In nome del sangue, in nome d...

By kiralalucedelsole

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. 1 . Vecchie cicatrici e nuove ferite
. 2 . La verità
. 3 . Punta d' ago e balsamo guaritore
. 4 . Dal passato nuovi fantasmi
. 5 . Sera di lucciole e mattino d'argento
. 6 . Indecenti proposte
.7 . Un patto col diavolo
. 8 . Confronti
. 9 . Il velo caduto
. 10 . Grandi speranze
. 11 . Promesse.
. 12 . Terra e acqua, muschio e sale
. 13 . Un passo indietro
. 14 . Preludio
. 15 . Miele
. 16 . Rivelarsi
. 17 . Il diavolo e l'acqua santa
. 18 . Come fratelli
. 19 . Prima di partire
. 20 . Il fiume dell'ira
. 21 . Sulla strada di casa
. 22 . Nessuno tranne una
. 23 . Incubi e sogni di un prigioniero
. 24 . La mano del gigante
. 25. Ad un passo dalla libertà
. 27 . Un nuovo giorno
. 28 . Una effimera tregua
. 29 . 7° 24' 25''
. 30 . L'esca
. 31 . Quando viene il buio
. 32 . Giochi di potere
. 33 . A casa prima dell'uragano (parte prima)
. 33 . A casa prima dell'uragano (parte seconda)
. 34 . Storia di un duello
. 35 . Tutto il mondo brucia
. 36 . Di piani, di fughe e di abbandoni
. 37 . Oltremare
. 38 . Qualunque cosa accada
. 39 . Lupi e agnelli, falchi e colombe
. 40 . Odi et amo
. 41 . Desiderio
. 42 . Il passato alle spalle
. 43 . L'ultimo conto da pagare
AVVISO
. 44 . Di culle, di baci e di bocciuoli di rose

