ADVENT CHRISTMAS CRUISE - Cal...

By FRAMIAObooks

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Dal 1 al 24 dicembre, vivi la magia della ADVENT CHRISTMAS CRUISE al fianco di Mary leggendo la sua storia gi... More

PROLOGO
01 DICEMBRE - parte 1
01 DICEMBRE - parte 2
02 DICEMBRE
03 DICEMBRE
04 DICEMBRE
05 DICEMBRE
07 DICEMBRE
08 DICEMBRE
09 DICEMBRE
10 DICEMBRE
11 DICEMBRE
12 DICEMBRE
13 DICEMBRE
14 DICEMBRE
15 DICEMBRE
16 DICEMBRE
17 DICEMBRE
18 DICEMBRE
19 DICEMBRE
20 DICEMBRE
21 DICEMBRE - parte 1
21 DICEMBRE - parte 2
22 DICEMBRE
23 DICEMBRE
24 DICEMBRE

06 DICEMBRE

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«Buongiorno Coccinella! Che ci fai vestita in quel modo?»

Era quasi mezzo giorno, io ero già andata e tornata da una lunga colazione al bar con Emma, Ines e Sabrina e lui, a quanto sembravano dimostrare i capelli bagnati e l'asciugamano legato in vita, si era svegliato da poco.

Cercai di non soffermarmi sulle ombre che la luce del sole disegnava sui suoi addominali scolpiti, o sulle goccioline d'acqua che dai capelli gli colavano sulle spalle ampie, sul petto e ancora più giù.

«Cos'ho che non va?» ribattei abbassando lo sguardo sulla semplice canotta nera che avevo abbinato a dei pantaloncini sportivi verde militare.

«Solitamente sei più...» Liam disegnò nell'aria profumata di salsedine delle curve armoniose.

«Sexy?»

«Lo hai detto tu!»

Sorrisi alzando gli occhi al cielo. «Vado a fare l'escursione fino alla cascata con le ragazze. Questo mi sembrava l'abbigliamento più adatto a camminare tra i rovi» spiegai.

«In questo caso devo concordare con te» disse. «Ma onestamente fatico ad immaginarti passeggiare tra alberi, insetti ed erba alta».

Liam ci aveva visto bene: io ero tutto fuorché un'amante delle passeggiate immersive nella natura. Ero nata e vissuta in città e tutte le mie vacanze e gite avevano avuto un solo obiettivo: il mare. Ines però ci aveva convinte che quella cascata doveva essere vista e quindi, nonostante la mia iniziale titubanza, alla fine tutte avevamo tutte deciso di accompagnarla. Spinta dalla voglia di passare qualche ora spensierata con loro, ma anche dall'ansia di ritrovarmi da sola su quella nave con il rischio di imbattermi in Adam.

«Tranquillo, non mi ci immagino nemmeno io» ammisi.«Tu invece? Che farai in quel che rimane della giornata di oggi?»

«Un po' di allenamento in palestra e qualche pagina del nuovo romanzo. Poi questa sera credo che parteciperò al torneo di biliardo. Ma niente escursione per me: ho dormito troppo poco questa notte» si giustificò con il solito sorriso impudente.

«Oh sì, ho sentito» esclamai. «Effettivamente il concerto si è protratto fino a tarda ora...»

«E tu sei rimasta ad ascoltare tutto il tempo?» mi provocò facendo un passo verso il parapetto che ci divideva.

«Niente affatto. Mi sono decisa a comprare dei tappi» raccontai. «Ma verso le quattro e mezza ne ho perso uno, ed ho avuto modo di scoprire che ti stavi ancora dando da fare».

«La tua cabina invece è sempre così silenziosa... Ti ricordo che basta chiedere se ti interessa fare un giro nella mia» disse ammiccando.

Un mix di rabbia, divertimento ed indesiderata attrazione mi costrinse a distogliere lo sguardo dai suoi occhi del colore del mare. «Non accadrà mai».

Lui alzò le mani in segno di resa ed io fui distratta dal movimento dei suoi bicipiti.

«Allora, come è andato l'appuntamento di ieri?»

«Meglio dei precedenti» risposi chiedendomi se fosse a conoscenza del fatto che il mio accompagnatore era stato suo fratello.

«James ti ha trattata bene?» mi punzecchiò.

«Lo sapevi?»

