Come Acqua e Fuoco

By Miss_Chandra

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| ATTENZIONE: Questa è la seconda parte de "Come Aria e Terra"; se non hai letto quella, non proseguire con l... More

Bentornati
Cast
Guardiani
Prologo
• Parte prima: Guardiana •
1. Consacrazione
3.1 Sacerdoti
3.2 Sacerdoti
4.1 Leblanc
4.2 Leblanc
5.1 Consiglio
5.2. Consiglio
6.1 Silenzio
6.2 Silenzio
7.1 Le Gall
7.2 Le Gall
8. Gennaio
9.1 Capirsi
9.2 Capirsi
9.3 Capirsi
10.1 Dame Noyer
10.2 Dame Noyer
11.1 Mamour
11.2 Mamour
11.3 Mamour
• Parte seconda: Arthur •
12.1 Fratelli
12.2 Fratelli
13.1 Ile-et-Vilaine
13.2 Ile-et-Vilaine
14.1 Per lei
14.2 Per lei
15.1 Trio - Artie
15.2 Trio - Nova
15.3 Trio - Jesse
16.1 Delegato
16.2 Delegato
17.1 Le Foyer
17.2 Le Foyer
17.3 Le Foyer

2. Ti amo

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By Miss_Chandra


Era stata brava, Chandra Noyer.

Aveva fatto il suo dovere, Chandra Noyer.

Aveva vinto lo scontro, seppur in modo atipico, e si era mostrata una Guardiana forte e sicura davanti alle due comunità quando le era stato richiesto di farlo.

Ora era esausta, troppo per continuare a pensare ai due Ordini. Avrebbe ripreso a flagellarsi con i propri doveri dal mattino seguente, durante la prima riunione con Dundra e Nova.

Scivolò con il sedere in avanti, lasciando che il livello dell'acqua bollente le raggiungesse le labbra.

Non era da lei rimandare i propri problemi, ma che altro poteva fare? Non sapeva per quanto tempo la Luna avrebbe pazientato e ancor meno come il Sole avrebbe reagito alla rottura dell'Accordo. Il futuro che le si prospettava davanti era così nebuloso da spingerla a nascondersi per la troppa paura.

E la parte peggiore era che avrebbe dovuto affrontare tutto da sola: nessuno, quella volta, le avrebbe porto una mano in Biblioteca. Di sicuro non Arthur.

Spalancò le palpebre e si issò seduta sulle piastrelle lisce della vasca.

Ecco, Arthur Leblanc era l'altro pensiero molesto da archiviare, la fonte massima della sua sofferenza. E se si era rifugiata nei suoi nuovi alloggi, avvolta dalla solitudine, da sempre sua più cara amica, era stato solo per avere un attimo di tregua anche da lui.

Ma non riusciva a non pensarlo, non riusciva proprio.

Tutte le volte che Chandra tentava di svuotare la mente, questa tornava all'espressione delusa di lui, al suo sguardo triste e accusatore insieme. Non riusciva a dimenticare, purtroppo, il modo in cui l'aveva cacciata dalla camera, dalla sua vita, dopo aver fatto l'amore con lei.

Si accarezzò il petto: il cuore aveva preso a galoppare con insistenza crescente.

Allo stesso tempo, Chandra non riusciva a dimenticare il tocco del maschio sulla pelle, l'amore che le aveva trasmesso in una singola notte. Sentiva ancora addosso il suo profumo, il suo calore... le sue labbra posate ovunque.

Le bastava sfiorarsi la pelle nuda per risentirvi il tocco di Arthur.

Arrivò al seno destro e sfiorò il capezzolo.

Oh, era da lì che aveva iniziato...

Prese a giocare con il bottoncino, sempre più turgido, e un sospiro le sfuggì dalle labbra tremanti.

Ripercorrere il loro momento di intimità la faceva stare meglio, proprio come si aspettava.

D'altronde, era questo il motivo per cui la notte precedente aveva ceduto all'istinto, no? Per avere qualcosa a cui aggrapparsi nei momenti di sconforto, quando lui sarebbe stato distante e lei da sola a combattere contro il mondo.

L'altra mano, la destra, corse ad accarezzare l'interno coscia. Le dita scivolarono lungo la carne, accompagnate dall'acqua calda e rassicurante in cui erano immerse. Sembrava tutto amplificato, laggiù.

Giunse in fretta al suo centro, il luogo che più piangeva la separazione da Arthur.

