ADVENT CHRISTMAS CRUISE - Cal...

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Dal 1 al 24 dicembre, vivi la magia della ADVENT CHRISTMAS CRUISE al fianco di Mary leggendo la sua storia gi... More

PROLOGO
01 DICEMBRE - parte 1
01 DICEMBRE - parte 2
02 DICEMBRE
03 DICEMBRE
04 DICEMBRE
05 DICEMBRE
06 DICEMBRE
07 DICEMBRE
08 DICEMBRE
09 DICEMBRE
10 DICEMBRE
11 DICEMBRE
12 DICEMBRE
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20 DICEMBRE
21 DICEMBRE - parte 1
21 DICEMBRE - parte 2
22 DICEMBRE
23 DICEMBRE
24 DICEMBRE

13 DICEMBRE

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LIAM

Affondai per l'ennesima volta nel corpo della bionda mentre il sole sorgeva dal mare dorato. La mora si avvicinò per baciarmi, ma io la respinsi. Lei si fiondò sulle labbra dell'altra ed io rimasi a guardarle.

Sapevo per esperienza che esistevano pochi spettacoli altrettanto eccitanti, ma la verità era che le guardavo senza vederle davvero. Il mio corpo era immerso in quella morbosa attività ma la mia mente era altrove. Era oltre quello specchio appeso alla parete che divideva la mia cabina dalla sua.

Mary. La mia Coccinella.

La ragazza che, con quei capelli del colore del tramonto e quegli occhi grandi e verdi come la primavera, aveva stravolto tutti i miei piani.

Scivolai lontano dalla bionda e lasciai che lei e la mora continuassero da sole quell'ennesima corsa verso il piacere.

Sapevo di averla ferita. Il suo ultimo sguardo mi aveva trafitto come un pugnale ed io avevo accolto quel dolore, consapevole di meritarne ogni singola goccia.

La mora iniziò a gemere ed ansimare, ma non trassi alcun piacere da quei versi concitati e rumorosi. La mia mente tornò alla sera prima, a quel bagno in cui avevo sentito la mia Coccinella gemere tra le mie braccia. Lei che era sempre così contenuta, così elegante nonostante la fisicità prorompente e la mentalità libera e brillante. In quel momento mantenere il controllo era stata un'impresa davvero ardua. Non era descrivibile l'eccitazione che mi aveva colto quando avevo capito che lei, a cena con quel tizio, indossava davvero il particolarissimo gioiellino che le avevo lasciato fuori dalla porta della cabina. La mia Coccinella sapeva sempre sorprendermi. Farla venire in quel modo era stata l'esperienza più eccitante di tutta crociera, o forse di tutta la mia vita. Le sue guance rosse, le sue unghie conficcate nel mio braccio, la sua schiena inarcata contro il mio corpo, le sue labbra schiuse dal piacere... Quante volte avevo fantasticato sul momento in cui, perso ogni controllo ed ogni pudore, avrebbe gridato il mio nome! Mentre la stringevo, in quel bagno, avevo creduto che sarebbe successo.

Avevo deciso che con lei non avrei insistito, non le avrei fatto pressioni e avrei semplicemente aspettato che le cose accadessero da sole, in modo naturale. E sapevo – sapevo con assoluta certezza – che tra noi qualcosa sarebbe successo. Lo sentivo nell'aria che si surriscaldava quando eravamo vicini. Lo leggevo nei suoi occhi brillanti di desiderio e lo sentivo in quel tono di voce speciale che usava solo quando parlava con me. Tra noi fluiva un'energia unica che, nonostante mi fossi accompagnato a centinaia di donne nei miei trent'anni, non avevo mai sentito prima di incontrare lei.

Non era stato sempre così. Durante le nostre prime conversazioni, più simili a scontri che a civili chiacchierate, Mary mi era sembrata algida ed altezzosa. Non saprei dire quando la mia percezione di lei era cambiata. Probabilmente era successo in maniera graduale: apprezzavo il suo continuo provocarmi, le nostre battutine, la sua aria di sfida. Quando al ballo mi ero intromesso per chiederle di danzare con me, lo avevo fatto più che altro per spiazzarla, ma quando avevo visto quell'Adam metterle le mani addosso, il mio impeto era stato reale ed irrefrenabile. Ero certo che, essendo una donna risoluta ed indipendente, se la sarebbe potuta cavare anche da sola, ma il prode cavaliere che non credevo di avere in me era scattato come una molla. Non ero riuscito ad esimermi dall'istinto di proteggerla. Chiunque lo avrebbe fatto.

