Le Poesie Della Nyx

By Ladydark_02

6.3K 1.2K 362

Ho iniziato a scrivere poesie per poter esprimere liberamente quello che ho dentro. Quante volte ci capita di... More

POESIE
Posso Farcela
Dieci Anni
Neve
Nyx
Ali
Nemico è alleato
Alti e bassi
Giada
Il Verso Giusto
Impegno E Giustizia
Poesie In Inglese
Futuro
Avanti!
Vento Sibila
Infernale Viaggio
Alti, Bassi, Baci, Schiaffi
L'intimità Di Una Amicizia
Legge Non Scritta
Gioco Di Strategia
La grandine di luglio
Dove il mare bacia la sabbia
Mare
Arte esplosiva
Io sono
Fenice
Io leggo perché
Semplicemente scrivo
Non mi conosci
Maschera
Forte come la sequoia
Routine
Il traguardo vedo
Trasformata
Ciao dal futuro
Ricordo
Matrimonio
I due Lupi
Onda Cara
Fragilità
Buco Nero
Il segreto della Cascata
La crescita
La diplomatica battaglia
Invisibilità
ONE SHOT
Angelo dell'Oscurità
Un sogno di libertà
Una fiamma viva
Il ladro che amava giocare
Incubi ad occhi aperti
La forza di una mamma
Nuovo me per un nuovo futuro
Un'estate da vivere
Progetto Purgatorio
Ti proteggerò io, lassù
Il lupo e la volpe

Io odio la pioggia

69 11 8
By Ladydark_02

Pioveva davvero tanto, forse troppo. Non sopportavo la pioggia. Amavo il sole, quando il cielo era limpido e azzurro. Al contrario, quando le nuvole grigie coprivano tutto ciò che c'era di bello. Ore di pieno giorno, nere come la notte. Per non parlare del vento che sferzava il viso e che faceva diventare impossibili, anche gesti semplici come camminare. Le gocce d'acqua che cadevano dal cielo colpendo come proiettili freddi me, i tetti, gli edifici, il suolo... Insomma qualunque cosa! Non sopportavo il modo in cui mi bagnava i vestiti, e i piedi che si inzuppavano con quelle fastidiose pozzanghere. Il tutto era reso ancora più fastidio dal fatto che avevo indossato il mio maglioncino di lana bianca preferito, i pantaloni scuri eleganti e il cappotto lungo beige. Per non parlare del disastro che la pioggia aveva combinato alle mie scarpe bianchissime della Adidas. Erano diventate completamente grigie!
Per fortuna avevo l'ombrello, ma la pioggia era veramente troppo forte per riuscire a riparami completamente.
Scossi la testa, le vetrine colorate e illuminate che di solito amavo erano tetre nei giorni di pioggia. Per me era stata una bella giornata, il colloquio di lavoro che avevo fatto per l'azienda ITTA — la nuova avanguardia in campo scientifico — era stato un vero successo. I datori di lavoro mi avevano assicurato il posto scritto su un contratto già firmato nero su bianco, dovevano solo fare una valutazione tra loro prima di richiamarmi e assumermi ufficialmente. Nonostante questa grande gioia, non avevo voglia di condividere, né di festeggiare perché la pioggia cancellava goccia dopo goccia tutta la mia gioia, mentre il freddo mi penetrava dentro fino a toccarmi le ossa.

