Come Acqua e Fuoco

By Miss_Chandra

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| ATTENZIONE: Questa è la seconda parte de "Come Aria e Terra"; se non hai letto quella, non proseguire con l... More

Bentornati
Cast
Guardiani
Prologo
• Parte prima: Guardiana •
1. Consacrazione
2. Ti amo
3.1 Sacerdoti
3.2 Sacerdoti
4.1 Leblanc
5.1 Consiglio
5.2. Consiglio
6.1 Silenzio
6.2 Silenzio
7.1 Le Gall
7.2 Le Gall
8. Gennaio
9.1 Capirsi
9.2 Capirsi
9.3 Capirsi
10.1 Dame Noyer
10.2 Dame Noyer
11.1 Mamour
11.2 Mamour
11.3 Mamour
• Parte seconda: Arthur •
12.1 Fratelli
12.2 Fratelli
13.1 Ile-et-Vilaine
13.2 Ile-et-Vilaine
14.1 Per lei
14.2 Per lei
15.1 Trio - Artie
15.2 Trio - Nova
15.3 Trio - Jesse
16.1 Delegato
16.2 Delegato
17.1 Le Foyer
17.2 Le Foyer
17.3 Le Foyer

4.2 Leblanc

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By Miss_Chandra


Chandra aveva atteso l'ingresso di Arthur con il cuore a mille.

Era stata attenta a ogni più piccolo rumore: dai latrati di Bijou per tutto il giardino, al tintinnio delle chiavi gettate nel cestello all'ingresso, fino ad arrivare al rumore di passi in casa, che, anziché entrare in salotto come sperato, salirono al piano di sopra.

Ed era stato allora che Chandra, stanca di dover sottostare al suo silenzio, si era decisa a prendere in mano la situazione per entrambi e affrontarlo. Con o senza il suo permesso. Non se ne sarebbe andata da casa Leblanc senza ottenere il confronto che meritava, senza aver chiaro che destino avesse avuto il suo ti amo e il futuro della loro relazione – sempre che potesse definirsi tale, visto che non era mai davvero sbocciata.

Con una sfacciataggine che non sapeva di possedere, Chandra si era alzata in piedi e aveva chiesto a Cyriaque dove fosse il bagno: unica scusa credibile che non avrebbe spinto nessuno ad accompagnarla.

«Ultima porta a destra, subito dopo la camera di Artie», le aveva risposto Cyriaque.

Quel dettaglio non richiesto, benché molto utile alla ricerca, aveva raggelato il sangue di Chandra e l'aveva spinta a scappare più in fretta di quanto volesse. Per di più, Cyriaque le aveva fatto un veloce occhiolino che le aveva confermato che lui sapeva già dove lei era diretta, dunque qualche piccola voce sul figlio e la sua ex rivale gli era arrivata – complice anche la sceneggiata allo scontro che, purtroppo, aveva dato troppo spettacolo.

Chandra non era così spavalda da trattare l'argomento con lui, il padre del ragazzo che amava: quello era un problema di Arthur.

Adesso, era di fronte la porta della tana di Arthur, come l'ultima volta. Solo che, in quell'occasione, aveva ben chiara ogni parola da dirgli e nessuna intenzione di lasciarsi distrarre dal sesso.

Bussò.

«Papà, è aperto», disse Arthur, dall'altro lato.

Chandra esitò. L'aveva scambiata per un'altra persona: era un'opportunità da cogliere o il segno che dovesse andarsene? Scelse la prima ed entrò.

«Sono io, Chandra», si annunciò, chiudendo la porta alle proprie spalle e sigillandola, momentaneamente, con un incantesimo di Blocco; lo avrebbe rimosso non appena fosse andata via.

Arthur era al centro della stanza, di schiena, e si stava sfilando la felpa rossa. Alla vista del suo addome nudo, Chandra non poté fare a meno di ricordarlo sopra di sé. E arrossì.

No, nessuna distrazione.

Non appena Arthur incrociò il volto della giovane appena entrata, l'indumento gli rimase impigliato fra le braccia irrigidite.

