un figlio non è ancora padre
18 - Forse tutta la vita non è che un sogno continuo
19 - Piccoli atti di coraggio
20 - La vita è breve
21 - Prigioniero
22 - Ci sono sempre due scelte nella vita
23 - Ci sono vuoti che le parole colmano
24 - Poi sei venuta tu
25 - Come geloso io soffro quattro volte
26 - Non è il tuo amore che voglio
28 - Conosco vite di cui potrei fare a meno
29 - Dove è odio, fa' che io porti l'amore
30 - Fidati dei tuoi istinti e accetta la vita così com'è
31 - Qualunque sia il destino
32 - I vostri figli non son vostri figli
33 - Si chiama amore
34 - Legami di sangue e di rispetto

27 - At this point in my life

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FleurduMar tarafından

A questo punto della mia vita,

ho fatto tante cose sbagliate, non so se riesco a fare cose giuste

Se mi dai la tua fiducia, spero che non ti deluderò

Se mi dai una possibilità, io ci proverò.

Vedi è stata una strada difficile quella che ho percorso

E se prendo la tua mano, potrei condurti lungo il sentiero della rovina.

Ho avuto una vita dura, te lo dico perché tu possa capire

che ora come ora, sto facendo del mio meglio

A questo punto della mia vita..

A questo punto della mia vita,

anche se ho quasi sempre camminato nelle tenebre

sto ancora cercando la luce

Avrai fiducia in me?

Sappiamo entrambi che è questo che conta.

Se mi dai una possibilità, io ci proverò

Vedi ho salito scale, ma per lo più sono caduto giù,

Ho cercato di raggiungere un'altura, perdendo terreno

Vedi ho conquistato colline, ma ho ancora montagne da scalare

E ora come ora, sto facendo il meglio che posso

A questo punto della mia vita,

Prima di fare un passo

Prima di prendere quella strada

Prima che io faccia promesse

Prima che tu abbia dei rimpianti

Prima di parlare di impegno

Lascia che io ti racconti del mio passato

Tutte le cose che ho visto e ho fatto

Le cose che mi piacerebbe dimenticare

A questo punto della mia vita...

A questo punto della mia vita,

mi piacerebbe vivere come se solo l'amore fosse importante

Come se la redenzione fosse vicina,

Come se cercare di vivere onestamente

fosse tutto ciò di cui ognuno ha bisogno

Non importa, se ci provi

Vedi, quando ho toccato il cielo

La gravità della terra mi ha tirato giù

Ma ora ho capito che in questo mondo

Gli uccelli e gli angeli hanno le ali per volare

Se riesci a credere in questo mio cuore

Se puoi darmi una possibilità

La coglierò, proverò e ti darò

Tutta la dolcezza che ho

A questo punto della mia vita

A questo punto della mia vita

(canzone di Tracy Chapman)

Era sabato sera, uno come tanti, l'ennesima serata noiosa e triste, trascorsa con amici sposati o fidanzati e con qualche scapolo impenitente che si limitava a guardarla, soppesando la sua disponibilità a rotolarsi in un letto per le successive tre ore per poi, altrettanto rapidamente, dileguarsi senza fare troppe storie.

Judith si era mortalmente pentita della scenetta organizzata ai danni di James e si era data della cretina per giorni e giorni. In fin dei conti a lei aveva fatto piacere ascoltare quell'uomo, l'aveva lusingata l'idea che avesse scelto proprio lei per sfogarsi un po'. Si era compiaciuta del fatto che, oggettivamente, James avesse tratto beneficio da quelle lunghe chiacchierate davanti a un boccale di birra. Era davvero così importante che formalizzasse quegli incontri con una richiesta in carta bollata? No, dannazione!

Sorrise fintamente all'ebete di turno, che mangiava un'oliva guardandola in modo eccessivo e spogliandola letteralmente con gli occhi. Come diamine l'era venuto in mente di andare a quella ridicola festa. Lo sapeva benissimo come le era venuto in mente, l'aveva fatto perché non ne poteva più di trascorrere le sue serate da un pub all'altro, sperando d'incontrarlo casualmente. Era anche passata sotto il suo ufficio un paio di volte, ma non era riuscita mai a intercettare l'orario giusto d'uscita e si era data mentalmente della deficiente, visto che le sembrava di essere regredita ai quindici anni.