«Aron!»
Sentii una voce stranamente famigliare chiamarmi, suonando con insistenza un campanello.
Mi girai appena e accanto a me, con una frenata scivolosa sull'asfalto bagnato, tanto che temevo cadesse a terra, vidi Gareth. Lo salutai con un cenno del mento.
«Ma come diavolo sei vestito?» aggiunsi un attimo dopo a mo' di saluto, osservando le scarpe rosse e bianche della Nike, leggeri pantaloni di una tuta blu con una sottile linea bianca ai bordi delle gambe e la felpa abbinata, per giunta aperta. Non riuscii a nascondere una risata osservando la lunga sciarpa rossa di lana e il capellino dello stesso tipo e colore con il pompon, che nascondeva i capelli castani.
Mi sorrise. «Qualcuno è di cattivo umore!»
«Io odio la pioggia» risposi atono scuotendo i miei capelli scuri dalle goccine d'acqua che si erano annidiate.
Ricevetti una linguaccia infastidita, mentre osservavo con più attenzione la sua sgargiante bicicletta gialla con il cestino davanti. «Come fai ad andare in bici con questo tempaccio?»
«Io amo la pioggia» ridacchiò Gareth alzando il viso al cielo e lasciandosi bagnare. «Perché la pioggia è vita. Dopo la pioggia, tutto sembra rinascere. La pioggia pulisce, la pioggia purifica, la pioggia rigenera.»
Sbuffai e guardai i cartelloni pubblicitari di un nuovo film che sarebbe uscito da lì a poco nelle sale del cinema.
«Sei tu quello scorbutico» ridacchiò indicandomi con l'indice. «Anche se non ne hai alcun motivo!»
Alzai un sopracciglio, confuso.
Il suo sorriso si fece più malvagio. «Credevi davvero che non l'avrei saputo?»
Ora, ero decisamente disorientato. Ma a che cosa si stava riferendo? E soprattutto, perché le gocce d'acqua che colpiscono lui sembrano calde e dolci come quelle delle doccia, mentre con me sembrano schegge di ghiaccio in tempesta?
Prese dal cestino della bici un sacchettino blu da regalo che non avevo notato e me lo porse con un sorriso raggiante. «Congratulazioni per essere stato assunto, Aron! So quanto ci tenevi.»
Presi il sacchetto con un sorriso incerto. «Ma come hai fatto a saperlo? Io... Non ho parole. Grazie.»
«Ho le mie fonti!» ridacchiò Gareth. «Aprilo a casa, non vorrei che si bagnasse.»
Annuii. Poi lo osservai con più attenzione, sembrava volesse dirmi ancora qualcosa.
«Sai non dovresti essere così scorbutico nei confronti della pioggia, nasconde meravigliose opportunità.»
«Ah, non iniziare!» lo troncai immediatamente.
«Dico davvero. Magari troverai il tuo vero amore!»
Mi imbarazzai. «Ma che discorsi fai!»
«Ma sì, come quella storia della fanciulla di pioggia e del Cavaliere dell'asino nero!» insisteva Gareth
«Hai bevuto troppo, per caso?» commentai sbuffando. «Non esistono leggende e miti simili, te la stai inventando.»
«Ssh» mi zittì lui, e poi iniziò a narrare la sua storia — inventata sul momento, ne ero certo — come se si trattasse di un mito sacro.

Milioni e miliardi di anni fa, si narrava di un cavaliere giapponese. Portava i lunghi capelli neri legati in un codino. Aveva sempre un kimono rosso e nero. Non aveva soldi, era molto povero. Non aveva famiglia, i genitori erano morti quando lui era appena adolescente. Non aveva gioie, era sempre molto triste e sommerso dalle difficoltà. Non aveva neanche una casa, difatti si spostava di continuo di villaggio in villaggio, vivendo in tenda in base a dove i suoi servigi erano richiesti. Proprio per questo motivo era sempre a rischio di ladri e furfanti, perciò aveva imparato a combattere con una katana di legno, che lui stesso aveva costruito usando il bambù. Imparando così a rispettare la natura, e a comportarsi con alti valori morali. L'unica cosa che possedeva era il suo compagno di viaggio e unico amico: un asinello nero con due grandi cerchi grigi intorno agli occhi. Per questa ragione, il ragazzo fu chiamato "Cavaliere dell'asino nero".
Il Cavaliere dell'asino nero si chiamava Kuro, tutti conoscevano i suoi alti valori morali e la sua abilità con la katana di legno. Tutti avevano imparato ad amare l'asinello Roba. Ma soprattutto, tutti conoscevano l'odio di Kuro per la pioggia...

«Ehi! Ehi! Frena un momento!» Lo interruppi a gran voce. «Stai esagerando! Questa la stai sparando veramente grossa!»
Ero impaziente di tornare a casa al caldo, farmi una doccia bollente, dimenticarmi della pioggia e leggere un buon libro davanti al camino. Invece, ero lì, sotto quel fastidioso acquazzone ad ascoltare le stupide storie inventate di Gareth.
«E non bloccarmi!» rispose seccato lui. Poi riprese a raccontare con tono solenne.