Se le cose fossero andate nel modo giusto, ci starebbe stato lui a darle sostegno.

Indice e medio si inoltrarono fra le pieghe del sesso gonfio, mentre la mano sinistra continuava a torturare il capezzolo nel vano tentativo di riprodurre il tocco di Arthur.

In un mondo perfetto, lui avrebbe vinto e avrebbe giurato fedeltà all'Accordo davanti alle due comunità senza alcun tentennamento. E lei, in quel mondo perfetto, sarebbe stata in prima linea a supportarlo. Perché, a quel punto, non avrebbe avuto più alcun dovere verso l'Ordine da portare a termine.

Chiuse gli occhi e strizzò il capezzolo.

Già, i doveri di Chandra, gli stessi che aveva seguito ciecamente dall'inizio del suo percorso e che l'avrebbero portata a schiantarsi contro un muro.

Arthur aveva detto di essersi innamorato proprio di quel lato di lei, quello preciso e laborioso, quello ben ancorato per Terra che si sposava alla perfezione con il suo costruire castelli per Aria.

Perché aveva cambiato idea così facilmente? Era stato così grave quello che Chandra aveva fatto?

Certo, si era tirata indietro dal loro progetto condiviso all'ultimo secondo, ma non l'aveva fatto con cattiveria: era stata messa con le spalle al muro dal suo stesso Reverendo e tenuta ben salda sotto ricatto.

Davvero Arthur non lo capiva? Seriamente le stava scaricando addosso colpe che non aveva?

"Per la Madre, Arthur, sei un vero cretino." Si penetrò furiosamente con le due dita.

L'unica vera colpa di Chandra era forse quella di averlo scopato prima di rivelargli la verità, ma per quello era troppo tardi per chiedere perdono: aveva ceduto all'egoismo e ora doveva accettarne sia le conseguenze positive che negative.

Il bacino prese a ondeggiare, seguendo gli affondi veloci delle dita.

Immaginare che ci fosse Arthur sopra di lei la faceva stare bene: mandava via tutti i doveri soffocanti che si era dovuta accollare. Se fingeva che fosse Arthur a penetrarla e non le sue stesse dita, il mondo si colorava di nuovo e il corpo riacquistava vitalità. Se dimenticava la realtà, poteva sentirsi di nuovo con lui, di nuovo protetta fra le sue braccia.

Accasciò il collo sul bordo della vasca, alzando il mento.

Aveva iniziato ad ansimare in modo continuo e repentino, seppur sommesso, e non si stava curando di chi potesse sentirla. Anche perché, essendo gli alloggi del Guardiani isolati dal resto della struttura, non aveva di che preoccuparsi.

Lei era isolata dal resto del mondo: dal Monastero, dai Sacerdoti, dalla famiglia, dalle comunità. Lei era sola con i suoi pensieri, era sola con Arthur.

Strizzò il seno e tirò fuori le dita.

Indice e anulare corsero ad allargare le labbra del sesso, mentre il medio si concentrò sull'origine del desiderio. Bastò una leggera pressione per accendere ogni nervo nascosto e far gemere la ragazza, proprio come aveva fatto la lingua di Arthur la notte precedente.

Chandra prese ad ansimare più forte.

L'elegante corpo nudo di Arthur era davanti a lei: ne riusciva a distinguere i lineamenti ben disegnati e la linea a V nel basso addome; il tutto messo in evidenza dalle spalle larghe.

Arthur Leblanc era semplicemente perfetto, semplicemente suo.

La lunghezza del maschio, centro di quella superba visione, era imponente e marmorea: si ergeva davanti alla giovane e puntava alla sua bocca, chiedendole con impellenza di essere soddisfatta.

Chandra si umettò le labbra: non l'avrebbe delusa.

Senza alcuna vergogna, Chandra abbandonò il seno, stretto finora dalla mano sinistra, e si portò due dita alla bocca.

Iniziò a succhiare.

Per la Madre, quant'era eccitata.

Sognare di essere inginocchiata davanti ad Arthur, pronta a esaudire ogni suo più intimo desiderio, la riportava alla prima e ultima notte trascorsa insieme. La visione del ragazzo riempiva il vuoto che aveva dentro e dava un senso a quella prima deprimente notte da Guardiana.

E il suo intero corpo gioiva, gioiva mentre fingeva che fosse tutto reale.

