Leo (Io non ho finito)

By MariaCorrao5

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Com'era la vita di Leo, prima della terribile scoperta della Bestia? Com'è cambiata la sua vita quando si è t... More

Capitolo 1: Venerdì, 23 dicembre 2011
Capitolo 2: Sabato, 24 dicembre 2011
Capitolo 3: Domenica, 25 dicembre 2011
Capitolo 4: Lunedì, 26 dicembre 2011
Capitolo 5: Martedì, 27 dicembre 2011
Capitolo 6: Mercoledì, 28 dicembre 2011
Capitolo 7: Giovedì, 29 dicembre 2011
Capitolo 8: Venerdì, 30 dicembre 2011
Capitolo 9: Sabato, 31 dicembre 2011
Capitolo 10: Domenica, 1 gennaio 2012
Capitolo 11: Lunedì, 2 gennaio 2012
Capitolo 12: Martedì, 3 gennaio 2012
Capitolo 13: Mercoledì, 4 gennaio 2012
Capitolo 14: Giovedì, 5 gennaio 2012
Capitolo 15: Venerdì, 6 gennaio 2012
Capitolo 18: Lunedì, 9 gennaio 2012
Capitolo 60: Martedì, 21 febbraio 2012
Capitolo 61: Mercoledì, 22 febbraio 2012
Capitolo 66: Lunedì, 27 febbraio 2012
Capitolo 68: Mercoledì, 29 febbraio 2012
Capitolo 69: Giovedì, 1 marzo 2012
Capitolo 72: Domenica, 4 marzo 2012
Capitolo 74: Martedì, 6 marzo 2012
Capitolo 103: Mercoledì, 4 aprile 2012
Capitolo 121: Domenica, 22 aprile 2012
Capitolo 134: Sabato, 5 maggio 2012
Capitolo 155: Sabato, 26 maggio 2012
Capitolo 157: Lunedì, 28 maggio 2012
Capitolo 160: Giovedì, 31 maggio 2012
Capitolo 161: Venerdì, 1 giugno 2012
Capitolo 162: Sabato, 2 giugno 2012
Capitolo 163: Domenica, 3 giugno 2012
Capitolo 169: Sabato, 9 giugno 2012
Capitolo 170: Domenica, 10 giugno 2012
Capitolo 171: Lunedì, 11 giugno 2012
Capitolo 172: Martedì, 12 giugno 2012
Capitolo 173: Mercoledì, 13 giugno 2012
Capitolo 174: Giovedì, 14 giugno 2012
Capitolo 175: Venerdì, 15 giugno 2012
Capitolo 176: Sabato, 16 giugno 2012
Capitolo 179: Martedì, 19 giugno 2012
Capitolo 180: Mercoledì, 20 giugno 2012
Capitolo 181: Giovedì, 21 giugno 2012
Capitolo 182: Venerdì, 22 giugno 2012
Capitolo 183: Sabato, 23 giugno 2012
Capitolo 185: Lunedì, 25 giugno 2012
Capitolo 186: Martedì, 26 giugno 2012
Capitolo 187: Mercoledì, 27 giugno 2012
Capitolo 188: Giovedì, 28 giugno 2012
Capitolo 189: Venerdì, 29 giugno 2012
Capitolo 192: Lunedì, 2 luglio 2012
Capitolo 193: Martedì, 3 luglio 2012
Capitolo 194: Mercoledì, 4 luglio 2012
Capitolo 195: Giovedì, 5 luglio 2012
Capitolo 196: Venerdì, 6 luglio 2012
Capitolo 197: Sabato, 7 luglio 2012
Capitolo 198: Domenica, 8 luglio 2012
Capitolo 199: Lunedì, 9 luglio 2012
Capitolo 200: Martedì, 10 luglio 2012
Capitolo 201: Mercoledì, 11 luglio 2012
Capitolo 202: Giovedì, 12 luglio 2012
Capitolo 203: Venerdì, 13 luglio 2012
Capitolo 204: Sabato, 14 luglio 2012
Capitolo 205: Domenica, 15 luglio 2012
Capitolo 207: Martedì, 17 luglio 2012
Capitolo 208: Mercoledì, 18 luglio 2012
Capitolo 209: Giovedì, 19 luglio 2012
Capitolo 210: Venerdì, 20 luglio 2012
Capitolo 211: Sabato, 21 luglio 2012
Capitolo 212: Domenica, 22 luglio 2012
Capitolo 213: Lunedì, 23 luglio 2012
Capitolo 214: Martedì, 24 luglio 2012
Capitolo 215: Mercoledì, 25 luglio 2012
Capitolo 217: Venerdì, 27 luglio 2012
Capitolo 218: Sabato, 28 luglio 2012
Capitolo 219: Domenica, 29 luglio 2012
Capitolo 220: Lunedì, 30 luglio 2012
Capitolo 221: Martedì, 31 luglio 2012
Capitolo 222: Mercoledì, 1 agosto 2012
Capitolo 223: Giovedì, 2 agosto 2012
Capitolo 224: Venerdì, 3 agosto 2012
Capitolo 225: Sabato, 4 agosto 2012
Capitolo 226: Domenica, 5 agosto 2012
Capitolo 227: Lunedì, 6 agosto 2012
Capitolo 229: Mercoledì, 8 agosto 2012
Capitolo 230: Giovedì, 9 agosto 2012
Capitolo 231: Venerdì, 10 agosto 2012
Capitolo 232: Sabato, 11 agosto 2012
Capitolo 233: Domenica, 12 agosto 2012
Capitolo 234: Lunedì, 13 agosto 2012
Capitolo 235: Martedì, 14 agosto 2012
Capitolo 236: Mercoledì, 15 agosto 2012
Capitolo 237: Giovedì, 16 agosto 2012
Capitolo 238: Venerdì, 17 agosto 2012