«Che ci fai qui?» le chiese.

«Avevo bisogno di parlarti», disse Chandra. «Sono venuta a casa tua apposta per questo.»

Arthur sbuffò e lanciò la felpa, appallottolata poco prima, sul letto; questo era collocato al centro, sotto il soppalco dove stava invece la scrivania con tutti gli attrezzi per disegnare.

«Pensavo avessimo già parlato», disse lui. «E che fosse chiaro che io non avevo nient'altro da dire.»

«Invece io ho troppo da dirti», insistette Chandra. «E ora che hai finito la passeggiata col tuo nuovo cane, pretendo di essere ascoltata.»

Arthur sbuffò. «Bijou non è mia, è di mia sorella. E poi non è nuova, ce l'abbiamo da quattro anni.»

Chandra strinse i pugni. «Non sono qui per parlare del cane.»

«E allora perché l'hai tirata in mezzo?»

«Era solo un modo per iniziare la conversazione.»

«Trovane uno migliore, allora.»

Per quello, Chandra aveva l'imbarazzo della scelta: poteva partire dall'averla abbandonata il giorno della sua Consacrazione, o dal ti amo disperso, o ancora dal tentativo di evitarla di quel giorno. Invece, scelse di iniziare da molto più indietro, dal loro scontro. E di restare calma, soprattutto, senza farsi prendere dall'emozioni e rischiare di buttare al vento la sua seconda occasione.

«Volevo ringraziarti per esserti arreso», gli disse. «So quanto è stato difficile per te, anche se non ne abbiamo parlato.»

«Era l'unica cosa sensata da fare», le disse lui, inespressivo. «Non avevo molta altra scelta.»

Chandra abbassò il viso e intrecciò le mani sul ventre. «Lo so, scusami anche di questo.»

Subito dopo, Arthur sospirò e le chiese, cambiando del tutto tono: «Come procede, a proposito?»

Chandra trasalì. «D-domani c'è il primo Consiglio di Héos.»

«Ti ricordi come funziona, no?» chiese Arthur.

Chandra fece segno di sì con la testa. Gliel'aveva accennato giusto un paio di volte, sufficienti per avere un'idea di cosa aspettarsi ma non abbastanza da farla stare tranquilla.

«E... darai l'annuncio domani?» s'informò ancora lui.

«No, non così presto», lo informò Chandra. «Prima voglio capire come approcciarmi al tuo Ordine.»

«Capisco», fu l'unica risposta di Arthur.

A quel punto, Chandra lo osservò mentre, a torso nudo, si dirigeva verso la cassettiera all'angolo e apriva il primo tiretto. Lo osservò in ogni suo movimento, da quando estrasse una maglia azzurra a quando se la infilò dalla testa, dandole la schiena.

Non sapeva cosa stava aspettando, se un consiglio o una qualche frase extra. Perché, in fondo, l'interesse di mantenere viva la conversazione era di Chandra: non di certo di chi aveva sprecato quattro mesi con lei e aveva visto collassare il sogno di una vita.

«Tuo padre però mi ha dato il vostro Testo Sacro», riprese Chandra, rompendo il silenzio. «Lui pensa possa essermi utile a conoscervi.»

Arthur tornò a fissarla con una smorfia poco convinta. «Ci sono solo preghiere, lì.»

«Lo so, me lo ricordo.» Avevano parlato dei rispettivi libri sacri, una volta, valutando se trattarli o meno durante le loro lezioni. Per Chandra, la risposta era sì; per Arthur invece era stata un no categorico. Alla fine aveva vinto lui perché, dato il poco tempo a disposizione per studiare la magia, anche Chandra si era convinta a tenerli per dopo, quando lo scontro sarebbe passato e avrebbe potuto dedicarsi alla lettura con maggior tranquillità.

Quanto era stata superficiale.

«Ma è stato gentile, anche se non so che farmene.»

«C'è qualcosa sulla Luna e il rispetto, da qualche parte», la informò Arthur. «Devi un po' parafrasare i versi, ma forse possono darti una mano.»

