Tecum

By azurahelianthus

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#2 VOLUME DELLA SERIE CROSSED PATHS "𝐿𝑒𝑖 π‘’π‘Ÿπ‘Ž π‘Žπ‘›π‘π‘œπ‘Ÿπ‘Ž π‘’π‘›π‘Ž π‘›π‘œπ‘‘π‘‘π‘’ π‘ π‘’π‘›π‘§π‘Ž 𝑠𝑑𝑒𝑙𝑙𝑒 𝑒... More

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I.
II.
III.
IV.
V.
VI.
VII.
VIII.
IX
X.
XI.
XII.
XIII.
XIV.
XVI.
XVII.
XVIII
XIX.
XX.
XXI.
XXII.
XXIII.
XXIV.
XXV.
XXVI.
XXVII.
XXVIII.
XXIX.
XXX.
XXXI.
XXXII.
XXXIII.
XXXIV.
XXXV.
XXXVI.
XXXVII.
XXXVIII.
XXXIX.
XL.
XLI.
XLII.
XLIII.
XLIV.
XLV.
XLVI.
XLVII.
XLVIII.
XLIX.
L.
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𝐔𝐍𝐀 𝐋𝐄𝐓𝐓𝐄𝐑𝐀 𝐏𝐄𝐑 𝐓𝐄
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XV.

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By azurahelianthus

Oggi andava meglio.

Oggi era quel giorno fresco, liberatorio, dove sorridi mentre ti guardi allo specchio e quasi ti piaci, quasi ti riconosci. Quel giorno dove il peso è quasi nullo, dove respiri a pieni polmoni perché ti rendi conto di quanto si dovrebbe essere grati di poterlo fare ancora. Dove ridi, leggi, mangi ciò che vuoi, ti metti il tuo vestiario preferito, abbracci, curi, ami e sorridi.

Perché oggi era oggi e a me... andava bene. Andava bene perché non era più ieri e potevo ricominciare.

Avevo passato l'intera giornata con i miei amici, con Rut che mi aveva stretto forte tanto quanto Erazm quando mi aveva visto quella mattina, dopo due giorni in isolamento, con Med che mi aveva trascinato a pranzo con loro, fregandosene altamente delle regole, con Nezha che mi aveva riempito di scuse e ringraziamenti e con Ximena, che aveva tenuto in un fazzoletto una fetta della mia torta preferita, quella alle mele, per non farmela perdere. Sapeva che non sarei arrivata per colazione e allora l'aveva tenuta da parte, per me.

Ecco, quelli erano i motivi per cui ero grata di essere viva.

Qualcuno bussò alla porta.

Due colpi consecutivi. Poi uno. Poi altri tre.

Sorrisi, mentre Ximena ammiccava nella mia direzione. Quello era il segno che avevamo scelto io e Kyran per riconoscerci l'un l'altro.

Aprii la porta lentamente, facendola cigolare un po', e mi spostai in avanti per controllare il resto del corridoio femminile a destra e il maschile alla mia sinistra. Vuoto come sempre.

«Vado, Xim. Ci vediamo dopo». Mormorai.

La vidi mettersi a letto con la coda dell'occhio. «Non fare casini, te ne prego. Sei l'unica amica che ho, non voglio perderti più».

Annuii, sorridendo lievemente a quella dolce dichiarazione d'affetto, e mi richiusi la porta alle spalle limitandone il rumore il più possibile. Ormai Kyran mi aveva spiegato come eludere la videosorveglianza e le telecamere che inquadravano il centro del corridoio di entrambi i dormitori.

Bastava appiattirsi verso il muro ed esse non erano in grado di inquadrare il corpo che scivolava via lentamente, usufruendo del buio quasi totale del corridoio, illuminato solo dal chiaro di luna he traspariva dal vetro delle due finestre principali.

Camminai in punta di piedi, scalzi per evitare il rumore delle ciabatte, e mi infilai nella prima porticina nascosta sotto la scala del dormitorio. Era il magazzino, pieno di cibo e prodotti per pulire.

«Sei un ninja migliore di quello che credevo, saponetta».