«Ti amo, Arthur», avrebbe detto, se non avesse avuto la bocca occupata. «E sono sicura che anche tu continui ad amarmi.»

La scena, improvvisamente, cambiò: Chandra non era più nel passato, bensì proiettata nel futuro.

Era il giorno successivo, il tre di gennaio, e Arthur era tornato da lei. Aveva trovato una soluzione per ogni loro problema, sebbene Chandra non riuscisse neppure ad abbozzarne il contenuto nella fantasia.

Stavano facendo l'amore, il più puro e sincero che si potesse concepire. Lui era dentro di lei e lei lo stava accogliendo con tutta se stessa.

Chandra si stava scusando per il suo silenzio, stava facendo ammenda per essere venuta meno alla promessa di riunire gli Ordini insieme. Stava lasciando ad Arthur la carica a cui era destinato fin dalla Cerimonia.

Una lacrima le solcò il viso.

Arthur la stava abbracciando, le sussurrava all'orecchio ciò di cui lei aveva bisogno. Le confessava di amarla ancora. Ammetteva di aver esagerato e, per la seconda volta, le prometteva che sarebbe rimasto con lei per sempre.

Il viso le si rigò e divenne fradicio.

Tutto si era sistemato, tutto andava per il verso giusto: Dundra non era più un problema e l'Ordine della Luna non detestava più Arthur per qualcosa che non aveva commesso. Nessuno avrebbe più scatenato una rivolta contro di lui se si fosse seduto sul trono e la diceria che avesse sedotto Chandra per vincere più facilmente era sparita.

C'erano solo loro due, Chandra e Arthur, capaci di realizzare ogni loro più piccolo sogno insieme.

Le dita all'interno della bocca, più che un surrogato di Arthur, si erano trasformate in un tappo per i singhiozzi convulsi della giovane.

Chandra non riusciva più a sopprimere l'angoscia con il piacere: la realtà stava schiacciando la fantasia e, insieme ad essa, il barlume di felicità ritrovato.

Smise di toccarsi e guardò verso l'alto, dove i vapori dell'acqua stavano oscurando il soffitto.

Aveva deciso di farsi un bel bagno caldo prima di dormire solo per distendere i nervi e non passare l'ennesima notte in bianco, ma aveva fallito anche in quello.

Forse girarsi e rigirarsi nel letto, nella speranza di prendere sonno alle prime luci dell'alba, era la conclusione giusta per quell'orribile giornata.

Gattonò verso il centro della vasca, cercò il tappo a tentoni e, una volta trovato, lo tirò a sé aprendo il foro sottostante.

L'acqua le carezzò la pelle, scendendo sempre più in basso, mentre veniva risucchiata senza pietà dallo scarico in un vorticoso mulinello.

Chandra arricciò l'angolo della bocca in un mezzo sorriso malinconico. Quell'Acqua era un po' come lei: trascinata verso il basso da una forza impossibile da combattere.

Scosse la testa e si alzò in piedi.

Scavalcò il bordo dorato della vasca, incastonata nel pavimento, con un singolo passo e si diresse a sinistra, verso i box doccia.

A detta di Chandra, era uno spreco enorme aver dotato il bagno sia di una vasca per dieci persone che di una serie di docce; ma probabilmente per il Reverendo Chevalier, colui che ai suoi tempi l'aveva progettato, era più importante vivere nel massimo dei comfort che pensare alle reali esigenze di chi vi avrebbe abitato.

Non c'era da stupirsene, però: Phoebus Chevalier non era mai stato famoso per la sobrietà.

In ogni caso, se l'antico Reverendo del Sole o la vecchia Chandra Noyer si lavavano passando dalla vasca alla doccia o viceversa non era un problema dell'attuale Chandra Noyer: a lei interessava solo dell'asciugamano appeso al gancio.

Difatti, una volta preso quello e averlo avvolto intorno al proprio corpo, abbandonò anche quell'area del bagno.

Lasciò una scia di impronte umide lungo la scacchiera del pavimento, fino a interrompersi di fronte al bancone in marmo dove stavano i lavabi.

Si guardò allo specchio soprastante e inclinò la testa. Senza più il cerone di trucco a correggerle le imperfezioni, la sua faccia era orribile: gli occhi erano cerchiati dal nero e gonfi dal pianto; come se non fosse abbastanza, un inconfondibile rossore sulle gote strideva con il colorito esangue circostante.