La bionda ansimò rumorosamente mentre la mora si piegava per prendere tra le labbra rifatte uno capezzolo arrossato. Il mio sguardo rimase ancorato a quella scena mentre con il pensiero tornavo a quel giorno di pioggia. Mi ero affacciato alla finestra, senza uscire sul balcone, e l'avevo vista. Se ne stava lì, sotto la pioggia battente che le bagnava i capelli e le appiccicava addosso il roseo babydoll di seta. Era bella e maestosa, l'incarnazione di ogni mio sogno. Il mio corpo si era messo sull'attenti quanto il mio sguardo si era posato sui quei suoi seni alti e sodi che si intravedevano attraverso il tessuto bagnato.

«Ehi bello, sei già pronto per un altro round?» La voce acuta della mora mi riscosse da quel piacevolissimo ricordo. «Noi siamo un po' stanche...»

«Ottimo» dissi io, artigliando il lenzuolo per coprirmi. Ero stanco di quelle due, ma il mio corpo aveva prontamente reagito al ricordo nel quale mi ero perso. «Allora andate a riposarvi. Buona giornata».

«Non ci ringrazi nemmeno?» chiese la bionda facendo il broncio.

«Credo che dovremmo essere noi a ringraziarlo» pigolò la mora. «Non mi sono mai divertita tanto! Ci rivediamo domani sera? Anzi» si voltò verso il sole sorgente, «stasera?»

«No. Ho da fare» mi limitai a dire rassettandomi i capelli. «Eventualmente mi faccio sentire io più avanti».

Le due annuirono ridacchiando, si rivestirono e, finalmente, mi lasciarono da solo con i miei pensieri.

Mi ero pentito di averle portate in cabina ancor prima di averne aperto la porta. Era stata una decisione improvvisa, l'unica soluzione che mi era venuta in mente per tenere la mia Coccinella alla larga. Durante il gioco della sera prima mi ero inginocchiato ai suoi piedi ed avevo bramato con tutto me stesso che il mondo intorno a noi sparisse. Quando avevo detto a Barby che avrei riconosciuto la mia Mary tra mille non avevo mentito. Non erano stati solo la sua cicatrice e il suo profumo, l'avevo riconosciuta per via dell'energia che sentivo sprigionare dal contatto della mia pelle con la sua. Solo il cielo sapeva quanto avrei preferito trascorrere quella notte a parlare con lei nella suite che avevamo vinto, invece che stare in cabina a scopare senza sentimento con quelle due anonime sconosciute. Lei avrebbe accettato di passare del tempo con me, glielo avevo letto negli occhi.

Ma andarmene da quella sala con lei sarebbe stato pericoloso: era stato il mio istinto di protezione nei suoi confronti ad impedirmi di farlo. Il labbro spaccato, che non faceva che pulsare, era un tangibile promemoria del fatto che dovevo allontanarmi da lei in modo drastico. Riuscire in quell'impresa, mio malgrado, era stato sin troppo semplice. Ero sempre stato bravo a farmi odiare. Ed era qualcosa di molto simile all'odio ciò che aveva permeato la voce e lo sguardo della mia Coccinella quando la mora e la bionda mi si erano avvicinate come api che ronzano attorno al miele.

Il telefono iniziò a vibrare sul comodino. Era una chiamata di mio fratello.

«Si può sapere che diavolo ti è successo?»

«Di che parli fratellino?» chiesi, fingendo di non capire.

«Di che parlo? Il labbro spaccato, l'improvvisa distanza con Mary, le due sciacquette che ti sei portato in camera... Devo aggiungere altro?» Quello di Liam era un grido sussurrato. Lo immaginai rintanato nel bagno della suite che stava condividendo con la sua dolcissima Emma.

