Bruciare ||Harry Styles ||

Autorstwa FleurduMar

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ATTENZIONE QUESTA E' UNA FANFICTION RATING ROSSO a causa di un linguaggio a volte molto volgare e la numerosa... Więcej

1 - Dolce attesa
3 - Saprai che non t'amo e che t'amo
4 - Un amore, violento, fragile, disperato
5 - Bevo a una casa distrutta
6 - Never give all the heart
7 - La madre
8 - Non andartene
9 - Ah, che nostalgia ho di te
10 - Ah! L'amor, l'amore ond'ardo
11 - Chiudi gli occhi amore, lascia che io ti faccia cieca
12 - Quand je t'aime
13 - Quando non c'è più rimedio è inutile addolorarsi
14 - Molta pazzia è divino buon senso
15 - Se tu vuoi un amico addomesticami
16 - Metti a repentaglio tutto ciò che hai
17 - Colui che genera un figlio non è ancora padre
18 - Forse tutta la vita non è che un sogno continuo
19 - Piccoli atti di coraggio
20 - La vita è breve
21 - Prigioniero
22 - Ci sono sempre due scelte nella vita
23 - Ci sono vuoti che le parole colmano
24 - Poi sei venuta tu
25 - Come geloso io soffro quattro volte
26 - Non è il tuo amore che voglio
27 - At this point in my life
28 - Conosco vite di cui potrei fare a meno
29 - Dove è odio, fa' che io porti l'amore
30 - Fidati dei tuoi istinti e accetta la vita così com'è
31 - Qualunque sia il destino
32 - I vostri figli non son vostri figli
33 - Si chiama amore
34 - Legami di sangue e di rispetto

2 - Silentium!

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Autorstwa FleurduMar

Taci, appartati e nascondi

I tuoi sentimenti e i tuoi sogni,

E lascia che nella profonda anima

Essi si alzino e tramontino

Silenziosamente, come stelle nella notte,

Contemplali, e taci.

Come potrebbe il cuore esprimersi del tutto?

E un altro come potrebbe capirti?

O comprendere il senso della tua vita?

Il pensiero espresso è menzogna;

Scavando, intorpidisci le fontane!

Bevi a queste fontane, e taci!...

Sappi vivere solo di te stesso;

C'è nella tua anima un mondo intero

Di pensieri incantati e misteriosi;

L'esterno rumore li stordisce,

I raggi del giorno li disperdono,

Ascolta il loro canto e taci!...

(Fedor Tjutčev - Silentium!)

«Hai voglia di un thè?» le chiese Ethan distratto, mentre si divertiva a seguire un curioso sentiero che dalla caviglia di Lydie arrivava fino al ginocchio e poi più su, fino all'inguine. Percorse con un dito la sua gamba. Sorrise. Era uno dei pochi momenti in cui sembrava gentile, quasi tenero. Lydie lo osservò stupita. Le rare volte in cui Ethan si mostrava così, la confondeva, non riusciva a capire quale fosse il reale animo di quello strano ragazzo. Dopo un anno, Lydie poteva dire di non conoscere affatto quell'uomo che, seduto dinanzi a lei, le stava accarezzando una gamba, completamente perso in chissà quali pensieri. Avrebbe pagato, avrebbe dato qualsiasi cosa, per scoprire anche solo uno dei pensieri di Ethan.

«Arti atti alla deambulazione»

Pensò lui, accarezzandole una gamba e ricordando una poesia.

«Il dizionario chiama le tue gambe.

Ecco, io dico, una definizione

molto balorda, stramba fra le strambe».

Sorrise percorrendo di nuovo l'intera lunghezza della gamba con un dito

«Le cosce: due piedritti caldi e lisci

di un architrave sapido e vermiglio.

E dietro a ogni ginocchio custodisci,

per la mia bocca, un quieto nascondiglio.

Divertito le passò la lingua dietro il ginocchio

Le tue ginocchia sono perle chiare

In cui la luce appoggia i suoi barbagli

La tua caviglia è uno stelo splendente.

Scese giù a leccarle una caviglia

Le dita sono amori da contare

Con la mia lingua, senza fare sbagli,

e ricontare molto dolcemente.»*

(* R. Piumini, Sonetti Erotici)

Arrivò fino al piede e le succhiò delicatamente le dita, sorridendo. Era rassegnato. Lydie gli faceva quello strano effetto, tutte le volte che le stava accanto finiva con il parlarle silenziosamente d'amore attraverso le poesie che aveva letto. Le parlava un linguaggio muto, perché quando davvero le rivolgeva la parola, si limitava a offenderla e umiliarla. Quando realmente la voce fuoriusciva dal suo corpo, era un altro a parlare non lui. Il vero Ethan si nascondeva da sempre e non voleva venir fuori, non sarebbe venuto fuori neanche per lei, che amava sopra ogni altra cosa al mondo.