Kuro odiava la pioggia, forse perché perse i suoi genitori proprio in un giorno di pioggia, ma nessuno lo sapeva. Ogni volta che il cielo rovesciava il suo dolore sulla terra, Roba ragliava sofferente. Kuro non prendeva mai compiti o doveri, nei giorni di pioggia, al contrario si rintanava in una caverna, costruiva la sua capanna e accendeva un fuoco per riscaldarsi in solitudine. Passava il tempo ad addestrarsi con la sua katana o a suonare con il suo shakuhachi, il tipico flauto dritto giapponese.
Tuttavia, un giorno, un ricco proprietario terriero, che aveva sentito in lungo e in largo parlare del famoso Cavaliere dell'asino nero, lo andò a cercare in prima persona, spostandosi con pochi averi e grandi borse, piene di denaro, per avere i suoi servigi. Quando lo trovò, si umiliò inchinandosi davanti a quell'uomo con la fronte a terra.
«Sono venuto fin qui da molto lontano, non come ricco, ma come padre disperato» diceva inchinandosi più e più volte davanti a Kuro e Roba. «Chiedo ammenda, ma salvate mia figlia, prigioniera di un incantesimo, vi ripagherò ricoprendovi d'oro. Andate a salvarla nella Foresta di Ame.»
Ma il Cavaliere dell'asino nero non voleva saperne, non voleva andare a salvare quella donna. Perché la Foresta di Ame era un luogo maledetto, dove pioveva sempre.
Il padre, disperato, giorno dopo giorno per trenta giorni si recava da solo all'apertura della caverna dove dormiva il Cavaliere dell'asino nero, per inchinarsi e pregarlo di salvare la povera fanciulla. Restava inginocchiato tre ore al mattino, tre il pomeriggio e tre ore la notte. Non importava se il sole fosse caldo e gli bruciava la pelle, non gli importava se il vento portava via la sua voce, non gli importava se la pioggia bagnava le sue vesti. Lui era sempre lì, puntuale.
Il Cavaliere dell'asino nero, impietosito dall'amore che il padre aveva per la figlia, alla fine del trentesimo giorno, acconsentì a salvarla e così partì.

«Non ti sembra di esagerare?» aggiunsi. Poi controllai l'ora sul polso, l'orologio segnava le sei in punto. «Io vorrei tornare a casa, si sta facendo tardi e fa freddo.»
«Più volte mi interromperai, più tempo ci metterò a raccontarla,» mi rispose Gareth con un sorriso sornione. «Quindi zitto e ascolta, Aron!»

Il Cavaliere dell'asino nero partì per un lungo viaggio dentro la Foresta di Ame, la pioggia gli sferzava il viso. Era difficile procedere, perché era troppo fitta e troppo spesso Roba rischiava di sbattere contro un albero. I suoni assordanti della pioggia sembravano cantare una melodia di morte e i ragli di Roba peggioravano la situazione. Era infreddolito, persino le ossa erano bagnate.
Dopo giorni di vagabondaggio, però, ecco che vide una bellissima visione. Le gocce d'acqua smisero di cadere, nel modo tradizionale, ma si univano in una melodia leggera e solitaria. Le gocce più piccole si univano in gocce più grandi, e quelle più grandi si univano in gocce enormi. Fino a formare un busto, un corpo, e poi due gambe, due braccia, un viso, due occhi e due labbra.
Kuro, estasiato, seguì quell'organismo di acqua nella sua danza tra gli alberi fino a trovare un corpo di una ragazza steso a terra, come morto. Era bellissima, i lineamenti delicati con lunghi capelli castani chiari. Doveva essere per forza lei la figlia del ricco proprietario terriero. Kuro le si avvicinò, ma quando la tocco la pelle si mosse come se fosse acqua e bagnò la sua mano. Lui la tolse di scatto e la pelle tornò normale.
Roba ragliava terrorizzato e Kuro alzò gli occhi verso quella ragazza fatta di acqua, che lo aveva condotto fino a qui. Impugnò la sua katana e la indicò con aria minacciosa. «Chi sei tu?»
La sua voce era ovattata, come se fosse immersa in un lago e stesse affogando. «Il mio nome è Ame, come la foresta. Ero una figlia umana un tempo, ma poi un incantesimo predetto prima della mia nascita mi ha strappata alla mia vita e alla mia famiglia. Il mio corpo umano giace qui da tanto tempo, la mia essenza si è trasformata in acqua. Io sono la pioggia.»
Kuro mise la katana nella cintura. Non gli piaceva affatto che lei fosse l'essenza della pioggia, la odiava. Voleva subito scappare da quella foresta. Tuttavia, ricordò i sacchi pieni di oro che lo aspettavano se lui l'avesse riportata dal padre, e così domandò: «Come posso liberarti? Sono qui per ordine di tuo padre.»
«Per liberarmi la mia essenza deve essere amata.»
La fanciulla di pioggia scomparve, Kuro non capiva cosa volesse dirgli. Era troppo concentrato sul freddo e sulle gocce d'acqua che gli scivolavano lungo la schiena. Amare la sua essenza? Cosa voleva dire?

