Eyes of Shadow

By Chtsara

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Florentia, XVII secolo d.C. Le sorti del regno stanno per cambiare: una studentessa di nome Elenoire diventa... More

Prologo
I - Incontri inaspettati
II - Ali e cuori
III - Cuore in fiamme
IV - Ira improvvisa
V - Una missione da compiere
VI - Sguardi di fuoco
VII - La verità
VIII - Gelosia
IX - Sotto un altro punto di vista
X - Messaggi e sparizioni
XI - Questioni di orgoglio
XII - Complessi esistenziali
XIII - Il racconto di un angelo
XIV - Intrusioni
XV - Misteri
XVII - La villa fantasma
XVIII - Angeli contro demoni
XIX - Vendetta
XX - La fine
Ringraziamenti

XVI - Sensi di colpa

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By Chtsara

Dovetti chiamare a raccolta tutte le mie forze per non alzarmi dalla sedia e strangolare Hannah, nonostante fossi sicura della sua ingenua innocenza. Fu con uno sforzo non indifferente che mi costrinsi a sospirare con lentezza per tentare di mantenere la calma e dare una parvenza un po' più umana e meno demoniaca.

La guardai in quegli occhi così dolci e da bambina, immuni alle sofferenze che aveva dovuto patire durante la sua vita: le scivolava tutto addosso, non dava la giusta importanza agli avvenimenti negativi, come se volesse tentare di autoconvincersi che il destino non potesse più farle del male dopo averle strappato l'infanzia.

Mi sentii sempre più in colpa con il passare dei secondi. Avrei dovuto proteggerla in quanto sua migliore amica, avrei dovuto starle accanto in dei momenti come quelli, ma avevo preferito continuare a mentirle su tutto, perfino su me stessa, nel vano tentativo di tagliarla fuori per evitarle ulteriori sofferenze. Eppure stava riuscendo da sola nell'impresa.

"Hannah". Iniziai avvicinandomi al tavolo per evitare che qualcun altro potesse sentire la conversazione. "Dobbiamo parlare".

Non potevo lasciarla nei guai, non quando lei stessa rischiava la vita.

"Oh, no", sospirò lei alzando gli occhi al cielo. "Non mi è mai piaciuta questa frase".

Lasciai correre e mi portai la collana alle labbra, a cui sussurrai: "Vieni in camera mia".

Hannah spalancò gli occhi e mi guardò come se fossi impazzita. "Tu... tu hai appena parlato ad un ciondolo?".

Sorrisi e mi alzai dal tavolo aspettando che lei facesse lo stesso. "Te l'ho detto, dobbiamo parlare. Vieni".

Arrivammo in camera mia pochi minuti dopo e trovammo Alexander mentre giocherellava con una piuma. Si voltò verso di noi e, prima di sorriderci educatamente, aggrottò le sopracciglia in un evidente stato di confusione.

Hannah si portò una mano alla bocca dalla sorpresa e si fece uscire uno stridulissimo "E lui cosa ci fa qui?".

"Deve saperlo", dissi ad Alexander stringendomi nelle spalle. "Ha conosciuto mio cugino e credo che abbia bisogno di protezione, visto che comunque lui si è già dato da fare e le ha lasciato questa specie di herpes sul labbro". E glielo indicai.

"Tuo cugino?", ripeté Hannah, totalmente scioccata.

Alexander indugiò un momento a guardarmi con attenzione, come se volesse leggermi nel pensiero, e si fece spuntare le ali con un ulteriore sorriso.

***

A fine racconto non seppi dire chi tra i due avesse la faccia più buffa: Alexander, il quale continuava a cercare di trattenere le risate, o Hannah, la cui bocca ormai non dava più cenno di sapersi richiudere.

"Quindi voi due siete dei demoni e Leonardo è un angelo, fantastico", balbettò poco dopo senza smettere di fissare un punto imprecisato sul paravento. "E Lucius, ovvero tuo cugino Sebastian, ha intenzione di uccidervi a breve. Meraviglioso".

Annuii. "In sintesi, sì. Alexander, noi tra poco dovremmo essere a lezione, ti dispiace se rimandiamo la conversazione a dopo?".

