Bruciare ||Harry Styles ||

Door FleurduMar

99.5K 4.8K 443

ATTENZIONE QUESTA E' UNA FANFICTION RATING ROSSO a causa di un linguaggio a volte molto volgare e la numerosa... Meer

1 - Dolce attesa
2 - Silentium!
3 - Saprai che non t'amo e che t'amo
4 - Un amore, violento, fragile, disperato
5 - Bevo a una casa distrutta
6 - Never give all the heart
7 - La madre
8 - Non andartene
9 - Ah, che nostalgia ho di te
10 - Ah! L'amor, l'amore ond'ardo
11 - Chiudi gli occhi amore, lascia che io ti faccia cieca
12 - Quand je t'aime
13 - Quando non c'è più rimedio è inutile addolorarsi
14 - Molta pazzia è divino buon senso
15 - Se tu vuoi un amico addomesticami
16 - Metti a repentaglio tutto ciò che hai
17 - Colui che genera un figlio non è ancora padre
18 - Forse tutta la vita non è che un sogno continuo
19 - Piccoli atti di coraggio
20 - La vita è breve
21 - Prigioniero
23 - Ci sono vuoti che le parole colmano
24 - Poi sei venuta tu
25 - Come geloso io soffro quattro volte
26 - Non è il tuo amore che voglio
27 - At this point in my life
28 - Conosco vite di cui potrei fare a meno
29 - Dove è odio, fa' che io porti l'amore
30 - Fidati dei tuoi istinti e accetta la vita così com'è
31 - Qualunque sia il destino
32 - I vostri figli non son vostri figli
33 - Si chiama amore
34 - Legami di sangue e di rispetto

22 - Ci sono sempre due scelte nella vita

3.1K 135 13
Door FleurduMar

Ci sono sempre due scelte nella vita:

accettare le condizioni in cui viviamo

o assumersi la responsabilità di cambiarle.

(Denis Waitley)

Avevano appena lasciato Rouen diretti a Calais. Lydie si era appisolata ed Ethan allungò un braccio sul sedile posteriore per afferrare un leggero plaid e coprirla un po'.

Non resistette all'idea di sfiorarle i capelli e accarezzarle una guancia. Sorrise pensando che, se fosse stata sveglia, con buona probabilità gli avrebbe scostato le mani infastidita. Diede una rapida occhiata alla strada, poi guardò di nuovo la ragazza, sfiorandole le labbra con un dito.

«Ethan» bisbigliò mezza addormentata, «sono ancora arrabbiata con te».

«Lo so».

«Non intendo perdonarti tanto facilmente» aggiunse, voltandosi a guardarlo, con gli occhi che faticavano a stare aperti.

«Lydie ho esagerato, però avevo le mie ragioni» disse sapendo, invece, di avere torto marcio.

«Non dire idiozie, per favore» brontolò girandosi di nuovo verso il finestrino e chiudendo gli occhi.

«Mi farò perdonare» si affrettò ad aggiungere, allungando una mano per accarezzarle una gamba.

Lei gliela allontanò con uno schiaffetto.

«Oh, sì che lo farai ma non nel modo che pensi tu» concluse, cercando di riprendere sonno.

Ethan scosse la testa divertito, la coprì meglio con il plaid e ripensò al giorno prima. Aveva rotto il naso a un cameriere e distrutto una stanza d'albergo per futili motivi. Doveva ammettere di avere qualche problema nella gestione di emozioni come la rabbia e la frustrazione. Il fatto era che, fino ad allora, la sua vita si era basata sul tenere lontane le persone e cercare di interagire con loro il meno possibile. Da quando stava assieme a Lydie, però, tutto il suo mondo era stato stravolto. Adesso si ritrovava a dover stare a contatto con estranei e sforzarsi suo malgrado di non respingerli verbalmente e fisicamente, cosa che gli costava uno sforzo notevole.

Ricordava ancora l'irritazione provata nei confronti di un'anziana signora che aveva cominciato a chiacchierare con Lydie nella metropolitana di Parigi.

Dopo i primi due minuti di conversazione Ethan era già pronto a porre fine alla vita della vecchietta. Dopo i successivi due, aveva cominciato a brontolare e imprecare a bassa voce. Allo scoccare del quinto minuto l'aveva liquidata con i suoi soliti modi sgradevoli, lasciandola a bocca aperta.

Qualche giorno dopo c'era stata la coppietta di coniugi, seduta a un tavolo attiguo al loro. Li aveva tormentati raccontando una serie infinita di episodi sul loro primo figlio. Era riuscito a resistere fino al primo anno di nido, dopo di che aveva dato in escandescenze, costringendo la ragazza a congedarsi alla svelta e trascinarlo fuori dalla sala ristorante.

Il fatto era che Lydie era sorridente e gentile con tutti, perciò le persone tendevano a rivolgerle la parola e sembravano provar piacere nel fare conversazione con lei. Per Ethan, invece, essere improvvisamente oggetto di attenzioni, anche se benevole, era qualcosa di nuovo e di cui avrebbe fatto volentieri a meno.

Gli piaceva star da solo e l'unica eccezione che ammetteva era la presenza di Lydie. Pertanto, tutte le persone che finivano col sorvolare sul suo aspetto minaccioso per conversare con lei, lo irritavano profondamente. A suo modo Ethan si scoprì terribilmente geloso e possessivo. Non poteva fare a meno di Lydie, di questo era certo, perché diversamente l'avrebbe già allontanata, visto che la sua sola presenza sembrava annullare l'alone di timore e fastidio che normalmente lo accompagnava. Le persone adesso gli si avvicinavano, i più coraggiosi o i più incauti arrivavano a toccarlo quando scorgevano nella ragazza i segni della gravidanza e tutto questo per Ethan era piuttosto preoccupante e spesso gli provocava degli attacchi d'ira che non riusciva a dominare. La sua vita con Lydie oscillava, pertanto, tra passione e rabbia, dolcezza e prepotenza, gentilezza e maleducazione.

Eppure la rabbia vera, quella distruttiva, era esplosa in tutta la sua follia il giorno prima per colpa di un dannato cappuccino. Aveva notato che uno dei camerieri che servivano la colazione nell'albergo dove soggiornavano da un paio di giorni, si mostrava troppo amichevole con la ragazza.

Il sorriso con il quale accoglieva il suo arrivo lo irritava, il tono di voce che utilizzava con lei lo irritava, l'occhiolino che le faceva quando le consegnava la sua ordinazione lo irritava. In una parola si sentiva una bomba a orologeria pronta a esplodere al primo tocco e il tocco era arrivato sotto forma di una deliziosa tazza di cappuccino con tanto di cacao polverizzato a forma di cuoricino.

Non c'aveva visto più. Il cervello era andato in tilt e aveva semplicemente agito in preda a una rabbia e una frustrazione che avevano superato ampiamente il livello di tolleranza. Con un pugno sul tavolo aveva rovesciato la tazza e subito dopo s'era avventato sul cameriere allibito, rompendogli il naso con un cazzotto. Erano intervenuti altri camerieri per allontanarlo dal malcapitato, Lydie aveva dovuto scusarsi ripetutamente con il personale e il direttore dell'albergo, supplicandoli di non denunciare il suo compagno. Tutta quella confusione, lo sguardo carico di disappunto della ragazza, non avevano fatto altro che farlo sentire a disagio, accrescendo la sua rabbia. Si era sentito confuso, combattuto tra emozioni note e sentimenti a lui quasi sconosciuti: il senso di colpa, la consapevolezza di non essere la persona giusta per Lydie e al tempo stesso il desiderio egoistico di tenerla per sé e la necessità di eliminare qualsiasi potenziale minaccia.