. 26 . Il prezzo della libertà

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By kiralalucedelsole

. 26 . Il prezzo della libertà

Uno stridore di ferri lo distolse dal pantano tra veglia e sonno in cui era caduto.
- Capitano ... capitano ... - un sussurro sottile e sommesso, come se venisse da un sogno, lo chiamò insistentemente, finché Eìos non aprì gli occhi e li indirizzò verso il luogo da cui proveniva.
Alla grata della piccola feritoia aperta nella possente muratura, erano incastrate le punte adunche di un uncino; Eìos stropicciò gli occhi, ancora appiccicosi di sonno, e intravide attraverso la scacchiera formata dai ferri, il viso lentigginoso del ragazzino che aveva portato con sé per mare innumerevoli volte e a cui aveva affidato i lavori di manutenzione della sua nuova barca.
- Ratho! Come diavolo hai fatto a salire fin quassù? - chiese, la voce arrochita dall'improvviso risveglio.
- Lo sapete, capitano, che posso arrampicarmi da per tutto! - gli rispose, pavoneggiandosi e allargando la bocca in un sorriso soddisfatto.
Ripensando a tutte le traversate insieme, non gli fu difficile immaginarlo scalare il torrione in cui era situata la cella, nonostante fosse a una ventina di metri dalla superficie del mare. Con la stessa abilità con la quale si arrampicava sull'albero maestro, fino alla coffa, quel ragazzino, magro come uno stecco, doveva aver risalito le pietre lisce della costruzione, i piedi scalzi ad intercettare ogni piccola asperità e le mani strette saldamente alla fune legata al rampino.
- Queste sono le chiavi delle celle ... - gli spiegò, lanciando un mazzo tintinnante sul pavimento, - ... sono in tutto venticinque, occupate da ventuno detenuti. Non ci sono guardie nel corridoio a sorvegliarle, ma due sono appostate alla fine della scala a chiocciola che conduce al cortile centrale; altre due sono di piantone al portone d'ingresso e otto sentinelle perlustrano la fortezza dai terrazzi dei bastioni. - continuò puntuale, avvinghiato alla grata, con le mani tanto strette, da intravederne le giunture delle nocche, come le ossa di uno scheletro. - Capitano ... - riprese, dopo aver domato l'affanno di quella posizione tanto innaturale, - Queste sono per voi e il vostro amico ... - disse, mollando la presa di una mano e lanciando all'interno della cella, un sacchetto di tela scura, che rovinò al suolo con un tonfo metallico, attutito dalla stoffa. - Fate in fretta, vi aspetto dabbasso! - ammiccò, con un altro sorriso complice sulla faccia smunta.
Il tempo di un respiro ed il ragazzino era già sparito, lasciando intravedere il cielo scuro della notte.
Eìos raccolse il sacchetto e lo vuotò: due pistole cariche, caddero sul tavolaccio; le infilò entrambe nella cintola dei calzoni, per avere le mani libere, raccogliere il mazzo di chiavi e aprire la cella. Si avvicinò alla serratura, infilò la mano attraverso la grata, il più vicino possibile alla toppa, e inserì una chiave.
Il primo, il secondo e il terzo tentativo fallirono, fino a che Eìos non scelse quella giusta: lo scatto delle mandate rintoccò, come le lancette di un orologio, e alla quarta, la serratura si aprì.
Spinse l'inferriata e uscì; compiendo pochi passi, si trovò davanti a quella di Betel e ricominciò la ricerca della chiave giusta.
- Tirati su! - mormorò, mentre ne inseriva una nella serratura, - Non è questo il momento di dormire ... - insistette rivolto l'amico, che giaceva supino sul proprio giaciglio, le gambe distese e accavallate e le braccia incrociate dietro la nuca.
Betel sorrise, senza aprire gli occhi, e, quando anche la propria cella fu aperta, si sollevò e raggiunse Eìos. Questi gli porse una delle pistole; Betel aprì il tamburo; con un colpo secco lo fece ruotare su sé stesso e poi lo richiuse con il colpo in canna e il cane alzato, pronto a fare fuoco.
- Facciamo uscire tutti. - suggerì, - La confusione che provocheranno tra le sentinelle costituirà un buon diversivo per agevolarci la fuga. -
Le celle furono aperte ad una, ad una e i detenuti infilarono il corridoio e poi la stretta scala a chiocciola, in un mormorio sommesso ed eccitato, senza neanche sapere a cosa andassero incontro, accecati dal miraggio della libertà.
- Tu stammi dietro. - ordinò a Eìos, mentre seguiva la scia degli altri verso il cortile centrale.
Questo era avvolto dalla calma notturna; il silenzio era rotto solo dal crepitio delle fiaccole alloggiate alle pareti e dai passi cadenzati delle sentinelle che percorrevano i terrazzi per presidiare la fortezza. Quando i primi prigionieri uscirono allo scoperto, le guardie nel cortile, diedero l'allarme, puntando le armi sul gruppo sparuto e rumoroso e intimando la resa. Ma l'orda di uomini affamati di libertà, senza scrupoli e senza nulla da perdere, si scagliò contro il presidio, inferocita.
L'aria si riempì di grida e schioppi di fucile, in un tumulto incontrollabile; una mischia di corpi confusi si concentrò nel cortile, mentre le sentinelle accorrevano per dare man forte alle altre guardie, sopraffatte dal numero e dalla ferocia dei detenuti. Betel fece capolino dal corridoio, che dalla fine della scala conduceva all'esterno, proprio mentre lo scontro divampava.
- Seguimi. - ripeté e indicò, con un cenno del capo, un foro, del raggio di poco più di un metro, situato nel lato opposto dello spiazzo. Velocissimi zig-zagarono tra barili e casse ammassate, nascondendosi alla vista dei soldati.
L'ultimo tratto da percorrere per raggiungerlo, però, era allo scoperto; una delle guardie ne scorse i movimenti e, intimando loro l'alt, puntò la propria arma sui loro corpi esposti. I due, ignorarono l'ordine, costringendola a fare fuoco diverse volte, e si infilarono in scivolata nell'apertura, uno dopo l'altro, come un filo di cotone nella cruna di un ago.