Lui scrollò le spalle. "Non credo ci sia altro da sapere, le abbiamo detto tutto. In caso avessi bisogno di me, sai come trovarmi. E tu, piccola umana". Si rivolse ad Hannah con un sorriso rassicurante. "vedi di non cacciarti in ulteriori guai e cerca di riuscire a chiudere la bocca prima di entrare in classe. A dopo". Con un inchino ironicamente formale, uscì dalla stanza e si librò in cielo.

Tirai Hannah fuori dalla mia camera e la portai, quasi trascinandola, in classe: notai istantaneamente l'assenza di Leonardo e mi sedetti svogliata al mio posto, dando un'occhiata di tanto in tanto durante la lezione ad Hannah per assicurarmi che stesse bene.

A pranzo ci infilammo nel gruppetto di studenti, guidati da Domina Maria, che aveva intenzione di andare a mangiare alla Locanda delle Stelle nella speranza che Hannah potesse prendere un po' d'aria e quasi saltai dalla gioia quando la porta del locale si aprì poco dopo permettendo così a Leonardo di fare il suo ingresso.

Mentre con una parte del cervello ordinavo ai miei muscoli di alzarsi per andare nella sua direzione, con l'altra parte registrai i suoi capelli in disordine e la sua espressione distrutta e stressata. Non avevo idea di cose fosse successo al castello, ma non prometteva proprio niente di buono.

Mi alzai in punta di piedi e congiunsi le labbra alle sue intanto che lui mi stringeva al suo petto con entrambe le braccia e affondava il volto fra i miei capelli.

"Com'è andata?", gli chiesi poi fissandolo dritto in quegli occhi verde smeraldo.

"Vorrei saperlo anche io", borbottò lui corrucciato. "Mio zio mi ha aiutato tantissimo ad impormi, ma il clero è potente e alla fine io e lui siamo da soli".

"Non siete da soli", ribattei, nonostante in fondo non ci credessi nemmeno io. "Vedrai che tra poco si risolverà tutto". Mi gettai un'occhiata alle spalle per vedere se Hannah fosse ancora al suo posto e con sgomento mi resi conto di dover aggiungere un ulteriore peso sulle spalle di Leonardo.

Lo portai lentamente al nostro tavolo, dove si sedette accanto a me, e iniziai a spiegargli la situazione aggiornandolo come meglio potevo. Leonardo notò senza troppi problemi l'herpes di Hannah e vidi chiaramente il suo umore sprofondare sempre più in basso con il passare del tempo: evidentemente non era un buon periodo nemmeno per lui.

"Hai fatto bene a dirle la verità", mi disse sforzandosi di sorridere e apparire calmo e felice. "Non avremmo potuto proteggerla da Sebastian se fosse stata all'oscuro di tutto".

E se invece lo fosse stata?

Un'idea si delineò all'istante nei miei pensieri, per quanto pericolosa che fosse. Mi vergognai del mio stesso piano, ma dopotutto capii che non saremmo riusciti nell'impresa in nessun altro modo ed evidentemente valeva la pena tentare.

La raccontai a Leonardo e ad Hannah sperando che non mi prendessero per pazza, cosa che tra l'altro successe comunque a giudicare dalle loro espressioni. Poi però Hannah annuì e mi sentii più sicura; infine Leonardo si accorse della gravità della situazione e diede a sua volta il suo consenso.

Convocai Alexander in quella stessa locanda pochi minuti dopo e la sua preoccupazione, dopo aver sentito il mio piano, mi sorprese non poco.

"Hai idea di quanto potrebbe rivelarsi pericoloso?", mi chiese infatti con gli occhi fuori dalle orbite, il che contribuì indubbiamente a dargli un'espressione da pazzo.

"Non è così rischioso", si intromise fortunatamente Hannah con una vocina piccola piccola. "Sono l'unica che può aiutarvi".

Alexander alzò gli occhi al cielo. "Ma fingere di essere innamorata di lui e permettergli di condurti a casa sua, tra l'altro fuori dai confini del regno, non può non essere rischioso!".