Era ancora eccitata, purtroppo... o per fortuna?

Snodò l'asciugamano e lo lasciò cadere ai propri piedi, senza mai distogliere lo sguardo dalla Chandra riflessa. Presto, questa si rivelò nella sua nudità porcellanata, minuta e filiforme.

Era ancora umidiccia: il telo di spugna non era riuscito ad assorbire tutte le goccioline che le puntellavano il corpo. Una di queste scivolò dal collo lungo la clavicola, fece una breve pausa sul capezzolo turgido e poi si gettò giù, sul quadrato nero del pavimento.

Chandra si prese entrambi i seni fra le mani e se li massaggiò.

La notte precedente, Arthur li aveva baciati e carezzati con estrema dolcezza, nonostante non fossero poi nulla di così appetibile: entravano appena in una coppa di champagne.

Si attraversò con le mani i contorni del busto sottile, fino ad arrivare ai fianchi spigolosi e poi arretrare sui glutei. Lì, invece, Arthur l'aveva stretta con così tanta foga da lasciarle il segno rossastro delle dita sulla carne.

Chandra sorrise mentre si spostava sul davanti, nell'interno coscia.

Chissà che stava facendo Arthur senza di lei: che la stesse pensando? Che fosse anche lui immerso nei ricordi e dedito al piacere personale? Per un attimo, volle immaginare che la risposta fosse sì a tutto.

Si strusciò il dorso dell'indice fra le pieghe del sesso, spargendo gli umori sulle nocche.

Forse Arthur era completamente nudo, seduto sul bordo del letto, intento a percorrersi l'erezione con la mano mentre ansimava il nome dell'amata.

«Chandra... Chandra...» ripeté lei di riflesso, nella realtà.

E chissà come se la stava immaginando, Arthur: forse sopra di lui, a cavalcioni sul suo inguine, o forse sotto al suo corpo, dipendente dal suo tocco e in stato di adorazione?

Chandra allargò le gambe e inserì due dita all'interno delle carni ormai fradice.

Il viso di Arthur doveva essere ancora più meraviglioso del solito, in quel momento: voglioso e arrossato, magari, con gli occhi brillanti dal desiderio e le labbra schiuse alla ricerca di quelle di Chandra.

Involontariamente, aprì di poco la bocca anche lei.

"Oh, Arthur, quanto mi manchi."

Le dita divennero tre e il battito cardiaco, in contemporanea, accelerò fin quasi a scoppiare. Chandra si vide inoltre costretta a piegare le ginocchia, fattesi molle, e incurvare le spalle pur di contenere il formicolio che le aveva invaso le viscere.

Stava per raggiungere l'apice: il corpo glielo stava facendo capire.

Assecondò il crescendo interno, immaginando che anche Arthur fosse in procinto di venire con e per lei. Fantasticò sul loro orgasmo congiunto, illudendosi che, per quella volta, tutto sarebbe andato bene davvero.

Gli Arthur sospirati dalle sue labbra dettavano il ritmo del bacino e l'intensità della morsa sul seno, tanto serrata da far piangere e arrossare la ghiandola.

Era evidente, ormai, che Chandra, del tutto immersa nella fantasia con scarso – per non dire nullo – contatto con la realtà, aveva perso il controllo: per lei in quel preciso istante esisteva solo il piacere condiviso con l'Arthur immaginario e l'illusione che lui fosse in procinto di riversarsi al suo interno.

L'orgasmo scosse Chandra dalle unghie dei piedi fino al cuoio capelluto; le tremarono persino le gambe, minacciando di cedere sotto al suo ridicolo peso. Lei, nel mentre, gettò all'indietro la testa e continuò a sfregarsi come poté: voleva bearsi di ogni briciola di lussuria ancora disponibile.

Si fermò solo quando la clitoride, dolorante ed esausta, la implorò di farlo; se fosse dipeso da Chandra, avrebbe continuato a inseguire la confortante sicurezza della fantasia.

Abbandonò il proprio sesso e drizzò le ginocchia.

Poteva ritenersi soddisfatta, sì, aveva raggiunto il proprio scopo: l'ansia si era allentata e poteva andare a dormire con il cuore leggero.

Tuttavia, il neutrale benessere appena acquistato ebbe vita breve: Chandra rialzò il viso e incrociò gli occhi della sé riflessa. In genere, l'iride era così scura da nascondere la pupilla; ma quella volta, altro crudele scherzo del Cielo, quest'ultime erano tanto allargate da essere inconfondibili.