«Certo! Abbiamo cabine distanti, ma io e mio fratello parliamo parecchio, sai? L'ho sentito giusto una mezz'ora fa...»

«Buon per voi» commentai. L'idea che Liam e James avessero parlato di me mi metteva leggermente a disagio.

«Non vuoi sapere cosa mi ha detto di te il mio fratellino?»

«No?» tentennai a metà tra la curiosità e l'imbarazzo.

«Che sei la donna più bella, simpatica ed intelligente che abbia mai conosciuto, ma che per lui sei troppo vecchia e troppo problematica».

«Ha usato proprio queste esatte parole?» mi misi le mani sui fianchi. Avevo conosciuto James per due ore, ma mi era bastato leggere i suoi occhi buoni ed onesti per sapere che non poteva essere la verità.

«Sono uno scrittore» disse Liam facendo spallucce. «Parafrasare è nella mia natura! Ma a dire il vero sono felice che tra voi non sia scattato nulla».

«Ah sì?»

«Certo!» esclamò. «Non avrei sopportato di sentirvi scopare!» Fece una smorfia disgustata.

«Per te tutto si riduce sempre al sesso?» domandai, infastidita.

«Non è forse così che funzionano le relazioni? Il mondo in generale?» Il suo viso si fece improvvisamente più serio.

«Forse hai ragione» dissi voltandomi verso il mare. «Ma ci sono tantissime altre cose belle nel mondo e credo che ricondurre sempre tutto a quell'argomento sia un po' riduttivo».

Liam mi guardò a lungo. Non mi voltai per incrociare i suoi occhi, ma li sentii sulla pelle per tutto il tempo.

«Sei una donna profonda, Coccinella» disse dopo quell'attimo infinto. «Hai tutte le carte in regola per scrivere grandi cose. Ti auguro di riuscirci».

Quando mi voltai, Liam stava già rientrando in cabina, una mano a tirarsi indietro i capelli ancora umidi. Guardai l'ora e mi resi conto di dovermi sbrigare: l'escursione sarebbe iniziata a breve.

«Stasera parteciperai al torneo di biliardo?» chiese senza voltarsi.

Bene, almeno non ce l'aveva con me. Quel nostro ultimo scambio era stato strano.

«Sì, se sopravvivo alla giungla!» ironizzai rientrando in cabina.

Dopo essere scese dalla nave da crociera, io, Emma, Ines e Sabrina seguimmo il folto gruppo di turisti attraverso la candida spiaggia di Guadalupa fino a raggiungere il centro verdeggiante dell'isola. Faceva caldo, ma non appena ci addentrammo nel folto della vegetazione, la temperatura scese di diversi gradi. Ines si guardò intorno con lo sguardo meravigliato sin dal primo passo su quel terreno umido e fangoso e, superato l'iniziale disagio, anche io, Emma e Sabrina iniziammo ad apprezzare la sfavillante natura che ci circondava. La guida, una allegra ragazza del posto, ci mostrò pappagalli dai colori sfavillanti, fiori e piante esotiche, insetti spaventosi e persino una grossa iguana. I miei occhi di scrittrice si aprirono su quella realtà tanto diversa da quella cittadina alla quale ero abituata e se ne nutrirono. Cercai di memorizzare ogni dettaglio di quell'ambiente, di quei suoni, di quei profumi. Ines scattò centinaia di foto ed io mi feci promettere di poterle riguardare per trarne ulteriori ispirazioni. Ma a lasciarmi letteralmente a bocca aperta fu ciò che ci si parò di fronte agli occhi quando la vegetazione si aprì sulle acque battenti della cascata. I miei occhi di scrittrice brillarono mentre nella mia mente si affollavano immagini e storie da ambientare in quel luogo ameno. Io e le mie amiche facemmo il bagno nel laghetto e ci divertimmo a farci scattare foto ad effetto sotto i getti della cascata. Non potei evitare di fantasticare su baci rubati dietro le cortine dell'acqua battente ed abbracci appassionati nell'acqua limpida o tra i cespugli più rigogliosi.

Fu un pomeriggio stupendo e, mentre risalivamo sulla nave, mi ripromisi di non smettere di viaggiare. Nella mia vita avevo avuto poche occasioni per vedere il mondo e quella crociera mi stava regalando un quadro lussureggiante e variopinto di ciò che, fino a quel momento, mi ero persa.