"In quel caso saremmo due contro uno", disse Leonardo con una scrollata di spalle. "E potrei anche chiedere a mio zio e a Thenebrus di dare una mano".

"Ho la sensazione che, se lo uccidessimo, Victor lo saprebbe all'istante", ribatté Alexander. "Verrebbe a combattere di persona e si porterebbe dietro un sacco di altri demoni, ignorando altamente l'obbligo di esilio".

Il sorriso di Leonardo si fece ancora più largo. "Allora faremo in modo che Victor non se ne possa accorgere".

Prima che Alexander potesse rispondergli, mi voltai velocemente verso Hannah e le sussurrai: "Dovresti farti seriamente controllare quella cosa che hai sul labbro. Sta diventando ancora più ripugnante".

Lei si portò una mano alla bocca, preoccupata, e si alzò senza troppi complimenti dal tavolo scappando in strada. Mi alzai di scatto per seguirla e, quando Leonardo mi chiamò chiedendomi dove stessimo andando, risposi con un semplicissimo "Dal medico" e uscii dal locale.

A quell'ora l'ospedale era completamente vuoto e non ci mettemmo molto ad entrare in una sala privata adiacente al corridoio.

"Stai tranquilla", dissi ad Hannah un secondo prima che il dottore entrasse nella stanza.

L'uomo in questione era un signore piuttosto alto con dei capelli radi e bianchi; aveva gli occhi grigi e penetranti, ma il sorriso trasmetteva sicurezza e professionalità.

Però, appena notò l'orrendo herpes sul labbro di Hannah, il suo viso cambiò colore: lo vidi impallidire come se avesse visto una sorta di fantasma e si portò una mano alla bocca sussurrando un "Oh, mio Dio".

Rassicurante. Davvero.

Gli occhi di Hannah si riempirono di lacrime e mi fissarono imploranti e impotenti: se avessi potuto avrei preso quel dottore a pugni senza pensarci due volte.

Il medico si aggiustò gli occhialini rotondi sul naso e si avvicinò per guardare meglio da vicino. Purtroppo per noi, il suo colorito pallido non accennava a sparire.

"Non ho idea di quello che voi abbiate fatto, signorina", balbettò indietreggiando poi di qualche passo. "Ma posso immaginarlo. Che il Signore possa aiutarvi".

"Che cos'ha?", gli chiesi in tono involontariamente brusco, mentre Hannah scoppiava a piangere senza più controllo.

"Un'azione terribile, disumana... Osare disturbare il sonno dei morti". Il medico si portò una mano alla fronte e continuò ad indietreggiare.

"Il sonno dei morti?", ripetei inarcando le sopracciglia. "Potrebbe gentilmente rendere anche noi partecipi delle sue deduzioni?".

Il dito del dottore scattò in alto fino ad indicare Hannah; poi si voltò a guardarmi. "Questa ragazza ha contratto l'herpes che solitamente si prende venendo a contatto con carne putrefatta". Alla mia espressione interrogativa aggiunse: "Con i cadaveri".

Io ed Hannah ci guardammo nello stesso istante e fui sicura che la persona che mi era venuta in mente in quel momento fosse la stessa a cui stava pensando anche lei.

***

Ci mettemmo un po' a convincere il dottore dell'innocenza di Hannah, ma riuscimmo comunque a persuaderlo ad applicarle una soluzione maleodorante che avrebbe fatto sparire quell'herpes in poche ore e circa venti minuti dopo eravamo già sulla strada di ritorno verso la locanda, in cui trovammo ancora Leonardo e Alexander intenti a battibeccare.

Raccontammo loro tutto ciò che era successo interrompendo fortunatamente il loro litigio e lasciandoli entrambi con la bocca aperta.

"Ora più che mai dovremmo iniziare a portare a termine il tuo piano, Elenoire", mi disse Leonardo con voce ferma. "Evidentemente Hannah non è stata l'unica a cui Sebastian aveva messo gli occhi addosso".

Sentii fremere la rabbia di Alexander, ma non mi feci alcun problema a rispondere: "Sì, lo penso anch'io. Hannah, tu quando saresti disposta a venire con noi?".