Gli angoli delle labbra, prima arricciati verso l'alto, caddero in una linea retta.

Aveva di nuovo sfruttato Arthur per puro egoismo, per stare meglio con se stessa e il mondo circostante. Non si era neppure chiesta come stesse davvero: le era importato solo che si masturbasse con lei.

Si fece ribrezzo da sola.

Si calò per prendere l'asciugamano gettato per terra e, una volta raccolto e tornata in piedi, se lo avvolse intorno al corpo. Le ultime azioni che fece, rigorosamente con il viso basso a osservare il flusso d'acqua, prima di abbandonare la sala da bagno furono sciacquarsi viso e mani.

Spalancò la porta e si ritrovò nel buio pesto dell'abitazione. Non riusciva a distinguere con chiarezza i dettagli dell'appartamento né a orientarsi: la prima volta che vi aveva messo piede, quand'era stata strigliata dalle monache, non aveva prestato attenzione a nulla; la sua mente era stata in blackout.

Cercò a tentoni un interruttore, avanzando sul lungo tappeto morbido, che sapeva percorreva tutto il corridoio principale, ma percepì solo le scanalature delle pareti. E passo dopo passo, senza avere idea degli ostacoli presenti, finì per sbattere contro lo spigolo di un mobile.

«Accidenti!» le sfuggì.

Alla fine abbandonò la ricerca e optò per la strada più facile: congiunse le mani a coppa e diede vita a una piccola fiammella, come le aveva insegnato a fare Arthur.

«Seguimi», le ordinò puntandole il dito contro, come se quella potesse capirla e non fosse dipendente dalla sua volontà.

Il neonato lucore la guidò in fondo al corridoio, dove stava la sua meta: la camera da letto.

Sebbene lì dentro il bottone per accendere le luci stesse proprio accanto alla porta, Chandra preferì non pigiarlo: il Fuoco era emotivamente più confortante.

«Vai», disse lei, indicando l'interno; la fiamma obbediente galleggiò per aria, schiarendo mano mano una goccia di buio alla volta.

Chandra aveva sempre avuto la bizzarra abitudine di dare comandi diretti al Fuoco, come se fosse un cane, e Arthur l'aveva sempre presa in giro per questo: a quanto pareva, la sua era un'azione tipica dei bambini alle prime armi e una ragazza di ormai ventuno – venti, allora – anni come lei non avrebbe dovuto averne bisogno.

Ma poco le importava, ormai: non era mai riuscita a imparar per bene l'elemento cardine del Sole e non aveva senso farsene un cruccio adesso.

Sciolse il telo e lo gettò con molta poca cura sulla poltrona all'angolo della stanza, andando a nascondere il borsone che vi era poggiato. Lì aveva conservato tutto il necessario per quella prima notte nella nuova casa, visto che aveva a disposizione ben pochi vestiti.

Non si era ancora trasferita in vita definitiva per cause a lei esterne: senza un Guardiano eletto, gli alloggi destinatogli restavano chiusi a chiunque. Ma non era un problema, poiché già dal giorno dopo sua madre le avrebbe fatto recapitare le valigie con tutto l'occorrente.

In ogni caso, Chandra non aveva voglia di scavare alla ricerca della camicia da notte: per quella prima volta, avrebbe dormito nuda.

Scostò le coperte e vi si raggomitolò, trovandosi subito accolta. Il piumone era così caldo da rendere non necessaria l'accensione del camino sulla sinistra; per di più, il cuscino in piuma d'oca era uno dei più morbidi su cui avesse mai poggiato la testa.

Si accartocciò sul fianco sinistro e guardò l'altro lato del letto, il destro. Carezzò il bordo del cuscino immacolato. Sarebbe stato bello se ci fosse stato Arthur a occupare quel posto vuoto.

Avviluppò sia braccia che gambe al cuscino, strusciandovi l'intero corpo.

Sarebbe stato bello se, al posto del guanciale apatico, ci fosse stato il corpo caldo di lui a darle conforto.

E fu forse quell'ennesimo molesto e impuro pensiero a far scattare qualcosa dentro di lei.

I fianchi presero a ondeggiare, sfregando le carni sensibili contro la federa bianca e ricamata; questa divenne sempre più bagnata, pregna di Chandra e di ogni suo umore nostalgico.

