Bruciare ||Harry Styles ||

بواسطة FleurduMar

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ATTENZIONE QUESTA E' UNA FANFICTION RATING ROSSO a causa di un linguaggio a volte molto volgare e la numerosa... المزيد

1 - Dolce attesa
2 - Silentium!
4 - Un amore, violento, fragile, disperato
5 - Bevo a una casa distrutta
6 - Never give all the heart
7 - La madre
8 - Non andartene
9 - Ah, che nostalgia ho di te
10 - Ah! L'amor, l'amore ond'ardo
11 - Chiudi gli occhi amore, lascia che io ti faccia cieca
12 - Quand je t'aime
13 - Quando non c'è più rimedio è inutile addolorarsi
14 - Molta pazzia è divino buon senso
15 - Se tu vuoi un amico addomesticami
16 - Metti a repentaglio tutto ciò che hai
17 - Colui che genera un figlio non è ancora padre
18 - Forse tutta la vita non è che un sogno continuo
19 - Piccoli atti di coraggio
20 - La vita è breve
21 - Prigioniero
22 - Ci sono sempre due scelte nella vita
23 - Ci sono vuoti che le parole colmano
24 - Poi sei venuta tu
25 - Come geloso io soffro quattro volte
26 - Non è il tuo amore che voglio
27 - At this point in my life
28 - Conosco vite di cui potrei fare a meno
29 - Dove è odio, fa' che io porti l'amore
30 - Fidati dei tuoi istinti e accetta la vita così com'è
31 - Qualunque sia il destino
32 - I vostri figli non son vostri figli
33 - Si chiama amore
34 - Legami di sangue e di rispetto

3 - Saprai che non t'amo e che t'amo

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بواسطة FleurduMar

Saprai che non t'amo e che t'amo

perché la vita è in due maniere,

la parola è un'ala del silenzio,

il fuoco ha una metà di freddo.

Io t'amo per cominciare ad amarti,

per ricominciare l'infinito,

per non cessare d'amarti mai:

per questo non t'amo ancora.

T'amo e non t'amo come se avessi

nelle mie mani le chiavi della gioia

e un incerto destino sventurato.

Il mio amore ha due vite per amarti.

Per questo t'amo quando non t'amo

e per questo t'amo quando t'amo.

(Pablo Neruda)

Ethan era sconvolto. Il mondo improvvisamente stava precipitando e lui con esso.

James. Lei voleva James come padre del bambino, come compagno di vita. Aveva detto proprio così: James. Come darle torto. Quante bugie le aveva detto? Tante. Troppe.

«Sei solo una sgualdrina»

Bugia.

«Per me non conti niente»

Bugia.

«Il tuo accento francese mi dà la nausea»

Bugia.

Menzogne su menzogne. E perché? Non lo sapeva neanche lui e questo era l'aspetto che più di tutti lo tormentava. Perché? Forse era pazzo. Adesso cosa gli restava? Niente. L'aveva persa.

Si accasciò nel mezzo del salotto di casa sua, come un burattino al quale avessero tagliato i fili.

Mai, pensò.

Mai, continuò a dire tra sé e sé.

MAI, urlò con rabbia dentro il suo animo nero, come la notte, come i peccati che doveva scontare tutti e che avrebbe scontato, prima o poi.

«MAI» riuscì finalmente a dire.

Non l'avrebbe lasciata MAI.

«Mai smetterò di amarti» bisbigliò, alzandosi lentamente in piedi.

«E ti dimenticherò» disse ad alta voce, afferrando un posacenere di marmo che era poggiato su un piccolo tavolinetto di legno.

«quando venerdì sarà mercoledì,» urlò, lanciando il posacenere contro un quadro attaccato alla parete che separava il suo appartamento da quello di Lydie.

«quando le rose cresceranno dappertutto,» continuò ad urlare, aggrappandosi ad una stretta libreria di legno e tirandola a terra con un tonfo sordo.

«azzurre, come uova di tordo» disse, afferrando il tavolino di prima e sfasciandolo contro la parete.

«Quando il topo griderà 'chicchirichì'». Continuò a recitare quei versi, urlandoli a gran voce, come mai prima di allora aveva fatto e distruggendo tutto ciò che gli capitava a tiro.

«Quando la casa si reggerà sul comignolo». Corse in cucina e distrusse tutti i piatti e i bicchieri che trovò nella credenza.

«quando il salame mangerà l'uomo» urlò ancora, con le lacrime che oramai gli rigavano il volto, mentre correva in camera da letto e tirava via tutte le coperte e le lenzuola, gettando a terra il materasso e i cuscini.