«Quando arriva il "Vissero per sempre felici e contenti"? Così che possa tornare a casa?» dissi io sbattendo il piede a terra.
«Siamo verso la fine, tranquillo, Aron» mi rispose ancora una volta Gareth con un tono mellifluo. Avevo voglia di dargli un bel pugno dritto sul naso e farlo cadere nella pozzanghera che si stava formando ai nostri piedi.
Ignaro dei miei pensieri, lui alzò il naso in cielo. «Dunque, dov'ero arrivato? Ah, sì!»

Naturalmente, Kuro non poteva lasciare la Foresta di Ame senza la fanciulla di pioggia, perciò attese lì accanto al corpo a meditare sul significato delle sue parole. Ame non gli si ripresentò più. Roba era troppo stanco persino per lamentarsi della pioggia, passava il tempo a dormire infreddolito accanto al suo padrone. Mentre restava seduto a gambe incrociate a vegliare sul corpo della ragazza, iniziò a rendersi conto di alcune cose. Inizialmente, il tempo sembrava non passare mai, il freddo era esagerato.
Ma, poi, si rese conto che amava prendere respiri profondi. C'era un odore particolare nell'aria, che non aveva mai sentito. La fragranza petricore della pioggia era inconfondibile. Iniziava a non riuscire a farne a meno. Mai sentito un odore più buono nell'aria.
Quando si addormentava, con il crepitare leggiadro della pioggia, il suo sonno era profondo, accompagnato da meravigliosi sogni che non aveva mai fatto. Il piacevole ritmo acquietava il suo animo agitato e turbolento. La pioggia offriva un'atmosfera ottimale e romantica, quasi malinconica. Il Cavaliere dell'asino nero, osservando il corpo umano della giovane Ame, iniziò a desiderarlo. Il suo pensiero vagava fino a soffermarsi su di lei, sulla sua bellezza, sulla sua dolcezza, sul loro primo incontro. Iniziò a rimpiangere quel lontano giorno, perché era troppo arrabbiato per la pioggia e non si era concentrato sull'incredibile occasione che aveva davanti.
Spesso si soffermava ad osservare la natura, come la flora si rinvigorisse al tocco delicato, come una carezza, delle gocce d'acqua. Ma gli stessi benefici li sentiva anche su se stesso, l'umidità che prima detestava, adesso lo rinvigoriva. Persino Roba era più sereno, tanto che Kuro iniziò ad accarezzargli il meraviglioso pelo, lavato e pulito da polveri e sporcizia.
«Sai una cosa, amico mio?» disse il Cavaliere dell'asino nero alzando gli occhi al cielo facendosi accarezzare dalla pioggia. «Mi sto domandando perché per tutti questi anni io abbia rifiutato la pioggia. È bellissima.»
Come d'incanto, apparve nuovamente la fanciulla di pioggia, ma questa volta Kuro la osservava come se si trovasse di fronte una dea.
«Ame? Vuoi tornare umana da tuo padre?» disse in un sussurro.
Fino a quel momento non gli era mai passato per la testa che lei volesse tornare lì. E se lei amasse la sua nuova forma? Se avesse imparato ad amarla esattamente come lui aveva imparato ad amare la pioggia?
Il viso di Ame si aprì in un sorriso. «Mi piacerebbe tornare umana, abbracciare mio padre e dirgli che sto bene.»
Fece un giro su se stessa allargando le braccia, dai suoi lunghi capelli d'acqua si staccarono gocce profumate che caddero sul viso del Cavaliere dell'asino nero. «Ma non voglio abbandonare del tutto questo posto. Ascolta, senti che bel suono. Annusa, senti che buon profumo. Guarda, il mondo in una goccia. Tocca, senti che delicatezza. Assaggia, senti che freschezza.»
Kuro guardava la fanciulla con occhi adoranti. «Capisco, lo ascolto, lo annuso, lo guardo, lo tocco e lo assaggio e non ho mai sentito nulla di più buono e bello. Addio, Ame. Dirò a tuo padre che hai una nuova meravigliosa vita e che non si deve preoccupare.»
Prima ancora che la fanciulla potesse aggiungere qualcosa, vide il ragazzo sellare il suo asino e abbandonare la foresta.
Dopo essere stato per mesi nella Foresta di Ame, il mondo gli apparve diverso, apprezzava di più il sole e il caldo, ma allo stesso tempo sognava giorno e notte la pioggia. Ma non solo quella, sognava lei. L'amava. Non l'aveva capito subito, ma l'amava.
Quando il padre seppe la notizia, Kuro non ricevette mai la sua ricompensa. Ma non si diede per vinto e organizzò una battaglia per liberarla. Se la foresta teneva prigioniera la figlia, allora la foresta andava eliminata.
La notizia giunse fino a Kuro, non poteva permetterlo! Lì ci viveva la donna che amava, doveva fermarli!
Roba non corse mai così veloce come quel giorno, Kuro sfoderò la sua katana contro tutti quegli uomini armati di asce.
«Se amate vostra figlia» gridò a gran voce contro il padre. «Dovete lasciarla libera!»