La sala da biliardo nella quale si sarebbe svolto il torneo si trovava nella pancia della mastodontica nave. Nessuna finestra si affacciava sul mare, conferendo all'ambiente la sua tipica connotazione di luogo in penombra. Sopra ognuno dei dieci tavoli dal manto verde erano appese delle lampade che illuminavano i tappeti da gioco diffondendo una luce soffusa tutto attorno. Attorno ai tavoli c'erano alti sgabelli e tavolini rotondi. Una seconda zona ospitava quattro tavoli da ping pong e, alle spalle di entrambe le zone, si intravedeva il lungo bancone di un pub tipicamente inglese che si occupava di fornire cibo e bevande a pubblico e giocatori.

Mentre gli iscritti al torneo si facevano strada nella grande sala, io mi ritrovai a scrutare ad uno ad uno i loro volti in cerca di qualcuno e nella speranza di non vedere i gelidi occhi di Adam. Intravidi James, che mi salutò con un grande sorriso ed un cenno della mano e anche Liam, che si limitò ad un cenno della testa e ad un mezzo sorrisetto. C'era anche Charlie, impegnato in una serratissima conversazione con una donna minuta dai lunghissimi capelli castani; con ogni probabilità la stava tartassando di domande inutili ed imbarazzanti, ma lei, tra risatine e confidenze sussurrate all'orecchio, sembrava gradire. C'era anche la coppia focosa che avevo notato al porto, la loro chimica era evidente – ed invidiabile – anche quando i loro corpi non erano incollati. Un'ondata di sollievo mi pervase quando un uomo brizzolato che indossava la tipica uniforme dei dipendenti della Advent Christmas Cruise si aggirò tra di noi contandoci con lo sguardo per poi sussurrare tra sé e sé che c'eravamo tutti: Adam non era presente. Sentii le mie spalle abbassarsi. L'idea di trovarmelo di fronte mi aveva messa in agitazione più di quanto avrei voluto.

«Benvenuti al torneo di biliardo!» esclamò la voce dell'uomo brizzolato, amplificata dal microfono. «Siamo rimasti piacevolmente sorpresi dalla quantità di iscrizioni a questo torneo: quaranta coppie di giocatori! Non avevamo mai raggiunto numeri del genere! Di conseguenza vi dovremo chiedere di pazientare un po' tra un turno di gioco e l'altro così da permettere a tutte le coppie di gareggiare. Ovviamente il pub è a vostra completa disposizione. Detto questo, iniziamo a giocare!»

L'uomo ci divise in due gruppi e poi estrasse le combinazioni per le partite del primo girone. Io, in coppia con Sabrina, avrei partecipato al secondo girone, così come Liam e la biondina formosa alla quale si accompagnava. Ines ed Emma, avrebbero giocato nel primo, così come le coppie di James e di Charlie.

Dopo aver incoraggiato le nostre amiche a "fare il culo a strisce" alla coppia anziana che avrebbero dovuto sfidare, io e Sabrina ci andammo a sedere su una coppia di sgabelli nei pressi del loro tavolo.

«Ines sei bravissima!» esclamò la mia compagna di squadra quando l'altra mise in buca la terza bilia consecutiva. «Dove hai imparato a giocare?»

«Io ed Oliver ci giocavamo spesso» raccontò Ines con un velo di tristezza nello sguardo. «Un nostro amico, che aveva una casa davvero pazzesca, aveva un tavolo da biliardo in casa e organizzava spesso...»

Smisi di ascoltare. Anche Matt aveva un tavolo da biliardo in casa, aveva il tappeto rosso, in tinta con il divano. Noi non avevamo mai effettivamente convissuto, ma non era raro che io trascorressi serate, notti o interi weekend da lui. Non si contavano le partite che avevamo giocato su quel tavolo: era così che avevo imparato a giocare. E non si contavano nemmeno le volte che mi ero trovata su quel manto rosso sangue completamente nuda per lui. Un brivido caldo mi danzò nel basso ventre, ma si congelò quando ricordai ciò che Matt mi aveva fatto, il motivo per il quale tra noi era finita.

Ines ed Emma vinsero la loro partita. Notai che anche James e il suo amico vinsero senza problemi, Charlie e la nuova vittima delle sue domande, al contrario, furono sconfitti dalla coppia focosa.

