In nome del sangue, in nome d...

kiralalucedelsole tarafından

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Daha Fazla

. 1 . Vecchie cicatrici e nuove ferite
. 2 . La verità
. 3 . Punta d' ago e balsamo guaritore
. 4 . Dal passato nuovi fantasmi
. 5 . Sera di lucciole e mattino d'argento
. 6 . Indecenti proposte
.7 . Un patto col diavolo
. 8 . Confronti
. 9 . Il velo caduto
. 10 . Grandi speranze
. 11 . Promesse.
. 12 . Terra e acqua, muschio e sale
. 13 . Un passo indietro
. 14 . Preludio
. 15 . Miele
. 16 . Rivelarsi
. 17 . Il diavolo e l'acqua santa
. 18 . Come fratelli
. 19 . Prima di partire
. 20 . Il fiume dell'ira
. 21 . Sulla strada di casa
. 22 . Nessuno tranne una
. 23 . Incubi e sogni di un prigioniero
. 24 . La mano del gigante
. 25. Ad un passo dalla libertà
. 26 . Il prezzo della libertà
. 27 . Un nuovo giorno
. 28 . Una effimera tregua
. 29 . 7° 24' 25''
. 30 . L'esca
. 31 . Quando viene il buio
. 32 . Giochi di potere
. 33 . A casa prima dell'uragano (parte prima)
. 33 . A casa prima dell'uragano (parte seconda)
. 34 . Storia di un duello
. 35 . Tutto il mondo brucia
. 36 . Di piani, di fughe e di abbandoni
. 37 . Oltremare
. 38 . Qualunque cosa accada
. 40 . Odi et amo
. 41 . Desiderio
. 42 . Il passato alle spalle
. 43 . L'ultimo conto da pagare
AVVISO
. 44 . Di culle, di baci e di bocciuoli di rose

. 39 . Lupi e agnelli, falchi e colombe

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kiralalucedelsole tarafından

. 39 . Lupi e agnelli, falchi e colombe

Patnarak non era minimamente cambiata: ogni cosa giaceva immota al suo posto di sempre; case, vicoli e palazzi sembravano ritratti in un dagherrotipo dai colori sbiaditi dell’inverno, così come i suoni dalle strade, dall’interno delle botteghe o dalle banchine del porto parevano provenire dalla tromba di un grammofono che riproduce la musica incisa, accompagnata dal leggero fruscio della punta sul disco.Avrebbero potuto arrivare di notte, nascosti nel buio, invece avevano fatto un’entrata trionfale, come un condottiero romano e il suo luogotenente, di ritorno dalla fatiche conquistatrici della guerra ai barbari.
Erano entrati dalla porta di nord-est, nel pomeriggio, poco dopo il rintocco della quarta ora, esibendo il lasciapassare che il legale gli aveva fatto avere; erano stati scortati fino alla gendarmeria, tra il chiacchiericcio incredulo dei passanti e le voci che erano rimbalzate di bocca in bocca, fino a giungere alle orecchie del vecchio Elmisk, prima ancora che il comandante Kuvee, se lo trovasse davanti, fiero e impettito e con l’assoluzione a portata di mano.
- Chi avrebbe detto che ci saremmo incontrati di nuovo, io da uomo libero e voi ancora con le vostre mostrine sul petto! – lo salutò Eìos, irriverente e spavaldo, poggiando i palmi aperti sullo scrittoio del comandante.
- Non siete ancora un uomo libero, non fino al processo. – gli fece notare l’altro, senza guardarlo negli occhi e pulendo le lenti tonde dei suoi occhialini.
- Devo ritenerlo un avvertimento, comandante Kuvee? –
- Dico solo che la giurisprudenza è piena di cavilli insidiosi: le patrie galere sono piene di innocenti mal giudicati … - lo avvertì, come se sapesse che in serbo per lui la sorte aveva ancora qualche colpo basso da sferrare.
- Da un soldato, non mi sarei mai aspettato tanta sfiducia nella legge. Credevo che per dimostrare l’innocenza di uomo bastassero, prove inconfutabili, un buon avvocato e la probità delle istituzioni. -
- E così sarà! Se siete innocente come il vostro legale afferma, se le prove sono davvero inconfutabili e voi siete un agnello braccato dai lupi … allora il giudice di certo vi assolverà. – lo provocò, - Intanto fatevi un favore: rigate dritto! – aggiunse, assumendo il fare spavaldo che la sua posizione gli consentiva.
- Anche voi, Kuvee, rigate dritto e badate che ora so da quali lupi guardarmi e che io non sono mai stato un agnello! – rispose per le rime, con gli occhi puntati in quelli del soldato e un angolo della bocca piegato in un sorriso minaccioso e sicuro.
Betel in piedi, appoggiato allo stipite della porta dell’ufficio del comandante, trattenne un sorriso, nel vedere la faccia del soldato sbiancare per effetto della velata minaccia.
Era lampante che Eìos sapesse o, quanto meno, sospettasse del suo ruolo in quella sporca faccenda.
Non aveva alcuna prova che fosse stato lui ad architettare il piano, o di certo, quel bastardo non si sarebbe limitato alle minacce.
Questa costatazione lo rasserenerò: almeno fino a che Eìos non si fosse incaponito per averne la certezza, poteva sentirsi al sicuro. 