Avrebbe pagato per essere accanto a James, sentendolo parlare di Lydie. Ripensandoci in realtà, negli ultimi giorni, non ne aveva neanche parlato troppo, aveva ragionato più che altro sull'amore in sé, sulla vita, sulla morte e sul divenire padre... ahia!

Argomento doloroso, troppo doloroso per lei.

Forse era per quel motivo che aveva reagito chiudendosi a riccio e tirando fuori quella scemenza del voler essere invitata ufficialmente fuori. Bella lezione che gli aveva dato! Adesso era di nuovo sola, circondata da amiche sposate che, loro malgrado, la facevano sentire a disagio o da uomini terribilmente noiosi e prevedibili. Prese il cellulare, cercò nella rubrica e trovò il numero di James, lo aveva chiesto a sua sorella due anni fa, subito dopo averlo conosciuto, ma non aveva mai avuto il coraggio di chiamarlo, sentendosi troppo sciocca per fare davvero un passo del genere a rischio di esporsi al ridicolo.

Adesso?

Era sabato sera. Per quanto ne sapesse Judith, magari era fuori con una donna, in fin dei conti James era oggettivamente un bel ragazzo, educato, gentile, premuroso, dolce... Scosse la testa un attimo, come a voler scacciare quei pensieri dalla sua mente. Da quando si era separata aveva cercato di comportarsi in modo distaccato e professionale, eppure l'incontro con James l'aveva turbata fin da subito. Forse perché lui sembrava un uomo d'altri tempi, l'ultimo gentleman della Terra, eppure al tempo stesso fragile, insicuro dietro quel muro di finte certezze. Le era piaciuto subito e c'era stata malissimo nel vederlo completamente perso per quella stupida ragazzina. Con Lydie non c'aveva mai parlato, ma si era fatta l'idea che dovesse essere la classica ragazzetta immatura, con tette troppo evidenti perché venisse ignorata.

Sbuffò. Stava diventando una zitella inacidita!

Il tipo, seduto sul divano davanti a lei, adesso s'era disteso ed aveva aperto le gambe, guardandola in modo scandaloso, si era appoggiato le mani sull'inguine e le aveva rivolto un sorrisetto malizioso.

Questo era davvero troppo, la decenza aveva un limite, s'alzò dalla poltroncina dove era seduta, superò il tavolinetto che la separava da quel demente, finse d'inciampare e gli rovesciò parte del cocktail che aveva in mano, sui pantaloni. L'uomo la guardò indispettito, mentre lei con una risatina e delle finte scuse si allontanò di lì in cerca della proprietaria di casa. La salutò, adducendo un'improvvisa emicrania, recuperò il soprabito e uscì di lì, respirando finalmente, dopo ore, un po' d'aria fresca.

Passeggiò, un po' indecisa sulla direzione da prendere, ma soprattutto combattuta tra la voglia istintiva di chiamare James e chiedergli se avesse piacere di incontrarla anche solo per una birra e la sua parte razionale, che le ricordava che non era proprio il caso di telefonargli, sapendo che comunque con lui non aveva speranza alcuna. Perché, seppure James avesse dimenticato Lydie, seppure avesse trovato interessante Judith, prima o poi lei avrebbe dovuto svelargli, per onestà, il suo più grande segreto e allora lui l'avrebbe evitata per sempre. Questo Judith lo sapeva e lei non voleva assistere a quell'ennesima conferma della sua non-femminilità, le era bastato suo marito e il divorzio a farla sentire una donna inadeguata.

Riprese in mano il cellulare.

Chiamo o non chiamo,

chiamo o non chiamo...

Chiamo.

Quando squillò il cellulare di James, il ragazzo rimase interdetto per un attimo, sul display c'era scritto Judith, solo che lei in teoria non aveva il suo numero. Rispose perplesso e quando sentì dall'altra parte davvero la voce della ragazza cui avrebbe voluto telefonare, avvertì come una strana sensazione alla bocca dello stomaco e un senso d'euforia che non riuscì quasi a contenere nel tono di voce che seguì.