"Oh, Arthur... È solo questo il modo per sentirti vicino?"

Si drizzò sulle ginocchia, e il contatto con il cuscino si perse. Chandra percepì immediatamente un senso di vuoto all'altezza del petto, come quando Arthur l'aveva lasciata e poi abbandonata a se stessa.

Arthur...

Ripiegò il morbido cuscino su se stesso per dargli un senso di durezza e vi si mise a cavalcioni, facendovi aderire per bene il sesso di nuovo fremente.

Provava imbarazzo? Sì, ciò che stava facendo non era corretto: stava per sfruttare Arthur una terza volta.

Era un comportamento ipocrita, dato che fino a pochi minuti prima si era rimproverata per lo stesso, ma purtroppo era anche giusto arrendersi all'evidenza: se Chandra voleva quantomeno riposarsi e non passare l'ennesima notte insonne in preda all'ansia, doveva soddisfarsi appieno.

Il corpo si mosse da sé, fuori controllo, sfregando il suo centro più delicato sul nuovo... Arthur.

Sì, quello sotto di lei era proprio Arthur: Chandra era sul suo bacino ed era aggrappata al suo petto, non a del misero cotone bianco.

Un gemito le sfuggì dalle labbra. «Arthur...»

La mano sinistra andò a stringere la natica corrispondente, rievocando la stretta possessiva del maschio sulla carne.

L'attività delle anche divenne più veloce e intensa, crescendo insieme al viso di lui sempre più nitido.

Arthur era bellissimo, perfetto, con quei capelli biondi sparsi sul materasso e gli occhi grigi brillanti di luce propria. La stava guardando come quella notte, le urlava nel silenzio che l'aveva perdonata per ogni suo errore, per ogni sua mancanza, ed era pronto a riaccoglierla a braccia aperte.

«Arthur...» ansimò ancora Chandra, con voce supplicante.

Ma lui non rispose, non poteva farlo: era solo il miraggio di una mente colpevole.

«S-scusami», bisbigliò, scossa poi da un grugnito.

E poi, oltre che dalla lussuria, Chandra venne accecata dalle lacrime.

Il perdono di Arthur era tutto ciò di cui aveva bisogno, ma sapeva di non meritarlo: avrebbe continuato a ferirlo anche in futuro, e le scuse, purtroppo, non avrebbero fatto la differenza.

Piegò il corpo leggermente in avanti e allargò le gambe.

La mano stretta alla natica, avente ora molto più margine d'azione, si inoltrò molesta nell'orifizio più segreto della giovane. Bastarono giusto le due falangi dell'indice per far pompare furiosamente il sangue in ogni vena.

Chandra invocò il nome di Arthur per più e più volte di fila, così tante da renderne impossibile il conteggio.

La sua voce martoriata dal pianto e sconvolta dal piacere vibrò in un modo che non le apparteneva: non era più calma e posata, controllata in ogni sua sfumatura, bensì storpiata in un lamento sofferente, tramutatasi nella richiesta d'aiuto di un'anima a pezzi.

«P-perdonami» urlò.

Aveva davvero sperato, durante i mesi tranquilli in Monastero, che a vincere fosse il rivale e non lei.

Sebbene avesse deciso di tenere fede al compito datole dalla Luna, procedendo nella competizione fino in fondo, Chandra avrebbe accettato la sconfitta con un sorriso; anzi, ne sarebbe stata grata: Arthur era il perfetto Guardiano, non lei. E lo avrebbe dimostrato – eccome se lo avrebbe fatto – se gliene avessero dato modo.

I piani di Arthur, benché un po' vaghi e poco delineati, erano pieni di positività e passione: con il piccolo aiuto di Chandra sarebbero diventati realtà con poca fatica.

Una vera delusione che si fossero frantumati proprio a causa della persona su cui lui più contava, la sua fedele Sacerdotessa della Luna, che non era riuscita a imporsi e aveva piegato la testa al volere dell'Ordine.

Nel mentre, Chandra continuava a strusciarsi sul cuscino irrequieta, ignorando il respiro fattosi corto e i battiti sempre più accelerati.

Arthur era ancora sotto di lei, ma non le stava più rivolgendo uno sguardo innamorato: la stava guardando come allo scontro, come se la detestasse.

Che crudele scherzo del Cielo fare arrendere Arthur al suo posto e poi farle rivivere la scena nel momento meno opportuno.