Capitolo 159: Mercoledì, 30 maggio 2012

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By MariaCorrao5

"Sono a casa!".

Nessuno mi risponde.

Papà è in caserma, ma Asia dovrebbe essere a casa.

"Ciao!" dico a voce più alta mentre lascio cadere per terra lo zaino. "Asia, ci sei?".

No, pare che non ci sia. In cucina c'è il tavolo apparecchiato per due e sui fornelli spenti ci sono due pentole: una piena d'acqua e una con un sugo alle melanzane. Provo a chiamarla ma non mi risponde.

"Che fine hai fatto?" le scrivo, e intanto metto a scaldare l'acqua per cuocere la pasta.

"Scusa, sono rimasta a pranzo da Michele e mi sono dimenticata di avvisarti" mi scrive pochi minuti dopo.

Ok, poco male dai, vorrà dire che mangerò sul divano, così posso anche stendere la gamba che oggi mi fa parecchio male. Stamattina era solo un leggero fastidio e ho deciso di fare lo stesso educazione fisica, ma poi ho dovuto chiedere al prof. di sedermi perché non ce la facevo più dal dolore. In due anni di liceo non ho mai saltato educazione fisica, e negli ultimi due giorni sono già due volte. Il prof. ha detto che finché non gli porto un certificato medico che è tutto a posto, me ne starò seduto in panchina. Che palle! Non ho voglia di andare dal dottore e non ho voglia di dirlo a mamma e papà che hanno ben altro a cui pensare. Ad ogni modo la scuola ormai sta finendo, quindi pazienza se dovrò restarmene fermo.

Ho un sacco di compiti di matematica da fare per domani, ma dato che più tardi devo andare dall'Uomo Talpa, quelli li metto da parte per lui e studio storia; gli esercizi di francese e di spagnolo, invece, non ho voglia di farli; chiederò a Donata di farmeli copiare; non mi dice mai di no.

"Andiamo a prenderci un gelato, quando finisco con l'Uomo Talpa? 😁" scrivo a Giulia.

Giulia: "Ho un sacco da studiare 😔. Forse riesco sul tardi."

"Verso le 7 vado da mia mamma... Non puoi rimandare lo studio a dopo?"

Giulia: "No, sono già d'accordo con Cecilia e Arianna. Dobbiamo fare un lavoro di gruppo."

"Che palle! Ti volevo vedere! 😕"

Giulia: "Posso farmi lasciare in ospedale da Cecilia alle 8, e prendiamo insieme il bus verso casa 😊"

"😃 Solo se ci sediamo in fondo e pomiciamo per tutto il tempo! 😜"

Giulia: "Andata! 😉".


Asia non dovrebbe essere qui.

E invece c'è, e sta camminando nervosamente avanti e indietro davanti alla porta della stanza della mamma.

Nemmeno papà dovrebbe essere qui.

E invece c'è pure lui, seduto con le spalle curve e la testa bassa.

Li guardo da lontano mentre mi sembra di non riuscire a muovermi; mi tremano le gambe, sono bloccato, e mi dico che nemmeno io dovrei essere qui.

O forse avrei dovuto esserci prima.

Molte ore fa.

Non riesco a correre.

Non riesco nemmeno a camminare veloce.

Cammino lentamente verso di loro, desiderando che il corridoio non finisca mai. Sono come alienato, e l'unica cosa che mi ancora alla realtà in questo momento è il dolore alla gamba.

È successo qualcosa.