Mi voltai verso la voce divertita, dopo aver richiuso la porta alle mie spalle, e osservai Kyran, poggiato con una spalla ad uno scaffale di metallo e con il pigiama addosso.

Era semplice, a maniche e pantaloni lunghi, blu notte, e di seta come il mio. Il mio, però, era bordeaux e non bianco come quello del resto delle ragazze. Come la divisa che avevo trovato appesa accanto alla cella e che Denholm mi aveva obbligato ad indossare con un'occhiata che non ammetteva repliche. Avevo deciso di non sfidare di nuovo la sorte, almeno per ora.

Sospirai divertita. «Mi sottovaluti sempre».

«Non c'è persona migliore di me che sappia quanto vali, tesoro. Anche se hai dei gusti discutibili in fatto di libri». Il suo sguardo scintillò.

Aprii la bocca e la richiusi, sorpresa. Kyran era un'amante dei libri sulla mitologia greca e dei classici, ma non amava quelli con delle storie d'amore al loro interno. A differenza mia, che leggevo solo quelli.

«Non ti ho ancora chiesto perché non ti piace leggerli». Mi appoggiai anche io ad uno scaffale.

Alzò le spalle. «L'amore dei libri ti fa credere che esista per tutti, anche per i più psicopatici o solitari. Io non la penso così. Credo che, al mondo, ci siano tante persone che non lo meritano o semplicemente che non sono fatte per amare. Esistono molti temperini, ma non tutte le matite hanno bisogno di essere temperate. Alcune stanno bene da sole, per non essere consumate e condannate a ricercare il proprio temperino».

«Io leggo proprio per questo». Fissai un punto con sguardo vitreo. «Se anche nei libri fosse tutto complicato e triste come nella vita reale credo che impazzirei. Non avrei più speranza, non avrei più niente in cui credere o qualcosa che mi faccia sentire le sensazioni che non riesco a provare nella mia vita. I libri servono a darti una lezione, ma anche a donarti un mondo dove potrai sempre rifugiarti e che non sparirà mai, non si distruggerà mai».

Mi osservò per molto tempo prima di fare un passo avanti. «Perché non rendi la tua vita ciò che ti dona il tuo libro preferito?».

«Perché non è così facile. Perché sono una matita che è arrivata al suo ultimo tratto, sbiadita e dall'impugnatura violenta». Abbassai lo sguardo.

Lo rialzai solo quando i suoi calzini entrarono nel mio campo visivo e incontrai i suoi neri. Era un buio piacevole, il suo. Inclinò la testa di lato e mi studiò. «Potrei essere il tuo temperino».

Mi si fermò il respiro. «Non so se... ne saresti in grado».

«Non puoi saperlo se non provi...». Mormorò e il suo sguardo si fermò sulle mie labbra. «Se non provi un vestito non puoi sapere se ti entra. E se ti sta bene».

Abbassai il mio sguardo solo per fissare le sue, di labbra, dall'apparenza morbide e rosee. «Non so se mi entri. Non so se mi stai bene addosso».

«Possiamo provare...». Soffiò sulle mie labbra.

E solo quando si posarono sulle mie capii che ci stava provando sul serio.

Un tocco delicato, un semplice bacio a stampo. Tentò veramente, studiando la mia reazione, e quando si staccò mi leccai le labbra in modo automatico e involontario. Il suo sguardò si infiammò, anche se era difficile scorgere del fuoco in un enorme vastità di buio, ma quella luce c'era e illuminava tutto. Anche me.

Si abbassò di nuovo verso la mia bocca e stavolta la prese, la fece sua. La vestì della sua, come aveva detto poco prima, e io mi lasciai andare. Mi accarezzò dolcemente con le mani, posate a coppa sul mio viso, e l'unico rumore oltre il nostro respiro era quello delle nostre bocche unite, che si lasciavano solo per qualche secondo e solo per riprendersi con più forza poco dopo.

Gli sfiorai i polsi, sorpresa dalla dolcezza che sentivo in me, dalla calma che mi circondava e dal senso di confusione positiva, come se fossi dentro una bolla di pace.