L'uomo brizzolato segnò su una grossa lavagna i risultati di tutte le partite e poi passò all'estrazione degli abbinamenti per il nostro girone. Io e Sabrina ci saremmo scontrate con due uomini sulla cinquantina, i braccialetti verdi ai polsi e la voglia di sconfiggerci impressa nello sguardo. Non ci saremmo lasciate intimidire.

Il destino volle che, nel tavolo accanto al nostro, giocassero Liam e la sua biondina.

«Il mondo è piccolo, Coccinella» mi disse lui mentre passava il gesso sulla punta della stecca di legno. «Ci ritroviamo sempre a fare i vicini».

«Non distrarti» dissi indicando con un cenno del mento la biondina che stava maldestramente cercando di mirare alla pallina bianca, pronta per la spaccata. «La tua compagna di squadra potrebbe farti perdere la partita ancora prima di iniziarla».

Liam imprecò a mezza voce e corse verso la biondina che, piegata sul tavolo con il vestitino cortissimo che le copriva a malapena il sedere allenato, non sembrava sapere cosa dovesse fare. Liam si piegò dietro di lei e allungò le braccia, fino a poco prima fasciate dal nero chiodo di pelle che aveva posato su uno sgabello, per aiutarla a posizionare meglio la mano d'appoggio e la presa sulla stecca. La sua fu tutta fatica sprecata: il tiro della ragazza fu debolissimo e sfiorò il vertice del triangolo di bilie senza riuscire a spostarle dalla loro posizione iniziale.

«Non dovrebbero permettere l'iscrizione a chi non sa giocare» commentò uno dei nostri avversari scuotendo la testa infastidito. Il suo tiro aveva smosso le bilie ma nessuna di essere era entrata in buca. «Mi auguro che voi due non siate incapaci quanto lei» aggiunse poi, rivolgendosi a me e Sabrina.

«Giudichi lei stesso» dissi un attimo prima di imbucare una bilia con un tiro preciso ed angolato.

«Sei brava» commentò Liam quando, entrambi in attesa del nostro turno, ci trovammo vicini. «Avrei dovuto chiederti di giocare in squadra con me».

«E rinunciare all'innato talento della tua amichetta?» lo presi in giro. «Saresti stato uno sciocco».

Liam ridacchiò. «E dire che l'ho scelta convinto che fosse brava a maneggiare le aste».

Alzai gli occhi al cielo mentre Sabrina sbagliava un tiro facilissimo. Possibile che tutto con Liam si trasformasse in un doppio senso? Possibile che io lo trovassi divertente?

«Non credo che ti dispiacerà insegnarle come farlo al meglio» commentai mentre la biondina, arrivato il suo turno, si piegò nuovamente sul tavolo attirando gli sguardi di tutti coloro che erano seduti negli sgabelli alle sue spalle.

«Non servono vestiti come quello per calamitare gli sguardi» commentò Liam. «Tu indossi dei semplici jeans scuri eppure ogni volta che è il tuo turno decine di uomini tacciono all'improvviso». Che cos'era quello? Un complimento? Sentii le guance andare in fiamme mentre Liam si rivolgeva alla biondina: «Aspetta bambolina! Lascia che ti aiuti».

Dal punto in cui mi trovavo potei notare che non fu Liam a cercare il contatto con il corpo sensuale della sua compagna di squadra, fu lei a strusciargli il sedere tornito contro il cavallo dei pantaloni. Distolsi lo sguardo mentre le sue parole mi rimbalzavano ancora tra i pensieri e il suo sguardo mi bruciava le gote.

«Mary, è il tuo turno» mi chiamò Sabrina facendomi tornare sulla terra. «Se imbuchi questa abbiamo vinto!»

Ne ero ben consapevole. Ma ero anche troppo distratta. Mi sistemai per mirare la pallina bianca con la giusta inclinazione, liberai la mente e, dopo un lungo respiro, tirai. La bilia bianca colpì la nera proprio dove doveva colpirla, trasferendole tutta la sua energia cinetica, e la spedì dritta verso la buca d'angolo.

«Sì!» esultò Sabrina con una giravolta.