Un vagito lagnoso, per nulla dovuto al cuscino o al dito nel retto, fuoriuscì dalle sue labbra.

Rivedere Arthur inginocchiato ai suoi piedi turbava Chandra nel profondo. Risentire tutta la sua delusione e l'umiliazione provata a Pointe du Ciel la faceva vergognare di esistere.

«Sc-scusami», ripeté lei. «Ti-ti prego, perdonami.»

Ma Arthur non rispose, di nuovo. Perché, per la seconda volta, non poteva farlo: lui non era davvero lì e, anche se ci fosse stato, non avrebbe parlato comunque.

L'ex rivale la odiava.

E come avrebbe potuto non farlo, d'altra parte? Chandra aveva infangato la complicità che li legava.

Era stata lei a spingerlo ad allontanarsi, a rivelargli il futuro catastrofico che li attendeva dopo tre giorni di silenzio e a sbattergli in faccia l'impossibilità di mutarlo, perché Chandra era e sarebbe per sempre rimasta figlia della Luna e del suo popolo.

Chandra doveva comprendere la sua rabbia: era più che giustificata.

In quel momento, però, un dettaglio più che passato le tornò alla mente. E Chandra aggrottò il viso in una maschera di rabbia.

Era vero, lei aveva seguito il volere dell'Ordine, ma anche Arthur lo aveva fatto. E lei lo aveva perdonato nell'arco di poche ore, senza lasciarlo penare nell'ignoto.

Quando si erano accordati per studiare insieme, Chandra gli aveva chiesto una singola cosa: evitare l'uso aggressivo di Acqua e Terra allo scontro, poiché lei non avrebbe potuto usare Fuoco e Aria.

E lui aveva rifiutato, con ragione, perché il suo Ordine si aspettava il suo trionfo glorioso e senza l'uso completo degli elementi, cardine dei loro valori, non l'avrebbe soddisfatto.

In quei termini, Arthur era stato più codardo e falso di lei: anche lui, quando si era trovato costretto, aveva messo i propri doveri sopra Chandra senza che questa potesse ribattere. E lei lo aveva capito senza insistere. Perché erano due accoliti e, pertanto, dovevano essere lo specchio perfetto dei desideri delle rispettive comunità.

Perché se era Chandra a dare priorità all'Ordine era un problema? Perché tutto ciò che riguardava la Luna era sempre e soltanto ostacolante mentre con il Sole bisognava sorridere e accettare?

Lui, Arthur Leblanc, colui che si vendeva come il salvatore dei due Ordini, che colpevolizzava tanto Chandra per pensarla come la sua gente, continuava a comportarsi come un fedele del Sole fatto e finito: i bisogni della Luna erano un problema e tutto ciò che andava contro il volere del Sole era un limite che andava tolto, senza mai indagarne le cause.

«Vaffanculo... Arthur...»

Lo stava di nuovo accusando? Sì, perché era più facile lasciarsi andare al piacere se si divideva la colpa in due. Credere che avessero sbagliato entrambi aiutava Chandra a stare meglio con se stessa.

Gli ansimi si fecero sempre più intensi.

E mentre la clitoride gonfia sfrigolava contro la fodera del cuscino, l'intensità dell'emozione da Chandra provata stava raggiungendo l'apice per la seconda volta, facendo attraversare alla ragazza un'intera gamma di sfumature sgargianti.

L'indice entrava e usciva dal didietro con fare aggressivo, graffiandone le carni troppo strette e ancora innocenti. E se, un giorno, fosse stato proprio Arthur a varcarle per primo?

Il dito al versante opposto al pensiero che fosse qualcos'altro scivolò senza ostacoli del tutto dentro, e le parole biascicate di tanto in tanto furono sostituite da grugniti sommessi.

Chandra pressò più forte il sesso contro il surrogato di Arthur, abilmente sfruttato per compiacersi, e schiacciò su di esso il desiderio alto e gonfio, ormai in procinto di esplodere o prendere fuoco.

I muscoli delle gambe, a quel punto, si tesero e le ginocchia solleticarono: tutto insieme in un valzer d'umori.

Una scarica interna attraversò la schiena della ragazza, le riscaldò lo stomaco e, una volta giunta nel petto, esplose in un sonoro orgasmo.

Lo aveva fatto: era venuta di nuovo. Ora poteva concedersi il lusso della quiete.