Un rumore tecnologico, simile ad una notifica di un telefono, suonò circa tre volte e lui si staccò immediatamente da me, ringhiando frustrato.

«Merda di regole». Borbottò, tirando fuori il suo telefono e schiacciando qualcosa.

La sua mano, fredda e morbida, rimase sulla mia guancia a carezzarmi con dolcezza.

Aggrottai la fronte. «Tutto okay?».

Chiuse gli occhi. «Tra cinque minuti passerà una guardia di sicurezza che controllerà ogni piano per assicurarsi che sia vuoto. Passerà di qui e farà particolare attenzione a quello-». Indicò uno strano aggeggio tecnologico e di vetro posto vicino all'entrata. «È un rilevatore di temperature. Mantiene la stanza ad un certo tipo di gradi per conservare meglio il cibo, ecco perché c'è più freddo, e rileva se c'è qualcuno in base al calore. Infatti al momento è rosso a causa della nostra presenza».

Mi trattenni dal fischiare. «Denholm è davvero uno psicopatico».

«Già». Mi guardò di sottecchi e poi fece un inchino. «Prego, prima le donzelle dall'aspetto amorevole».

Scoppiai a ridere. «Un vero gentiluomo».

Lo superai e aprii lentamente la porta, controllando il corridoio.

«Sempre». Mormorò.

Uscii a passo felpato e girai a destra, diretta verso la cucina. Avevo un gran bisogno di qualcosa di fresco, perché stavo andando a fuoco.

«Dove vai?». Sussurrò allarmato.

Mi strinsi nelle spalle. «A bere. Sono una dell'Èlite, ricordi? Posso fare quasi tutto».

«Giusto». Sembrò triste, ma poi ghignò. «Sei una vip ormai. Dovresti farmi un autografo o dovrei stenderti il tappeto rosso davanti la porta della tua camera».

Scossi la testa e gli feci la linguaccia, osservandolo camminare velocemente verso le scale per tornare in camera sua senza essere beccato. Io, invece, camminai tranquillamente verso la mensa, così da poter entrare in cucina.

Una volta dentro superai la seconda porta a vetro e andai dritta verso il freezer. Saltellai felice quando trovai ciò che stavo cercando: un bel ghiacciolo al limone, fresco come desideravo e aspro come la mia vita.

Lo scartai e mi piegai per buttare la carta con la mano destra, usando la sinistra per tenere lontano il ghiacciolo dal sacco della spazzatura. Non mi resi conto di un'altra presenza finché non sentii un piccolo cambio di aria alle mie spalle e la mano, che prima teneva il ghiacciolo, vuota.

Mi voltai di scatto e puntai lo sguardo, sorpresa, sull'idiota che stava leccando il mio ghiacciolo con soddisfazione.

«Davvero buono. So che ti serviva per il piccolo show che avete creato nel magazzino, ma al sottoscritto serve di più. Sai, il reflusso... mi veniva da vomitare». Il sorriso crudele che gli curvò le labbra mi fece infuriare di più.

Spalancai la bocca. «Ma che diavolo di problemi hai?». Ringhiai, strappandogli il ghiacciolo dalle mani.

«Molti, dolcezza, e la maggior parte portano il tuo nome. Perciò regolati se vuoi che mi comporti meglio». Assottigliò lo sguardo e mi rubò di nuovo il ghiacciolo.

Stavolta, però, si protese in avanti e lo morse fino alla base. Di esso ne rimase solo il bastoncino di legno.

Sbattei le palpebre più volte, osservando lui e la mia mano vuota. «Era... era l'ultimo».

«Lo so». Ghignò, mettendosi a braccia conserte. «Per questo l'ho fatto».

Sentii una rabbia montarmi dentro e gli tirai il bastoncino con precisione millimetrica sull'occhio sinistro. Peccato che avesse degli straordinari riflessi pronti e fu in grado di intercettarlo senza problemi. Mi osservò sorpreso e poi mi fulminò.

«Sei un bastardo!». Strillai.