James era felice di sentire Judith, felice che lei lo avesse cercato nonostante il comportamento ridicolo e immaturo che lui aveva tenuto nelle settimane precedenti, felice che in quel momento, alle undici di un sabato sera qualunque, lei cercasse lui e non fosse a divertirsi con un altro.

«Judith! Non sapevo avessi il mio numero» disse, mordicchiandosi un labbro, per cercare di controllare il tono di voce e non apparire eccessivamente entusiasta.

Judith guardò il display del suo cellulare dandosi della demente, lo riportò all'orecchio e balbettò qualche scusa ridicola, confessando alla fine di avere il suo cellulare da molto tempo. Chiuse gli occhi temendo il peggio. Ci fu un attimo di silenzio, poi sentì la voce di James calda, gentile che le confessava di essere stato da sua sorella a pranzo e di aver chiesto il suo numero sperando di poterle parlare e scusarsi per lo stupido comportamento tenuto nelle settimane precedenti.

Judith sorrise, poteva immaginare il volto di James in quel momento, se fosse stata lì, accanto a lui, probabilmente lo avrebbe baciato, perché lui era così dannatamente gentile e onesto, anche in quel momento, nel confessarle di aver chiesto il suo numero a Liz, quando avrebbe potuto benissimo evitare di dirglielo. Lo aveva fatto perché probabilmente l'aveva sentita in imbarazzo e aveva voluto riequilibrare la situazione, ammettendo che anche lui aveva voglia di sentirla.

Stava per chiedergli se aveva piacere d'incontrarla, quando lui l'anticipò.

«Dove sei?» chiese con una voce pacata e al tempo stesso sensuale, dolce.

Judith aveva un disperato bisogno di dolcezza, lo realizzò in quel momento; aveva un disperato bisogno di un uomo gentile che la facesse sentire nuovamente donna, una donna desiderabile, ma non nel modo volgare in cui aveva fatto l'imbecille alla festa. Lei voleva sentirsi al centro dell'attenzione di un uomo anche solo per una notte, ma voleva carezze, baci, abbracci, respiri caldi sul collo e mani delicate che la sfioravano appena, provocandole piccoli brividi di piacere. Invece in quegli anni aveva trovato solo amanti frettolosi, troppo frettolosi, che avevano solo urgenza di infilarsi tra le sue gambe e che, una volta ottenuto ciò che volevano, sparivano con altrettanta velocità, facendola sentire vuota, inutile, inguardabile, indesiderabile.

«Judith?» chiese ancora James, non avendo ottenuto risposta.

La ragazza si affrettò a dirgli dove fosse e concordarono di ritrovarsi di lì a poco, c'erano solo tre fermate della metropolitana che li separavano: decisero d'incontrarsi a metà strada.

Quando James vide Judith uscire dalla metropolitana, avrebbe voluto correrle incontro e abbracciarla, stringerla forte e inspirare il dolce profumo della sua pelle. Sentiva di avere un bisogno disperato di dolcezza e affetto, quella sera più che mai. Sentiva il bisogno disperato di toccare qualcuno e avvertirlo vicino, col corpo, ma anche e soprattutto con l'anima. James aveva la sensazione di aver sbagliato tutto nella sua vita, aveva cercato di mostrarsi sicuro anche quando non lo era davvero. Aveva cercato di essere equilibrato quando in realtà si sentiva confuso. Aveva cercato di essere un buon figlio, un buon fratello, un buon compagno, un buon amante... e qual era stato il risultato?

Un fallimento quasi totale, ma soprattutto un senso di frustrazione, di inadeguatezza e d'insofferenza che da mesi lo tormentava.

Chi era il vero James? Quello privo di tutte queste maschere?

Cosa desiderava il vero James?

In quel momento desiderava solo sentire di non essere solo, sentire il calore di un altro essere umano, sentire che la vita non lo avrebbe travolto e portato a fondo. James aveva paura. Paura di annegare, di precipitare negli abissi, quegli abissi che si erano spalancati sotto di lui pian piano, prima con la scoperta del tradimento di Lydie e poi con tutto quello che ne era seguito. L'essere stato abbandonato, l'essere comunque legato a una donna che per certi aspetti adesso detestava, il dover avere a che fare da vicino con la morte che gli incuteva tanto terrore, l'affrontare una paternità desiderata e al tempo stesso che lo spaventava, perché non avveniva nel modo in cui avrebbe voluto lui.