«Grazie, ci proverò.» Chandra fece una pausa, ondeggiando leggermente a destra e sinistra. «Se ho dei dubbi posso chiedere a te?»

«Dovresti chiedere a Jesse. È lui il Reverendo.»

«Lo so, ma...» "Ma volevo una scusa per parlarti." «Ma non mi sembra tanto portato.»

Arthur sbuffò e si aggiustò il ciuffo biondo, rimasto scompigliato dall'aver indossato la maglietta. «No, infatti non lo è. Ma Nova non la pensa così, quindi ci becchiamo Jesse Deroy come Reverendo.»

Chandra sussultò. «Hai parlato anche tu con Nova?»

«Ho litigato anche io con Nova, vorrai dire.»

«Come? E perché?»

Aveva visto la Prigent molto arrabbiata, quando aveva discusso con lei. Ma mai Chandra avrebbe potuto immaginare che se la sarebbe presa anche con Arthur, nel suo immaginario unica vittima del mandato di Dame Noyer. Anzi, al contrario, se l'era figurata ad abbracciarlo fra le lacrime e a consolarlo, come la vera amica e sostenitrice che era sempre stata per lui.

Che era successo per spingerla a litigare anche con Arthur, oltre che con lei?

«Perché ti ho difesa senza darle alcuna spiegazione», sputò Arthur. «E questa cosa non le è piaciuta, come tutto quello che ho fatto da accolito.»

Chandra chiuse gli occhi e abbassò di nuovo il viso. Ecco, anche quello avrebbe dovuto immaginarselo. «Mi dispiace, non volevo crearti problemi con la tua amica.»

Arthur sospirò. «Dirle la verità ti avrebbe messa nei casini. Non volevo rischiare.»

«Grazie mille», disse Chandra, per la millesima volta in quell'ora passata in casa Leblanc. «Sei sempre dalla mia parte, nonostante tutto.»

«Già, almeno io.»

Una singola frase che colpì Chandra come uno schiaffo troppo forte. Anzi, no: quello avrebbe fatto meno male. Il dolore provocato all'impatto con la sua guancia sarebbe stato momentaneo, privo di alcuna influenza sul futuro; la delusione di Arthur, invece, l'avrebbe conservata in un angolino della memoria, pronta a saltare fuori nel momento meno opportuno, per tutto il suo mandato.

«Arthur... a questo proposito», iniziò Chandra. «Possiamo riparlare di quello che è successo l'ultima notte?»

Arthur trasalì. «È proprio quello di cui io non voglio parlare.»

«Lo capisco», bisbigliò Chandra, con ancora lo sguardo calato. «Ma credo tu abbia frainteso quello che ho fatto.»

«Ho frainteso tutto, quella notte», ribatté Arthur. «Ho frainteso perché sei venuta da me, ho frainteso le tue parole, ho frainteso i tuoi baci. Ho frainteso tutto e continuerò a fraintendere finché starai qui.»

«N-no, il fatto è un altro, Arthur.» Chandra cercò i suoi occhi e, reggendosi il cuore con entrambe le mani sul petto, disse: «Io ti amo e vorrei ricominciare.»

E da lì, l'attesa.

L'attesa per il ti amo di risposta, l'attesa della loro riunione, l'attesa di un nuovo futuro insieme libero da Ordini e doveri.

L'attesa di una qualsiasi risposta da parte di Arthur, in realtà, dato che lui continuava a rimanere paralizzato al centro della stanza con gli occhi sbarrati.

«Tu mi ami?» ripeté Arthur, accigliato come non mai.

Chandra fece un passetto verso di lui. «Sì, e non te l'ho detto quella notte perché... be'... non potevo dire prima quello dell'altro

Arthur si incupì ancora di più.

«Comunque,» riprese lei, dopo essersi schiarita la voce, «in realtà ti avevo già mandato un ti amo con l'Aria subito dopo la Consacrazione, ma forse non ti è arrivato.»

«No, non mi è arrivato niente», disse Arthur, ancora basito. «E per fortuna, direi.»

Le braccia di Chandra caddero, prive di forza, lungo i fianchi. «Mi... avresti ignorata?»