Il ragazzo alzò lo sguardo, la vide seduta sulla tavola, con i piedi sulle sue ginocchia, stupita e perplessa. Avrebbe voluto prenderle il volto tra le mani, baciarla fino a toglierle il fiato e dirle che l'amava, l'amava da impazzire. Avrebbe voluto inginocchiarsi dinanzi a lei e implorarla di lasciare James, per essere solo sua. Avrebbe voluto, ma non fece niente di tutto ciò. Si limitò ad aggiustare quella stupida maschera che indossava da anni. Lo stesso sguardo che prima dolcemente l'accarezzava, seguendo percorsi immaginari e sussurrandole mute parole d'amore, divenne duro, freddo come il ghiaccio. Un ghigno cattivo gli comparve sul volto.

«Per essere una puttanella devo riconoscere che scoparti non è male. La cosa che più mi diverte è che quel coglione è al lavoro e neanche immagina come trascorre le giornate la sua amata francesina del cazzo!»

Ecco. L'aveva ferita ancora, ferendo anche se stesso, ma non riusciva a fare diversamente. Proprio non ci riusciva.

Lydie lo guardò con disprezzo, chiedendosi perché dovesse continuamente offenderla e umiliarla, perché dovesse sempre esprimersi in un modo così volgare e rivoltante che avrebbe fatto fuggire chiunque a gambe levate. Tutti tranne lei, pensò sentendosi una stupida. Non c'era nessun motivo valido per farlo, eppure Ethan la trattava continuamente così. Si rivolgeva a lei sempre con frasi volgari, eppure la sua casa era piena di libri e lei era certa che se solo avesse voluto, avrebbe potuto essere più cortese, più educato, ma lui non voleva.

«Avanti! Fammi un thè», fece sgarbato, facendola scendere con poca grazia dal tavolo e dandole una leggera spinta, per indurla ad andare in cucina.

Lydie lo guardò piena di rancore, sentì le lacrime premere per uscire. Decise di accontentarlo, forse così sarebbe finalmente riuscita a dirgli che quella storia doveva finire. Erano arrivati al capolinea, volente o nolente. Si voltò e andò in cucina con passo deciso. Non appena si fu voltata, lontano dai suoi occhi, Ethan si morse un labbro frustrato e si passò le mani tra i capelli in modo nervoso.

Si odiava.

Non sopportava di trattarla così male e al tempo stesso non riusciva ad evitare di comportarsi così, non era chiaro neanche a lui perché agisse in quel modo. Aveva trascorso mesi a chiederselo, forse aveva un disturbo della personalità, forse semplicemente aveva paura, paura di mostrare a qualcuno il lato più fragile di sé.

Da quando, bambino, era rimasto orfano di entrambi i genitori, aveva abilmente costruito una solida maschera. Era stato un bambino difficile, un combina guai, a scuola era sempre stato nel gruppo dei giovani bulli che davano i tormenti ai ragazzi più deboli. Si era fatto bocciare più volte, nonostante le sue reali conoscenze fossero di gran lunga superiori alla media dei suoi coetanei. In ultimo aveva nascosto un discreto quantitativo di droga in casa sua, per fare un favore a un suo amico spacciatore. Le telefonate erano state intercettate dalla polizia e lui, essendo marginalmente coinvolto, si era fatto solo un anno di arresti domiciliari.

Ethan Preston era un uomo sbagliato, soprattutto sbagliato per lei. Lei che lo ossessionava in qualsiasi istante del giorno e della notte, lei che era diventata il fulcro della sua intera esistenza, lei che era oggetto di tutte le sue torture fisiche, verbali e psicologiche. L'amava con tutta l'anima e l'odiava altrettanto intensamente, perché lei aveva distrutto tutto quello che in anni Ethan aveva costruito e gli aveva lasciato solo quella stupida maschera, quella maschera che mostrava esternamente un uomo duro e crudele, ma al tempo stesso non lo proteggeva più dal dolore che provava tutte le volte che era spietato e brutale.

Non si era mai preoccupato di quello che gli altri potessero sentire, adesso invece gli arrivava una pugnalata dritta al cuore, ogni volta che la vedeva soffrire, che leggeva odio e rabbia su quel volto così dolce.