James e Judith rimasero a un metro di distanza l'uno dall'altro.

Anche Judith avrebbe voluto abbracciarlo, anche Judith sentiva il bisogno spasmodico di sentirsi amata e desiderata anche solo per una sera. Il divorzio l'aveva segnata profondamente e quello che aveva scoperto poco dopo, l'aveva annientata come donna. Era un segreto che custodiva da anni, che non aveva rivelato a nessuno, solo sua sorella ne era a conoscenza. Eppure quel segreto andava rivelato a James, perché prima ancora di pensare a intraprendere una nuova relazione, Judith sapeva di dover mettere le cose in chiaro, per evitare delusioni, per evitare sofferenza.

Si sfiorarono appena, indice contro indice e poi mano contro mano, le loro dita si intrecciarono piano, con lentezza infinita. Senza parlare, si incamminarono fuori dalla metropolitana e passeggiarono così, mano nella mano, in silenzio, per le vie di Londra: ognuno conscio di dover rivelare all'altro il proprio passato ingombrante. A questo punto della loro vita, sentivano il bisogno di chiarire quale fosse il loro passato per poter sperare di avere un futuro. Passeggiarono fino ad arrivare al Tamigi, lì si fermarono ad ammirare la luna che si specchiava nelle acque del fiume, in una fresca notte di fine giugno.

Anche Ethan dalla sua finestra si era incantato a guardare la luna, si sentiva turbato. Il rientro in quell'appartamento di Londra aveva fatto riaffiorare ricordi dolorosi, la bestia nera che Lydie aveva domato aveva ripreso a scalciare, ma questa volta si rivoltava contro se stessa. Come aveva potuto trattarla in quel modo e per così tanto tempo? Come poteva, lei, perdonarlo dopo tutto quello che le aveva detto e le aveva fatto. Provava ribrezzo per le oscenità, le crudeltà che aveva pronunciato solo per ferirla, sperando di allontanarla da sé. Lo disgustava e gli faceva orrore l'idea di aver toccato altre donne, proprio lì, in quella casa, sul divano, dove poche ore prima stavano seduti loro due. Con che coraggio lo aveva fatto? Avvertì una mano stringergli delicatamente il braccio destro e due calde labbra sfiorargli appena la guancia. Non ebbe il coraggio di voltarsi a guardarla.

«Ethan? Tutto bene?» gli chiese Lydie, osservandolo con attenzione.

Non rispose. Cosa avrebbe dovuto dire?

Che si sentiva un mostro? Che era un mostro? Che non era degno di starle accanto e al tempo stesso si sentiva morire alla sola idea di allontanarsi da lei di soli dieci passi?

«Lydie» cominciò sempre con lo sguardo fisso sulla luna, «ho fatto tante cose sbagliate e non so se riesco a farne di giuste» disse con voce mesta.

«Ho avuto una vita difficile e credimi sto facendo del mio meglio per cambiare, anche se sono terrorizzato all'idea di veder riaffiorare di nuovo l'altro Ethan, quello senza cuore, senza sentimenti, senz'anima. Ho quasi sempre camminato nelle tenebre, ma sto cercando a modo mio la luce».

Si voltò a guardarla e la trovò sorridente, felice e si chiese come facesse a essere così.

«A questo punto della mia vita, sento che mi piacerebbe vivere come se solo l'amore fosse importante. Se riesci a credere in questo mio cuore, se puoi darmi una possibilità, ti prometto che io farò il possibile per non deluderti e per cercare di darti...»

Lydie lo interruppe con un bacio sulle labbra, poi gli prese le braccia e se le avvolse attorno al petto e cominciò a ballare piano, guardando la luna che dava spettacolo di sé in quel cielo così limpido.

«Mi stai già dando tutto ciò di cui ho bisogno, Ethan. Sono felice così, credimi, a questo punto della mia vita non potrei esserlo di più».

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