«Non è successo nulla» dissi, anche se non era vero. Entrambi sapevamo che tutto quel casino lo avevo messo in piedi per proteggere lui.

«Liam, sei mio fratello! So che c'è qualcosa che non va perché te l'ho letto in faccia ieri sera!» ringhiò James.

«James, dico sul serio. Stanne fuori» scandii con calma. Ora che James si era legato ad Emma, mettere in mezzo lui avrebbe significato mettere in pericolo anche quella ragazza giovane ed innocente.

«Lo stai facendo per rimediare ad un mio sbaglio! Ho bisogno di sapere la verità» disse James, la voce preoccupata.

«E va bene» sbuffai. «La consegna di ieri non è andata bene».

«In che senso?»

«Nel senso che si è innervosito e mi ha colpito» riassunsi. «Ecco spiegato il labbro spaccato».

«Ed è tutto qui?»

«Sì. La prossima sarà l'ultima consegna. Poi saremo liberi, James».

«D'accordo, non vedo l'ora che sia finita» sospirò mio fratello. «Ma il modo in cui ti sei comportato con Mary è stato pessimo».

«Lo so». La mia voce era dura.

«Perché l'hai allontanata così? Perché ti sei portato a letto quelle due? Liam, tu e Mary stavate avvicinando! Ma ora tu l'hai ferita e...»

«L'ho fatto perché non potevo sopportare l'idea che il prossimo labbro spaccato potesse essere il suo» confessai.

All'ultimo incontro con qui bastardi avevo alzato troppo la testa ed ero stato punito con un bugno in pieno viso. Aveva fatto male, ma non era stato nulla rispetto alle parole che lo avevano seguito: «Vedi di comportarti bene scrittore, altrimenti la prossima volta ad essere punito sarà il bel fratellino che stai cercando di nasconderci o magari quella bambolina rossa alla quale ti accompagni...»

«Mmmh! Le rosse mi eccitano sempre tantissimo, capo» aveva aggiunto uno dei suoi scagnozzi leccandosi le labbra sottili.

«E allora sarà a te che la affiderò dopo averla averci fatto un giro» rispose l'uomo scoppiando in una risata che mi aveva dato il voltastomaco.

Come diavolo avevano scoperto la presenza sulla nave di James? E la mia vicinanza a Mary? Io e mio fratello avevamo preso cabine distanti proprio per dissimulare la nostra parentela ed io avevo cercato di rapportarmi a Mary per lo più in contesti sociali per far apparire quei nostri incontri come puramente casuali. Purtroppo quelle accortezze non erano state sufficienti e c'era solo una possibile spiegazione: quei bastardi avevano un complice sulla nave.

Ecco perché ero stato costretto ad allontanarla in quel modo, nessuno avrebbe più dovuto vederla al mio fianco. Era l'unica cosa che potevo fare per proteggerla.

«Hanno minacciato di farle del male». Quella di James non era una domanda.

«Dì ad Emma di starle accanto» dissi riconoscendo a stento la mia voce rotta. «Non voglio che soffra per colpa mia».

«Lo farò» rispose James con un sospiro. «Ma lo sento dal modo in qui ne parli che questa cosa sta facendo soffrire anche te».

«Sì, ma questo non ha importanza» tagliai corto.

-----

Quella sera, mentre mi dirigevo verso la palestra per le mie consuete ore di allenamento, decisi di passare accanto alla zona ristoro. Ero curioso di sapere con chi avrebbe passato la serata la mia Coccinella. Una parte di me era gelosa anche solo all'idea di saperla a cena con altri uomini (quando avevo visto lei e quello chef avvinghiati nell'ascensore ero riuscito a rimanere calmo solo grazie al mio proverbiale autocontrollo), ma razionalmente sapevo che trovare qualcuno di meno complicato di me le avrebbe solo fatto bene.