E io non lo vorrei sapere.

Asia si ferma di colpo quando si accorge di me, e papà solleva la testa a guardarmi.

Nessuno dei due mi sorride.

Sono smarrito e spaventato.

Anzi no, sono fottutamente terrorizzato.

Non riesco a chiedergli niente e passo lo sguardo da uno all'altra aspettando che si decidano a dirmi qualcosa.

"La mamma è stata male"; è Asia a parlare.

E io rivedo la tavola apparecchiata per due.

La pentola col sugo.

"Mi fermo a pranzo da Michele".

"Non mi avete chiamato!"; avrei voluto urlarlo, ma la mia voce è uscita strozzata; stringo i pugni, pervaso dalla rabbia e da uno sgradevole senso di impotenza.

"Eri a scuola e..."; è sempre Asia a parlare.

Papà è ancora seduto; ha di nuovo lo sguardo basso e si sta rigirando la fede al dito.

"Sono le sette di sera! Le sette, cazzo!"

"Eravamo già qui noi, non volevamo farti preoccupare...".

Non voglio sentire di più.

"Vado da lei!"

"No Leo, aspetta!" mi dice Asia afferrandomi una mano. "C'è la Lisandri adesso".

Sospiro e poi annuisco piegando le labbra di lato; appoggio la schiena alla parete, mi sforzo di non piangere, deglutisco, trovo il coraggio di parlare. "Ma mi dite che cavolo ha avuto?!"

"Stamattina ha avuto una crisi respiratoria"; ancora una volta, è Asia a parlare; papà è come se non ci fosse; lo guardo, ma lui sta ancora guardando per terra. "Poi ne ha avuta un'altra nel pomeriggio, più grave".

Mi passo una mano in mezzo ai capelli, stringo le labbra, me nesto zitto, fisso la porta chiusa. Ho voglia di spalancarla ed entrare, e allo stesso tempo ho voglia di scappare via lontano.

Passano dieci minuti, si apre la porta, compare sull'uscio Laura, e io mi precipito. Lei mi ferma, appoggiandomi una mano sul petto.

"Signor Correani, si accomodi pure"

Papà solleva lo sguardo verso di lei, sembra un bambino smarrito; si alza come un automa ed entra.

"Non ora Leo" mi dice Laura spingendomi un po' indietro e richiudendo la porta alle sue spalle per poi andarsene.

Non riesco ad aspettare qui.

Ho bisogno di entrare e allo stesso tempo ho paura di sentire quello che si dicono.

"Vado a prendermi una Coca" dico ad Asia che ha ripreso a camminare avanti e indietro. "Vuoi qualcosa?"

"No, grazie".

Vado alla macchinetta e poi vado a bermi la Coca su uno dei balconi che affacciano sul mare, ma dopo un po' non resisto più nemmeno qua e torno in corridoio. La porta è ancora chiusa e Asia sta ancora camminando avanti e indietro; un paio di minuti dopo esce la Lisandri e io non le do nemmeno il tempo di accorgersi che sono qui: "Posso entrare adesso?!"

"Aspetta" mi dice lei fissandomi con quei suoi occhi di ghiaccio. "Lasciali un po' da soli."

"Ma posso sapere almeno come sta?!"; ho il cuore che mi batte all'impazzata e non riesco a controllare il tremito, né della mia voce, né delle mie mani.

"Meglio" mi risponde lei con tono impassibile. "Ma ci sono stati dei momenti molto difficili, oggi."

"Ma adesso sono passati, no? Adesso sta bene?!"

"Adesso sta meglio" ribadisce lei accennando un sorriso che vorrebbe essere rassicurante ma non lo è. "L'abbiamo stabilizzata. Non fatela stancare. Entrate uno alla volta".

Se ne va.

La guardo allontanarsi e vorrei inseguirla per farmi spiegare bene cosa significhi quel "meglio", ma non ne ho il coraggio. Mi lascio cadere su una sedia, aspetto che papà si decida a uscire per poter entrare io, finisco di bere la mia Coca, stritolo la lattina vuota, batto nervosamente i piedi.

Aspetto.

Aspetto.

Aspetto.

Basta, non ce la faccio più!

"Leo!" mi chiama Asia, ma io ho già abbassato la maniglia e ho spalancato la porta.

Mi blocco subito.

Non ero preparato a questo.

Ho visto la mamma stare male tante volte in questi due anni; l'ho vista pallida, senza forze, senza capelli, stordita di morfina, attaccata alle flebo, esausta.

Ma così no.

Sembra morta.

È un pugno dritto nello stomaco.

Se non fosse per il bip dell'elettrocardiografo a cui è attaccata, direi che è morta.