Io e Sabrina, così come anche Liam e la biondina, vincemmo altre due partite classificandoci tra le prime cinque coppie del torneo. La squadra di Ines ed Emma, come quella di James invece non superarono il secondo girone. Io e Liam non avevamo più parlato ma, anche a tavoli di distanza, mi capitava piuttosto di frequente di ritrovarmi a seguire i movimenti delle sue spalle ampie e di rendermi conto che lui stava facendo altrettanto seguendo con gli occhi ogni mio movimento. Quello scambio di sguardi era solo un gioco tra noi, ma non potevo negare di trarne un leggero e vanesio compiacimento.

A quel punto della serata, molte coppie sconfitte avevano lasciato la sala. Tra i tavoli si aggiravano una ventina di persone al massimo quando mi si gelò il sangue. Avevo appena fatto un gran bel tiro quando il suono di un applauso mi fece voltare verso l'ingresso della sala. Appoggiato allo stipite c'era un uomo alto e biondo.

Adam.

«Brava! Brava Mary!» esclamò senza smettere di battere le mani.

Tutti gli sguardi, infastiditi e incuriositi, si muovevano tra lui e me. Ribollendo di rabbia, paura, e pura vergogna, mi avvicinai a lui.

«Smettila!» gli intimai. «Si può sapere che ti prende?»

«Vengo dal pub, sono ore che ti guardo giocare a questo stupido gioco» disse, la voce ancora troppo alta, l'alito che sapeva d'alcol. «Ti piace proprio attirare l'attenzione, dico bene?»

«Adam, basta!»

«Te ne stai lì, con quel top scollato e quei pantaloni attillati! Ti lasci guardare da tutti mentre ti metti a novanta e provochi, ma poi non ti fai fare quello che ti meriti» mi ringhiò a voce più bassa.

Ero disgusta. E arrabbiata. E spaventata.

«Adam, sei ubriaco. Vattene subito da qui! Mi stai mettendo in imbarazzo» dissi con la voce che tremava. Mi sentivo addosso gli occhi di tutti, avrei voluto sparire.

«Ti metto in imbarazzo?» rise sguaiatamente. «Tu l'altra sera mi hai respinto di fronte a tutti!» gridò a pochi centimetri dal mio viso. «Frigida puttana!»

Mi prese per le spalle e mi strattonò facendomi sbattere contro il tavolo da biliardo. Nel tentativo di non perdere l'equilibrio posai erroneamente la mano su una delle bilie, questa scivolò ed il mio polso fece un movimento spaventosamente sbagliato.

«Ora basta!» gridò un'altra voce. Più profonda, incazzata come non l'avevo mai sentita. Liam afferrò Adam per il collo mentre io mi risollevavo, il polso sinistro stretto nella mano sinistra. Erano alti uguali, ma Adam sembrò sparire al cospetto dell'ira di Liam che lo scaraventò contro un altro tavolo, il viso premuto contro il manto verde.

«Parlale ancora così, e giurò che ti taglio quella cazzo di lingua e te le faccio ingoiare» dichiarò, lo sguardo scuro di rabbia, la voce dura. «Toccala ancora una volta e non toccherai mai più nulla». Gli torse il braccio.

«Basta, Liam!» disse James sopraggiungendo alle spalle del fratello. «Lascialo!».

Liam non si mosse ma sollevò lo sguardo turchese per cercare il mio. "Lo lascio andare?" sembravano chiedermi i suoi occhi.

Abbassai le palpebre in un impercettibile cenno d'assenso e lui mollò la presa. Adam, da codardo qual era, se la diede a gambe voltandosi solo per ringhiare un ridicolo: «Non finisce qui!»

Io, che ero rimasta immobile a stringermi il polso dolorante, fui tra volta dalle mie tre amiche che mi raggiunsero con i visi carichi preoccupazione.

Emma mi porse un bicchiere d'acqua, Sabrina mi posò la prima cosa ghiacciata che si trovo sotto mano – una bottiglietta di birra – sul polso, Ines rimase a fissarmi con gli occhi sbarrati. «Stai bene?»

No, non stavo affatto bene. Il polso mi faceva un male cane ma non era nulla in confronto a come mi sentivo dentro. Umiliata, imbarazzata, sciocca, illusa, colpevole. Ero salita su quella nave da crociera per farmi una vacanza rilassante dopo un anno di isolamento, delusione e tristezza e invece mi ero ritrovata in quel vortice di persone, amicizie, egoismo e violenza. Mi mancava l'aria.

