Lilies & OTICH• Ben Barnes

By sasistilinski

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🤍office romance 🤍 second chance 🤍 boss employee trope 🤍 forced proximity A volte la prima occasione non b... More

dedica
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Lilies & OTICH
prologo
Offrirò io
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Ferie
Ritardo
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Dolce
Caso
Giglio
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Competitivi
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Angelo caduto
Solo amici
Due volte
Perdono pt. 1
Perdono pt.2
Straordinari
Awǒ ài nǐ 520
Falena e luce
Shakespeare
Cuore caldo
TomTom
Errori
Scacco matto
Libri
Corridoio 5 Scaffale 20
Epilogo
Ringraziamenti

Certificato

89 11 17
By sasistilinski

Lily
2031

Indossai il cappotto grigio perchè era l'unico in
grado di coprirmi, oltre quello nero che si era bagnato il giorno prima.

Sentivo il freddo nelle ossa e il naso che colava. Era quello che si meritava una stupida che rimane in piedi sotto la pioggia.

Sarei dovuta passare di farmacia per comprare l'ibuprofene, ma poi avrei dovuto comprare le vitamine, quindi evitai. I soldi ne chiamavano sempre altri, chissà come.

Mi accorsi di aver bisogno di quei due giorni per me: entrare in ufficio alle nove e non essere fuori prima delle diciotto e trenta non mi permetteva di vedere la città la mattina presto o il primo pomeriggio.

Prima di quel lavoro, amavo andarmene in giro da sola. Mi piaceva passeggiare per il parco in compagnia di libri che acquistavo per qualche spicciolo nei negozi dell'usato, prima che il vintage andasse di moda.

Mi piaceva stringermi tra i maglioni sempre troppo grandi e annusarne l'ammorbidente alle peonie.

Mi era piaciuto davvero, ma le persone cambiano.

Quindi fu la volta del college, delle feste, delle confraternite e degli amici. Gli stessi che volevo sorprendere, che volevo mi facessero sentire a casa quando ero tanto lontana da non ricordarla.

Ero soltanto una ragazzina e non riuscivo a capire cosa valessi davvero quindi misi da parte maglioni e libri per vestiti e tablet, iniziando la mia prima carriera lavorativa.

Non sapevo cosa stessi cercando, sapevo soltanto di volere fare sempre meglio e così fu fin quando non conobbi Alex.

Elegante, vestito di scuro con gli occhi taglienti e la mascella scolpita. Aveva qualche neo che gli incorniciava il volto abbronzato. I capelli li lasciava spesso ribelli, tranne quelle poche volte in cui li tirava indietro con il gel.

Mi faceva impazzire e sapevo quanto gli piacesse essere guardato.

Alex era diverso da tutti i ragazzi con cui avessi avuto a che fare. Era affascinante, ma emanava una strana energia. Non riuscivo a sottrarmi ai suoi occhi.

Gli avrei permesso di guardarmi per ore, e sapevo che i vestiti sempre meno coprenti erano per lui. Non potevo prendermi in giro, e nemmeno potevo prenderci lui.

Ecco perché quando le nostre ginocchia si sfiorarono durante la riunione di cinque anni prima, io non mi ritrassi dal suo tocco e questo bastò per fargli capire che lo volevo tanto quanto lui.

Alex era la prima volta delle prime volte. La prima volta in cui riuscii a dire addio a casa dei miei nei weekend, la prima volta in cui ero salita su una motocicletta, la prima volta in cui mi fossi allenata. Fu il mio primo bacio sul lavoro, e la mia prima volta sul letto nuovo.

Fu il primo a smettere di trattarmi come una bambina e considerarmi una donna. Mi aveva vista quando nessuno l'aveva fatto e mi aveva distrutta come nessuno prima di lui.

Era stato il primo anche in questo.

Avevo continuato a camminare e senza rendermene conto, mi ero ritrovata nei pressi del mio ufficio. Ero ferma di fronte a un locale che ricordavo di odiare. La gola era troppo secca, però. E il freddo continuavo a sentirlo tanto da farmi pesare gli occhi. Avevo bisogno di fermarmi solo un attimo, quindi entrai.

Il posto era ancora lo stesso: il grande lampadario brillava sotto la flebile luce di un sole malato e il muro beige e nero faceva da contrasto al caledoscopio di luci che vi era riflesso.

Mi accomodai ad un tavolino e aprii il menù. Era un'abitudine particolare visto che finivo sempre per scegliere la stessa cosa.

Ordinai un tè al limone sperando che potesse placare il fastidio che provavo alla gola, poi aprii la borsa in cerca di un fazzoletto.

Sarei dovuta passare anche al supermercato prima di tornare a casa: lo zenzero avrebbe tenuto a bada i sintomi del raffreddore, o almeno così m'illudevo.

Un cameriere che non riconobbi mi portò il tè e io lo ringraziai con un sorriso. Versai l'acqua calda nella tazza e aspettai che il contenuto si scurisse. Poi alzai lo sguardo e rimasi pietrificata.

Pochi tavoli più in là, Alex si stava massaggiando le tempie con una mano. Aveva la camicia bianca arrotolata sugli avambracci e l'orologio risaltava sul suo polso. Sembrava preoccupato per qualcosa, o forse mi stavo illudendo ancora.

Dopotutto era il mio responsabile e non l'avevo avvisato del fatto che non mi sarei presentata al lavoro.