Papà è seduto vicino al suo letto e si gira a guardarmi; non sembra affatto sorpreso che sia io. "Leo, non..."; ha gli occhi rossi di pianto e sembra più vecchio di dieci anni rispetto a venti minuti fa.

Nel sentire il mio nome, la mamma apre gli occhi e mi guarda: "Leo..."

"Ciao mamma..." dico cercando di non piangere; faccio fatica a guardarla, è così pallida.

"Vieni qui...".

Io mi avvicino lentamente al suo letto, cercando di non darle a vedere quanto sono spaventato e prossimo alle lacrime; le prendo una mano e me la porto alle labbra per baciarla; è così fredda.

Paura.

Dolore.

Rabbia.

Questo è quello che sento in questo momento.

E nausea.

Potrei vomitare da un momento all'altro.

"Come stai?" le chiedo, e mi sembra la domanda più stupida del mondo.

"Ho avuto giorni migliori" mi risponde lei accennando un sorriso debole. "Matteo, lasciaci da soli".

E io ho sempre più paura.

"Non devi stancarti" le risponde lui spostandole i capelli sottili dalla fronte.

"Ho bisogno di parlare con Leo. Da sola".

Mi rendo conto che parlare le richiede un grosso sforzo, e contemporaneamente noto la bombola di ossigeno vicina al letto.

"Forse papà ha ragione, è meglio se non ti stanchi..." le dico stringendole la mano.

Sono un vigliacco, questa è la verità.

Non voglio sentire quello che ha da dirmi.

So già che non mi piacerà.

"Matteo, per favore..."

"È meglio di no."

"Per favore" ripete lei inchiodandolo con lo sguardo; ha gli occhi ludici, stanchi, ma vivi e determinati come sempre.

Papà sospira e si alza, lasciandomi la sedia; prima di uscire, guarda un'ultima volta la mamma e lei annuisce e gli sorride; lui non riesce a ricambiare il sorriso e se ne va richiudendo piano la porta.

Leo si lascia cadere sulla sedia, lì vicino a lei, ed evita il suo sguardo; ha gli occhi pieni di lacrime, sta stringendo le mani a pugno per trattenersi dal piangere, e a Irene viene meno il coraggio che era convinta di avere.

Il coraggio di dirgli come stanno davvero le cose.

Matteo non è d'accordo; non vuole che lei parli così apertamente con i ragazzi, ma per lei è giusto così; e forse, per Asia, potrebbe pure andar bene parlarne con lui o con la dottoressa Lisandri, ma per Leo è diverso, e lei lo sa benissimo.

A Leo può dirlo solo lei.

Questo lo ha saputo fin dal primo istante, solo che adesso non è più così sicura di riuscirci.

"Avvicinati, dai" gli dice, e lui sposta appena la sedia. "Ancora un po', su. Lo so che faccio paura messa così, ma vorrei tanto toccarti i capelli"; gli sorride e Leo si sforza di sorriderle e avvicina il più possibile la sedia al letto; prova a sporgersi verso di lui, ma fa fatica a muoversi, così lui appoggia la testa sul materasso, accanto alla sua mano, e se ne sta in silenzio mentre lascia che lei gli accarezzi i capelli: "Il mio Leone con la criniera da corvo...".

Leo respira profondamente ma continua a non parlare e a non guardarla; è spaventato, e lei si chiede come fare a trovare il coraggio di dirgli che suo malgrado dovrà abbandonarlo; nemmeno lei può prepararlo a questo, e sa che niente e nessuno potrà consolarlo dopo. Continua ad accarezzargli i capelli, ci sprofonda con la mano, sta per parlare, poi non lo fa; nessuna parola sembra quella giusta.

"Che mi devi dire?".

Leo si è spostato e ha sollevato la testa per guardarla: è confuso, spaesato, spaventato, ma è comunque il suo Leone coraggioso che la guarda a testa alta.

E lei non può più mentirgli: "Oggi sono stata molto male."

"Sì lo so" si affretta a rispondere lui abbassando lo sguardo.

"E andrà sempre peggio."

"Ma... come...?!" le chiede lui con un sorrisetto nervoso, tornando a guardarla. "Che ci stai a fare qui allora? Non dovrebbero riuscire ad impedirle, questo genere di cose?!"

"Sì, Leo, dovrebbero. E hanno fatto il possibile per aiutarmi, lo sai. Ma il mio corpo è sempre più debole e stanco, non ce la fa più...".

Il suo corpo è debole e stanco, non lei.

Il suo corpo, come se non le appartenesse.

Lo rinnega, il suo corpo: quell'infame che la sta tradendo.

L'ha già tradita.

Troppe volte.