L'aveva seguita in camera con i pugni serrati e il corpo teso come una molla. Non gli era piaciuto che Lydie fosse stata costretta a scusarsi per colpa sua e ancor meno gli era piaciuto che si fosse allontanata senza degnarlo di uno sguardo. Perciò aveva sentito il bisogno di litigare con lei per avere la certezza che qualcosa, non foss'altro l'odio o il disprezzo, ancora li unisse.

Poteva sopportare tutto, tranne l'idea che Lydie non provasse più nulla per lui.

«Cosa fai?» le aveva urlato, vedendola andare verso l'armadio e prendere la valigia.

Non ottenendo risposta aveva tirato un calcio a uno dei piedi del letto provando un dolore lancinante all'alluce. Vedendola chiudersi in bagno, in preda a un'irritazione crescente, aveva afferrato una sedia e l'aveva lanciata contro l'armadio, mandando in frantumi lo specchio che vi era attaccato.

Lydie non disse nulla, finse di ignorarlo, portando la sua rabbia a livelli intollerabili. Si era sentito un pazzo e aveva sfogato quell'energia repressa, devastando tutto quello che gli era capitato a tiro. Si fermò solo quando sentì la voce di lei che lo chiamava con calma, come se non avesse udito il baccano causato dal mobilio mandato in frantumi o il telefono squillare con insistenza o il direttore d'albergo, che aveva fatto irruzione in camera dicendo che avrebbe immediatamente chiamato le forze dell'ordine.

Lydie lo chiamò come se niente fosse accaduto e lui, diffidente, aveva aperto la porta del bagno trovandola seduta sul water, con i piedi poggiati sul bordo della vasca.

«Mi passeresti l'acetone? L'ho lasciato lì sul lavandino» aveva detto, guardandosi le unghie delle mani laccate di fresco.

Sentendosi un perfetto idiota le aveva dato ciò che chiedeva, rimanendo impalato dinnanzi a lei, non sapendo bene che fare e certo che di lì a poco sarebbero arrivati a prelevarlo.

«Mi aiuteresti a togliere quella sbavatura di smalto? Se lo faccio io mi rovino la manicure».

Aveva sbattuto le palpebre confuso, poi si era seduto sulla vasca prendendo in grembo i suoi piedi.

«Dici qui?» aveva chiesto, concentrandosi sul punto in cui lo smalto rosso aveva macchiato la pelle di una delle dita del piede.

Lei aveva annuito e lui aveva eliminato con cura qualsiasi traccia di smalto. Poi, senza che glielo chiedesse, le aveva tolto la boccettina di mano e aveva passato il pennello sulle unghie dei piedi che ancora non erano state dipinte.

«Bello smalto» aveva affermato una volta terminato il lavoro. Si sentiva a disagio, non sapendo bene cosa dire. Ora che aveva riguadagnato un po' di calma, era consapevole di aver fatto una sciocchezza. Rischiava di perdere Lydie semplicemente perché era un imbecille.

«Mi dispiace» aveva sussurrato appena, accarezzandole i piedi che ancora teneva in grembo.

Sentirono bussare alla porta della camera, poi avvertirono lo scatto della serratura e le voci di alcuni individui che lo chiamavano.

S'era alzato senza guardarla in viso.

«Ethan» aveva detto lei, costringendolo ad abbassare lo sguardo per incrociare il suo. Adesso i poliziotti erano entrati in bagno, seguiti dal direttore d'albergo. «Vengo con te. Non ti lascio solo, anche se ti sei comportato come uno stupido».

La guardò per un lungo istante, incapace di vedere altro che lei, come se gli uomini che lo strattonavano e gli si rivolgevano con tono duro non fossero lì. C'era solo lei, la ferma determinazione che le leggeva negli occhi, qualcosa che contrastava nettamente col suo volto da bambina.

E poi sorrise, mentre lo accompagnavano fuori dalla camera, mentre il direttore si agitava frenetico per elencare i danni ingenti che aveva causato.

Sorrise, senza staccare gli occhi da Lydie, che lo seguiva con apprensione e che non lo avrebbe lasciato solo. Lei, nonostante tutto, non lo avrebbe lasciato, gli sarebbe rimasta accanto anche se si era comportato in modo insensato. Quella consapevolezza lo rassicurò e lo riappacificò col mondo.

«Monsieur Preston» lo richiamò un poliziotto, stringendogli il braccio e inducendolo a guardarlo negli occhi. «Dovrà seguirci in centrale e se verrà sporta una denuncia...»

Sbuffò infastidito e imprecò in inglese. Li avrebbe volentieri liquidati con un paio di parolacce se non avesse visto lo sguardo infuocato di Lydie e la sua mano che si accarezzava il ventre.

«Posso ripagare i danni» affermò stizzito, guardando prima il direttore dell'albergo e poi la ragazza.

L'occhiataccia che gli rivolse quest'ultima gli fece comprendere che per lei quelle parole non erano sufficienti.

«Aggiungerò un extra per il disturbo causato». L'espressione della ragazza era ancora di rimprovero.

«Non avrei dovuto», fece innervosito, mentre il direttore d'albergo soppesava le sue parole diffidente e Lydie scuoteva il capo incrociando le braccia al petto.

Ethan sorrise fintamente gentile alle guardie e al direttore, poi si rivolse in inglese a Lydie.

«Che cazzo vuoi che dica a questa manica di stronzi?» fece con pacatezza, tanto per dare l'idea, a chi non comprendeva la sua lingua, che avesse detto qualcosa di cortese.

«Scusati».

Sollevò un sopracciglio e allargò il sorriso. «Stai scherzando, ma cherie?» chiese inclinando il capo e rivolgendo uno sguardo al direttore d'albergo che lo scrutava sempre più perplesso.

«Ho detto scusati» ripeté in inglese Lydie.

Ethan strinse le labbra, si rivolse al direttore che era rimasto lì in attesa, insieme alla polizia. Gli chiese scusa, gli spiegò che l'incidente non si sarebbe ripetuto. Promise di metterlo immediatamente in contatto con uno dei suoi legali che gli avrebbe confermato la solidità del suo conto in banca e avrebbe provveduto a far girare sul conto dell'albergo una cifra consona a ripagare i danni materiali e di immagine che il suo comportamento aveva potuto arrecare. Garantì che avrebbe provveduto a versare una somma congrua anche per il cameriere ferito. Dopo che i poliziotti furono mandati via e che il direttore fu rassicurato sul versamento di quanto stabilito, Ethan si alzò dalla poltroncina dell'ufficio amministrativo, dove era stato seduto nell'ultima ora. Allungò una mano verso Lydie per aiutarla ad alzarsi e sorrise al direttore d'albergo che lo scrutava ancora infastidito, soprattutto ora che sapeva di aver di fronte un uomo che rappresentava il peggio che si potesse immaginare: un ricco sfaccendato, un odioso inglese e, ciliegina sulla torta, il proprietario di una catena d'alberghi concorrente.

«È stato un piacere ospitarla» disse alla fine con una certa soddisfazione allungandogli una mano e pensando alla cifra con diversi zeri che gli era appena stata versata.