Si alzò nervoso, si guardò un po' attorno, poi decise di seguirla in cucina. Ricordava ancora perfettamente la prima volta che l'aveva vista, undici mesi prima.

Era sul pianerottolo, stava salutando un amico che era andato a trovarlo e gli aveva procurato un paio di spinelli. Erano circa le nove di un noioso sabato sera. Era appoggiato allo stipite della porta di casa e chiacchierava distrattamente, quando ad un tratto aveva sentito ridere una donna, poi la porta del vicino si era aperta e lei era venuta fuori a passo svelto, seguita da un ragazzo alto, dai capelli ramati e gli occhi color nocciola. Era rimasto senza fiato, come se il mondo si fosse fermato, tutto fosse svanito di fronte alla sua presenza. Aveva sentito una fitta allo stomaco ed era rimasto incantato a guardarla.

Le donne per lui erano state, fino a quel momento, solo degli oggetti da usare quando gli andava e da scacciare immediatamente dopo, ma lei... lo aveva ubriacato con un solo sguardo.

«Ha mai amato il mio cuore finora?...

Se dice sì, occhi miei, sbugiardatelo,

perch'io non ho mai visto

vera beltà prima di questa notte.»*

(*W. Shakespeare, Romeo e Giulietta)

Nel vederla gli erano immediatamente tornate alla mente le parole pronunciate da Romeo la prima volta che il suo sguardo si era posato su Giulietta. Da quel momento, tutte le volte che la vedeva, non riusciva ad evitare che poesie d'amore gli tornassero a mente, come se il suo vero animo, di fronte a quella ragazza, non riuscisse più a nascondersi. Era stato così turbato da quella visione e dalle forti sensazioni che aveva provato, che per giorni era rimasto sul letto a guardare il soffitto, chiedendosi cosa mai gli fosse accaduto. Poi aveva deciso di rivederla e aveva preso a spiarla, a registrare tutti i movimenti di lei e del suo compagno, per sapere quando poterla incontrare da sola.

***

Lydie spense il fornello e mise la bustina di thè nell'acqua bollente. Si sentiva svuotata. Perché era così debole? Perché le risultava così difficile allontanare quel ragazzo che non faceva altro che farla soffrire? Non riusciva a spiegarselo, soprattutto l'aspetto che l'addolorava di più era che James non meritava di essere tradito, non in quel modo. Sentì una mano stringerle forte il braccio e farla girare bruscamente. Si ritrovò faccia a faccia con Ethan.

«È quasi pronto» gli disse sgarbata, distogliendo subito lo sguardo da quegli occhi azzurri, che la facevano sentire nuda. «Devo parlarti, Ethan, è importante», continuò fissando il vuoto.

Lo sentì ridere sommessamente.

«Importante?» La scosse con violenza, costringendola a riportare lo sguardo su di lui. Non sopportava quando non lo guardava negli occhi, perché sapeva perfettamente il motivo per cui lei non riusciva a reggere il suo sguardo. Lo temeva, lo odiava probabilmente ed Ethan sapeva di meritarsi il suo odio. Sapeva perfettamente di essere un uomo ignobile, non meritava l'amore di Lydie e al tempo stesso non era capace di fare a meno di lei. Era uno stronzo egoista e ne era consapevole, per questo da lei pretendeva almeno l'odio, ne aveva bisogno per andare avanti, per sopravvivere.

«Cazzo vuoi?»

«Bisogna che questa storia finisca. Io non posso più andare avanti così, sono stanca».

Il cuore di Ethan perse un colpo. Se credeva di liberarsi di lui così, sbagliava di grosso. Lo aveva spogliato di tutte le sue corazze e adesso non poteva lasciarlo così, inerme, in balia del mondo. Non poteva lasciarlo, non glielo avrebbe permesso.

«Tu per me non sei niente» disse cercando di controllare la voce, sforzandosi di non dare a vedere quanto quella richiesta lo avesse terrorizzato. «Ma decido io quando smettere di vederti e per il momento ne ho ancora voglia, perciò arrangiati». Strinse di più la presa attorno al braccio di lei e l'attirò a sé, facendola sbattere contro il suo petto. Aveva bisogno di sentirla, di sapere che non sarebbe scappata.

«Ethan mi fai male, ti prego» lo supplicò. «Tu puoi avere tutte le donne che vuoi, lasciami andare, per favore».

«No» e strinse ancora un po', voleva lasciarle un livido, un segno del suo passaggio, un marchio di proprietà, perché lei era sua e di nessun altro. La separazione non era contemplata.