E lei vorrebbe avere un corpo di riserva, una via d'uscita, un modo per fermare questa discesa, perché non è ancora stanca, non lo è affatto.

Leo sta stringendo forte le labbra, le sembra di rivederlo da bambino, quando cadeva e si sbucciava le ginocchia ma si rialzava senza piangere, troppo orgoglioso per farlo.

Neanche durante le vaccinazioni piangeva, ma la guardava con l'espressione corrucciata e lo sguardo truce di chi si sente tradito.

Un bambino ferito e tradito, questo le sembra adesso.

Il suo bambino ferito e tradito.

Da lei.

"Dal tuo corpo" le dice una voce nella sua testa, ma questo non la aiuta a farla sentire meglio. Non importa che sia stata lei o il suo corpo, il risultato non cambia: Leo è ferito e tradito, e lei non può farci niente.

"Cosa mi stai dicendo...?" le domanda lui con la voce che trema, sostenendo il suo sguardo. "Mi stai dicendo..."; gli manca il fiato, non riesce a parlare. "Mi stai..."; scuote la testa, stringe ancora le labbra. "Mi stai dicendo che..."; le parole escono in respiri mozzati e lei non riesce ad accettare di essere la causa di tutto questo dolore. "Mi stai..."; Leo comincia a piangere, si porta le mani alla testa, si stringe i capelli, guarda il soffitto, prova a prendere fiato, poi la guarda negli occhi, scuote ancora la testa: "No... Tu non... Io non..."; il suo pianto diventa sempre più forte, il suo respiro sempre più affannato, viene scosso dai singhiozzi e lei vorrebbe tanto abbracciarlo, cullarlo, tenerselo al petto.

"Vieni qui" gli dice allargando le braccia verso di lui, ma lui si alza in piedi di scatto, facendo cadere la sedia.

"Mi stai dicendo che morirai?!".

Gliel'ha urlato addosso, con quella rabbia e quella schiettezza che lei conosce bene ma che la spiazzano sempre; e lei vorrebbe ancora abbracciarlo, ma lui è troppo lontano.

"Leo..."

"Dimmelo!".

Anche stavolta ha urlato, ma il suo tono è stato quello di un'implorazione disperata.

E lei glielo dice, con un soffio di voce: "Sì".

Sì.

È solo una parola.

Una misera, piccolissima, parola, ma sembra portare con sé tutto il dolore del mondo.

Questo è quello che Irene vede sul viso di Leo: tutto il dolore del mondo.

"No" dice lui, come se volesse negare quel "sì", annullarlo, farlo tornare da dove è venuto.

E lei se lo aspettava che avrebbe reagito così, se lo aspettava che non sarebbe stato facile, però non riesce a tollerare tutto questo dolore senza poterci fare niente.

"Per favore, vieni qui".

Ma lui la guarda con rabbia e scuote la testa. "No" ripete passandosi freneticamente una mano in mezzo ai capelli.

"Leo, per favore".

Lui la guarda e scuote ancora la testa: è distrutto, annientato, in preda al panico.

"Leo!".

È un richiamo inutile.

Leo se ne va sbattendo la porta.

Matteo è pronto a riceverlo: non si è allontanato da lì, sicuro di come sarebbe andata, e quando lo ha sentito alzare la voce, si è alzato dalla sedia e si è avvicinato alla porta, sicuro che sarebbe uscito da un momento all'altro; ed è proprio così, infatti: Leo esce dalla stanza di Irene come una furia, quasi correndo; riesce ad afferrarlo prima che scappi via e lo blocca in un abbraccio. Lui fa un po' di resistenza ma poi ci si abbandona e resta per qualche secondo a piangere sulla sua spalla, immobile, mentre Asia raggiunge Irene.

"Portala a casa" dice Leo staccandosi dall'abbraccio; ha il viso stravolto e bagnato di lacrime, ma è più risoluto che mai. "Portala a casa!"

"Cosa...?"

"Portala a casa!" ribadisce piangendo. "Adesso! Portiamola a casa!"

"Leo, ma cosa dici...? Non posso..., non..."

"Portala a casa!" urla Leo con la voce straziata. "Non lasciarla morire qui!"

"Leo, non possiamo portarla a casa, qui è meglio seguita e..."

"E cosa?! Non possono farci più niente! Niente! Non lasciamola qui!".

È inutile provare a ragionare con Leo adesso: è completamente annebbiato dalla rabbia e dal dolore. "Siediti un attimo, vuoi che ti vada a prendere da bere? Vuoi...".

Leo gli sposta con forza le mani che lui gli ha appoggiato sulle spalle e indietreggia. "Voglio solo che la riporti a casa, cazzo!"