«Il piacere è stato mio» rispose Ethan stringendogli la mano e abbracciando con l'altra Lydie. «E comunque» concluse in inglese sorridendo, «rimani un grandissimo stronzo».

L'altro rispose al sorriso e fece un cenno di saluto col capo.

«Mr Preston» lo richiamò in inglese, quando aveva già aperto la porta. «Lei è la prova vivente che gli inglesi sono degli zotici e degli imbecilli».

Con un sorrisetto da strafottente Ethan spinse fuori Lydie.

Mentre tornavano in camera per fare le valigie e lasciare l'albergo, si voltò a guardare la ragazza che stringeva a sé. Si rese conto in quell'istante che aveva i lineamenti tirati e sembrava furiosa.

«E adesso che c'è?» chiese, non riuscendo a nascondere un certo divertimento.

«Ethan Preston, se pensi che la cosa sia finita qui ti sbagli di grosso. E con me i soldi non attaccano, perciò preparati a un lungo periodo di penitenza».

Lydie si mosse appena sul sedie anteriore tossicchiando un po' e distogliendo Ethan dal ricordo del giorno precedente. Le accarezzò i capelli ancora una volta, rendendosi conto che non riusciva a stare a lungo senza un minimo contatto fisico, come se la sua presenza non bastasse a rassicurarlo. Era certo che le sarebbe passata presto e che lo avrebbe perdonato, dimenticando in fretta l'incidente del giorno prima. In fin dei conti per oltre un anno era passata sopra bassezze ben peggiori.

Sorrise e tornò a guardare la strada. Lo avrebbe perdonato subito.

***

«Smettila».

«Perché?» chiese ridacchiando e continuando imperterrito con un dito a scostare la scollatura dell'abito di Lydie per ammirare meglio le nuove forme dovute alla gravidanza.

«Perché sei ancora in punizione» gli ricordò, rivolgendogli un'occhiataccia attraverso lo specchio e dandogli un colpetto sulla mano, per risistemare la scollatura del vestito.

Ethan sbuffò infastidito. Erano quattro giorni che lo teneva a distanza e quell'aspetto cominciava a dargli sui nervi.

«Lydie questa storia della punizione deve finire» affermò baciandole il collo con fare possessivo e infilando nuovamente una mano nel decolté.

Per tutta risposta prese una gomitata in un fianco.

«Lydie non mi far incazzare» brontolò, stringendola più forte. «E comunque, tanto per essere precisi, mi sto comportando in modo impeccabile da quattro fottuti giorni. Non so se rendo l'idea».

Lydie fece una smorfia.

«Volevo dire da quattro "maledetti" giorni» ripeté correggendosi e alzando gli occhi al cielo. «Cristo!» riprese seguendola fino al bagno. «Tra un po' mi vedrai spuntare un'aureola. Diventerò un cazzo di santo».

Si morse il labbro e imprecò sottovoce, ben sapendo che più s'innervosiva, più il suo linguaggio peggiorava.

Inspirò a fondo e cercò di calmarsi.

«Devi riconoscere che sono migliorato» aggiunse dopo un po', mentre la osservava passarsi il lucidalabbra e darsi un po' di mascara. «Ho sopportato quella coppia di adorabili genitori, con il loro ancor più adorabile figlio per tutta la durata della cena l'altro giorno» affermò prendendole i fianchi e attirandola a sé. Quando la sentì irrigidirsi, sorrise e le baciò nuovamente il collo. «Sono stato stoico e tu lo sai. Ho perfino augurato loro la buonanotte» sussurrò, strofinandole il naso dietro l'orecchio. Lydie sorrise stringendogli le mani e portandosele sul ventre.

«Hai imprecato in inglese tutto il tempo».

«Sì, ma prima ho chiesto se lo capivano» disse strofinando un po' il bacino contro il sedere della ragazza.

«Ti ho dovuto dare ben due calci stamattina per obbligarti a ringraziare il signore che ci ha scattato la foto sul molo» sussurrò appoggiandosi al suo petto.

«Lydie quel rincoglionito ha sbagliato tre volte».

«Aveva quasi ottant'anni!»

«Appunto. Non dovevamo chiedere a lui di farlo».

«Ma volevo una foto» ridacchiò lei.

«E poi t'ha guardato le cosce quando il vento t'ha sollevato la gonna».

«Aveva ottant'anni!» ripeté ridendo.

«E chi se ne frega».

«Ma smettila» disse la ragazza voltandosi e sorridendogli. «Sono pronta, andiamo».

Dio! Era così bella da fargli male al cuore.

«Sei bellissima» le sussurrò abbracciandola e baciandola. «Fai l'amore con me. Adesso. Subito».

Aveva cambiato idea, non sarebbero usciti. Avrebbero fatto l'amore ancora e ancora. Volendo potevano ordinare la cena in camera, la colazione in camera, il pranzo in camera. Volendo, potevano restare chiusi in camera a fare l'amore per tutta la settimana. Gli sembrò un ottimo programma.

«Ho fame» sussurrò baciandolo dolcemente. «Faremo l'amore dopo cena».

«Lydie, ti voglio adesso. Ti sei negata per quattro giorni, adesso ti voglio e tu non mi dirai di no».

«Non ti sto dicendo "no", ti sto dicendo "dopo"».

«Lydie non tirare troppo la corda. Tu sei mia e fai quel cazzo che ti dico. E comunque questo vestito è troppo scollato. Così non esci» concluse irritato più che mai.

Non gli andava che tutti potessero ammirare ciò che considerava di sua esclusiva proprietà. Per quanto non volesse ammetterlo, l'aspetto che più lo preoccupava era che la ragazza prima o poi si rendesse conto che avrebbe potuto avere un compagno decisamente migliore di lui. Negli ultimi giorni aveva cominciato persino a fantasticare di tenerla prigioniera in camera, per averla tutta per sé. Quel pensiero, che lo solleticava spesso, si scontrava con un altro, facendolo sentire oggettivamente confuso. Per undici mesi era stato insieme a Lydie, facendo solo sesso e invidiando James per la possibilità di vivere con lei una vita normale. E ora che poteva davvero uscire e condividere tutto, sognava di chiuderla tra quattro mura e passare la giornata a fare solo sesso.

Lydie, si era allontanata, ignorando le sue richieste.

«Ethan Preston non ci provare. Stasera ceno fuori. Puoi scegliere di continuare a comportarti come un perfetto idiota, finendo col restare solo, oppure puoi decidere di cambiare una buona volta il tuo modo di fare» disse poggiando le mani sui fianchi, pronta all'ormai consueto scontro. «Sta a te scegliere e accettare le conseguenze delle tue scelte».

«Se vuoi che io cambi atteggiamento allora comincia a cambiare vestito. Con quello non esci».

Lydie fece una risatina ignorandolo.

Sentendo montare la rabbia dovuta alla frustrazione e al senso d'impotenza che lei gli faceva provare, serrò i pugni.

«Non farmi incazzare. Se vuoi uscire, quel vestito te lo togli» riprese a denti stretti.

«Chiariamoci una volta per tutte. Tu non hai alcun diritto di dirmi cosa indossare e cosa no. Quindi ti consiglio di respirare con calma, di prendere la tua giacca e farmi compagnia a cena. Diversamente per me puoi pure restare qui a crogiolarti nella tua ira. In ogni caso io esco con questo vestito».

