In nome del sangue, in nome d...

By kiralalucedelsole

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. 1 . Vecchie cicatrici e nuove ferite
. 2 . La verità
. 3 . Punta d' ago e balsamo guaritore
. 4 . Dal passato nuovi fantasmi
. 5 . Sera di lucciole e mattino d'argento
. 6 . Indecenti proposte
.7 . Un patto col diavolo
. 8 . Confronti
. 10 . Grandi speranze
. 11 . Promesse.
. 12 . Terra e acqua, muschio e sale
. 13 . Un passo indietro
. 14 . Preludio
. 15 . Miele
. 16 . Rivelarsi
. 17 . Il diavolo e l'acqua santa
. 18 . Come fratelli
. 19 . Prima di partire
. 20 . Il fiume dell'ira
. 21 . Sulla strada di casa
. 22 . Nessuno tranne una
. 23 . Incubi e sogni di un prigioniero
. 24 . La mano del gigante
. 25. Ad un passo dalla libertà
. 26 . Il prezzo della libertà
. 27 . Un nuovo giorno
. 28 . Una effimera tregua
. 29 . 7° 24' 25''
. 30 . L'esca
. 31 . Quando viene il buio
. 32 . Giochi di potere
. 33 . A casa prima dell'uragano (parte prima)
. 33 . A casa prima dell'uragano (parte seconda)
. 34 . Storia di un duello
. 35 . Tutto il mondo brucia
. 36 . Di piani, di fughe e di abbandoni
. 37 . Oltremare
. 38 . Qualunque cosa accada
. 39 . Lupi e agnelli, falchi e colombe
. 40 . Odi et amo
. 41 . Desiderio
. 42 . Il passato alle spalle
. 43 . L'ultimo conto da pagare
AVVISO
. 44 . Di culle, di baci e di bocciuoli di rose