"Cerca di calmarti adesso, ne parliamo poi con tranquillità. Adesso non..."

"No! Non mi calmo! Portala a casa!".

Non ha mai visto Leo piangere così, mai; non lo ha mai visto in questo stato di disperazione. Inevitabilmente rischia di piangere anche lui, ma resiste.

"Dai, siediti"; gli circonda le spalle con un braccio, prova a farlo sedere, ma lui reagisce male e lo scansa bruscamente per poi correre via.

Non riesco a respirare.

Mi manca l'aria.

Non riesco a riprendere fiato, eppure continuo a correre, più veloce che posso, nonostante il dolore alla gamba, e raggiungo in fretta il parcheggio dell'ospedale mentre sto ancora piangendo: è più forte di me, non riesco a fermarmi.

Devo andare via.

Il più lontano possibile da qui, ma non posso prendere l'autobus in queste condizioni. Comincio ad avviarmi a piedi verso casa, anche se è lontanissima, ma la gamba mi fa male e poi tutti mi guardano, non riesco a passare inosservato, e non sopporto di farmi vedere così. Mi fermo in un luogo un po' riparato dalla strada e poi chiamo Mattia, chiedendogli di venirmi a prendere.

Lui arriva dopo appena dieci minuti. Dev'essersi spaventato nel sentire la mia voce e deve aver corso parecchio. Metto il casco e salgo sullo scooter senza dirgli niente, e lui non mi chiede niente; dato che siamo vicini all'ospedale, probabilmente immagina già che c'entra mia mamma.

"Ci sono i tuoi?" gli chiedo quando si ferma davanti casa sua.

"No, oggi è il loro anniversario di matrimonio e sono fuori a cena".

Vado in bagno a lavarmi la faccia e quando torno in cucina lui sta preparando dei panini.

"Il salame non ce l'ho. Ti va bene col prosciutto?"

"Lascia stare, non ho fame" gli rispondo sedendomi sullo sgabello vicino alla penisola.

"Io te lo preparo lo stesso. Vedrai che ci ripensi"; restiamo in silenzio mentre lui farcisce i panini con prosciutto, formaggio a fette e maionese, e poi li mette in mezzo alla piastra già calda. "Vuoi da bere?" mi chiede aprendo il frigo.

"Ce l'hai un super alcolico?"

"Ce ne ho diversi, ma mia madre si accorge subito se ne manca anche solo un dito."

"Me lo ricordo"; accenno un sorriso, ripensando a quella volta che ci siamo fatti un bicchierino di vodka in due, e poi sua madre ha dato di matto.

"Tè alla pesca?"

"Va bene l'acqua".

Perfino l'acqua faccio fatica a mandare giù: è come se avessi lo stomaco stretto in una morsa e devo ancora impegnarmi con tutte le mie forze per non piangere. Mattia mi mette davanti un piatto con sopra il panino, poi si siede accanto a me e comincia a mangiare il suo; io non ci riesco; ci provo, ma non ci riesco; è buonissimo, ma il mio stomaco non ne vuole sapere.

"Mia madre sta morendo" gli dico senza guardarlo; lo sento muovere sullo sgabello, lo sento sospirare. "Non occorre che dici niente" aggiungo continuando a non guardarlo.

E lui non dice niente ma mi attira in un abbraccio con così tanta forza che per poco non cadiamo entrambi; mi viene da piangere e faccio ancora fatica a respirare; è come se averlo detto a voce alta lo avesse reso ancora più vero. Mi stacco dal suo abbraccio per provare a prendere fiato e mi accorgo che lui sta piangendo.

"No, eh?!" gli dico con tono forzatamente allegro. "Non ce la posso fare a consolarti!".

Lui accenna un sorriso e beve un sorso d'acqua. "È passata la fame anche a me" dice allontanando il piatto con il panino; gli porgo un tovagliolo di carta e lui si asciuga gli occhi. "Che cazzo, qui ci vuole il limoncello che fa mio padre!"

"E come facciamo con tua madre?"

"Dopo ci aggiungo l'acqua, così non se ne accorge!".

Scoppio a ridere, mentre lui si alza e apre il freezer, e mi sembra di non riuscire a smettere, proprio com'era successo prima con le lacrime. Stavolta però vengo bloccato di colpo dal telefono che squilla.

"Cazzo, Giulia!" esclamo vedendo la sua foto lampeggiare sul display. "Dovevamo vederci".

Guardo il telefono con aria sgomenta, non so cosa fare, non ce la faccio a parlare con lei, non ce la faccio a spiegarle niente.