Era uno degli scoli che venivano praticati nelle spesse mura delle vecchie fortezze, per espellere le acque reflue e quelle piovane miste a fango. Un cunicolo stretto, dalle pareti viscide e muschiate, attraversava le viscere di pietra, come un budello maleodorante, per aprirsi tra i frangiflutti che circondavano la base rocciosa su cui si fondava la fortezza.
Vi scivolarono attraverso, con i piedi in giù, agevolati da un rigagnolo acquitrinoso, che scorreva putrido e scrosciante verso lo sbocco.
L'apertura era poco più larga dell'imbocco, ma comunque appena sufficiente per il passaggio dei loro corpi, e si apriva tra gli scogli, in parte già sommersi dal mare. Giunti all'esterno, l'aria pulita e salmastra allietò le narici e il colore bluastro del cielo notturno li rinvigorì, con la sua vastità e la luna enorme e lucentissima.
La marea cominciava a salire, presto la superficie delle acque avrebbe raggiunto un livello troppo alto per consentire loro un percorso agevole.
- Costeggeremo la fortezza passando sulle rocce ... - gli spiegò, mentre si arrampicava sui massi spigolosi e resi scivolosi dalle alghe, - ... fino alla spiaggia. - continuò, sforzandosi di rimanervi aggrappato con le mani e con le braccia, nonostante la furia crescente delle onde. - E' lì che ci aspetta Ratho con i cavalli. - terminò col fiato corto.
Anche Eìos ansimava, ma non era la prova faticosa della fuga a minargli il respiro: un dolore lanciante gli infiammava l'addome e la coscia sinistra pulsava allo stesso ritmo forsennato del cuore. Abbassò gli occhi e scorse una macchia scura che occupava gran parte della camicia, già sporca e lacera, proprio nel punto che doleva. Controllò, insinuando la punta delle dita nello strappo; i polpastrelli si imbatterono in un taglio lungo, ma non troppo profondo, dal centro del ventre al fianco, imbrattandosi di sangue vischioso e caldo. Un lamento gli si arrampicò su per la gola, ma ebbe la forza di reprimerlo, perché l'amico non se ne avvedesse e fosse costretto a rallentare la fuga per aiutarlo.
Continuò a seguirlo, assecondandone il ritmo, avvinghiandosi agli scogli, ma le fitte sempre più lancinanti gli fecero strizzare gli occhi e digrignare i denti. Anche la coscia sinistra era ferita e a, giudicare dal dolore, che, come un punteruolo conficcato nella carne si ramificava in tutto il corpo, doveva essere molto più grave di quella sull'addome.
- Cosa hai? - gli chiese Betel, accorgendosi che rimaneva indietro.
- Nulla! - mentì, - Rimuginavo ... Solo tu potevi escogitare un piano così complicato! - abbozzò un sorriso, perché Betel proseguisse senza preoccupazioni.
- Oh, andiamo, sembri una donnetta petulante! - si burlò di lui, - Non continuare a lagnarti: in fondo ti sto rendendo la libertà! - aggiunse, proseguendo con una forza e una determinazione che Eìos cercò di emulare.
Strinse i denti e riprese a muoversi alla stregua dell'amico, rivoli di sangue e dolore, colorarono l'acqua spumosa che si infrangeva sulle rocce, fiaccando la sua resistenza già minata dai giorni di prigionia.
Raggiunsero la spiaggia, quando già l'acqua stava superando il livello massimo, appena in tempo per vedere le rocce annegare sotto la superficie increspata.
Eìos crollò sulle ginocchia, al limite delle forze; puntellò il peso del busto sulle braccia tese; abbandonò il capo verso il basso e le gocce di mare grondarono dalle punte dei capelli, disegnando arzigogoli sulla rena.
- Ratho ci aspetta lì, nella boscaglia. - indicò il punto in cui la sabbia si insinuava tra le radici degli alberi.
Eìos si sollevò, facendo appello a tutte le forze che gli rimanevano in corpo, e proseguì verso il punto convenuto.
Betel prese a seguirlo, camminando all'indietro, affondando i piedi nelle orme lasciate da Eìos, per poi premurarsi di cancellarle, smuovendo la sabbia con un ramoscello raccolto sulla battigia.
Tra gli alberi e il buio fitto della notte inoltrata, il ragazzino, reggeva le redini dei loro cavalli, nervoso e impaziente, dondolandosi sul posto e calpestando le foglie cadute al suolo per ingannare l'attesa.
- Finalmente! - li salutò, rasserenato dal loro arrivo.
Montarono in sella: Eìos, stringendo i denti per lo sforzo che costava al proprio corpo ferito, e Betel, afferrando Ratho per un braccio e caricandolo in groppa al proprio animale. Questi si avvinghiò alla sua schiena e l'arabo, con un colpo ai fianchi del suo purosangue, partì al galoppo.Cavalcarono l'uno dietro l'altro, per un paio di miglia, inoltrandosi nel bosco che via, via si infittiva e si richiudeva alle loro spalle come un sipario naturale di rami e foglie, felci e muschi profumati.
Il dolore diveniva sempre più insopportabile anche a causa dei continui sobbalzi che il galoppo e il terreno sconnesso procuravano; la temperatura del corpo scendeva piano, per il freddo degli abiti bagnati e per le copiose emorragie; il vento della notte lo faceva rabbrividire come se avesse la febbre, eppure la fronte era imperlata di un sudore freddo, che gli rigava le tempie e le guance. Cercò di concentrare i propri pensieri sulla corsa, sul panorama che gli scorreva intorno, sul profumo di libertà che sembrava, ad ogni schiocco degli zoccoli, più vicino e possibile, ma il dolore gli ricordava continuamente i suoi errori, le sue sfide alla sorte, il suo ricatto e tutti gli altri motivi che lo avevano condannato a quella condizione infernale. Così in mezzo a quelle considerazioni vergognose, riapparvero distinte le parole che Miran gli aveva rivolto quella mattina, la sofferenza che traspariva da esse e gli occhi spenti di un uomo agonizzante e deluso.