. 9 . Il velo caduto

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By kiralalucedelsole

. 9 . Il velo caduto

Rimuginare non serviva, temporeggiare nemmeno. Leria era sempre stata, in tutta la vita, il perfetto condottiero che schiera con arguzia i propri soldati, indi sapeva che la mossa successiva era continuare ad attaccare.
Avrebbe parlato a Miran con cautela; gli avrebbe prospettato quella, che per lei, era stata la necessità di soccombere ad un ricatto per salvaguardare il suo nome, come un atto cristiano dovuto, nei confronti di un reietto.
Camminò decisa per il corridoio, una mano sul petto, il cervello a ripetere le parole che avrebbe usato.
Incrociò Caled che, proprio in quell'istante, lasciava lo studio del figlio e, dopo aver risposto con un cenno del capo al riverente saluto di lui, proseguì per fermarsi un solo ultimo istante, prima di bussare alla porta.- Madre ... - la invitò a sedersi, con un gesto garbato del capo. - Non vi ho veduta alla cena di ieri e Noelia mi ha riferito che non avete presenziato alla colazione di stamani. - le disse, con preoccupazione.
- Le mie solite emicranie, figliolo. Ma ora sto meglio. - lo rassicurò, accomodandosi.
- Me ne compiaccio. Avrei voluto farvi visita, ma gli impegni della tenuta ed i miei doveri di ospite, mi hanno trattenuto. - si giustificò.
- Non importa: conosco la mole di lavoro che l'essere padrone comporta. - ribatté, riferendosi agli anni, durante la sua adolescenza, in cui aveva sapientemente amministrato da sola i suoi beni.
- Sapete, madre che Caled mi ha confidato che vorrebbe prendere in moglie Ariela? -
- Che sciocchezza, Miran! Tua cognata non ha dote. - rispose, distrattamente.
- E non ritenete anche voi, madre, che sia una vergogna che una donna bella, dolce e morigerata come lei debba rimanere nubile, o sposare un uomo inferiore, per una mera questione economica? - le fece notare.
- E' così da sempre, figliolo, non puoi certo porvi rimedio tu! - replicò, mostrando poco interesse per l'argomento.
- Invece posso. Darò ad Ariela una dote degna del proprio rango, così che Caled possa sposarla. - precisò.
- Ma se neanche tua moglie ha portato una simile dote ... - replicò, acida, e il sangue affluì copioso alle gote, per il livore che solo pronunciare il nome di quella donna le provocava.
- Invece Ariela l'avrà: quale marito di sua sorella ed unico uomo della famiglia intendo farmi carico di lei, alla stregua della mia sposa. Spero, madre, di poter trovare il vostro consenso! -
- Sai che ti appoggerò sempre. - lo rassicurò, mostrandosi accondiscendente, per preparare il terreno alla propria rivelazione. - Ma, ti prego, ho affari più urgenti di cui discorrere con te, figlio. -
- Ditemi, pure ... - la invitò, con garbo, sistemando le carte confuse, che ricoprivano la scrivania.
- Ciò di cui ho in animo di parlarti è una questione piuttosto delicata ... Ma prima di iniziare volevo che tu sapessi che ogni cosa, ogni cosa, che ho fatto è stata per preservare te. - temporeggiò, poggiando le mani sul petto, preoccupata.
- Madre, vi prego, mi inquietate ... -