"Da' a me" mi dice Mattia allungando la mano, e io glielo porgo; lui risponde e se ne va a parlare in un'altra stanza. In qualsiasi altra situazione non glielo avrei permesso, ma adesso mi va bene così. Non voglio nemmeno sapere cosa le dice.

"Si è incazzata?", è l'unica cosa che gli domando quando ritorna.

"No" mi risponde poggiando il telefono sul ripiano della cucina. "Ci spariamo un horror splatter?"

"Sì, ma prima voglio il limoncello."

"Portiamoci direttamente la bottiglia il salotto".

Dopo circa metà di The summer of massacre e un bicchierino di limoncello, mi sono un po' ripreso, e chiedo a Mattia di accompagnarmi da Giulia.

Il cancello si apre senza che nessuno chieda chi è; penso sia stata Giulia che mi ha visto dal videocitofono, ma quando arrivo davanti alla porta d'ingresso mi ritrovo davanti sua madre.

"Buonasera, io sono..." comincio a dire un po' imbarazzato, ma lei mi ferma.

"Ciao Leo" mi dice sorridendo. "So benissimo chi sei".

Sto per lasciarmi scappare: "Ah, già!", pensando alla mia gigantografia attaccata sopra al letto di Giulia, ma per fortuna mi ricordo in tempo che sua madre non sa che sono stato innumerevoli volte in camera sua.

"Vado a chiamartela. Vuoi entrare, intanto?"

"No, grazie... Aspetto qua."

"D'accordo, come vuoi. È stato un piacere, Leo."

"Anche per me. Arrivederci".

Dopo meno di un minuto arriva Giulia scendendo le scale di corsa, seguita da Zeus che abbaia, e si precipita tra le mie braccia.

"Non ti aspettavo..." sussurra tenendomi stretto.

"Meglio, no?"

"Sì, meglio."

"Sei arrabbiata?"

"Certo che no!".

Se non è arrabbiata per il mio bidone, significa che Mattia deve averle detto di mia mamma.

"Possiamo fare due passi?" le chiedo allontanandomi appena.

"Sì. Prendo il guinzaglio di Zeus, così portiamo anche lui" mi dice entrando nell'ingresso e prendendo il guinzaglio dall'attaccapanni. "Vado a fare una passeggiata!" urla poi per farsi sentire dai suoi. "Prendo Zeus con me!"

"A casa per le undici"; è stato suo padre a dirlo, ma per fortuna ha ben pensato di non farsi vedere; aver conosciuto sua madre direi che per stasera è già abbastanza.

Io e Giulia camminiamo in silenzio, mano nella mano, fino al parco, e una volta arrivati lì ci fermiamo e lei mi abbraccia. La stringo forte a me e comincio a piangere senza quasi rendermene conto; cerco di non singhiozzare, mentre lei mi accarezza la schiena.

Non voglio che mi veda piangere, quindi resto lì, perso in quell'abbraccio, finché Zeus non si mette in mezzo e prova a spingermi via, geloso della sua padrona. Raccolgo un bastoncino da terra e lo lancio il più lontano possibile; lui corre a cercarlo, ma ritorna troppo in fretta a riportarmelo; provo a lanciarglielo ancora più lontano, ma non ne vuole proprio sapere di lasciarci in pace, e alla fine mi arrendo e decido di giocare con lui.

Comincio a correre, con lui che mi insegue; la gamba mi fa male, ma la testa almeno si svuota dai brutti pensieri, perciò continuo imperterrito. Si unisce a noi anche Giulia, e facciamo il giro di tutto il parco più volte, finché esausti e sudati ci lasciamo cadere sull'erba, con Zeus vicino a noi che ansima con la lingua penzoloni; per fortuna è stanco pure lui e se ne sta buono.

Me ne sto a guardare il cielo, mentre riprendo fiato, cercando di riconoscere le costellazioni; tira un leggero venticello, le cicale cantano, e mi sembra che l'aria della notte sia diversa stasera: c'è profumo d'estate.

"Mia mamma sta morendo" dico fissando Venere, e non credo di averlo detto a Giulia o al cielo.

Credo di averlo detto a me.

Giulia mi prende una mano e io ricomincio a piangere, in silenzio.

È una splendida sera che anticipa l'estate, il cielo è limpido e stellato, la mia ragazza è bellissima e il suo profumo alla vaniglia mi manda ai matti, c'è un silenzio perfetto interrotto solo dalle cicale e dal respiro di Zeus, tra pochi giorni finisce la scuola, e tutta questa bellezza mi sembra inutile e offensiva.

Come si permette l'Universo di fregarsene di tutto e di continuare ad essere così perfetto?

Come si permette l'estate di arrivare così all'improvviso, nonostante tutto?