Chandra tolse il dito, diventato più un fastidio che un piacere, e si lasciò cadere di pancia sul cuscino. Le ci volle un minuto abbondante per riprendere fiato e metabolizzare cosa avesse appena fatto.

Era appagata? Sì.

Si sentiva meglio? Be', non molto: c'era qualcosa che mancava... qualcosa che anche nella sua stupenda e immaginaria scopata era mancato.

Si mise seduta e raddrizzò il guanciale. Era tutto impregnato di una miscela letale di liquidi intimi e lacrime amare. Che schifo.

Lo scambiò con l'altro: di certo non avrebbe messo la faccia su quel coso indegno.

Subito dopo, afferrò un lembo del nastro nero e sciolse lo chignon scomposto. I lunghi capelli bianchi, la causa di ogni suo male, caddero a onde lungo la schiena e si fermarono all'altezza della vita.

Si distese e guardò la fiammella in alto, l'unica fonte di luce disponibile.

Attese qualche secondo.

Si era soddisfatta, per la Madre, adesso era il momento di placarsi e stare bene, no? Adesso era il momento di mettersi a dormire senza bollori e rimorsi, giusto? Purtroppo la risposta era no.

Chandra aveva pianto, aveva goduto, si era infuriata e poi aveva goduto di nuovo. E ora, dopo l'orgasmo, si sentiva strana, a metà fra il nulla e la confusione: nulla di ciò che volesse raggiungere.

Il Fuoco vibrò e Chandra s'accigliò.

«Che vuoi tu, adesso?»

Questo continuò a muoversi a scatti, prima a destra e poi a sinistra, senza però rispondere alla domanda postagli – come se potesse farlo: era una fiamma controllata dalla sua mente, non viveva certo di vita propria.

Tutto a un tratto, Chandra sgranò gli occhi e scattò seduta.

Giusto, quella fiamma dipendeva dalla sua mente: se c'era un qualcuno che stava cercando di comunicarle qualcosa, era lei stessa, non l'elemento fine a se stesso.

Sovrappose le mani all'altezza del cuore. «Ti prego, fammi capire che c'è.»

Il Fuoco scattò a destra, verso le tende grigie che davano sul balconcino. Chandra la seguì con lo sguardo e inclinò il capo, mentre un pensiero malsano si accendeva nella sua mente.

Aveva capito.

Si alzò dal letto e si avvicinò alla goccia scoppiettante; questa, non appena la ragazza le fu vicina, si spense in una nuvola di fumo nero. Non fu un problema, però: Chandra aveva già spalancato il drappeggio e scoperto il vetro retrostante, facendo filtrale la luce della volta stellata, corte fedele della mezzaluna calante.

Afferrò entrambe le maniglie, le abbassò e tirò a sé le ante.

L'aria notturna, impregnata di verde bretone misto a una pungente nota di freddo, le pizzicò il setto nasale.

Chandra sorrise.

Arthur poteva essere arrabbiato con lei, averla sbattuta fuori dalla sua vita, ma non sarebbe durata per sempre: loro erano innamorati, da sempre complici contro le sfide lanciate dagli Ordini. Le loro differenze li avevano sì divisi, ma erano le stesse che li avevano fatti avvicinare: quelle che rendevano il loro legame così unico e speciale.

Un subdolo Reverendo troppo pieno di sé non poteva cancellare tutto ciò che avevano vissuto insieme: non poteva impedire il loro amore fuori dalla sua giurisdizione, quando non avrebbe più scuse a cui appellarsi per dare adito al suo odio.

Forse i loro sogni erano andati distrutti, forse non erano gli accoliti scelti dal Cielo per fondare un unico Ordine, ma erano ancora Chandra e Arthur. E a detta di lei potevano esserlo ancora.

Lei era pronta a scrivere un nuovo sogno con Arthur; bastava solo riaccendere la fiamma anche in lui per ricominciare insieme, quando Ordini e doveri sarebbero stati un ricordo lontano.

Chandra mise la mano – quella non incriminata – a coppa sulle labbra e vi sussurrò le due semplici parole che avrebbe detto ad Arthur durante il sesso, se ne avesse avuto il coraggio; poi allungò il braccio verso l'esterno e distese il palmo, lasciando che il messaggio volasse alto.

«Ti amo.»

Richiuse le ante e sorrise alla sé sul vetro. Andava a letto con il cuore colmo di speranza. 

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