Afferrò il soprabito e la borsetta e si avviò alla porta. Ethan la guardò allibito. Da quando aveva scoperto di essere malata Lydie era cambiata, tirando fuori pian piano un caratterino di tutto rispetto. Se un tempo faticava a guardarlo negli occhi, adesso non solo lo guardava negli occhi, ma lo mandava a quel paese senza troppi scrupoli. Non si era mai sentito tanto debole e insicuro in vita sua.

«Torna subito qui» urlò.

«Ti saluto Preston» disse calma Lydie, sollevando una mano in segno di saluto e chiudendosi la porta alle spalle.

Le corse dietro fuori di sé.

«Chiedimi scusa e torna in camera. Subito».

Lydie finse di ignorarlo.

L'afferrò per un braccio scuotendola con forza. «Lydie non sto scherzando. Ubbidisci».

La ragazza fissò prima la mano che le stringeva il braccio, poi gli occhi di Ethan. Con un colpetto gli toccò le dita che la tenevano bloccata, neanche avesse voluto togliersi un po' di polvere.

Era il suo modo di dirgli che, se solo avesse esagerato, l'avrebbe persa per sempre, perciò suo malgrado lasciò la presa. Lei sorrise soddisfatta ed entrò in ascensore.

«Allora? Che fai Mr Preston mi segui o continui a fare lo sciocco?»

Ethan la seguì, furioso più di prima.

Non appena si chiusero le porte bloccò l'ascensore. Lydie sollevò un sopracciglio perplessa. Il ragazzo prese un bel respiro e la spinse contro un pannello.

«Primo. Tu adesso torni con me in camera senza protestare. Secondo», continuò poggiandole una mano sulla gola e accarezzandola col pollice. «Ti togli questo cazzo di vestito e terzo, mi chiedi scusa. Subito».

«Ethan» sussurrò Lydie con un tono sensuale che gli provocò un brivido lungo la schiena e gli fece comprendere in modo drammatico quanto potere avesse oramai su di lui.

Quando lei gli portò la mano sulla patta dei pantaloni, chiuse gli occhi e si ripeté che non si sarebbe fatto fregare così.

«Ethan» ripeté, costringendolo suo malgrado a guardarla e mandandolo in confusione. «Se vuoi fare l'amore stasera ti consiglio di cambiare atteggiamento» ammise ridacchiando. «Di solito la fame mi mette di cattivo umore e mi indispone, perciò ti suggerisco di accompagnarmi immediatamente a cena».

Glielo strinse leggermente tra le dita, per poi dargli un colpetto e ritrarre la mano.

Ethan si morse il labbro combattuto.

«Ti odio Lydie» mormorò sconfitto.

Lei ridacchiò soddisfatta. «Una volta qualcuno mi ha detto che l'odio e l'amore sono due facce della stessa medaglia».

Brontolò qualcosa di incomprensibile, mentre le porte dell'ascensore si aprivano e Lydie lo prendeva per mano.

***

Erano seduti su una panchina in riva al mare. Avevano fatto la solita passeggiata mattutina e adesso si stavano riposando, godendo dei raggi di un sole tiepido.

Lydie poggiava la testa sul grembo di Ethan e gli scattava foto in continuazione, controllandole sullo schermo della macchina digitale e sorridendo divertita.

«Sei molto fotogenico, lo sai?» gli disse a un tratto, osservandolo stringere distrattamente tra le labbra un sigaro spento.

«Ethan» fece Lydie mettendosi a sedere e cercando di attrarre la sua attenzione, «mi ami?»

Il ragazzo finalmente si voltò a guardarla negli occhi.

«Perché me lo chiedi?»

Le parole furono appena sussurrate, come se le sue corde vocali, dopo tutto il silenzio che li aveva accompagnati in quelle ore mattutine, avessero bisogno di sgranchirsi un po' prima di tornare normali.

Lydie gli si sedette in braccio e gli sfiorò le labbra in un bacio leggero e delicato.

«Mi ami, Ethan? Non me lo dici mai».

Il ragazzo la scrutò con attenzione, accigliandosi.

«Un po'» rispose, cercando di comprendere le ragioni per cui all'improvviso Lydie avesse bisogno di sentirsi dire un'ovvietà.

«Solo un po'?» chiese imbronciando le labbra. «Speravo in qualcosa in più».

Ethan tacque.

«Voglio una prova d'amore» mormorò baciandolo di nuovo, indugiando sulle sue labbra, mordendogliele e assaporandole con la punta della lingua.

«Ti ascolto».

«Dovresti sapere che le donne in gravidanza talvolta hanno strani desideri» cominciò passandogli le mani sulle braccia, risalendo fino al collo e poi premendogliele sul petto. «E se mi ami, anche solo un po', dovresti impegnarti a esaudirli».

Lo baciò ancora una volta, scostandosi da lui solo quando lo sentì leggermente ansimare.

«E così hai le voglie?» chiese divertito. «Pure io» ammise sfacciato, sollevando il bacino per farle sentire quanto fosse già eccitato. «Sentiamo», continuò ridacchiando. «Cosa vuoi?»

Lydie abbassò lo sguardo temendo di tradirsi subito e giocherellò con un bordo della giacca del ragazzo.

«Non senti niente Ethan?» fece a un tratto con un sorrisino impertinente.

«Tu che dici?» rispose abbassando il tono di voce e premendo di nuovo il bacino.

Lydie rise e batté l'indice sul naso del ragazzo. «Stai usando la parte sbagliata del corpo. Serviti del naso».

Ethan scattò su, sedendosi meglio e afferrandole i fianchi. «Non se ne parla. Scordatelo. Non è questo il genere di voglie che sono disposto a soddisfare» brontolò.

«Avanti, fai il bravo. La pasticceria è dietro l'angolo ed emana un profumino delizioso. Non morirò di certo per aver mangiato un croissant. Non ricordo più l'ultima volta che ho mangiato un dolce. Ti prego» piagnucolò, cercando di impietosirlo e al tempo stesso non riuscendo a nascondere un sorriso per la sua espressione sconcertata.

«Quella roba non ti fa bene».

«Stiamo parlando di un'eccezione alla regola» rispose cingendogli il collo con le braccia. «Se mi ami davvero non puoi dirmi di no».

«Potrei chiudere un occhio per questa volta. Ma solo per questa volta, sia chiaro. I dolci fanno male a te e al bambino».

Lydie lo baciò con entusiasmo. «Sapevo che eri un uomo dal cuore d'oro».

Ethan sorrise malizioso. «Non so se il cuore sia d'oro, ma l'uccello di sicuro...»

Gli tappò la bocca con un altro bacio guardandolo malissimo e lui scoppiò a ridere.

Felice.

Finalmente.

Dopo tanto tempo.

***

Stavano passeggiando in un bosco. Lydie si sentiva affaticata. Aveva il fiatone e spesso non riusciva a trattenere dei colpetti di tosse che finivano per irritarle la gola e provocarne altri che le facevano lacrimare gli occhi.

Si fermò accanto al tronco di un grande albero per riprendere un po' di fiato, chiedendosi se tutto quell'affaticamento fosse dovuto alla malattia o alla gravidanza.

Ethan la scrutò un attimo, poi si appoggiò ad un albero poco distante per frugare nelle tasche e tirare fuori un sigaro. Aveva smesso di fumare ma spesso, quando era agitato o sovrappensiero, tirava fuori un sigaro e lo stringeva tra le labbra. Era il suo modo di tenere sotto controllo l'ansia. Lydie lo aveva capito e in quei momenti cercava di provocarlo un po' per aiutarlo a distrarsi e al tempo stesso per far sì che lei stessa non pensasse a ciò che in parte la terrorizzava.