Si era data tante spiegazioni consolatorie per quel ti amo lasciato a se stesso: da Arthur nel pieno del sonno che non l'aveva sentito a lei talmente nel panico da sbagliare l'unico incantesimo d'Aria che le riusciva sempre alla perfezione. L'ipotesi di essere stata volutamente ignorata l'aveva sfiorata, sì, ma era stata subito archiviata. E anche se non si era davvero realizzata, perché comunque il messaggio non era arrivato, sapere che in ogni caso non sarebbe stata da escludere la ferì nel profondo.

«Non avrei saputo cosa risponderti.»

«Che mi ami anche tu, magari», pigolò Chandra. «O hai cambiato già idea?»

«Io ti amo», affermò Arthur, senza alcuna emozione. «Ma è irrilevante, nella nostra condizione.»

«Non lo è, invece», protestò Chandra. Non aveva intenzione di cedere al dovere o all'orgoglio, quella volta: avrebbe detto ciò che pensava. Avrebbe pianto, se fosse stato necessario a far sciogliere Arthur. La dignità era la cosa più inutile che potesse perdere. «È l'unica cosa che ci tiene insieme.»

Arthur sospirò e, cacciando la mano destra in tasca, distolse lo sguardo. «Chandra, torna al piano di sotto. Parlare fa male a entrambi.»

«No, ascoltami», si rifiutò Chandra, facendo un altro passo in avanti. «È vero: non possiamo essere Sacerdotessa e Guardiano o Guardiana e... qualsiasi cosa avresti fatto tu, ma possiamo ancora essere Chandra e Arthur. Può esserci ancora un noi, quando tutto sarà finito.»

«Tu lo sai che, una volta accontentato Dundra, noi non potremmo più vederci, vero?»

Chandra tremò. «Sì che potremmo. Mica potrà impedircelo.»

«Forse lui no, ma l'opinione sociale sì.» Arthur squadrò la ragazza. «Non ci hai pensato oppure non ti interessa più?»

Chandra si morse il labbro. No, lei non ci aveva pensato. Aveva dato per scontato che, una volta scisso l'Accordo, i due Ordini avrebbero proseguito per le loro strade e si sarebbero curati poco dell'ultima Guardiana che aveva messo fine alla loro ipocrisia. Però, ora che Arthur glielo faceva notare, capiva che era una fantasia infantile e semplicistica: le due comunità, soprattutto nei primi periodi di indipendenza, non avrebbero dimenticato lo strano rapporto fra i due rivali che aveva incrinato una realtà immutata da secoli.

«Non dobbiamo farlo sapere per forza», tentò come soluzione Chandra. «Possiamo vivercela nel privato, solo noi. Almeno finché non sarà passato un po' di tempo.»

Arthur soffiò una risata amara. «Niente, continui proprio a non capire.»

«Sei tu a non capire me», si fece forte Chandra, finalmente. «Il che è ben diverso.»

«Io ho capito solo che abbiamo priorità diverse – o doveri, come preferisci chiamarli, diversi. E questa cosa, purtroppo, non potrà mai cambiare.»

«Sono diversi per ora», insistette Chandra, avvicinandosi ancora; Arthur arretrò. «Quando saremo liberi non lo saranno più.»

«Non sarai mai libera dal tuo Ordine, Chandra», le vomitò in faccia Arthur. «Tu la penserai sempre come loro, metterai sempre il giudizio della tua gente prima di me. Me l'hai già dimostrato.»

«Arthur, per la Madre. Io non avevo scelta!»

«Sì che ce l'avevi. Cazzo! Potevi parlarmene subito.»

«E tre giorni cosa avrebbero cambiato?!»

«Avrebbero cambiato che almeno ne avremmo discusso insieme, come qualsiasi coppia sana dovrebbe fare», s'alterò ancor di più lui. «Invece hai preferito farlo all'ultimo secondo, quando ti sei trovata costretta.»

Dopo aver fatto sesso, le aveva rinfacciato Arthur quella notte. E non c'era da discutere sul fatto che fosse stato il momento più sbagliato per scegliere di confessare, la scelta più egoista e disonesta che Chandra potesse compiere.