Lei si strinse nelle spalle e sospirò: "Quando volete, non c'è problema".

"Prima però devi incontrare di nuovo Sebastian", mormorò Leonardo, e in quel momento mi resi conto di aver sottovalutato la situazione.

"Motivo in più per cui credo che questa sia una pessima idea", ribatté Alexander, sforzandosi di mantenere un contegno umano. "Lei non sa dove sia e non abbiamo idea di quando si incontreranno di nuovo. Di conseguenza dovremmo girarci i pollici fino a quel momento? Non ne ho alcuna intenzione. Credo che potremmo sfruttare il nostro tempo in missioni decisamente più utili e meno pericolose".

Gli occhi di Hannah ricominciarono a luccicare per colpa delle lacrime e abbassò lo sguardo, come se volesse sparire in quello stesso momento. Poi però alzò il viso di scatto e si voltò verso di me. "Quante probabilità abbiamo di trovarlo di giorno?".

"Non potremmo seguirvi se andaste a casa sua con la luce del sole", risposi in automatico senza capire quella domanda. "Anche se dubito che lui esca proprio in quelle ore".

E infatti mi venne un'altra idea: pericolosa a suo modo, naturalmente, ma speravo che perlomeno potessimo riuscire a portarla a termine.

La raccontai frettolosamente agli altri, sotto i continui sbuffi di Alexander, e aspettammo pazientemente che passasse quell'ultima mezz'ora che ci separava dal coprifuoco imposto dalla Chiesa; negli ultimi cinque minuti sgattaiolammo tutti e quattro al piano di sopra, sul corridoio che conduceva alle varie stanze da letto, e restammo in silenzio in attesa che il gruppetto guidato da Domina Maria si riversasse in strada.

"Se Sebastian mi vedesse potrebbe insospettirsi", mi resi conto poco dopo. Guardai uno ad uno alla luce delle candele e mi rivolsi ad Alexander: "Stai al piano di sotto con lei, in disparte, e tienila d'occhio di nascosto: mi raccomando, cerca di non farti vedere. Quando si alzeranno dal tavolo, seguili a pochi passi di distanza e avvisami il prima possibile". Poi mi girai verso Hannah. "Quello che dovrai fare non è molto diverso da quello che hai già fatto due sere fa. Sii te stessa, ignora tutto ciò che ti abbiamo raccontato e cerca di apparire calma, altrimenti sono sicura che lui non ci metterebbe molto a capire".

Mi sentii come un generale a tutti gli effetti, nonostante la gravità della situazione, e fu doloroso vedere Hannah annuire con gli occhi ancora lucidi. Dopo averla abbracciata per incoraggiarla, scese le scale lentamente in direzione del piano terra.

"Voi due pregate che funzioni", ci intimò Alexander con tono minaccioso; poi ci diede le spalle e seguì Hannah giù per la rampa di scale.

Accarezzai distrattamente la porta alla mia sinistra, colpita da un improvviso flusso di ricordi; la aprii con delicatezza nel timore che al suo interno vi fosse qualcuno, ma le mie preoccupazioni si rivelarono infondate ed entrai comunque cautamente nella stanza.

"È proprio questa la camera in cui...?". Leonardo lasciò la frase in sospeso, sapendo che avrei capito ugualmente. Infatti, annuii e mi avvicinai a quello stesso letto che era stato testimone di ciò che era successo tra me e lui qualche sera prima.

"Non volevo che la situazione prendesse quella piega", disse Leonardo mentre io mi sedevo sulle lenzuola bianche come la neve. "Se non mi fossi comportato in quel modo probabilmente ti avrei dato un'altra impressione e tu non saresti fuggita da me". Mi si sedette accanto e mi prese la mano tra le sue. "Era da tanto tempo che non smettevo di sognarti, Elenoire. E all'improvviso sei diventata reale, hai dato voce ai miei desideri, hai iniziato a scappare aumentando la mia voglia di averti tutta per me. E non ci ho visto più".

"Lo so". Sorrisi per rassicurarlo. "Ne abbiamo già parlato, non preoccuparti...".