«Non ti ho mai chiesto come mai parli il francese così bene. Dove lo hai imparato?»

Ethan guardò in lontananza il sentiero che si perdeva nel bosco, diede un calcio a un legnetto e distrattamente borbotto un nome: Lou-lou.

C'era un aspetto che nonostante tutto la ragazza non aveva superato ed era la morbosa gelosia che provava nei confronti di Ethan. Nonostante lui avesse dimostrato più volte di essere profondamente legato a lei, il ricordo delle tante donne che erano state con lui le toglieva il respiro. Si scostò dall'albero e gli si piazzò dinanzi.

«E chi sarebbe questa Lulù?»

Non era esattamente quello che avrebbe voluto dire. Si pentì immediatamente del tono accusatorio e di quella domanda che lasciava trapelare troppo. Ma la rabbia la rendeva meno lucida e più impulsiva.

Ethan la guardò confuso per qualche istante, come se non avesse ben compreso il perché di quell'irritazione, poi un lampo gli illuminò lo sguardo. Lydie quel lampo lo conosceva bene. Sapeva quanto godesse nel vederla rodere dalla gelosia e lei si era fatta scoprire con troppa facilità.

«Sei gelosa» ammise soddisfatto puntandole un dito al petto.

«Sono solo curiosa» cercò di giustificarsi. «È la prima volta che ti sento nominare una donna. Finora te ne sei ben guardato. Perciò ho pensato che dovesse essere qualcuno di... speciale», ammise con qualche difficoltà e con un sorriso stentato.

«Speciale» ripeté divertito Ethan, assaporando quella parola e l'espressione di Lydie. «In effetti non hai tutti i torti. Lou-lou è speciale».

La ragazza notò il fatto che avesse usato il presente e non il passato per riferirsi alla donna.

« È francese?» chiese riprendendo a camminare e cercando di nascondergli l'angoscia che di certo traspariva dal suo volto.

Lo sentì ridacchiare e seguirla. «Di Marsiglia».

Quella rivelazione la lasciò sconcertata.

«Marsiglia?» balbettò. «L'hai vista anche mentre stavi a casa mia?» chiese portandosi una mano al petto sopraffatta dal dolore che avvertiva e che niente aveva a che vedere col suo male.

«No» rispose Ethan raggiungendola e scostandole la mano dal petto per baciargliela. «Vive a Londra da molti anni».

Lydie sbatté le palpebre in fretta per scacciare le lacrime che sembravano intenzionate a venir fuori.

« È una delle donne del pomeriggio» affermò in un sussurro.

Ethan sorrise e l'abbracciò, tenendola stretta al petto. Dio! Era uno stronzo di prima categoria. Avrebbe dovuto dirle subito che Lou-lou era il nomignolo scherzoso che Mike aveva affibbiato a Louis, la sua guardia del corpo. Avrebbe dovuto dirglielo subito, leggendo l'angoscia che la stava torturando eppure l'idea che lei fosse gelosa, lo rendeva pazzo di gioia. C'era qualcosa di così primitivo in quel sentimento: possesso, difesa di ciò che si sente come proprio... era più forte di lui, la gelosia di Lydie lo rassicurava e per certi aspetti lo faceva sentire amato.

Lei si scostò un po' per guardarlo negli occhi.

«L'hai amata?»

Rise, fece segno di no col capo e la baciò.

«Però ci hai fatto sesso» insistette, scostandolo di nuovo.

Negò ancora, baciandola e stringendola di più.

«Pensi di rivederla?» chiese prendendogli il volto tra le mani e cercando di leggervi la verità che si celava dietro le mezze risposte di Ethan.

«Sei l'unica donna che amo, Lydie» sussurrò, prendendole le mani e baciandogliele. «Sei l'unica donna che desidero» continuò stringendola di più a sé. «E ti presenterò Lou-lou» concluse ridendo dell'espressione inorridita della ragazza.

«Sei uno str...» sbottò la ragazza, ma fu interrotta bruscamente dalla mano alzata di Ethan.

«Lydie» affermò raggiante, «devi imparare a controllare la tua gelosia. Ti consiglio di prendere un bel respiro e contare fino a tre». Così dicendo le diede le spalle e s'incamminò lungo il sentiero. Era uno stronzo, su quello non c'erano dubbi, però in quel momento si sentì un Dio. Ridacchiò tra sé e sé e decise che in fin dei conti essere il Dio degli stronzi era pur sempre qualcosa.

***

Tutti i giorni Lydie chiamava sua madre. Lo faceva soprattutto nella speranza di farle comprendere quanto quel viaggio, senza meta e senza limiti temporali, fosse importante per lei. Qualunque cosa le riservasse il futuro, il tempo trascorso con Ethan valeva una vita intera, di questo era certa e si augurava di farlo capire anche ad Annette.

Mentre Ethan le massaggiava con dolcezza le gambe e la pancia, distribuendo una generosa quantità d'olio di mandorle, la ragazza ascoltava avvilita le solite rimostranze della madre.

Un colpo di tosse fece calare il silenzio tra loro.

«Lydie» chiese con voce rotta dall'angoscia la donna. «Sei sicura di star bene? Non mi stai nascondendo niente? Davvero?»

Nonostante i suoi sforzi di rassicurarla, un altro colpo di tosse sembrò gettare ulteriormente nel panico la donna.

«Lydie ti prego torna a casa. Hai bisogno di cure. Sii ragionevole» l'implorò Annette.

«Mamma sto benissimo, fidati».

Un silenzio imbarazzato calò tra le due donne, mentre Lydie cercava di trattenere un gemito di piacere nel sentire le mani di Ethan esercitare una deliziosa pressione sulle piante dei piedi.

«Lydie ho parlato a lungo con James» esordì sua madre, preoccupandola. «Non ha ammesso niente di preciso, ma ho capito che Ethan non è un ragazzo per bene. Dimmi la verità, sei entrata in un brutto giro? Ti sta manipolando in qualche modo?»

«Più che manipolando direi che mi sta massaggiando» rispose sperando di farla ridere ma ottenendo solo una bella sgridata.

Sospirando ascoltò in silenzio l'ennesima ramanzina materna, poi chiuse la conversazione, imponendosi di non lasciarsi rovinare la giornata dai timori di Annette.

Ethan le stava massaggiando la pancia, facendo assorbire l'olio che vi aveva distribuito e lei chiuse gli occhi, abbandonandosi al suo tocco delicato.

Da qualche giorno si erano spostati a Berck, prendendo in affitto un appartamentino per evitare di dover stare in albergo. Per quando si stesse impegnando, Lydie aveva notato che il ragazzo arrivava a fine giornata stremato. La vita d'albergo decisamente non si conciliava con il carattere ombroso e riservato di Ethan e alla lunga tendeva a esplodere.

«Mia madre ti odia» ammise dispiaciuta, tenendo gli occhi chiusi.

Lui continuò a massaggiarle la pancia e i fianchi senza direi nulla. Quando Lydie aprì gli occhi lo vide sorridere rapito, mentre le faceva scorrere un dito sul suo ventre impercettibilmente gonfio. Gli prese una mano e gliela baciò di slancio, felice di averlo accanto.