Con un po' di fortuna, passando dal ponte che costeggiava i principali ristoranti avrei potuto vederla attraverso una delle vetrate. Ormai i miei occhi erano allenati ad avvistare la sua chioma rossa anche in mezzo alla più fitta delle folle. Individuarla in quel ristorante lussuosissimo fu semplice: sedeva di fronte ad un uomo sulla cinquantina. Lei era bella, come al solito, ma i suoi lineamenti erano tesi e gli occhi affossati come se quella notte non avesse dormito. Lui era uno di quegli uomini che, non accettando lo scorrere degli anni, si vestivano ed acconciavano come avrebbero fatto i loro figli: l'accompagnatore di Mary aveva barba e capelli di un grigio innaturale sistemati con cura, indossava dei pantaloni gessati ed una camicia bianca sotto il gilet abbinato. Non era la persona giusta per la mia Coccinella, lo sapevo io e lo sapeva anche lei, che gli sorrideva chiaramente infastidita.

Procedetti verso la palestra senza più voltarmi indietro. Avevo avviato la mia intensa routine da meno di cinque minuti quando una donna castana e muscolosa mi si avvicinò con sguardo ammiccante. Si mise a fare i suoi esercizi proprio accanto a me, piegandosi per mostrarmi le sue grazie a stento celate dagli attillati leggings semitrasparenti. Cercai di ignorarla concentrandomi sui pesi che dovevo sollevare, ma lei si fece sempre più vicina e sempre più insistente. Dopo un po', stufa di essere ignorata, la donna mi sussurrò all'orecchio una proposta indecente e si avviò verso gli spogliatoi. Io, sebbene provassi pietà e disgusto per me stesso, non mi tirai indietro. Avevo scopato per tutta la notte con quelle due ragazze alle quali non avevo nemmeno chiesto il nome, ma avevo ancora bisogno di sfogare la rabbia, il nervosismo e la frustrazione che provavo ed il sesso, quello vuoto e privo di coinvolgimento, per me era sempre stato la migliore medicina.

A quell'ora della sera la palestra era sempre poco frequentata e la donna doveva esserne pienamente consapevole, perché mosse quei suoi solidi glutei ondeggianti fino dentro lo spogliato delle donne. Non era la prima volta che mi capitavano situazioni del genere. Ne erano la prova i preservativi che, per sicurezza, avevo iniziato ad inserire persino nei taschini dei pantaloncini da allenamento. Seguii la donna in quella stanza rettangolare che non era destinata a me e mi fermai ad osservare la mia nuova amichetta mentre spostava una panca per metterla di fronte porta impedendo l'accesso ad altre eventuali avventrici.

«Ti spogli da solo o vuoi che me ne occupi io?» mi domandò squadrandomi con occhi spudorati.

«Non vuoi nemmeno sapere come mi chiamo?» La provocai.

Lei scosse la testa, sorridendo ammiccante. «A dire il vero voglio solo che mi scopi fino a farmi dimenticare il mio di nome».

Quanto era caduto in basso il genere umano, se la gente era disposta a concedersi al primo sconosciuto incontrato in palestra? Io ero parte integrante di quel sistema ormai marcio e mi crogiolavo al suo interno alla mera ricerca di qualche attimo di oblio. Lo facevo consapevolmente: ero assolutamente conscio del fatto che quella era solo una via di fuga, il modo più semplice di sfogarmi e di far rallentare i pensieri. Mentre mi spingevo dentro quelle sconosciute adoranti, smettevo di pensare a ciò che davvero volevo, a ciò che mi mancava e a ciò che realmente mi suscitava emozioni. Ero ben consapevole che ciò che mi stavo apprestando a fare, non mi avrebbe lasciato nessuna emozione se non un vago senso di colpa che ormai aveva imparato ad arginare con facilità.

Mentre la sconosciuta si spogliava dei pochi abiti sportivi e sudati, io mi calai nel ruolo dell'uomo vuoto che si aspettava che fossi.

Ci sarebbe stato il tempo del sesso dolce, affettuoso e passionale. Ci sarebbe stato il tempo delle coccole, delle parole sussurrate, dei baci morbidi ed avvolgenti. Ci sarebbe stato il tempo di amare invece che limitarsi a scopare. Ci sarebbe stata la donna che avrebbe stravolto tutta la mia vita, completandola con ciò che non sapevo nemmeno di desiderare. Ma non era quello il tempo, e non era quella la persona giusta. Per qualche istante di sciocca illusione, avevo creduto che Mary potesse essere quella donna, ma i miei maledetti problemi si erano messi in mezzo e tutto era dissipato come nebbia al sole.