Annuì. «Vero. Ma lo sono perché mi provochi e fai uscire il peggio di me. Ti ho detto mille volte di comportarti bene, cosa non capisci?». Sibilò.

«Lo capisco benissimo, è che ti ignoro beatamente, razza di demone con un cervello poco sviluppato!». Chiusi le mani in due pugni.

Si raddrizzò. «E perché lo fai? Te lo sei mai chiesta, da dove provenga questa naturale ribellione nei miei confronti? Forse è perché, alla fine, ti piace vedermi impazzire e farti fare le cose con la forza, perché sono gli unici momenti dove abbiamo un minimo contatto!».

«O forse è perché ti odio, ci hai mai pensato?». Sputai acida, desiderosa di corrodere i suoi lineamenti divertiti.

Gli angoli delle labbra gli si curvarono all'insù mentre piegava la testa di lato e mi sorrideva con brutale desiderio celato nel suo sguardo di ghiaccio. Ghiaccio dentro, anche se dorato e ardente fuori. «Dillo Arya, dillo ancora».

«Ti odio». Sputai ancora, con la rabbia che aumentava ad ogni piccolo passo che mi portava più vicino a lui. «Ti odio, mi hai sentito?». Ringhiai.

Il suo sguardo, come oro liquefatto, non si scollò dal mio. «Ancora».

«Ti odio!». Urlai, mentre il mio petto si avvicinava sempre di più al suo. «Non ho mai odiato nessuno come odio te!».

Gli occhi gli caddero sulle mie labbra per un secondo netto e poi tornarono su, per osservarmi con più desiderio di prima, con più ardore.

«Ancora». Sibilò.

«Ti odio». Il mio petto si scontrò con il suo, le mie labbra tremanti di emozioni per nulla positive a pochi centimetri dalle sue, il suo caldo respiro che sbatteva sulle mie e mi mandava in corto circuito.

«Ti odio così tanto che a volte è l'unica cosa che mi fa sentire viva. Ti odio così tanto che è l'unica cosa che riesco a sentire, l'unica cosa che mi fa bruciare da dentro». Il mio tono si abbassò notevolmente fino a quasi sussurrare. «Ti odi-».

La frase mi morì sulla punta della lingua quando le sue labbra fredde, gelate dal ghiacciolo, si scontrarono sulle mie, calde.

Ancora una volta ghiaccio e fuoco si scontrarono e insieme si sciolsero l'un l'altro, mentre la sua lingua si univa alla mia con una delicatezza che non ricordavo.

Tutti quegli anni lontani, tutto il dolore, le lacrime, le strade diverse e i mille motivi per cui ci odiavamo non avevano cambiato nulla, perché le sue labbra erano ancora state create per combaciare perfettamente con le mie.

La punta delle sue dita scavò nella carne del mio fianco mentre mi tirava a sé quanto più poteva, anche se non potevamo mischiarci più di così, e l'altra si poggiò sulla mia schiena per farmi poggiare al muro dietro di lui. Si staccò di massimo un centimetro solo per sussurrare qualcosa, con la stessa voce di un poeta matto, impazzito per le sue opere che nessuno poteva capire.

«Sono anni che desidero fare questo...». Mi succhiò il labbro inferiore e con le dita mi sfiorò il fianco. Mille brividi mi percorsero e un fuoco divampò nelle mie vene. «Dalla prima volta che ti ho visto desideravo baciarti e adorarti come una bellezza come la tua merita».

Inclinai il capo all'indietro quando le sue dita si infilarono fra i miei capelli, come la mia mano sui suoi, morbidi e setosi come ricordavo, e la sua bocca lo prese come un invito gratuito a divorarmi il collo. Non mi stava baciando, no, mi mangiava come se fossi il dolcetto che gli era stato proibito da anni dai suoi genitori.

E io mi sciolsi come cubetto di ghiaccio sotto il sole cocente di un pomeriggio di agosto. Gli permisi di modellarmi come voleva, di farmi ciò che voleva, perché sapevo che mi sarebbe piaciuto. Perché in quel momento, solo in quel momento, eravamo gli stessi. Cuori uguali.