«Non abbiamo ancora scelto il nome nel caso fosse una bambina» disse Ethan lasciandole il palmo accanto all'ombelico e accarezzandola con lo sguardo.

«Mi piacerebbe Juliette» mormorò Lydie.

Il ragazzo chiuse gli occhi e sorrise, come se gli fosse tornato in mente qualcosa di piacevole. Poi all'improvviso scosse un po' il capo. «Non Juliette, ma Juliet. Voglio che il nome sia inglese, come nel dramma di Shakespeare». Tacque un po' per poi stendersi accanto a lei. «Quando ti ho vista la prima volta sul pianerottolo di casa, ho pensato al primo incontro tra Romeo e Giulietta. Se fosse una bambina vorrei che si chiamasse Juliet. Che ne dici?»

«Dico che ti amo» sussurrò Lydie baciandolo.

***

Il vecchio battello solcava il fiume Erde pigramente, ravvivando le placide acque con mille piccole onde. Seduta all'interno, in una deliziosa sala ristorante, Lydie osservava incantata il vino che oscillava nel calice, in una specie di buffo girotondo.

«Non l'avrei mai detto» mormorò quasi tra sé e sé, «ma questo giro sull'Erde è quasi più bello di quello sulla Senna».

«Ha ragione, ma la guida turistica è davvero pessima» disse una voce sconosciuta.

Sobbalzando per lo stupore si voltò alla sua destra per osservare l'uomo che sedeva al tavolo accanto a loro.

«In compenso questo Bordeaux è eccellente» aggiunse con tono allegro la donna che gli sedeva di fronte.

Lydie sorrise alla coppia e scrutò di sottecchi Ethan, notando con piacere che aveva sollevato il calice verso la coppia in segno di saluto.

«Siete in viaggio di nozze?» chiese la donna.

«No» si affrettò a rispondere Lydie. L'argomento matrimonio la metteva ancora a disagio

«Diciamo che ci stiamo esercitando» rispose Ethan facendo ridere i loro vicini e fissando la ragazza con un tale ardore da farla arrossire. Poi inaspettatamente si voltò a guardare negli occhi i due coniugi, sorrise e si allungò ad afferrare la mano di Lydie. «Ad ogni modo sto per diventare papà».

Mentre l'uomo si complimentava e sua moglie ricordava l'emozione che aveva provato alla nascita del loro primogenito, Lydie lo guardò stupita. Era la prima volta che parlava di sé con estranei e lei ancora stentava a credere a ciò cui aveva assistito.

***

A Lydie non dispiaceva vivere in un appartamento in affitto. Per quanto l'albergo consentisse loro di non dover fare la spesa e preoccuparsi di pulire e rifare le camere, la privacy di cui potevano godere in un'abitazione tutta loro era impagabile.

Le note di Sunrise di Norah Jones la incuriosirono, spingendola a scendere dal letto dove stava poltrendo da un po'.

Ethan stava controllando qualcosa al portatile, poggiato sull'unica tavola di cui l'appartamento era dotato, poi canticchiando si voltò verso l'angolo cottura. Lo vide armeggiare con della carta argentata, mentre un ronzio di fondo le fece intuire che il vecchio forno doveva essere in funzione.

Vederlo così sereno, così normale, le faceva bene al cuore e la tranquillizzava. Qualunque cosa le fosse accaduta sapeva di poter contare di su lui.

«Non credevo che Norah Jones fosse il tuo genere» ammise abbracciandolo da dietro e sbirciando un paio di pesci ricoperti di sale grosso che stava chiudendo nella carta da forno dopo aver scartato la stagnola. «Che combini? Guarda che quella non è adatta. Devi usare l'alluminio» disse canzonandolo un po' e lasciandogli leggeri baci sul collo.

«Mia cara l'alluminio è tossico. Ho appena controllato, perciò mi rifiuto di utilizzarlo. La carta forno andrà benone. E comunque Norah Jones mi piace» concluse scrutandola un attimo con un pizzico di malizia. «Ti assomiglia».

Lydie rise, ammettendo che una vaga somiglianza c'era per davvero.

«Quanto deve cuocere il pesce?» domandò ancora mentre lo osservava riporre il tutto in una teglia di ceramica e infornare.

«Una quarantina di minuti».

«Me li farò bastare» sussurrò, mordendogli l'orecchio.

Ethan si voltò incuriosito, appoggiandosi al piano cottura e scostandola un attimo per osservarla meglio. Aveva notato che nell'ultimo periodo Lydie era diventata più sicura, più disinibita, come se anche le ultime barriere tra loro avessero ceduto.

«Ultimamente mi chiedi spesso di fare l'amore».

«Saranno gli ormoni della gravidanza» ammise ridendo e abbracciandolo. «Ti vuoi negare?»

«Sto valutando la cosa. Bisogna sempre farsi desiderare un po', non trovi?»

«Vorrà dire che cercherò di essere convincente, per indurti in tentazione».

Ethan la strinse forte a sé, baciandole il capo e ascoltando il respiro leggero e accelerato che la ragazza aveva nelle ultime settimane. Si augurò che dipendesse dalla gravidanza. Per quanto avesse cercato di non farla ingrassare troppo, il corpo di Lydie cambiava a vista d'occhio. Aveva preso almeno due taglie in più di seno e adesso la pancia era ben visibile. Se da un lato i mutamenti del corpo di Lydie lo affascinavano, inducendolo a essere sempre più gentile e protettivo nei suoi confronti; al tempo stesso ne era terrorizzato. Per quanto si sforzasse di non pensare alla malattia di Lydie, la debolezza che si andava intensificando giorno dopo giorno, la tosse sempre più persistente e il respiro spezzato che faticava a nascondere, non facevano altro che ricordargli il prezzo della loro felicità.

«Sai, neanche con James ho mai avuto l'intimità che ho raggiunto con te» disse a un tratto premendogli la fronte sul petto e distogliendolo da pensieri angoscianti.

Quel nome lo fece irrigidire. Non aveva mai chiesto nulla del rapporto che Lydie aveva avuto con James. Non voleva sapere nulla della loro relazione, della vita che aveva condotto insieme a lui. Non voleva sapere nulla, troppo spaventato all'idea di essere messo a confronto con James e di uscirne perdente.

«Non ho avuto molti ragazzi prima di James... sai, per via di mio padre». Si fermò un attimo a guardarlo negli occhi, disegnando cerchi concentrici sul suo petto. «Ti disturba se ne parlo?» Ethan scosse il capo, per quanto non fosse davvero sicuro di voler ascoltare quella storia.

«Quando papà si è ammalato avevo un ragazzo. Una storia da adolescenti, mi capisci? Niente di che. Non avevamo fatto niente, non ci siamo spinti oltre i baci e qualche carezza. Ci siamo lasciati pochi mesi dopo la morte di mio padre. Io ero sconvolta e arrabbiata. L'ho lasciato, non ricordo neppure la motivazione. Volevo solo stare per conto mio. Ho avuto qualche flirt in seguito. Niente di serio. Ho fatto l'amore per la prima volta con un ragazzo molto carino, col quale credo di esser stata circa un mesetto. Mi sentivo allo sbando, completamente smarrita. Poi finalmente ho deciso di cambiare vita. Sono partita per Londra e ho incontrato James. Lui mi ha dato quella sicurezza che mi era venuta a mancare e io mi sono affidata completamente a lui».