- Tuo padre, quando non eravamo ancora promessi, ebbe un figlio ... un figlio illegittimo, da una donna già maritata. Egli non seppe del bambino, fino a che il marito di lei non lo scoprì e lo scacciò, togliendogli il cognome. Esem lo accolse nella nostra casa, quando egli era già un giovinetto. Avrebbe voluto riconoscerlo, ma la sorte gli fu avversa: morì prima di compiere il proprio dovere di cristiano e di padre. Quel bambino ... - si fermò, traendo un sospiro, - E' Eìos, figlio mio! - concluse, distendendo i muscoli tesi del viso.
- Madre ... -
- So che avrei dovuto raccontarti ogni cosa fin da allora, ma ebbi paura che tu potessi rimanere deluso da tuo padre, che veneravi quale un dio ... E poi negli anni, più volte, il desiderio di esaudire le volontà di Esem mi spinse a cercare ancora quello che ormai era un uomo, ma in tutti i frangenti, mi tirai indietro, temendo il suo risentimento ed il tuo per aver agito troppo tardi ... - mentì con enfasi, per giustificare la sua abietta omissione. - Ma ora che egli è qui, nella casa che è tua, e non ha nome ... io ... ho sentito prepotente il dovere di fare ciò che omisi dieci anni fa. Ti chiedo perdono, Miran, ma onorare gli impegni disattesi del mio sposo, la carità cristiana ed il rispetto di me stessa, mi impediscono di perpetrare oltre una simile ingiustizia. -
Il giovane tacque, gli occhi vacui, ritratto doloroso del proprio sgomento.
- Di' qualcosa, Miran ... - cercò di riscuoterlo Leria, tremante.
- Egli ne è al corrente? - chiese, inspirando.
- L'ha sempre saputo. - rispose, con un filo di voce.
- Ho bisogno di stare solo ... - fu la risposta dell'uomo, che si teneva, mestamente, il capo tra le mani.
- Guardami, almeno, figlio mio. - lo supplicò, gli occhi puntati sui suoi capelli chiari e le dita sottili che si perdevano tra di essi.
- Madre, vi prego, state quieta: non mi opporrò alla vostra decisione caritatevole di riconoscere Eìos, tantomeno vi porterò rancore per aver taciuto sino ad ora. Ma, per l'amor di Dio, lasciatemi solo, adesso! - le chiese stanco, come dopo una fatica fisica insopportabile, la voce alterata dallo sconforto.
I pensieri di Miran erano confusi, una matassa aggrovigliata; mente e cuore si perdevano in una nebbia densa, dentro la quale egli brancolava. Aveva amato Eìos, dal giorno in cui era entrato nel cortile della tenuta: una camicia ingrigita dalla polvere della strada; dei calzoni dagli orli laceri, troppo corti per un ragazzo alto ed ossuto come lui; gli occhi verdi bui e le mani graffiate e tormentate dalla povertà.
- Vieni ... - lo aveva invitato, con la naturale propensione all'amicizia, tipica dei fanciulli - Ti porto a vedere il mio cavallino! -
Ed Eìos gli era andato dietro senza aprire bocca, spiazzato dall'accoglienza che Miran gli aveva riservato. L'aveva amato come un amico speciale, fino a desiderare che fosse suo fratello.
Ma ora che sapeva che lo era davvero; che lo stesso sangue viaggiava, vitale, nelle vene di entrambi, si sentiva vacillare, come nello sferzare del vento di bonaccia.
Si accorse che la madre si sollevava dalla sedia davanti alla scrivania, dal fruscio delle vesti di raso; la sentì giungere sulla soglia dello studio con incedere lento; indugiare, animata dalla speranza che egli la richiamasse a sé, e solo quando ella, rassegnata, si accinse ad andar via, le parlò: - Giuro sull'anima di mio padre, che sarò degno dei suoi propositi: se Eìos lo vorrà, egli sarà mio fratello. - mormorò stancamente ed il cuore di Leria, in quell'istante, annegò nel suo stesso veleno.
*********