 *************** 

- Padre! -
- Figlio mio ... - lo accolse stringendolo, - Quale uomo probo devo essere stato in un'altra mia vita, se la sorte mi concede di averti sano e salvo di nuovo tra le mie braccia! -
- Se voi, così onesto, vi ponete un simile dilemma, io devo essere stato un martire o un santo o un eroe, per avere meritato in questa vita tanto affetto da un uomo come voi ... -
- La sorte ci premia entrambi, allora. - gli sorrise, tenendogli stretta ancora la mano tra le proprie. - Betel ... - chiamò, poi rivolgendosi all'arabo rimasto testimone muto del loro abbraccio, - Come stai? -
- Come mi vedete, dottore: stanco, apatico e grasso come un soldato al bivacco. -
- Mesi duri per tutti Betel. Ma l'attesa è finita, così pure la latitanza, e presto anche il cuore malandato di questo povero vecchio potrà riprendere a battere regolarmente. - lo rassicurò, accomodandosi sulla poltroncina accanto al camino.
- Non vi ho dato altro che palpiti, padre, da quando vi ho conosciuto. - constatò con rammarico per tutti i colpi di testa, le follie e le preoccupazioni che gli avevano aggravato il peso degli anni.
- Non ti fare una colpa, Eìos anche dei miei acciacchi. Vivo ormai gli anni del crepuscolo: i dolori alle ginocchia, i reumatismi sono solo sintomi evidenti dell'età. – cercò di sollevarlo dalle colpe che Eìos si sentiva addosso.
- Non siete così vecchio, siete solo stanco della vita tribolata che avete vissuto a causa della vostra professione, della perdita dei vostri affetti e ... a causa mia. Ma vi giuro, padre, che queste sono le ultime sofferenze che patirete per me. Quando tutto sarà risolto, non accetterò più provocazioni ... Facciano ciò che vogliono del nome e della rispettabilità, si prendano pure tutto, mi lascino solo la mia vita e l'occasione di vivere serenamente! -
- Con Ariela? - chiese, quasi timidamente.
- Che sapete di lei? - ribatté.
Per tutti i mesi che le era stato lontano, non aveva voluto neanche che Elmisk scrivesse il suo nome nelle lettere che si scambiavano. Sapere di lei, della vita che conduceva, della rabbia o della delusione, della sofferenza o dell'odio che forse provava per essere stata abbandonata l'avrebbero ferito reiteratamente, sarebbero stata una piaga e, come per un malato, l'avrebbero indotto a cercare la cura.
E per Eìos la cura era la cagione stessa della propria malattia: la distanza da Ariela.
- Esce piuttosto raramente, solo per la messa del mattino e la spesa al mercato. L'ho incontrata una decina di giorni fa all'uscita della messa, il giorno dell'Immacolata. Era pallida e di poche parole. -
- Non vi chiese ... non vi ha mai chiesto di me? -
Il vecchio scosse la testa, poi appoggiò il mento sulle mani strette intorno al pomolo del suo bel bastone di legno di rosa e con un sospiro aggiunse: - Cosa credevi, che piagnucolasse come una donnetta sedotta e abbandonata? Tua moglie è una donna forte e schiva, dignitosa anche nella sofferenza. -