"No". La sua voce era ferma, decisa, e mi lasciò per un attimo senza parole. "Non ho mai avuto altre donne, lo sai questo?". Quando scossi la testa, continuò: "Se avessi continuato a comportarmi in quel modo, saresti stata la prima. Mi sarei portato via qualcosa che apparteneva a te e in quel momento non riuscivo a trovare un aspetto della vita più bello e gratificante. Saresti stata mia, indipendentemente dal fatto che quasi sicuramente non saresti stata d'accordo; ma non mi importava, la mia felicità doveva stare al primo posto, o almeno è ciò che impari a pensare vivendo quasi totalmente da solo mentre il mondo fuori dal tuo castello continua ad andare avanti senza problemi". Mi accarezzò i capelli con fare distratto e aggiunse: "Volevo che fosse tutto perfetto, ma secondo solo il mio ideale di perfezione basato sull'istinto e sul desiderio; e la dignità altrui non ne faceva parte, nemmeno la tua".

Rimasi in silenzio per dieci, venti secondi, prima di riuscire a mettere in ordine i pensieri; eppure, anche dopo quell'apparentemente infinito intervallo di tempo, non fui in grado di pronunciare una frase sensata in grado di tirarlo su di morale e alleviare i suoi sensi di colpa.

"Non sono fuggita per l'indignazione", risposi. "Ma solo perché quella situazione mi ha ricordato il destino che è capitato a mia madre: si è fidata di uno sconosciuto e, nel tentativo di aiutarlo, ha pagato con la vita. In quel momento ho pensato a come dovesse essersi sentita, sfruttata da qualcuno che sapeva a malapena il suo nome per ringraziarla della sua voglia di dargli una mano. E ho avuto paura, paura che potesse capitarmi la sua stessa disgrazia, perché in fondo non avevo ancora un'idea ben chiara su di te e sul tuo passato: non ti conoscevo; e in quell'istante non mi sei sembrato tanto diverso da Victor e immaginavo che la stessa forza usata da te per stringermi quella sera l'avesse usata anche lui nei confronti di mia madre".

Mentre parlavo, mi resi conto della verità delle mie parole e fui ancora più determinata a vendicarmi contro l'intera razza di demoni che mi aveva rovinato l'esistenza.

Come poteva osare un uomo mettere le mani addosso ad una donna privandola della sua dignità e dei suoi desideri? Come poteva permettersi di violare la sua intimità solo per portare a termine i suoi scopi? Dove trovava il coraggio di forzarla a compiere delle azioni che l'avrebbero distrutta con il passare dei giorni lasciandola indifesa contro tutto il mondo?

Ma Leonardo non era così, non era come Victor: ne ebbi un'ulteriore conferma guardandolo negli occhi e tuffandomi in quell'oceano color smeraldo irradiante un'infinita tristezza e un'innocente tenerezza che mi fecero sciogliere all'istante.

Non aspettai una sua risposta: mi avvicinai a lui, avvinghiandomi al suo collo con entrambe le braccia, e lo portai a stendersi completamente con me sopra il suo petto; iniziai a baciarlo lentamente, come se avessi paura di fargli male, e con ulteriore delicatezza cominciai a sbottonargli i bottoni della camicia. Percorsi la linea degli addominali con le dita mentre lui contraeva i muscoli dalla sorpresa e dal piacere, facendomi ridacchiare per un attimo. Leonardo mi strinse a sé e ricambiò il bacio, spostando poi le labbra sul mio collo con un sorriso. Giocai distrattamente con i suoi capelli senza riuscire ad aprire gli occhi, immersa com'ero nel vortice di emozioni che stava rendendo quel momento semplicemente perfetto.

Con una mossa agile mi fece cambiare posizione e l'attimo dopo mi ritrovai sotto di lui, intanto che i suoi denti mi facevano il solletico alle orecchie con dei piccoli morsi sui lobi e le sue mani si stringevano possessive ai miei fianchi.

Ero decisamente sul punto di uscire fuori di testa, quando una voce profonda si sprigionò dalla mia collana e disse: "Se ne stanno andando, dobbiamo seguirli".

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