Tacque un po' come per riordinare i ricordi e riprendere fiato. Parlare a lungo cominciava ad affaticarla molto.

«Era molto comodo lasciare a James il comando della mia vita. Non dovevo fare niente. Non dovevo assumermi nessuna responsabilità, né preoccuparmi di fare scelte di alcun genere. In breve tempo era divenuto la mia ancora di salvezza e io ne avevo così bisogno. Faceva apparire tutto semplice. Aveva programmato tutta la nostra vita e a me stava bene così. Non mi ero resa conto di quanto il nostro rapporto fosse sbilanciato. Avevo solo vent'anni quando l'ho conosciuto e avevo bisogno di una guida, di questo sono certa. Voglio molto bene a James. Mi è stato d'aiuto. Mi ha permesso di riprendermi da un dolore che mi stava lentamente uccidendo, ma credo di non averlo mai amato davvero. Me lo hai fatto capire tu».

Ethan rimase in silenzio, immobile ad ascoltare. Si era chiesto più volte cosa avesse provato Lydie per James. Si era chiesto se avesse mai avuto dei ripensamenti, se si fosse mai pentita di aver lasciato un bravo ragazzo come quello, per uno come lui: facile alla collera, asociale per natura e che si esprimeva in modo spesso fastidioso e offensivo. A parte i soldi sapeva di non avere molto da offrire.

«Ethan» disse accarezzandogli il volto. «Il sentimento che provo per te, nel bene e nel male è qualcosa che mi era sconosciuto e di cui non riesco a fare a meno». Lo abbracciò stretto, premendo la guancia contro la sua. «Di tutte le cattiverie che mi hai detto e mi hai fatto, la peggiore, la più insopportabile, l'unica che mi uccideva tutte le volte, era saperti tra le braccia e nel corpo di un'altra tutti i maledetti pomeriggi». Lo guardò con gli occhi lucidi. «Le ho odiate, Ethan. Non puoi immaginare quanto».

«Oh, Lydie» mormorò sentendo la voce spezzarsi. «Ma io quelle donne le detestavo, perché nessuna riusciva a liberarmi dall'ossessione che avevo per te. Nessuna mi faceva provare quello che provavo con te. All'inizio mi ero convinto che mi piacesse solo il tuo corpo. Non ero mai stato con qualcuna che mi attraesse così tanto. Il sesso era sempre stata una valvola di sfogo, un modo per scaricare la tensione e la frustrazione. Perciò mi ero detto che mi sarebbe passata presto. Eppure vivevo di quelle ore trascorse con te e il resto della giornata lo passavo incazzato come poche volte mi era capitato di essere. Non tolleravo l'idea che vivessi con un altro. Quando vi vedevo uscire insieme, quando sentivo le vostre voci sul pianerottolo o attraverso le pareti dei nostri appartamenti, venivo assalito da un istinto omicida. Dio, Lydie» disse allontanandola da sé e dandole le spalle. Prese una spugnetta e pulì il piano cottura, tanto per distrarsi, per alleggerire la tensione.

«Un giorno Mike mi ha mandato una ragazza che ti assomigliava un po'. Quando l'ho vista ho pensato che forse sarei riuscito a sostituire lei con te. Sarebbe stato più facile. Solo sesso. Zero problemi. Nessun fidanzato. Nessun legame». Si fermò, restando ancora di spalle. «Quel giorno ho capito che l'attrazione fisica non c'entrava proprio niente e che ti desideravo per ciò che eri e non per come eri. Quella ragazza non provava niente per me e io non sono riuscito a farci sesso. Fisicamente mi ricordava te, ma non c'era nessun desiderio nei suoi occhi, nessuna lotta interiore tra desiderio e volontà. Non c'era niente. Ero un cliente come tanti. L'ho mandata via prima di prenderla a calci. Da quel giorno...» si voltò per guardarla negli occhi. «Da quel giorno non ho più voluto nessuna ragazza».

Lydie si accigliò. «Ma io le ho sempre sentite» chiese interdetta.

Ethan fece spallucce. «Chiedevo loro di fare un po' di versi in salotto, mentre io me ne stavo in camera a leggere. Sapevo che ti avrebbe fatto soffrire sentirle e la cosa mi rendeva felice. Era il mio modo di mantenere un legame con te, anche se basato sull'odio e sul disprezzo. Capisci? Era pur sempre qualcosa. Non avrei mai tollerato di esserti indifferente».

«Ho sofferto da morire per colpa loro» ammise incredula.

«Anche io sapendoti con James».

«Ma perché non me lo hai detto».

«Lydie, cosa pretendevi che ti dicessi? 'Ehi! Ciao! Ho passato tutta la vita a tenermi lontano dalle persone per paura di affezionarmici e perderle e adesso non riesco neanche a respirare se non vedo te». Si voltò di nuovo verso il piano cottura, stringendo i pugni e irrigidendosi tutto. «La verità Lydie è che sono una nullità. Da quando sono venuto al mondo sono riuscito a fare e dire tutte le cose più sbagliate. Mi terrorizzavi e per certi aspetti mi fai paura ancora oggi».

Gli poggiò una mano sulla spalla per farlo voltare.

«Ethan, io ti amo e sono tua».

Scoppiò a ridere, ma non c'era alcuna gioia in quella risata.

«No. Tu non sei mia. Non lo sei mai stata e forse mai lo sarai. Meriteresti un uomo diverso, migliore. Ma io ti voglio per me e non ti lascerò andare, neanche se tu mi supplicassi. Non avrei pietà, Lydie. Sono uno stronzo egoista».

La ragazza scosse il capo per mostrare il suo disappunto. Non la pensava così, ma sapeva che non l'avrebbe convinto di certo.

«Sono tua, credimi» disse abbracciandolo di nuovo.

«Balliamo?»

«Ma tu odi ballare».

Sorrise stringendola più forte. «Lo so, ma nella vita si ha sempre la possibilità di cambiare idea. Mettiamola così: odio ballare, ma farlo con te mi piace».

Cominciarono a ballare sulle note di Don't kwon why.

«Comunque Ethan sappi che sono solo tua».

Sbuffò seccato. «Lydie, non lo so se sei mia, di sicuro però io sono tuo».

***

Da circa mezzora Lydie ripeteva un "uh-uh" al telefono, mentre Ethan ne approfittava per baciarla dappertutto.

Stava parlando con James e tra un bacio e l'altro il ragazzo non riusciva a evitare di imitare l'ex fidanzato di Lydie, facendola ridacchiare.

«Scusa... sì... ho sentito. No... non stavo ridendo» borbottò lanciando un'occhiataccia a Ethan che aveva iniziato a farle il solletico.

Ripeté almeno dieci volte che stava bene e altrettante che non sapeva quando sarebbe rientrata. Era importante mostrarsi rilassata con James perché da quel che aveva compreso tra lui e sua madre si era instaurato un bizzarro legame. Se Annette lo aveva tollerato poco quando era il fidanzato ufficiale, adesso che si erano lasciati, sembrava approvare qualsiasi cosa dicesse. Dal canto suo Ethan aveva tirato fuori un libro sulla gravidanza e le stava mostrando un passaggio che aveva sottolineato.

Lydie si accigliò non comprendendo di cosa si trattasse. Mentre rispondeva distrattamente a James, lesse il titolo della pagina che il ragazzo le stava indicando con un dito.

"Esercizi del perineo".