Sì, Ariela era forte abbastanza da sobbarcarsi con dignità quella sofferenza che a lui, di contro, attorcigliava membra e pensieri. Non era vero ciò che le aveva sputato addosso per guadagnarsi la fuga: tra i due, paradossalmente, la più forte era lei, nonostante sembrasse fragile e indifesa, nonostante avesse avuto una vita tranquilla e senza grandi vicissitudini. La più forte era lei perché sapeva accettare ciò che veniva, perché affrontava ogni scompiglio, ogni avversità con lucidità e con la consapevolezza di aver dato tutta sé stessa.
Eìos invece, si infervorava, si stancava, annaspava e dibatteva mani e gambe come un naufrago che sta annegando e invece di galleggiare sostenuto dall'acqua, aspettando che le forze ritornino, va a fondo come trascinato da un'ancora.
- E voi non avrete di certo creduto che io avrei rinunciato a lei? Perché credete che abbia fatto tutto questo: fuggire; mettere tutto nelle mani di un avvocato; seguire lentamente le vie legali per uscire da questo groviglio e poi tornare? Non certo per vedere la mia fedina penale immacolata! Io sono un bandito, padre, sarò sempre un bandito, per quelli come Miran e sua madre, per Kuvee e per tutti gli onesti bugiardi, io resterò comunque un bandito. Sarei potuto rimanere dove sono stato finora, con l’accusa di contrabbando sulla testa o una condanna a vita, per quello che conta. E’ per lei che sono tornato, solo perché l’amo e una vita senza non la voglio; senza di lei non voglio libertà, né fiato … - infilò le parole una dopo l’altra senza respirare, come se le avesse tenute dentro per troppo tempo, rischiando di esserne soffocato.
- Non sarà impresa semplice, figlio mio! Ariela è orgogliosa e fiera e tu l’hai ferita: non accetterà il tuo ritorno solo perché ti ama. – lo mise in guardia.
- Lo so! Ma io sono testardo e non sono abituato a perdere, soprattutto se ne va della mia sopravvivenza! – replicò, con negli occhi la scintilla della fida alle avversità.
- Ti ci vorranno tutte le energie che possiedi per quest’impresa. – sorrise il vecchio, che aveva già colto tutta la forza incosciente che si generava nel figlio ogni qualvolta la sorte lo sfidava.
Più difficile l’impresa più grandi le risorse, più ardua la risalita, più grande l’impegno.
– Sarete stanchi. - disse, sollevandosi e guardando prima l’uno e poi l’altro, con premura paterna, - La vostra stanza è pronta: lenzuola pulite, coperte calde e … – aggiunse, facendo loro strada verso il piano nobile della sua piccola casa, - … una finestra sul mare d’inverno. – terminò come se sapesse quanto il fragore, l’odore e l’immensità dell’oceano fossero mancati durante l’esilio.
- Non mi avevate detto che avremmo dormito insieme. – finse disappunto Eìos, storcendo la bocca.
- Non fare lo schizzinoso, sono la compagnia notturna ideale: non russo, non parlo nel sonno e soprattutto occupo poco spazio! – ribatté Betel, sghignazzando alle sue spalle.
- Con quella stazza? E comunque, se proprio dobbiamo … - gli resse il gioco, - Non montarti la testa: letti separati! – 