- Cos'è quell'espressione che ti leggo in volto, fratello? Stupore o ... paura? - chiese Miran, quando si ritrovarono l'uno di fronte all'altro, ai lati opposti della grata della cella.
- Né l'una, nell'altra, solo non credevo di incontrarti ... Non qui. - gli rispose, gli occhi fieri come sempre, ma un disperato senso di colpa a opprimergli il cuore.
- Sei un ladro! Dove volevi che ci incontrassimo, in una chiesa? - replicò sarcastico, con una smorfia dura e avvelenata delle labbra.
- Miran ... -
- Qualunque cosa tu intenda dire, è inutile. - lo interruppe, - Ciò che hai fatto, ciò che hai fatto a me, è vergognoso, mi indigna e il mio onore esige soddisfazione. -
- Oh ... E cosa vorresti? Sfidarmi a duello, lavare l'offesa col sangue? - lo irrise con baldanza per non mostrare la dolorosa consapevolezza di essere in torto.
- Comprendo che un vile come te, consideri ... ridicola la possibilità di uno scontro leale, faccia a faccia, ma è così che i gentiluomini regolano le faccende d'onore! -
- I gentiluomini! Ma io non lo sono e non lo sarò mai: per te, un duello tra noi non sarebbe onorevole. Dunque, non mi batterò! - precisò, avvicinandosi alle sbarre, gli occhi scuri puntati sull'altro.
- Invece lo farai. Io lo pretendo! Ti farò uscire di qui, corromperò giudici e soldati e ti renderò la libertà, solo per il gusto di piantarti nel cranio una pallottola. - lo minacciò, ancora con quel sorriso sadico che strideva con i tratti gentili di Miran che sembravano sepolti sotto la rabbia.
- Uscirò di qui senza il tuo denaro, perché sono innocente. E non mi batterò con te! - ripeté.
- Innocente? - ribatté con una nota di scherno, - Sei un miserabile, un ladro, un truffatore, un bugiardo: nulla di ciò che hai fatto da che sei nato ti consente di definirti innocente. - infierì.
- Non hai il diritto di giudicarmi, nessuno può! Se di crimini è sporca la mia coscienza o l'anima, renderò conto a Dio e a Lui soltanto. - lo corresse piccato, - Nei tuoi confronti ho commesso un solo errore: avrei dovuto confessarti tutto, di lei e di me, metterti in guardia ... ma la rabbia, le umiliazioni di anni, mi avevano annebbiato, come ora accade a te. Ero folle, bruciavo dal desiderio di ucciderti. - terminò, abbassando il tono, ammettendo per la prima volta i propri errori.
- Ma non l'hai fatto! Vuoi che ti spieghi io il perché? Hai taciuto per ottenere ciò che volevi e che io ti avrei dato senza remore, perché, in cuor mio, tu sei sempre stato mio fratello! - confessò a sua volta, la voce tremolante e le mani strette a pugno. - Delle menzogne, delle trame che hai ordito, del ricatto ... di questo devi rendere conto a me! -
Eìos si sentì meschino, un verme nel fango; spregevole, come Caino, e artefice stupido dei propri mali. Deglutì un groppo amaro e ingombrante, socchiudendo le palpebre per una vergogna che aveva voluto nascondere a sé stesso per troppo tempo, per aver incolpato il destino che, maltrattandolo, lo aveva indotto a sbagliare.
Non era più tempo, però, di bugie, né di quelle raccontate alla propria coscienza, né di tutte le altre confezionate ad arte per giustificare il proprio operato.
- E' vero: ho approfittato del mio stesso sangue, e di questo mi dolgo ... e se vale, Miran, ti chiedo perdono! - biascicò, con fatica e gli occhi bassi, ma deciso a cercare la via giusta per riconciliarsi con suo fratello e con sé stesso.
- E chi credi che io sia? Il tuo confessore? - replicò, - Credi che basti ammettere di aver peccato, fare atto di contrizione, recitare un paio di preghiere per meritare l'assoluzione? Non funziona così, fratello! Non avrai mai il mio perdono e non ti guadagnerai il paradiso anche in terra. -
- E allora, cosa vuoi? - ribatté esasperato e deluso, senza comprendere che il male che aveva fatto non avrebbe potuto essere arginato con le scuse.
- Voglio vederti morto! - fu la risposta secca di Miran.
- Non mi batterò. - ripeté.
- E allora ti sparerò alla schiena e morirai come muoiono i vigliacchi. -