«Sai cosa significa sapere che la prima volta che ti ho baciato era stata anche l'ultima? Che desideravo ogni giorno un tuo bacio per tornare a vivere, ma esso sarebbe stato la causa della mia morte?». Sussurrò, con le labbra che continuavano a lambirmi il collo di mille languidi baci. Era pazzo, impazzito totalmente, e sembrava non averne abbastanza. Per mia fortuna.

Mi morse il lobo, un piacevole dolore, e io gli tirai i capelli in automatico. Impazzì di nuovo e tornò alla carica, baciandomi le labbra, mordendole, succhiandole, come solo un pazzo, un innamorato, era in grado di fare. Quello non era solo desiderio fisico, non poteva esserlo. «Sei così bella e io così pazzo, flechazo. Infesti i miei sogni da anni, dal primo giorno, e in tutti ti facevo ciò che sto facendo ora e anche di più».

Mi protesi in avanti e stavolta fui io a riempire il suo collo di baci. Un dolce profumo di miele mi investì come un caldo abbraccio e il sapore inspiegabile della sua pelle fu un'esplosione di farfalle nel mio stomaco. Ci erano voluti anni per tutto questo.

Sospirò dolcemente e mi accarezzò i capelli, stringendomi i fianchi in una morsa forte. «Se è un sogno, ti prego, ti scongiuro, non svegliarmi. Fammi rimanere qui per sempre...».

«Non è un sogno, Dantalian». Ridacchiai, salendo bacio per bacio fino alla sua mascella e catturando la sua bocca in un bacio dolce. «È che non siamo abituati alla vita che ci permette questi momenti...».

Le sue mani si spostarono entrambe ai lati dei miei fianchi e percorsero il mio corpo fino ad arrivare alle mie braccia, per poi finire sulle mie guance, tirandomi su di lui con così tanta forza da non lasciarmi altra scelta che abbandonarmi a lui. A quei baci, a quel sentimento bruciante, alle sue mani ovunque, alle sue carezze languide, ai suoi capelli morbidi fra le mie dita.

Gli morsi il labbro solo per lenire la parte maltrattata con un bacio più profondo, leccando la ferita, e lui sibilò di dolore, ma poi sorrise e mi baciò con più forza. «Già, di solito sei occupata ad odiarmi».

Stavo per replicare, ma in quel momento si staccò e poggiò la fronte sulla mia con una faccia combattuta. «Che succede?».

«Devo fermarmi». Mormorò.

Mi immobilizzai. «Perché?».

«Perché se non mi fermo domani mi odierai di più di quanto farai già. Non voglio che mi odi di più. È straziante già così, Tiam». Chiuse gli occhi.

Scossi la testa. «È probabile. Mi odierò per averti lasciato fare tutto questo e ti odierò perché non sai arrenderti».

«Di solito mi arrendo con tutto...». Mi lasciò un bacio sulla fronte e si allontanò di qualche passo. «Ma non con te. Con te mai. Per te lotterò sempre, anche se mi odierai per questo».

Troppe emozioni in poco tempo e quella frase mi scavò dentro con così forza da lasciarmi un buco. Un buco che poteva essere riempito solo da lui, ma che per ora doveva accontentarsi delle lacrime che trattenevo e tenevo dentro.

Quella fu forse la prima volta che ci capii qualcosa su noi due. Capii che con una notte senza stelle non potevi fare altro che arrenderti, perché non ti avrebbe mai permesso di scappare.

❄︎

Angolo Autrice.

Primo angolo autrice che io abbia mai fatto credo, ma c'è sempre una prima volta!
Sono qui per dirvi che questo capitolo è un "regalo", anche se con questa saga sembra che sia un miraggio e che io sia crudele.
È già scattata la mezzanotte e oggi compio 19 anni, motivo per cui volevo darvi un piccolo motivo per sorridere come sorriderò io per tutto il giorno.
Vi ringrazio sempre per l'immenso affetto che avete per me e per loro, i nostri cocciuti ma amati Dan e Arya...

Vi voglio bene,
Michelle.🤍

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