*************** 

Si inoltrò nel giardino, respirando l’aria gelida di dicembre; una nuvola grigia, arcigna, come la smorfia di una strega, le passò sulla testa, proiettando un’ombra sulla ghiaia biancastra; sui rami rinsecchiti e sbiancati dall’inverno, il freddo aveva sapientemente costruito diademi scintillanti di piccoli ghiaccioli purissimi e aghetti di brina. Gli alti arbusti di viburno* avevano già prodotto i loro bei fiori bianchi, riuniti in mazzi molto profumati, e, alla base di essi, piccoli cespugli fitti e compatti di pernezia° rallegravano il giardino con le loro bacche rosso ciliegia, che risaltavano tra rami eretti e foglie lanceolate, lucide e verde intenso che sarebbero perdurate per tutto l’inverno.
In città non si parlava d'altro che del ritorno di Eìos.
Alvita era venuta a conoscenza del suo ritorno già dal giorno dopo, quando aveva sentito alcune comari che ne sparlavano al mercato e il panettiere, tra il profumo del pane e dei biscotti appena sfornati, aveva aggiunto che le accuse a suo carico sarebbero presto cadute, grazie a certe prove che il suo avvocato aveva prodotto. Il discorso era poi scivolato sul nome che Eìos aveva ottenuto immeritatamente, tanto che Miran e sua madre avevano già presentato istanza di disconoscimento per indegnità e sul matrimonio con Ariela, che sarebbe stato invalidato, fino a che, intravista Alvita, il chiacchiericcio era scemato fino a convergere su tutt’altre questioni.
La cameriera rientrata, aveva riferito le voci, timidamente come se temesse di farle del male, giacché aveva intuito che il ritorno di Eìos avrebbe scombussolato il già fragile equilibrio che la sua padrona, faticosamente aveva creato.
Ariela se ne era stata zitta, zitta come una bimba in punizione, mentre dentro la testa, nei polmoni e nelle vene, un serpente cominciava a strisciare velenoso e lento, infiacchendola.
Era certa, Ariela, che, risolte le sue questioni legali, sarebbe tornato a vantare i suoi crediti: il posto in quella casa, come padrone; nella società, come uomo libero e innocente, e probabilmente anche nella sua vita come marito.
Ciò di cui non era affatto certa, erano i propri sentimenti e le reazioni che il suo ritorno le avrebbero procurato.
L’amava ancora, sarebbe stato inutile negarlo a sé stessa e per un tempo infinito aveva desiderato che tornasse a lei, pentito d’averla lasciata, quando sarebbe bastato stringerla di più. Ma col tempo, la parte razionale l’aveva abituata a credere che quel ritorno non ci sarebbe stato, che Eìos fosse nato per essere libero e finanche che tutte quelle angherie subite fossero la soluzione definitiva che aveva adottato la sorte per togliergli le catene.
Continuava, però, ad immaginarlo affacciarsi alla grata del cancello, i capelli scarmigliati sulla fronte, gli occhi verdi e splendenti come foglie in primavera, e quell’espressione spavalda da padrone che amava e detestava allo stesso tempo.
Non si stupì, dunque, quando nel tardo pomeriggio, Alvita le annunciò una sua visita.
Rimase seduta sulla poltrona accanto al camino, le mani tremolanti a fingere di ricamare e una voragine nel petto che si apriva e chiudeva ad ogni respiro.
Eìos entrò in punta di piedi, come un elegante felino che punta la preda, senza produrre alcun rumore.
Era più bello dell’ultima volta, anche se l’espressione era timida e quasi impacciata; la fronte era aggrottata, ma lo sguardo, attento e deciso, corse immediatamente a cercare gli occhi di lei.
Ariela rimase intrappolata in quello sguardo, intenso e quasi sfacciato, ma cerò di mascherare il subbuglio, che crebbe ancora più, quando egli spostò il telaio sul quale stava ricamando e dispose uno sgabello davanti alle ginocchia di lei. Vi si sedette, le gambe divaricate per arrivarle più vicino e il viso alla stessa altezza di quello di Ariela.
- Come stai? – le chiese, sperando che i convenevoli alleggerissero la tensione palpabile.
- Bene … - rispose lei con, forse, la stessa speranza.
Eìos si avvicinò ancora, piegando il busto in avanti e poggiando i gomiti sulle ginocchia.
La distanza tra loro diminuiva ad ogni respiro, tanto che Ariela ebbe paura di quella avanzata e si tirò indietro, facendo aderire la schiena alla poltrona.
- Sì. – constatò, seguendo i lineamenti del viso, la curva del collo che spariva sotto lo scialle blu che le copriva le spalle.
I suoi occhi erano leggermente incavati, come se non avesse dormito, la pelle diafana, come un velo di spuma sotto la quale le piccole vene bluastre mostravano il loro percorso. Le guance le si arrossarono per quell’esame attento, per la vicinanza e per il tentativo di Eìos di guardarle attraverso, così raccolse il poco coraggio che aveva e chiese: - Perché sei qui? –
- Sono tornato. – replicò velocemente, quasi senza darle il tempo di terminare la frase. - Per te. – aggiunse con la voce decisa, ma tremante insieme.