Dopo un tragitto che a Eìos parve interminabile, giunsero a una casupola con le pareti di legno e il tetto ricoperto di fascine, immersa tra gli alberi e nei pressi di un ruscelletto, il gorgoglio delle cui acque si mescolava al crepitio delle foglie secche calpestate dagli zoccoli dei cavalli.
Betel arrestò il proprio animale, sorresse Ratho nella discesa, poi smontò a sua volta.
La porta sgangherata si aprì cigolando, Elmisk fece capolino con circospezione e, dietro di lui, Ariela, avvolta in un mantello scuro, con il quale contrastavano la pelle perlacea e gli occhi di mare.
Eìos, una mano stretta alle redini, più per sorreggersi che per arrestare il proprio cavallo, e l'altra aggrappata alla criniera fulva, lasciò cadere gli occhi umidi di dolore in quelli della sua sposa.
Un sorriso gentile e sollevato le ammorbidì i tratti del viso, tirati per l'apprensione; il cuore di lui si scaldò, sostituendo ai giorni orribili della prigionia, tutti quelli felici trascorsi stringendola tra le braccia e l'odore ferruginoso del sangue che impregnava la pelle del costato e della coscia si disperse, come una zaffata nauseante nel profumo conturbante dei fiori di una serra. Ma le ferite non sparirono che nella sua mente, rimasero reali e lancinanti, continuando a scavargli le carni, al pari del becco di un rapace tra i brandelli della propria preda.
Smontò da cavallo, con lentezza e difficoltà, cercando di non crollare come un sacco vuoto, ma, nell'istante in cui il piede sinistro toccò il suolo, una fitta insopportabile saettò dalla coscia fino al cervello. Gli occhi si annebbiarono e le orecchie rimbombarono; le ultime vigorie, che lo avevano sorretto in quegli istanti, si dissiparono, sabbia fine dispersa dal vento, e il suo corpo crollò al suolo sconfitto ed esanime.

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Buongiorno!
Finalmente Eìos e Betel sono riusciti a fuggire dalla prigione.
Ma il fulcro di questo capitolo non è la fuga, ma le considerazioni a cui Eìos giunge: egli si è trovato di fronte a tutti i propri errori e forse ha cominciato a capire che, anche se la sorte ci maltratta, le nostre cattive azioni sono mai giustificabili.
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e spero nei vostri voti!
Un bacio a tutte e alla prossima!

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