La brezza profumata dell'erba falciata di fresco, riempiva l'aria del tardo pomeriggio; il frinire delle cicale si confondeva con il fruscio delle foglie più alte, la luce del sole era ancora calda e riverberante, nonostante il tramonto imminente colorasse già il cielo di rosa e d'arancio, sapientemente mescolati, come sulla tavolozza di un pittore.
Ariela sedeva sulla panca, un libro tra le mani ed i pensieri assorti. L'abito che indossava le lasciava scoperta la pelle della schiena, le stringeva la vita sottilissima, esaltando la generosa scollatura. Il viso, chino sul grembo, era incorniciato da ciocche ribelli di capelli, che sfuggivano ad una treccia adagiata sulla scapola destra, come un rivolo di miele mescolato al candore del latte.
Eìos si fermò ad osservarla: le sopracciglia sottili che si aggrottavano, in un'espressione seria ed attenta; la bocca piccola e rossa, che ella tormentava con i denti, inconsapevole e sensuale, e le mani che lisciavano le pagine del libro, come la pelle di un amante.
- Aspettavate me? - le chiese, piegandosi sul fianco per portare il viso all'altezza di quello di lei.
- Cosa? - rispose, sorpresa, accorgendosi solo in quel momento della sua presenza, e sollevando gli occhi per incontrare quelli di lui.
- Siete sola, nella parte più riparata e solitaria del giardino, vicino alla fontana dove ci siamo già visti. Ho sperato che foste qui per incontrare qualcuno: me, forse? - sorrise e sedette, di fronte a lei, a cavalcioni sulla panca di granito.
- Siete presuntuoso. - lo beccò, con un'adorabile smorfia della bocca.
- Sì, lo sono. Ma voi non crediate di eludere la mia domanda con i vostri complimenti. -
- Sono qui per leggere. - rispose, mostrando il libro che aveva richiuso tra le mani.
- Un romanzo d'amore, presumo. - replicò, sporgendosi verso il grembo di lei, per leggerne il titolo.
- Siete tra quegli uomini che ritengono una donna capace di dedicarsi solo a quel tipo di letture? - ribatté risentita.
Fin da fanciulla aveva dovuto giustificare od anche nascondere il proprio amore per i libri, poiché né la famiglia, né la società in cui viveva, ritenevano quel tipo di interesse appropriato ad una giovinetta. Ella aveva sempre creduto, di contro, che la lettura aprisse mente e cuore, che permettesse di vedere l'invisibile. L'insinuazione di Eìos l'aveva infastidita, così come tutte quelle cui aveva dovuto ribattere.
Anzi era stata ancora più pungente, giacché egli le era sembrato un uomo dalla mente aperta e lungimirante.
- Non considero le donne inferiori agli uomini, né per cultura, né per forza d'animo o carattere, se è questo che mi state chiedendo. Sono solo dell'opinione che sia più proficuo leggere ciò che non si conosce, così da poter imparare ... - la contraddisse, con naturalezza.
- Dunque, pensate che debba leggere d'amore poiché ne sono a digiuno? - replicò, le guance arrossate di imbarazzo per l'argomento, e stizza per la supponenza che egli le mostrava.
- Sono in errore, forse? - la provocò, una voce suadente a condire lo sguardo irriverente che la accaldava.
- So quanto basta! - si difese, decisa, come se davvero fosse una donna di consumata esperienza.
- "Quanto basta" è una misura insufficiente per l'amore ... - scosse la testa, sorridendole.
- Di contro, voi sareste un maestro in tal campo? - lo sfidò a sua volta, sguardo e parole pronte a prendersi il rispetto dovuto.
- Mi state chiedendo di insegnarvi? - insistette, ancora quella voce pungente e dolce come miele vischioso.
- Siete un insolente - ribatté, rivolgendo lo sguardo verso un punto indefinito del giardino aperto davanti a sé.
- E voi un'ingenua. - perseverò, le labbra sottili distese in un sorriso incantatore e gli occhi insistenti.
- E questo vi da il diritto di ridere di me? - si infervorò, tornando a guardarlo.
- Non rido di voi. Mi stupisco della vostra ingenuità, mi commuovo della maniera mirabile che avete di guardare il mondo e le persone, sempre dalla prospettiva migliore, così come farebbe una bambina senza malizia. Ciò mi intenerisce e, improvvisamente, mi fa dolere di essere senza più candore, io che non ho mai avuto pietà o creduto a niente.