Tuttavia, dato il tono che stava acquistando quel loro secondo confronto, Chandra iniziava a pensare che non avrebbe comunque fatto la differenza: sesso o non sesso, avrebbe presentato ad Arthur la stessa e immutabile realtà. E dubitava che questa, senza l'amore vissuto dai due, avrebbe acquistato un sapore differente.

«Lo so, avrei dovuto fermarti», ammise Chandra. «Ma ero emotivamente a pezzi e avevo bisogno di sentirti con me... Scusami, sono stata egoista.»

«Sì, avresti dovuto e sei stata egoista», l'ammonì Arthur, senza pietà. «Anche se non è stato il quando a ferirmi, perché su quello avrei potuto chiudere un occhio, ma il come. Mi hai sbattuto in faccia il fatto compiuto pretendendo che io mi adeguassi.»

Chandra strinse i pugni. «Fatto non compiuto da me, ti ricordo. Io. Non. Avevo. Scelta.»

A quel punto, Arthur si passò entrambe le mani sul viso e soffocò fra le dita una miriade di parole che Chandra, per fortuna, non riuscì a decifrare. Poi se le passò sui capelli, tirandoli indietro. Aveva il viso arrossato.

«Perché hai accettato subito, senza neanche pensare di ribellarti?» le chiese Arthur, moderando il tono.

«Io... io non potevo ribellarmi. Il mio Ordine avrebbe rot-»

«Avrebbe rotto l'Accordo comunque, lo so», l'anticipò Arthur. «Ma perché tu, a livello personale, non hai cercato un'altra strada? Perché non sei venuta subito da me?»

«Volevo farlo, Arthur, credimi», piagnucolò Chandra. «Ma avevo paura di deluderti...»

«La verità, Chandra», la bloccò lui, lapidario. «Perché, se fosse davvero questo l'unico motivo, non ti saresti tirata indietro alla prima difficoltà.»

Chandra prese un lungo respiro.

Avrebbe potuto rigirarsela dicendo che era inutile forzare la Luna con il Sole se questa percepiva l'unione come un sopruso. Ma Arthur lo sapeva già, e dunque sarebbe stato inutile.

Ciò che le stava chiedendo era il motivo personale dietro la scelta di Chandra, quello non dipendente dai doveri bensì dalla sua emotività. Quello che lei aveva preferito lasciar trasparire dalle righe senza renderlo a parole.

Ormai, però, andava detto.

Chandra era andata lì per chiarire, d'altra parte: che senso avrebbe avuto omettere ancora parti della realtà?

«Ho paura della reazione del tuo Ordine», dichiarò Chandra, piena di vergogna. «Ho paura che la storia si ripeta e che ci siano rivolte violente.»

Com'era logico che fosse, Arthur annuì. Dal suo viso non erano più leggibili emozioni positive o spiragli in cui infiltrarsi per riconnettersi a lui: ormai, il contrappeso delle loro differenze era arrivato. Ed era un contrappeso che da rivali avevano potuto ignorare ma che adesso, da Guardiana e fedele, non riuscivano più a reggere.

«Perfetto, quindi è peggio di come immaginavo.» Arthur cacciò le mani in tasca. «Non la pensi come il tuo Ordine: la pensi proprio come Dundra.»

E lì, Chandra fu scossa da un giramento di testa che minacciò di farla cascare per terra. Per fortuna c'era un mobiletto, vicino a lei, a cui poté appoggiarsi e darsi sostegno.

«Come puoi dirmi che la penso come lui?» lo accusò lei, colma di delusione. «Io lo odio.»

Senza lasciarsi impietosire, Arthur continuò: «Siamo stati mesi a ripeterci che con l'Accordo si era perdonato il passato. E tu mi stai facendo capire che non sei mai stata sincera, che addirittura pensi che siamo tutti violenti.»

«Io non penso che voi del Sole siate tutti violenti», specificò Chandra. «Ma che non sarà facile rinunciare a qualcosa per cui avete aspettato oltre un secolo.»