Perplessa Lydie tornò a guardare Ethan che fece scorrere il dito su una delle frasi che aveva sottolineato.

"Immaginate di strizzare una spugna bagnata contraendo con forza i muscoli del perineo".

Lydie diede un paio di colpi di tosse e James si agitò dall'altro capo del telefono, ma la ragazza era troppo presa dal capire dove volesse andare a parare Ethan per prestargli attenzione. Lesse l'esercizio successivo:

"Con il perineo immaginate di mangiare delle ciliegie e sputare il nocciolo. Sentite i muscoli che si contraggono come per masticare le parti morbide del frutto".

Sollevò un sopracciglio interdetta. Ma era davvero un libro sulla gravidanza?

Quando vide Ethan farle oscillare una ciliegia sotto il naso, mentre con l'altra mano le tirava via gli slip cominciò a ridere così forte che James l'accusò di essere ubriaca.

***

Avevano viaggiato in lungo e in largo per tutto il perimetro della Francia. Per quanto quella fosse la sua nazione, Lydie si rese conto che la conosceva davvero poco. In compenso adesso avrebbe serbato per sempre il ricordo di quel mese trascorso con Ethan a vagabondare senza meta. Erano giunti in prossimità di Biarritz, per salutare l'oceano atlantico con gli ultimi bagni, prima di costeggiare i Pirenei e puntare verso Sud. Si stavano lentamente avvicinando a Marsiglia perché Lydie era oramai quasi al sesto mese e desiderava effettuare un controllo ecografico e magari scoprire il sesso del suo bambino. Quella sera stavano passeggiando tra le bancarelle di una fiera.

Si sentivano particolarmente allegri, non avevano fatto altro che ridere di tutto: dello zucchero filato che si era attaccato sul naso di Ethan, della scarsa mira di Lydie nel tiro al bersaglio, del gelato che era scivolato di mano alla ragazza centrando in pieno un povero cagnolino. Adesso erano sulla ruota panoramica, intenti a sbaciucchiarsi come due adolescenti e decisi a restare lì per i successivi tre giri.

«Sei felice?» le chiese Ethan una volta che si furono allontanati dalla giostra.

«Sì» bisbigliò Lydie stringendosi di più a lui e baciandolo con dolcezza. « È una serata magica».

«Beh, se è una serata magica allora dobbiamo chiuderla degnamente» affermò il ragazzo prendendola per mano e riprendendo a camminare. «Ho visto che più in là c'è una zingara che legge la mano, non possiamo perdercela» concluse sorridendo.

Lydie non poté evitare di notare quanto fosse cambiato in quelle quattro settimane. Adesso sembrava più sereno, meno tormentato e più disposto a tollerare gli estranei. Soprattutto vedere Ethan ridere, come il ragazzo che in fin dei conti era, la colmava di gioia.

Attesero con pazienza che la zingara si liberasse dell'ultimo cliente. Era una donna dall'età indefinita, con i capelli scuri e ricci lasciati sciolti sulle spalle. Il volto sembrava giovanile, ma le mani nodose e segnate da curiose rughe, dichiaravano un'altra età.

Lydie si accomodò sulle gambe di Ethan, visto che il banchetto non aveva che un modesto sgabello di legno e chiese alla donna di leggerle la mano.

La zingara sorrise e scrutò con attenzione i volti dei due ragazzi, mentre prendeva la mano che Lydie le aveva allungato e l'accarezzava distrattamente. Poi concentrò la sua attenzione sul palmo della ragazza, seguendo le linee che lo caratterizzavano e arricciando ogni tanto le labbra.

«Allora?» chiese Lydie impaziente.

«Vedo molta gioia, ma anche molto dolore» cominciò la donna senza distogliere lo sguardo dal palmo della ragazza. «La linea della vita è molto lunga anche se è curiosamente frastagliata» ammise quasi parlando a se stessa, con quella sua voce ruvida e dall'accento straniero. «Sarai molto amata. Guarda» riprese indicandole una linea che attraversava tutto il palmo da sinistra a destra. Ethan si piegò curioso per seguire la linea che la zingara percorreva con lentezza avanti e indietro.

«Non è che vede anche un matrimonio?» chiese, facendo ridere Lydie.

«Sì vedo un matrimonio e un figlio. Uno solo» disse la donna rivolgendosi a Ethan che nel frattempo aveva allungato la sua mano verso la zingara.

«E da me lo vede il matrimonio?» chiese facendo l'occhiolino a Lydie che non riusciva a smettere di ridere. «Sa com'è, non vorrei scoprire all'ultimo momento che la signorina sposerà qualcun altro».

La donna sorrise e prese a leggere la mano di Ethan confermando che anche lui avrebbe avuto una vita lunga e piena d'amore e che si sarebbe sposato.

«Tanto per capire» riprese il ragazzo passando lo sguardo dal suo al palmo di Lydie. «La linea dell'amore qual è?»

Dopo che la zingara gliel'ebbe indicata, Ethan si agitò sullo sgabello, cercando di tirar fuori qualcosa da una tasca dei jeans.

«Cosa cerchi?»

«Questa» disse mostrando a Lydie una penna e scrivendo sulla linea della ragazza il proprio nome. «Giusto perché mi piace essere preciso. Il tuo amore appartiene solo a me» concluse soddisfatto. Sorridendo Lydie fece lo stesso, scrivendogli nel palmo il proprio nome.

Dopo aver pagato e ringraziato la zingara, ripresero a passeggiare distrattamente. Ogni tanto la ragazza guardava il nome di Ethan scritto tra le pieghe del palmo che sbadiva lentamente per colpa del sudore. Le sembrò che fosse una specie di cattivo presagio e si strinse a lui rabbrividendo.

«Lydie, tesoro, cosa c'è?» le chiese con dolcezza, allontanandola da sé quel tanto che bastava per guardarla negli occhi. Lei scosse il capo sentendosi una sciocca.

«Il tuo nome sta svanendo» mormorò sforzandosi di sorridere, ma non riuscendo a nascondere quel senso d'angoscia che all'improvviso le stava velando lo sguardo.

Ethan sorrise e la baciò.

«A questo c'è rimedio».

Il giorno dopo Lydie ammirava sorridendo il tatuaggio con il nome di Ethan che si era appena fatta fare.

«Che tu lo voglia o no, d'ora in avanti farai sempre parte di me» mormorò il ragazzo, aprendo e chiudendo la mano per osservare il nome di Lydie che appariva e spariva tra le pieghe del suo palmo. Poi baciò quel nome e si portò la mano al petto. «Adesso so che mi apparterrai per sempre».

«Anche tu» gli rispose lei commossa.

Ethan sorrise e l'abbracciò accarezzandole la pancia. «Ma io sono sempre stato tuo... sempre».


Ga verder met lezen

Dit interesseert je vast

7.5K 169 15
"Ai primi amori. A chi non si scorda mai." Ethan è un disastro, e gli piace così. Zero obiettivi. Zero aspettative. Zero delusioni. Ha tutto sotto c...
31.1K 1.9K 19
Se non è amore, dimmelo tu, cos'è?
21.4K 1.2K 40
|completa| //Bellarke// Clarke è una studentessa che frequenta il quarto anno di liceo, sembra un giorno scolastico normale ma cosa succederà quando...
172K 5.6K 8
Letto 22'000'000 di volte, Mr. Popular and I approda anche in Italia! ++++++++++++++++++ > sorrise sapendo che quello che aveva detto era completamen...