Voi mi stordite ... e mi ferite: sradicate le mie convinzioni su questo mondo inospitale e sul mio prossimo bugiardo; me le mostrate come le idiozie inconcludenti di un uomo ferito, che continua a mentire a sé stesso. Se non mancassi di cuore, Ariela; se pensassi di saper cambiare, se sapessi che non vi recherei alcun male ... io credo che mi innamorerei! - le confessò, con uno slancio di sincerità, stupefacente persino per sé stesso.
Con nessuna mai si era spinto così oltre, neppure con Nubia, che pure aveva creduto di amare.
Ma il cuore è un viandante ostinato, continua a camminare, anche scalzo, incoscientemente, pronto alla scelta meno coerente, all'idiozia più distruttiva, per un attimo di sterile felicità.
- E ... chi dice che mancate di cuore e che non sapreste cambiare? - ribatté, le parole veloci, come il battito d'ali di un colibrì, la voce decisa ed il cuore, di contro, incerto e così lento e silenzioso da non accorgersi d'averlo ancora in petto.
- Tutti quelli che mi conoscono ... - le rispose secco, - ... e non mi importa! - aggiunse.
- Non tutti. - lo corresse, riferendosi al dottore e forse un poco pure a sé stessa.
- Se è ad Elmisk che vi riferite ... - parve leggerle nella mente, - Egli è solo un padre che vorrebbe il figlio degno del proprio amore. -
- Voi siete degno ... - una rassicurazione sincera, inestimabile.
- Vedete che ho ragione: siete un'ingenua! - ribatté lui, in un gioco sapiente di attacchi e rese.
- Volete insegnarmi voi? - replicò, una sconosciuta, prepotente padronanza di sé, una incomprensibile voglia di imparare davvero.
- Non mi provocate, Ariela: non posseggo le redini di ciò che conservo dentro. In verità non so né cosa sia, né quale potere abbia ... - l'avvertì serio, sfregandosi i palmi aperti delle mani sulle cosce, come se prudessero. - ... E non mentivo prima: se dovessi scoprire che ciò che dicono di me è una menzogna, come voi sostenete, se scoprissi d'avere cuore ... davvero mi innamorerei. -
Ariela rimase ferma, il respiro lento come se l'aria fosse carente ed ella ne dovesse razionare le scorte, per resistere più a lungo possibile.
Nessun uomo mai le aveva parlato così, nessuno aveva mai usato simili frasi incantatrici.
Ad onor del vero, Ariela non avrebbe mai creduto che nel mondo fuori dai sospiri da giovinetta sognatrice, le parole lette nelle odi dei suoi poeti potessero avere voce e volto.
Eìos si sollevò, porgendole la mano per aiutarla a fare altrettanto.
- Venite, vi riaccompagno, l'aria di questo luogo mi rende troppo ... loquace! - ironizzò, con la mano tesa verso di lei, il palmo aperto e rivolto verso l'alto e tutte le piccole cicatrici esposte, come l'anima.Ariela vi poggiò la propria, e prima che facesse leva sulle gambe per alzarsi, Eìos la attirò a sé, portandosi tutto il peso del corpo di lei contro il proprio.
Si ritrovarono così, l'una dentro l'altro, in un abbraccio tenero e caldo che confondeva entrambi.
Ariela poggiò le mani aperte sulle braccia tese di lui, ruotando solo il capo di lato, quasi temesse di incrociarne gli occhi, ed Eìos, le dita a sfiorarle la pelle delle scapole nude, le posò la punta del naso sulla guancia rossa di sbandamento.
Inspirò il profumo della pelle, effluvio di acqua di rose, ed insieme all'aria, costretta nei polmoni, liberò le parole: - State tremando ... - chiese morbidamente, solleticandole la pelle col respiro.
- Vi prego, non mi stringete così ... - gli chiese in una supplica confusa tra il desiderio di rimanere dentro quella tana ed il timore di essere ormai in trappola.
- Prima lezione: non provocate mai un uomo, Ariela, né con le parole, né con gli occhi, se non volete essere stretta così. - le mormorò, vicinissimo all'orecchio.
La giovane si divincolò ed Eìos allentò la stretta per lasciarla andare. Ella corse via, inseguita dagli occhi di lui, pace e guerra nel suo petto, ed al centro esatto del corpo un desiderio sommesso di toccarla ancora