«Ho...ho bisogno di un po' d'aria» riuscii a biascicare prima di precipitarmi fuori dalla sala. «Da sola» aggiunsi quando Sabrina fece per seguirmi.

L'aria fresca mi accarezzò il viso ma non riuscii a farla scivolare giù nei polmoni. Accettando di rimanere su quella nave, a quelle condizioni, mi ero illusa di poter vivere un esperienza diversa, di essere una Mary diversa. Avevo riso, ballato e flirtato ed ora mi era stato chiesto il conto: altro dolore, una nuova umiliazione.

«Dovresti metterci del ghiaccio» disse una voce alle mie spalle.

Liam.

Si avvicinò con cautela e mi porse un impacco di ghiaccio avvolto in uno asciugamano. Lo presi e me lo posai sul polso, ma non mi voltai. Il mare davanti a me era agitato quando la mia anima. Liam rimase al mio fianco, senza invadere i miei spazi, senza parlare. Non seppi quantificare il tempo che rimanemmo così, vicini eppure distanti, a fissare l'orizzonte nero.

«Non avresti dovuto farlo» dissi. Liam era stato violento, lo sguardo che aveva rivolto ad Adam mi aveva spaventata.

«Non avrebbe dovuto parlarti in quel modo» ribatté lui, l'ira di nuovo protagonista del suo tono. «Non avrebbe dovuto strattonarti».

«No» dissi, la voce incrinata al ricordo di quelle mani sulle spalle, di quell'alito sul viso. «Ma la violenza non si combatte con altra violenza».

Mi voltai verso di lui. Aveva le spalle rigide e gli occhi turchesi persi nel mare notturno e agitato. Era teso. Glielo lessi nella postura rigida, nelle labbra serrate, nella mascella contratta e nelle mani strette sulla ringhiera.

«Quando ti si è avvicinato in quel modo io non ci ho visto più» sussurrò sollevando gli occhi per cercare i miei. «Ti ha fatto del male».

«Sto bene» mentii.

«No, non è vero» constatò lui. «Posso controllare?» chiese sfiorandomi il polso.

Lo lasciai fare, le sue dita erano bollenti sulla mia pelle rinfrescata dal ghiaccio.

«Ti fa male?»

«Solo un po'» sussurrai mentre lottavo con lacrime trattenute da mesi e mesi.

«Credo che sia solo slogato» valutò tornando a posarmi il ghiaccio sulla pelle. «Basterà mettere il ghiaccio due o tre volte al giorno e tenere il braccio al riposo».

Annuii. «Grazie».

«Per il ghiaccio, figurati» sminuì lui.

«No, per...tutto» ammisi.

Lui tacque un istante, lo sguardo perso nel mare. «Chiunque sarebbe intervenuto».

«Ma non lo ha fatto nessuno» sottolineai. «Nemmeno quelle che credevo essere mie amiche».

«Erano sicuramente spaventate...» commentò lui alzando le spalle.

Mi guardò in silenzio, come se sapesse che avevo altro da dire. Avrei voluto dirgli che mi sentivo a pezzi. Avrei voluto raccontargli che mi ero illusa di poter essere, su quella nave, la persona spensierata che avevo smesso di essere da tempo. Avrei voluto riuscire a piangere sulla sua spalla, allontanando un po' del dolore che mi schiacciava sin da quando le cose con Matt erano precipitate.

Ma non ero abituata a mettere in piazza i miei sentimenti, non ero abituata ad espormi. Così non dissi nulla, rimasi immobile a fissare il mare. E lui rimase lì con me. Immobile e silenzioso. Quando la brezza marina mi fece rabbrividire, Liam si tolse il chiodo in pelle e, senza dire una parola, me lo posò sulle spalle tremanti.

Forse fu il peso di quell'indumento, forse fu il profumo del quale era impregnato, o forse furono le sue mani forti che mi sfiorarono delicatamente la pelle mentre mi scostava una ciocca di capelli dal viso. Fu una di queste cose, o la loro combinazione, a farmi versare una lacrima. Una sola. Bollente e pesante come un macigno.

«E se avesse avuto ragione?» chiesi in un sussurro quasi impercettibile. «Se lo avessi davvero illuso di qualcosa? Con l'abbigliamento o con gli atteggiamenti... Insomma, io ci ho flirtato la sera dell'appuntamento...»