Arthur alzò le sopracciglia. «Forse non lo vuoi ammettere, ma lo pensi. Altrimenti non avresti pensato subito a una guerra fra Ordini. Iniziata dal mio, tra l'altro.»

«No, iniziata dal mio», corresse Chandra, incapace di smentire l'accusa. Purtroppo, ormai iniziava a convincersi di essere non semplicemente imbevuta delle convinzioni del suo Ordine, ma proprio la sua schiava inconsapevole. Una schiava inconsapevole impossibilitata a liberarsi. «Il tuo avrebbe semplicemente reagito. Ed è normale reagire un po' male se si viene presi in giro per centodiciassette anni.»

«Un po' male, certo, come no», commentò sprezzante Arthur. «Magari dall'oggi al domani avremmo raso al suolo le vostre case e bruciato i vostri bambini.»

Chandra si irrigidì. Quella battuta, benché ricolma di rabbia e sarcasmo, non le era piaciuta: c'erano cose che non andavano toccate. E la sofferenza della Luna in passato era una di queste.

«Se sto dicendo delle cavolate, perché ti sei arreso e hai lasciato tutto a me?» gli chiese Chandra, allontanandosi dall'ombra del passato. «Di cosa hai avuto paura, tu, Arthur?»

«Avevo paura della politica», ammise lui. «Non avrei saputo come patteggiare con un Ordine che mi odia per qualcosa che non ho mai neanche lontanamente pensato. O con Dundra, ancor peggio.»

«E pensa quanto sappia farlo io, con un Reverendo che non aspetta altro che puntarmi il dito contro e un altro che non si capisce se c'è o ci fa.»

E allora Arthur abbassò lo sguardo. «Mi dispiace.»

«Dispiace anche a me.»

Approfittando della quiete in cui versava lui, Chandra azzerò le distanze e gli porse la mano, richiamando il gesto che in una calda mattina di fine settembre li aveva uniti.

«Possiamo stringere un nuovo accordo e prometterci un nuovo futuro?»

Gli occhi grigi di Arthur passarono dalle mani a quelli neri di Chandra per un paio di volte, proprio come aveva fatto lei allora. Solo che gennaio non era settembre, e quella non era una biblioteca ma una camera da letto. E Chandra non era un'accolita bisognosa d'aiuto e Arthur non era più un aspirante Guardiano pieno di sogni. Erano solo due disperati.

Arthur arretrò e nascose la mano in tasca. Il braccio di Chandra, ancora teso, tremò.

«Vai via, per favore», la pregò lui, nella voce un inconfondibile tremore precursore delle lacrime.

«Ma perché mi punisci così?»

«Non lo faccio per punire te, ma per proteggere me. Vederti mi ricorda quanto io sia stato idiota ad aggrapparmi a una fantasia.»

«Io non sono una fantasia. Io ti amo davvero!»

«La pace fra Ordini è stata una mia fantasia, infatti.» Arthur aveva abbassato lo sguardo, forse per nascondersi. «Aveva così poco senso logico che neanche la fedele della Luna meno retrograda le ha dato credito.»

Fedele della Luna meno retrograda: l'appellativo perfetto per Chandra, la bacchettona tutta doveri che ogni tanto si fingeva ribelle. La Noyer dai capelli bianchi che amava sognare con il rivale del Sole quando nascosta, ma che rientrava nel ruolo di ragazza ligia alle regole quando scoperta dai grandi.

«Io abito nel dipartimento dell'Ille-et-Vilaine, vicino alla città di Chantepie», dichiarò lei, aggiungendo anche qualche dettaglio geografico più preciso per fargli inquadrare meglio la zona. «Se un giorno ci ripenserai, sai dove trovarmi.»

«Non devi aspettarmi. Ho già deciso.»

«Invece ti aspetterò. Ho già deciso anch'io.»

Concluso ciò, Chandra rimosse in pochi secondi l'incanto di Blocco dalla maniglia e uscì dalla stanza.

Ad Arthur serviva più tempo. E lei aveva il dovere di concederglielo.

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