*********

Rientrò in casa come se qualcuno l'avesse inseguita: il fiato corto, le gambe affaticate, le dita strette a tirar su le vesti, per muoversi più agilmente.
Le parole di Eìos le risuonavano precise, dentro la testa, come l'eco in una valle, urtavano contro le tempie, premevano sulle vene, facendole pulsare.
Si richiuse la porta alle spalle, poggiando il proprio peso su di essa, le guance rosse, come mele, e lo sguardo assente e meditabondo.
- Figlia mia, dove sei stata? - l'accolse Asmha, che l'aspettava seduta comoda sul letto di lei.
- Ho passeggiato, madre, e poi mi sono soffermata sul limitare del giardino, a leggere. Avevo bisogno di rinfrancarmi dalla giornata passata e dalla notte insonne. - spiegò ed, in quell'istante, le sovvenne d'aver lasciato il libro sulla panca, ed insieme a quel pensiero, riecheggiarono ancora le parole di lui, come una cantilena promettente.
- Siedi qui, Ariela, accanto a me. - la invitò, con un colpetto della mano sul copriletto candido, - Voglio parlarti di un affare importante. -
- Cos'altro di funesto ancora ci ha riservato la sorte? - domandò, senza voler davvero conoscere la risposta.
- Nulla di cui preoccuparsi, per grazia di Dio. E', piuttosto, una buona cosa ... - cercò di tranquillizzarla la madre, con tono amorevole.
- Vi prego, ditemi. - la esortò, avvicinandosi a letto per sedervi.
- Caled ha manifestato il desiderio di prenderti in moglie. - rivelò, con un sorriso smagliante, come se il matrimonio potesse alleviare le pene che le vessavano per via di Nubia.
- Non ho mai avuto in animo di sposarmi, lo sapete. - ribatté, con una smorfia. - Ed inoltre non ho una dote sufficientemente appetibile. - aggiunse, perché la madre si acquietasse.
- Non angustiarti per questo inconveniente: Miran si offerto di porvi rimedio, largamente! - replicò soddisfatta.- Madre! Non voglio che mio cognato si accolli un tale peso ... e non voglio sposare Caled! - ripeté, disgustata poichè la madre, pur di assicurarle una fede al dito, aveva accondisceso ad una così umiliante offerta.
Tanto più che accettare il danaro di Miran avrebbe significato anche accettare il consorte scelto da altri per lei.
- Ma egli è un gentiluomo, buon nome ed ottima educazione, cara. - argomentò, - E' un partito che nessuna giovinetta in età da marito si lascerebbe scappare. -
- Proponetelo a qualche altra, dunque! - replicò, indisponente.
- Ariela! - la redarguì.
- Madre, vi prego, sapete cosa penso di un certo tipo matrimoni: nessun incontro di anime, poco rispetto, niente amore. - spiegò, puntuale.
- Amore e rispetto sono una conquista della quotidiana convivenza ... - fu la risposta della donna, elargita con saggezza materna.
- La complicità forse, l'affiatamento ... ma non l'amore ed il rispetto: essi nascono con il primo tocco dell'anima. - la corresse Ariela, sicura come se di amore, rispetto, complicità avesse avuto davvero esperienza.
- Figlia mia ... - le sorrise, come ad una bimba ingenua, - Ti perdi nelle rime suggestive dei poeti ... la vita è tutt'altro affare. - continuò, scotendo il capo.
- Forse avete ragione voi o, forse, sono io ad essere sulla retta comprensione delle cose ... ad ogni modo, non intendo sposare. Non Caled, comunque ... - terminò, le dita intrecciate in grembo ed uno sbuffo di insoddisfazione.
- E cosa pensi di fare quando il Signore mi chiamerà a sé? - giocò la sua ultima carta per convincerla.
- Madre, non voglio parlare ora di quel giorno ... - disse, sollevandosi ed avvicinandosi allo specchio ovale che duplicava tutta la propria figura.
- Ma è in giovinezza che si pensa alla solitudine della vecchiaia. - insistette Asmha.
- Non voglio parlare ora di quel giorno. - ripeté, - E non voglio sposare Caled. Sono così in pena per ciò che è accaduto ... che non riesco a distogliere il pensiero. - disse, anche se, in verità, la sua mente si dedicava solo ad Eìos. - E se quell'uomo non si acquietasse, se per vendetta rivelasse tutto a Miran ... e se Nubia lo provocasse ancora, se cercasse di stringere di nuovo il loro legame? - sciorinò mille domande tutte d'un fiato, senza distogliere gli occhi dal proprio viso, sul quale si riflettevano tutti i suoi timori.
- Credi che tua sorella sarebbe così sciocca e dissoluta? -
- Avete udito le parole di Leria: ella ha avuto l'ardire di entrare di nascosto nelle stanze di quell'uomo già una volta ... cosa potrebbe impedirle di farlo ancora? - chiese più a sé stessa che alla madre.
- Oh, Vergine Santa! Sarebbe la fine della nostra esistenza! Se ci fosse una maniera di persuaderla a portare giudizio. - esclamò, il fazzoletto di trine bianco sulle labbra.
- L'unica possibilità, madre, è che io sposi Eìos ... - affermò, non un tremito nella voce e, di contro, nel petto il soqquadro dopo l'uragano.
- Eìos? Hai perso il senno, dunque? Come puoi rifiutare la proposta di un gentiluomo del calibro di Caled per offrirti ad un bandito come quell'uomo, con un passato discutibile, sporco di crimini abietti e finanche senza un nome? -
- Dimenticate, madre mia, che egli porterà presto il nome di questa casa. - le fece notare, precisa come nel risultato di un calcolo.
- Questo non farà mai di lui un gentiluomo! - replicò, sollevandosi severa per imporre la propria autorità.
- Né il nome, né il sangue rendono nobili, madre, ma solo l'anima ... Se volete che prenda marito, lasciate che sia io a scegliere a chi accompagnarmi per la vita. - terminò, con un tono risoluto che non ammette repliche.
- Non acconsentirò. Mai! - ribatté severa ed irremovibile.
- Giacché non mi date scelta, né mi offrite il vostro aiuto, sarò io stessa ad occuparmi di questo affare! - terminò decisa e, dopo aver dato alla sua figura, riflessa nello specchio, un ultima confortante occhiata, lasciò la stanza e la madre stupita.