Ariela scosse il capo, una ciocca chiarissima di capelli si liberò dalla treccia d’oro che le intricava la chioma, ma non rispose.
Eìos interpretò quel silenzio come una resa e attaccò.
Si avvicinò alle labbra di lei e le sussurrò: - Perdonami … d’averti lasciata, di averti fatto male; perdonami per averti fatto credere che con te accanto non mi sentivo più me stesso e perdonami per essere stato così presuntuoso da credere di potermi salvare da solo. –
Ariela non si mosse, si prese sulle proprie labbra il calore del respiro di lui, la dolcezza della voce con cui le aveva chiesto perdono; il profumo inebriante della sua pelle e dei capelli.
Ma quando la bocca di lui le sfiorò la pelle accesa degli zigomi, proseguendo lenta, ma inesorabile verso le labbra, Ariela si riscosse, come se quel tocco bruciasse.
Non doveva cedere, non poteva.
Non potevano quattro parole stringere di nuovo il nodo che egli aveva voluto recidere; non bastavano la richiesta del perdono, profumi e respiri a cancellare il senso di impotenza, l'ineguatezza e il dolore provati; nè il ritorno cancellava la fuga.
Le mani le tremarono, le labbra punsero e il ventre si sciolse, invaso da tanta dolcezza, ma la mente si ribellò alla resa, come se corpo e cuore fossero due entità separate e differenti: una debolmente soggiogata dall'amore e l'altra completamente affrancata, lo schiavo liberato dall'asservimento.
- Sei perdonato! - disse con decisione, anche se la voce era flebile e arrochita dal conflitto interiore, - Ma ... questa tua fuga, le tue parole di quella notte e poi la lontananza mi hanno permesso di comprendere ogni cosa, ciò che il desiderio offuscava, ciò che l'amore metteva a tacere. - aggiunse, facendo leva sui braccioli imbottiti della poltrona per sollevarsi e allontanare il viso dall'assedio degli occhi di lui.
- Cosa? - chiese Eìos, sollevandosi a sua volta e portando nuovamente i loro occhi alla stessa altezza.
- Che non siamo fatti l'una per l'altra, che l'amore da solo non basta; che sono necessari una comunione di intenti, un desiderio condiviso per affrontare insieme la vita pacifica o miserabile; affannosa o placida. Io e te ... - terminò con un'ombra nella luce blu dei suoi occhi di colomba, - Io e te siamo giorno e notte, estate e inverno ... inconciliabili! -
- Non esiste luce senza ombra, nè afa senza il gelo: ciò che tu definisci inconciliabile è solo l'ordine naturale delle cose. Io e te siamo ... il pieno che circonda il vuoto ... -
Ariela si allontanò ancora, compì solo qualche passo in un fruscio assordante di vesti e respiri, quando Eìos l'afferò per il polso, attirandola bruscamente a sé, tanto che il corpo leggero di lei gli ricadde addosso, permettendogli involontasriamente di stringerla per le spalle.
- L'ho creduto anch'io ... una volta, ma entrambi ci siamo sbagliati. Se in questi mesi hai potuto fare da solo ... se io sono sopravvissuta alla tua mancanza, allora ci siamo sbagliati entrambi. -
- Menti perché sei risentita e lo comprendo. Non sono qui per tornare in questa casa adesso, nè pretendo di rientrare nella tua vita come se nulla fosse accaduto. Aspetterò che tu sia pronta, che ... -
- Se vuoi tornare in questa casa, io non te lo impedirò. essa ti appartiene, ma della mia vita tu non fai più parte. -
- Siamo ancora marito e moglie, Ariela ... - le sussurrò all'orecchio, stringendo più forte la presa.
- Solo fino a che il matrimonio civile non sarà invalidato ... - replicò. - Quando avverrà, farò richiesta alla Sacra Rota perchè anche quello religioso venga annullato. -
- Stai mentendo! -
Ariela scosse il capo e si divincolò dalla morsa rovente delle sue braccia, dal suo respiro che le lambiva la pelle delle guance e dall'insistenza che le appannava la volontà.
- Dunque, fino ad allora io sarò ancora tuo marito e tu mia moglie! Non indurmi a costringerti! - l'avvertì.
- Non oseresti. - lo ammonì.
- Dimentichi chi sono! - replicò con due occhi affilati e freddi come quelli di un falco predatore, - Da domani vivremo insieme, Ariela, sotto lo stesso tetto; siederemo allo stesso desco e dormiremo nello stesso letto! -
Ariela sbiancò e chiuse gli occhi mancando della forza necessaria a ribattere a quello che era sì, un diritto di Eìos, ma, allo stesso tempo, era un sopruso svilente senza rispetto, né amore.
Si voltò furente verso di lui, le guance in fiamme di rabbia e ribellione, strinse le gonne tra le dita, fino a sbiancarne le nocche e lo guardò, ammonendolo.
- Decidi tu, se vuoi essere schiava o padrona. - aggiunse, prima di lasciare la stanza con un passo pesante ed il respiro affannoso e furente. 

*Il Viburno è una specie che fiorisce in novembre-dicembre.
°La Pernezia è una pianta perenne che fiorisce in estate, ma, grazie alle bacche bianche o rosse che fanno la propria comparsa verso la fine dell’autunno, viene usata nei giardini invernali.

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