Sperai che non mi vedesse, quindi afferrai il cellulare e lo tolsi dalla modalità non disturbare trovandomi due chiamate da parte sua.

Sentii partire dalla parte alta del ventre, un vomito di senso di colpa.

Ero stata un'irresponsabile. Cosa mi saltava in testa?

Presi un altro sorso di tè, sperando che non mi riconoscesse, ma ogni speranza si vanificò quando il cellulare iniziò a squillare.

Alzai lo sguardo su di lui. Mi stava fissando con uno sguardo troppo intenso, tanto da dover distogliere gli occhi. Aveva il telefono all'orecchio e quando guardai chi fosse il mittente, fu chiaro che mi avesse vista.

Decisi di giocare al suo gioco.
Risposi.

"Buongiorno, capo. Dormito bene?"
"Una meraviglia, ma non credo che stanotte sarò così fortunato."
"Ah no? Mi dispiace davvero." Continuavo a guardarlo, mentre contraeva la mascella. Mi piaceva renderlo nervoso.
Se lo meritava, dopotutto.

"Ti conviene ascoltarmi e venire in ufficio."
"Non te l'ho detto? Ho chiesto due giorni di permesso."

"Forse non ci siamo capiti. I giorni di permesso te li devo confermare io e l'ultima volta che ho controllato, non ho accettato niente di questo genere."

Rimasi in silenzio. Aveva un'espressione affilata sul volto. "Quindi cosa pensi che direbbe il presidente se lo informassi di questa tua condotta?"

Mi aveva in pugno.
Attaccai il telefono e la gola mi si seccò ancora di più. Aprii la borsa per estrarre dal portafogli una banconota e la lasciai sul tavolo, poi mi alzai e uscii velocemente dal locale.

"Lily" Lo sentii dire con un tono roco. "Ricordati che lavori per me ora."

"E tu ricordati di andare a fare in culo, Alex."
Mi voltai velocemente e venni colta da un capogiro, ma lo ignorai.
Avrei dovuto lavorare per lui e non avrei potuto impedirlo in nessun modo.

Lo seguii con lo sguardo basso dentro al suo ufficio. Quello che fino a ieri era stato mio. Lo vidi sedersi sulla mia poltrona e sentii un vomito di parole depositarsi sotto la lingua, quindi cercai di bloccarlo.

Tentai di sostenere il suo sguardo duro mentre mi fissava. Sperai che non si accorgesse degli occhi lucidi e del naso rosso, ma non mi importava. Doveva capire quanto non mi intimorisse e quanto non mi facesse alcun effetto.

"Ti rendi conto che ho dovuto coprirti con il presidente?" Il tono accusatorio, mentre inclinava leggermente la testa. Non mi stava guardando, al contrario fissava alcuni documenti sul suo computer. Sembrava gridasse Non ne vali la pena, sembrava arrabbiato, deluso.

"Nessuno te l'ha chiesto." Cercai il suo sguardo, ma in cambio mi rivolse un mezzo sorriso strafottente.

"Chapeau." Alzò gli occhi e li puntò dritti nei miei mentre sussurrava. "Non so perchè l'ho fatto, a dire il vero."

"E a me non interessa. Senti, sono stata sotto l'acqua e non mi sento tanto bene. Ho diritto a due giorni di malattia, non credi?"

Mi guardò con il mento posato sulle mani intrecciate. Scosse la testa.

"Vedo che continui a non capire quale sia il problema."

"Il problem-"

"Sono il tuo capo, Lily! Dimentica quello che c'è stato e accetta che adesso tu sei una mia subordinata. Tu a me dici tutto. Mi mandi una mail formale e mi chiedi il permesso per rimanere a casa."

Il suo tono si era alzato e io mi ero irrigidita, fissando un punto nel vuoto sulla sua scrivania. Odiavo ammettere che avesse ragione,ma purtroppo era così.

Sarei riuscita a malapena coprire le rate e pagare le bollette con quella paga, ma senza...
Non volevo nemmeno pensarci.

Iniziai a sudare freddo, ma non seppi dire se fosse per la vergogna o per la febbre che sicuramente era salita da quella mattina.

"Ho capito." Risposi. "Ha ragione, signor White. Le manderò una mail per accertarmi che riceva il certificato del medico." Mi alzai e senza guardarlo mi diressi verso l'uscita.

"Aspetta."
Sentii la sedia spostarsi e immaginai che con due falcate, riuscisse a torreggiarmi. Sentii le sue dita sfiorarmi il braccio e nel giro di pochi attimi riuscì a voltarmi.

Mi stava guardando negli occhi, passando in rassegna tutto il mio viso quando alzò la mano e la posò sulla mia fronte.

"Scotti." Aggrottò le sopracciglia.
"Stai controllando che non dica bugie?" Risposi con un pizzico di sarcasmo. Si mosse di nuovo, raggiungendo la sua scrivania. Afferrò le chiavi dell'auto e si infilò la giacca.

"Che diavolo fai?"

"Ti porto a casa. Muoviti."

"Non pensarci nemmeno, io non ho bisogno di te."

"Voglio solo che i giorni di permesso restino due. Tu non hai bisogno di me, ma io ho bisogno della mia assistente."

E io avevo bisogno di quel lavoro, ecco perchè non opposi resistenza ed entrai nella sua Audi.
Maledetto, Alex White.

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