Eppure è così, la mamma sta morendo ma all'Universo non gliene frega un cazzo e tutto continua uguale a prima: le stelle continueranno a brillare, le cicale a cantare, la scuola finirà, arriverà l'estate e la mamma forse non ci sarà già più.

"Il mio corpo è sempre più debole e stanco, non ce la fa più".

E io continuo a ripetermi che devo essere forte.

Continuo a ripetermi che non devo piangere.

E invece non ce la faccio, non è una cosa che posso accettare.

Non riesco ad accettarlo.

E non riesco a smettere di piangere.

Una volta a casa faccio la doccia e me ne vado a letto, ma è inutile dire che non riesco a dormire.

"Posso?" mi chiede Asia aprendo la porta dopo aver bussato.

"Sì, vieni" le rispondo facendole posto nel letto. "Mi ha stupito che non mi hai chiamato mille volte stasera."

"Mattia mi aveva avvisata per dirmi che eri con lui, perciò ero tranquilla."

"Ah... È proprio un bravo ragazzo Mattia!" esclamo sorridendo. "Lui sì, che sarebbe un fratello perfetto!"

"Anche tu sei un bravo ragazzo."

"Pensavo stessi per dire che anche io sono un fratello perfetto!"

"Non esageriamo adesso. Accontentati del bravo ragazzo!"

"Non sono un bravo ragazzo" dico scuotendo la testa. "Sono stato uno stronzo con la mamma."

"Lo sai che lei ti capisce sempre."

"Sì" sospiro io piegando le labbra di lato. "Però adesso mi sento un coglione."

"Dai, vedrai che domani..."

"Adesso."

"Cosa adesso?"

"Voglio andare da lei adesso" dico mettendomi seduto. "Accompagnami, ti prego!"

"Leo, sono passate le undici!"

"E allora?! Di sicuro nemmeno lei riesce a dormire!"

"Ma figurati se ti fanno entrare!"

"Tu accompagnami, poi ad entrare ci penso io!"

"Ti bloccano subito, nell'atrio."

"Passo dal Pronto Soccorso!" esclamo alzandomi e infilandomi le infradito e una maglietta. "L'ho già fatto altre volte!"

"E a papà che diciamo?"

"Che andiamo a prenderci un gelato!".

Lei è titubante ma alla fine mi accontenta e mi lascia davanti al Pronto Soccorso, aspettandomi in auto. Come prevedevo c'è un gran via vai e nessuno bada a me, così riesco a raggiungere il piano della mamma senza problemi; una volta lì, però, mi ferma Ester.

"Leo?!"; mi rivolge uno sguardo allibito e poi guarda l'orologio. "Ma cosa ti salta in mente?"

"Devo vedere la mamma."

"Non è possibile, è tardissimo."

"Ti prego" le dico guardandola dritta negli occhi, e lei deve leggervi tutta la mia disperazione perché la vedo vacillare. "Ho bisogno di vederla, ti prego."

"Leo, lo sai che è stata una giornata particolarmente dura per lei."

"E appunto per questo la devo vedere! E anche lei ha bisogno di vedere me, lo so! Ti prego!".

Sono sul punto di piangere e anche Ester ha gli occhi lucidi.

"Vado a vedere se è sveglia. Aspetta qui" mi dice, ma io la seguo, e quando apre la porta vedo che la mamma come prevedevo è sveglia; sta guardando uno dei suoi telefilm polizieschi in tv e quando mi vede pare illuminarsi.

"Amore..." dice con un filo di voce e con un sorriso dolcissimo, e io mi precipito da lei.

"Dieci minuti, Leo" mi dice Ester. "Non uno di più".

Io annuisco e aspetto che esca, poi mi chino piano verso la mamma e l'abbraccio cercando di non ingarbugliarmi in tutti i fili a cui è attaccata.

"Scusa..." mormoro contro la sua spalla, mentre non riesco a trattenere le lacrime. "Sono stato...".

Ma lei mi zittisce subito. "Shh..." sussurra accarezzandomi i capelli e facendomi spazio nel letto.

Io mi accuccio su di lei e vorrei tanto sentirle dire il suo solito "Vedrai che andrà bene", ma stavolta non lo dice.

Stavolta lei lo sa che non andrà bene, per niente, per nessuno di noi, e più ci penso più sono incazzato con l'Universo; ma adesso sono tra le sue braccia, in questa sera di fine maggio, e dalla finestra aperta entra un venticello fresco e il canto delle cicale. A quanto pare, il profumo dell'estate arriva anche qui, in questo posto maledetto, e non l'avrei mai creduto possibile ma riesco quasi ad apprezzarne la bellezza.

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