«Ora stai diventando smieloso» sbuffai ancora una volta.
«Ma la vuoi smettere?» mi gridò l'amico trattenendo la bici. «Dunque, lui gridò a gran voce contro il padre...»

«Se amate vostra figlia, dovete lasciarla libera!»
Ma lui non acconsentì, voleva a tutti costi la figlia. Possessivo. Forse la pioggia portata dall'incantesimo era una benedizione, non una maledizione.
«Io amo la pioggia, dopo anni che ho passato ad odiarla. Ed è solo grazie ad Ame, vostra figlia, amatela anche voi.»
Nel momento stesso in cui Kuro gridò a gran voce queste parole, dalla Foresta di Ame uscì correndo una fanciulla dai lunghi capelli castani chiari. I lineamenti dolci come una rosa appena sbocciata dopo una giornata di pioggia. Correva con un abito bianco pieno di lunghi drappeggi che la seguivano come in una silenziosa danza.
Il padre era a bocca aperta, Kuro non pensava di aver mai visto una donna più bella.
«Ame» balbettò il padre.
La giovane ragazza mise le braccia intorno al collo di Kuro. «Padre, mi ha salvata dall'incantesimo. Non distruggere la foresta, è la mia casa. Voglio viverci per sempre con l'uomo che mi ha salvata.»

«Stomachevole» commentai.
Gareth sbuffò e disse semplicemente la fine della storia. «Kuro e Ame si baciarono sotto la pioggia e vissero sereni con Roba, amavano vivere di loro stessi e ogni giorno ringraziarono la pioggia per averli fatti incontrare.»
Mi mise la mano sulla spalla. «Non sottovalutare la pioggia. Hai avuto il tuo lavoro, ma puoi avere anche l'amore e molto di più. Ama la vita, sia le giornate belle che brutte. Sia il sole che la pioggia.»
Detto questo il mio amico ripartì in bicicletta veloce come il vento strimpellando con il suo campanello. E io ripresi la mia strada, non credevo a una sola parola di quello che mi aveva detto, eppure vedevo in ogni poster quei due, su ogni davanzale bambole di Ame e Kuro.
Ero talmente immerso che non mi resi conto di andare a sbattere contro qualcuno.
«Ehi! Occhio dove vai!» gridai raccogliendo l'ombrello. Mi stavo bagnando tutto.
Guardai chi era il farabutto che mi aveva colpito, ma una voce cristallina mi arrivò per prima. «Oh, perdonami.»
Alzai gli occhi, e davanti a me la più bella ragazza che avessi mai visto, occhi scuri, lineamenti dolci e lunghi capelli castani. Immediatamente le porsi la mano e l'aiutai ad alzarsi. «Desolato, mi chiamo Aron.»
Lei accettò il mio aiuto e si alzò, era così bella anche con i capelli bagnati. «Mi chiamo Arlene.»
Per un attimo, mi sembrò di vedere riflesso nella pozzanghera Kume e Ame che si baciavano con accanto Roba. Forse, ma solo forse, quello scemo del mio amico aveva ragione, dopotutto.
«Posso accompagnarti? Ho l'ombrello, mi sembra il minimo dopo averti gettata a terra» sorrisi. «Che ne dici di andare in un bar qui vicino? Ti offro qualcosa e ti riscaldi e poi ti accompagno a casa.»
«Wow, sei gentile» mi sorrise. Era davvero graziosa. Accettò e mi prese il braccio.
«Che ci fai qua da sola con questo terribile acquazzone in corso?» domandai.
«Mi piace camminare sotto la pioggia, mi rilassa e aiuta a pensare» mi rispose Arlene. «E a te piace?»
«No» dissi subito. Poi, la guardai con attenzione. «Ma sta iniziando a piacermi.»

Continue Reading

You'll Also Like

4K 173 77
te lo racconto in versi
625 183 14
Raccolta di poesie. Da adolescente, le scrivevo rigorosamente senza titolo (che perdita di tempo!). Semplicemente, le numeravo. Ho eliminato ripetizi...
6K 521 118
118 V O C I - che nascondono altre voci -
1.8K 74 19
raccolta di poesie e pensieri vari a seconda dell'ispirazione