«Per te non sono niente, tu non provi nulla, perché tormentarmi così, ti prego!»

Lo supplicò ancora, sfiorandogli la mano che la stringeva forte, sperando che allentasse un po' la presa. «Ti prego».

Ethan la lasciò andare, si avvicinò ai fornelli e tirò via la bustina del thè, si avviò al lavandino e aprì lo sportello che era sotto e che conteneva il bidoncino dell'immondizia. Gettò la bustina, ma i suoi occhi si posarono su qualcosa di strano. Tirò fuori dall'immondizia quella strana penna.

Il cuore gli si fermò un attimo.

Un test di gravidanza.

Positivo.

LEI era incinta.

Cercò di prendere fiato prima di voltarsi. Si sentiva come una boa in mezzo a un mare in tempesta.

Lydie era distratta, guardava il salotto e si massaggiava il braccio indolenzito. Ethan si sentì un verme per averglielo stretto in quel modo.

Aspettava un bambino? Aspettavano un bambino.

Padre.

Lui.

Padre.

«Che cosa significa questo?» le chiese con un tono di voce strano, era così sconvolto che sentiva che tutto stava crollando, persino la sua maschera stava cedendo, sotto quel colpo micidiale che gli era appena stato inferto.

Lydie si voltò lentamente, quando vide il test di gravidanza nelle sue mani, sbiancò. Lo fissò negli occhi per un attimo che gli sembrò infinito.

«Aspetto un bambino» disse tornando a fissare il vuoto.

Ethan ebbe la sensazione che il suo cuore battesse così forte da far oscillare l'intero corpo ad ogni battito: era una foglia al vento.

Un figlio.

Lui.

Un figlio.

«È per questo che dobbiamo smettere» continuò con voce atona Lydie.

Sbatté le palpebre più volte. La conseguenza logica di quelle due frasi gli sfuggiva. "Aspetto un bambino" aveva detto. "È per questo che dobbiamo smettere". Corrugò le sopracciglia. No. Non capiva. Aspettavano un bambino, perché smettere?

«Smettere?» chiese perplesso. Cosa intendeva? Voleva forse abortire? Non glielo avrebbe mai permesso.

«Dio Ethan! Smettere, sì», urlò disperata con le lacrime agli occhi. «Non vorrai mica che questo bimbo nasca, mentre sua madre continua imperterrita a tradire il marito con uno stronzo che vuole solo scoparla e basta. Ma ce l'hai un cuore? Cos'hai nel petto, un macigno? Il vuoto?»

Ethan era spiazzato, continuava a non capire. Quale marito? Lui. Lui era il padre, il marito, l'amante, tutto. Di che stava parlando?

«Marito?» riuscì solo a ripetere, ancora stordito dalle troppe emozioni che lo frustavano, sconvolgendolo come mai gli era accaduto prima.

«Certo! James, mio marito, il padre del bambino», continuò con voce spezzata Lydie.

«James?» disse, realizzando in quel momento cosa intendeva fare.

«JAMES! » urlò, in preda a una rabbia crescente che premeva per esplodere.

«JA-MES!» urlò ancora più forte, tirando un pugno contro un armadio, gettando per aria tutto quello che trovava a tiro. Lydie uscì correndo dalla cucina in preda al terrore. Non l'aveva mai visto così.

«Quello è mio figlio, cazzo!» continuò a urlare come un pazzo, inseguendola in salotto. L'afferrò di nuovo stringendola con entrambe le braccia.

«No» fece lei, scuotendo il capo. Era terrorizzata, non l'aveva davvero mai visto così. «È di James».

Ethan chiuse gli occhi, cercò di calmarsi altrimenti sarebbe impazzito davvero.

«Quello è mio figlio e tu lo sai» disse dopo molti minuti di silenzio assoluto, quando ebbe riguadagnato un po' di calma.

«Anche se fosse così, io vorrei solo James come padre. Tu non sei capace di provare sentimenti. Per te non sono niente, solo un corpo nel quale entrare e uscire a tuo piacimento, tanto per vincere la noia di giornate vuote. Questo lo sai meglio di me, Ethan. Io voglio solo dare un padre, un vero padre, a questo bambino».

Quella era la giusta punizione perciò che le aveva fatto. Per le parole dette e quelle taciute. Per le bugie. Per le ferite. Ethan era sbagliato, era nato sbagliato.

La guardò un'ultima volta, poi uscì di casa sbattendo la porta.

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