«E quando ti sposerò*» sussurrò, accasciandosi di nuovo al suolo, con la schiena contro un muro e piangendo disperato. (* cit. Andrej Andreevič Voznesenskij "MAI")

Aveva pianto così, solo quando sua zia gli aveva detto che l'aereo, che stava riportando a casa i suoi genitori, era precipitato per un guasto meccanico e che la sua mamma e il suo papà non avrebbero più fatto ritorno. Aveva otto anni. Adesso ne aveva ventisette. Quasi vent'anni dopo piangeva di nuovo. Dopo vent'anni, per la prima volta, era riuscito a declamare dei versi ad alta voce.

***

Lydie aveva sentito dei rumori assordanti provenire dall'appartamento di Ethan. Lo aveva sentito urlare, senza comprendere bene le parole pronunciate. Era rimasta ferma, imbambolata nel suo piccolo studio, guardando la parete che separava i loro due appartamenti, neanche potesse riuscire a vedervi attraverso.

Perché era così sconvolto?

Ethan le aveva ripetuto fino alla nausea che lei non rappresentava nulla e, oltre a dirglielo, glielo aveva ampiamente dimostrato più volte, umiliandola, offendendola, facendola sentire una prostituta. Perché adesso era così turbato all'idea di terminare lì quell'assurda relazione. Sorrise amaramente. Relazione? Non era neanche sicura si potesse definire così quello strano legame che li univa. Sì, perché su una cosa non c'era dubbio alcuno. Loro erano uniti da qualcosa che andava al di là del sesso. Lydie non sapeva esattamente cosa fosse. Era amore? Mah! Quello che provava per James era molto diverso. Cos'era davvero l'amore. Come definirlo, come catalogarlo, come riconoscerlo?

Si passò nervosamente una mano sulla frangetta, spostandola un po' dal suo viso. Ethan era il fuoco, che divampava improvviso e che non era possibile spegnere o controllare. Un fuoco che bruciava tutto, che distruggeva ogni cosa, lasciando solo cenere alle spalle. James era il tepore dei raggi di sole d'estate, che ti riscaldano, ti fanno sentire bene, in pace. I raggi del sole portano la vita, il fuoco lascia solo macerie fumanti.

Era per il bambino? Era per quel motivo che Ethan sembrava impazzito?

E perché mai agitarsi tanto per un altro essere umano, per un esserino ancora neppure nato. Ethan non si scomponeva mai per nessuno. Niente e nessuno contava per lui al di fuori di se stesso. Lydie sentì ancora rumori assordanti provenire dall'appartamento del ragazzo. Si chiese per un attimo se non fosse il caso di andare da lui, di calmarlo un po'. No. Meglio di no. Avrebbero finito per discutere e poi per far l'amore, lo sapeva già. Tra loro era sempre stato così. Andò in cucina e cercò di riordinarla. Doveva far sparire i cocci e soprattutto doveva uscire e portar via l'immondizia e quel maledetto test. Non era ancora pronta per dire a James del bambino, in fin dei conti aveva ancora tempo.

***

Ethan era seduto a terra, in camera sua. Lo sguardo era perso nel vuoto, l'appartamento completamente devastato. Fissava un punto indefinito della stanza, mentre la sua mente viaggiava altrove, ripercorreva come in un film quegli ultimi undici mesi.

L'aveva spiata per giorni. Aveva trascorso ore attaccato allo spioncino della porta di casa sua, per vedere chi entrava e usciva dall'appartamento di fronte. Quando qualcuno veniva fuori si precipitava al balconcino della cucina che dava sul cortile condominiale. Nel giro di pochi giorni aveva realizzato che il ragazzo dagli occhi nocciola usciva sempre al mattino attorno alle otto e non faceva rientro a casa prima delle sette di sera. Lei, invece, restava a casa tutta la mattina. Usciva a far la spesa verso mezzogiorno. Andava sempre a piedi e rientrava dopo poco con qualche sacchetto dal quale spuntavano ciuffi verdi.

Ethan era prigioniero in casa, nel vero senso del termine. Gli era proibito uscire. Le forze dell'ordine passavano per un controllo o al mattino presto o in serata. Decise che l'unico approccio possibile era quello di farsi invitare a casa sua. Passò una mezza giornata sdraiato sul divano ad ascoltare Satie e a studiare un possibile piano. Alla fine andò in cucina a preparare la cena soddisfatto.

Il mattino seguente si assicurò che il ragazzo dagli occhi nocciola fosse uscito. Si fece una doccia, indossò una camicia bianca e un paio di jeans. Attese impaziente che arrivassero le guardie. Alle dieci, decise che poteva uscire, il controllo lo avrebbero fatto sicuramente in serata.