La donna nuda di fronte a me aveva il seno rifatto, dettaglio che non amavo particolarmente, ma il suo fisico era tonico ed allenatissimo. Le sorrisi, predatorio, e la osservai inginocchiarsi di fronte a me per prendersi ciò di cui aveva bisogno. Mentre muoveva le labbra sapienti su di me, io chiusi gli occhi e smisi di pensare. Smisi di provare sentimenti. Smisi di essere Liam Kellerfish, lo scrittore, e divenni solo un corpo allenato e prestante. Quel corpo si godette le attenzioni della bocca della donna e poi desiderò prendere il controllo della situazione. Le mie mani la invitarono ad alzarsi e il mio corpo la spinse verso la prima parete vuota disponibile.

«Girati» le ansimai nell'orecchio.

Lei sorrise. «Fa di me ciò che vuoi».

Repressi l'istinto di lamentarmi per quell'arrendevolezza e la feci girare. Le mie mani le accarezzarono la schiena e le strizzarono quei glutei frutto di ore ed ore di allenamento. La presi con forza mentre lottavo contro i pensieri che faticavano a rimanere in silenzio. Ad ogni spinta lei si avvicinava all'orgasmo ed io mi allontanavo da me stesso.

Quando tutto fu finito, la donna mi rivolse un sorriso stanco e soddisfatto mentre si rassettava i capelli che le avevo tirato e scompigliato.

«Eri distratto» commentò riprendendo fiato, «ma hai comunque soddisfatto a pieno le mie aspettative. Complimenti stallone!»

Grugnii in segno d'assenso mentre spostavo la panca con cui aveva bloccato la porta.

«Perché non vai da lei?»

«Lei chi?» ringhiai. Di cosa diavolo stava parlando?

«La donna alla quale hai pensato mentre eri dentro di me» disse passandomi accanto.

«Non stavo pensando proprio a nulla».

«Non sono una stupida, stallone, non prendermi in giro» ribadì lei. «Lei sì che è una donna fortunata. Fidati di una sciocca: va' da lei».

«Non credo che mi vorrebbe, al momento» commentai, incapace di trattenere quella realtà.

«Beh, prima ti consiglio di farti una doccia, giusto per toglierti di dosso il mio odore» ridacchiò.

«Non sai di cosa parli».

«No, ma so che qualsiasi donna farebbe carte false per avere uno come te nel letto» dichiarò scrollando le spalle.

«Ma a me non interessa il suo letto» dissi, sincero come non ero mai stato con quelle amanti occasionali. «A me interessa lei».

Rientrai in cabina più presto del solito e mi feci una lunga doccia purificante. Ero mollemente abbandonato sul letto quando udii Mary rientrare. Mi sentivo quasi uno stalker ad origliare ogni suo movimento, ma era qualcosa che non riuscivo ad impedirmi di fare.

Capii che era da sola e tirai un sospiro di sollievo. Mi rilassai sul letto, immaginandola mentre si toglieva quel tubino nero che le arrivava al ginocchio. Di che colore era il suo intimo? Era di pizzo o di cotone? Stava per indossare il babydoll di seta o il pigiama rosso a pois? Forse avrebbe dormito nuda. Forse avrebbe cercato il piacere con le proprie mani o con qualche giocattolo dalla forma suggestiva ed i colori sgargianti. Il mio corpo rispose con prontezza a quelle lascive immagini. Percorsi con la mente le curve che avevo intravisto oltre la seta bagnata di pioggia, ma quando arrivai agli occhi li trovai pieni dello stesso disprezzo che vi avevo letto la sera prima. Ogni desiderio scemò, ogni fiamma si spense. Come stava Mary in quel momento? Cosa le passava per la testa? Cosa pensava di me? Sarebbe mai riuscita a perdonarmi?

«Lei non dovrà mai perdonarmi» dissi posando un impaccò di ghiaccio sul labbro spaccato. «Deve starmi lontana per rimanere al sicuro».

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