«No, non devi nemmeno pensarla una cosa del genere» disse Liam, duro. Mi prese per le spalle ed io mi irrigidii al ricordo delle mani di Adam, posate in quello stesso punto. Lui se ne accorse e, dopo avermi fatta voltare verso di lui, sollevò le mani e inchiodò gli occhi nei miei. «Ascolta bene ciò che sto per dirti, Mary. Tu non hai nessuna colpa per quello che è successo con quel coglione, nessuna. Non dobbiamo mai prenderci la responsabilità per gli errori altrui. Tu sei una donna bellissima e questa non è una colpa. Indossi abiti sensuali e questa non è una colpa. Hai flirtato con un uomo con il quale stavi uscendo e nemmeno questa è una colpa. Non permettere mai a esseri come quello di farti dubitare di te stessa o di buttarti giù. Uno così non vale nemmeno una delle tue lacrime».

E quell'unica lacrime era ancora lì, sulla mia guancia. Lui, con estrema delicatezza, me la asciugò con il pollice. Aveva ragione, al cento per cento. Nessun Adam meritava le mie lacrime. Così come non le aveva meritate Matt. Feci un profondo respiro abbassando le palpebre. Quando riaprii gli occhi, quelli di Liam erano ancora lì, a scrutarmi l'anima, insolitamente esposta.

«Torniamo a giocare?» gli chiesi sforzandomi di tornare in me, di tirare su la maschera che mi proteggeva come un'armatura.

«Ma il tuo polso...»

«Tranquillo scrittore, sono più brava io con mano sola che la tua biondina nel pieno delle sue capacità» dissi e con queste parole, mi allontanai dalla ringhiera.

«Non ne dubito» gli sentii sussurrare mentre mi seguiva.

Quando tornammo tra i tavoli da biliardo scoprimmo che il torneo non era andato avanti senza di noi. Sabrina e la biondina tutta curve e risolini stavano aspettando il nostro ritorno per disputare la finale che, vedendoci rivali, avrebbe decretato il vincitore del torneo.

Posai il giubbotto di Liam su uno sgabello e permisi a Sabrina, che non faceva che chiedermi se stessi bene, di farmi una rudimentale fasciatura al polso con il suo foulard. Mi faceva male, ma non me ne importava molto. Il mio spirito di competizione, subentrato alla rabbia e al senso di umiliazione, aveva profondo bisogno di nutrimento.

I miei tiri non furono precisi come al solito, ma Sabrina si era impratichita e, nel complesso, ce la cavammo bene. Soprattutto tenendo conto che nella squadra avversaria c'era la biondina che non riusciva a centrare una bilia nemmeno per sbaglio. Liam, che dopo avermi ceduto il suo chiodo in pelle era rimasto in canotta nera e muscoli in bella vista per la gioia di tutte le donne presenti, sembrava infastidito dall'incapacità della compagna. Non poté far altro che usare quelle lunghe e muscolose braccia per fare dei tiri precisi e ben angolati. Osservare quel corpo – scolpito come una statua di carne, tatuaggi ed arroganza – mentre sistemava con precisione maniacale la punta della stecca nella direzione ottimale per colpire, era uno spettacolo davvero affascinante. Una ciocca di capelli che gli scivolava sulla fronte, un muscolo che guizza poco sotto la spalla, le labbra strette in un'espressione concentrata.

Liam, forse sotto pressione per via di tutti quegli sguardi, sbagliò di pochissimo un tiro fondamentale. Fu il mio turno ed io non sbagliai. Ora sarebbe toccato alla biondina e se le avesse sbagliato, cosa pressoché certa, Sabrina avrebbe potuto concludere la partita incoronandoci campionesse. E fu ciò che, ovviamente, accadde.

Liam fece una smorfia infastidita e alzò gli occhi al cielo, ma quando la biondina si mise sulle punte per gettargli le braccia al collo, lui non la respinse.

«Peccato, volevo proporti di festeggiare la vittoria nella nostra cabina!» miagolò e la sua voce, per qualche motivo, mi irritò profondamente.

«Siamo secondi in classifica» rispose lui, la voce strana, diversa da quella che ero abituata a sentire. «Possiamo festeggiare comunque. Facciamo da te, però».

Mi lanciò una lunga occhiata. "Hai vinto il torneo, goditi una nottata silenziosa" sembrò dirmi.

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