Bussò alla porta del vicino. Sentì un leggero fruscio dietro l'uscio, poi si aprì uno spiraglio. Spuntò una folta frangetta castana e due occhioni scuri, velati appena da lunghe ciglia.

Sorrise suo malgrado. Da vicino era anche più bella. Piegò un po' il capo di lato divertito.

«Abito di fronte. Avrei bisogno d'aiuto» le disse scrutando con attenzione ogni minimo particolare del suo volto. Lei sembrò rilassarsi, aprì meglio la porta e gli sorrise sincera.

«Mi dica» fece con un accento strano. Non era inglese, quello era sicuro.

«Sto preparando il thè, ma ho finito il latte. Sarebbe così gentile da prestarmene un po'?»

Rise divertita.

«Già! Il latte con il thè, tremendamente inglese. Prego si accomodi», disse sorridendo e lasciandolo entrare.

Ethan non se lo fece ripetere due volte, era esattamente quello che aveva sperato.

La seguì nell'ampio salotto, mentre lei lo attraversava dirigendosi verso una piccola porta scorrevole situata in fondo alla sala, dove si intravedeva un cucinotto.

«Lei non mi sembra inglese... dall'accento, intendo dire», aggiunse, mentre ammirava quel corpo morbido e sinuoso che gli dava le spalle.

La ragazza si voltò divertita, sembrava che persino gli occhi ridessero, luccicando in modo seducente.

«Si sente molto, vero? Sono francese, mi chiamo Lydie Moreau».

«Ethan Preston», rispose scrutando meglio il davanti di quel magnifico corpicino che era dinanzi a lui.

«Francese di dove, non ha l'accento parigino», continuò sovrappensiero.

Sorrise ancora.

«Diamoci del tu e... no, non sono del nord, vengo da Marsiglia».

Ethan non poté evitare di ridere di gusto.

«Conosci la città?»

La conosceva? Metà del traffico di eroina di Mike passava da Marsiglia. Sì... aveva qualche conoscenza a Marsiglia.

«No» si affrettò a rispondere, passandosi una mano tra i capelli. Non portava il reggiseno, quello era certo, si intravedevano benissimo i capezzoli attraverso la stoffa sottile di quell'inutile vestitino.

«Parli francese, però», continuò un po' sorpresa.

-Oui je parle trés bien ta langue, parce-que c'est la langue de l'amour, ma petite et l'amour c'est la raison de ma vie.-

«No. La trovo una lingua per froci. Preferisco il suono duro e gutturale dell'inglese», rispose meccanicamente con tono sgarbato, mentre ammirava quel vitino piccolo, che si allargava su dei fianchi pensati per affondarci le dita dentro e stringerli forte, per tirarla a sé.

Quando tornò a guardarla negli occhi si rese conto che era arrabbiata. Lei si voltò di scatto ed entrò in cucina. Prese fuori dal frigorifero una bottiglia di latte e gliela porse.

«Ecco», disse allungandogliela.

Ethan sorrise divertito. Si era offesa per così poco, non lo conosceva.

«Dicono però che le donne francesi a letto siano insuperabili. Nate per essere scopate».

La vide irrigidirsi e diventar paonazza.

«La prego, cortesemente, di voler uscire».

«Non l'avete inventato voi il bacio alla francese?», continuò imperterrito. Una parte di sé gli stava urlando di fermarsi, che era un idiota, che la stava offendendo e imbarazzando senza motivo, ma lui era fatto così, aveva sempre agito in quel modo.

«Mi chiedo come sia un pompino fatto da una francese... bisognerebbe provare», fece ridendo e inumidendosi le labbra con la lingua.

Era furiosa.

«Se non esce immediatamente dal mio appartamento chiamo la polizia. Fuori!», urlò, indicandogli con un dito la porta.

Ethan le riservò ancora un'occhiata maliziosa, poi sghignazzando si girò e uscì da quella casa. Avvertì la porta chiudersi pesantemente alle sue spalle. Adesso che era fuori sentì uno strano fastidio. Si toccò il petto istintivamente, come se il cuore gli facesse male. Perché le aveva detto quelle oscenità? Lydie non era il genere di ragazza a cui dire cose di quel tipo. Scosse il capo infastidito. Da quando si poneva certi problemi?

Si diresse a casa sua, aprì la porta e si ritrovò a fissare la sua immagine nell'appendiabiti a specchio che era attaccato alla parete. Alzò il dito medio e si mandò a far fottere. «Sarai contento adesso, coglione!», si disse arrabbiato, sbattendo la porta e andando in cucina a riporre in frigo il latte che lei gli aveva gentilmente offerto.

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