*********

Aveva rigirato tra le mani quel vecchio libro dalla copertina consunta, le lettere del titolo, stampigliate in oro, rilucevano come un tesoro, sulla pelle scura. Si chiese più volte che nome dare a quello stolto che aveva parlato con tanta franchezza ad Ariela, come se d'improvviso uno sconosciuto si fosse preso la sua bocca e vi avesse soffiato dentro le parole. Aveva parlato una lingua strana, quello sconosciuto, come uno straniero; aveva parlato di cuore e di tenerezza e di amore.E tutto, agli occhi di Eìos, sarebbe sembrata pura vena di follia senza radici; immaginazione sfrenata, senza fondamenti, se egli stesso non avesse sentito attaccato ancora addosso quel fremito torturatore della carne e dell'anima, che lo aveva investito e trascinato come il vortice del ciclone.
Lasciò scorrere sotto i polpastrelli le pagine ingiallite del volumetto, sino ad una più consunta delle altre, e ne lesse alcun righe, a voce bassa, come se stesse profanando un segreto.

"- : Codesto è bene amore ... -
- : Oh, questo sentimento che mi invade, terribile e geloso, ma tuttavia non egoista,è certo amor: ne ha tutto, tutto il triste furore ... -"°

Come la folgorazione sulla via di Damasco, gli apparve chiaro, come luce, il nome che cercava.
- Amore? - si chiese trattenendo un respiro, mentre si dirigeva nelle sue stanze.
- Signore, perdonatemi. - si sentì chiamare dalla voce rauca di un inserviente. - Il padrone richiede la vostra presenza nel proprio studio, per parlarvi. - gli comunicò, con una riverenza misurata.
- Riferitegli che sarò da lui tra pochi minuti. - gli rispose, aprendo la porta della camera.
Posò il libro sullo scrittoio, avendo cura che rimanesse aperto alla pagina che stava leggendo, e si diresse verso il catino. Vi versò dell'acqua, con cui si deterse il viso, e cambiò la camicia, che aveva indosso, con una fresca e pulita.
Inspirò lentamente, e, sgombrando la mente da ogni altro pensiero, si diresse allo studio di Miran.
La porta era spalancata, Eìos bussò sullo stipite, richiamando l'attenzione del padrone di casa.
Quest'ultimo lo invitò ad entrare, con un gesto della mano e, quando fu vicino alla scrivania, Eìos disse: - Mi hanno riferito che volevi vedermi. -
- Perché non me lo hai mai detto? - chiese Miran, senza temporeggiare: di tempo ne avevano sprecato anche troppo.
- Non spettava a me, ma a nostro padre. - rispose distaccato, accomodandosi sulla poltroncina e accavallando le gambe.
- Ma egli è morto prima di farlo ... spettava a te ché sapevi! - insistette.
- E quando avrei dovuto farlo? La tua signora madre mi ricacciò nella fogna da cui venivo, lo stesso giorno del funerale: ella non gradiva che il puzzo del mio sangue sporco infestasse la propria casa! - lo provocò.
- Lascia mia madre fuori! - l'avvertì.
- E tu non scaricare le sue colpe su di me. - replicò, la stessa aria di sfida di Miran.
- Avresti potuto farlo quando giungesti qui, alla tenuta.-
- Non aveva più importanza ... - affermò, laconico.
- E perché hai accettato il nome, quando mia madre te lo ha offerto, dunque? -
Eìos abbozzò un sorriso, pensando alla maniera in cui aveva definito l'accordo con Leria: esso era tutto tranne un'offerta spontanea.
- E come si può declinare un dono profferto con tanta caritatevole generosità? - chiese, con tono ironico e provocatorio.
- Eìos, rispondi, dannazione! - alzò la voce, Miran esasperato, battendo il pugno chiuso sulla scrivania.
- Perché è mio! - rispose deciso, gli occhi fissi in quelli dell'altro, - Ma non temere, da te non voglio altro! Appena le procedure burocratiche saranno espletate, uscirò dalla tua vita: non ho intenzione di farne parte. - rivelò, piatto, sollevandosi.
- E le terre? Ed il danaro che ti spetta? - chiese, con insistenza.
- Te le puoi tenere le terre, così come il danaro. Non mi interessano: posseggo quanto basta per vivere come voglio ... -
- E la nostra amicizia? - insistette, e per un attimo, il bagliore di quel ragazzino di tanti anni prima tornò ad accendersi negli occhi chiari di Miran.
- Puoi tenerti pure quella. C'è stato un tempo in cui vi ho creduto, come un bambino sciocco alle fiabe. Ma poi ho patito fame e freddo, sputi ed umiliazioni e sono diventato uomo e non vi ho creduto più! - si costrinse a mentire, seppure con dolore.
- Non saremo mai fratelli ... - disse Miran, un tono confuso tra la costatazione dell'amara verità ed il desiderio di essere in errore.
- Il sangue non basta ... - gli rispose, contravvenendo alla promessa fatta ad Elmisk.
Il prezzo per quel nome tanto agognato era rinnegare il proprio sangue, come aveva pattuito con Leria.
Bastardo il destino: dà e toglie; illude e sgomenta; esalta e precipita!
- Già ... - ripeté Miran, - ... il sangue non basta! -

° Brano tratto dal Cyrano de Bergerac di Edmond Rostand del 1897 atto III scena VII.

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