Snuff (Ran Haitani FF)

By cecinestpasunotaku

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«Roppongi. Era lì che, per molto tempo, lui aveva "regnato" indiscusso, padrone insieme a suo fratello Rindou... More

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XI. Vergogna
12. Ricongiungimento
Introduzione all'atto finale
Atto finale - Scena prima
Atto finale - Scena seconda
Atto finale - Scena terza
Atto finale - Scena quarta
Atto finale - Scena quinta
Atto finale - Scena sesta
Atto finale - Scena settima
Epilogo
Ringraziamenti

III. Halloween

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By cecinestpasunotaku

Dopo quella prima uscita al Sunshine City, ce ne furono altre nelle settimane successive. Ogni martedì infatti, poco prima della fine delle attività del mio club, Ran si presentava in classe e veniva a "prelevarmi".

Le prime volte si fece ancora accompagnare da suo fratello, ma dopo poco iniziò a presentarsi da solo alla porta della mia aula. Da una parte mi dispiacque, perché era segno evidente dell'antipatia che Rindou provava nei miei confronti, ma dall'altra non ne potei essere più felice: le poche volte che Ran si allontanava e mi lasciava sola in balia del biondo, era un continuo susseguirsi di sguardi assassini, commenti taglienti e tacito disprezzo.

Ormai anche le mie amiche, quando lo vedevano mettere piede in classe, non rimanevano troppo sulla difensiva. Certo, non parlavano o condividevano molto con lui, ma si erano abituate alle sue comparse settimanali e, per lo meno, si rivolgevano il saluto.

Una volta siamo andati al parco di Ueno a passeggiare, un'altra abbiamo passato il pomeriggio in sala giochi, un'altra ancora siamo andati ad un luna park non troppo lontano dalla mia scuola.

Tutto sommato, questa nuova routine era divertente: ogni martedì era diverso dagli altri e la presenza di Ran nella mia vita era piacevole, nonostante io fossi spesso titubante, visto che non sapevo ancora se potessi definirlo "amico". D'altronde, ci stavamo ancora conoscendo, costruendo il nostro rapporto pezzo per pezzo, dedicandoci l'uno all'altra un pomeriggio a settimana, quindi ho sempre preferito restare cauta nel dare un giudizio a proposito.

Uno dei miei momenti preferiti, per quanto possa sembrare strano dirlo, era il rientro a casa.
Non fraintendetemi, non perché avrebbe segnato la fine della nostra uscita, ma perché, ogni volta che scendevo dalla sua moto e gli restituivo il casco, quando sfiorava la mia mano con le sue dita sottili e mi diceva "Ci vediamo settimana prossima", i suoi occhi brillavano.

Era un guizzo appena percettibile, talmente rapido da essere difficile da cogliere, ma non per un'inguaribile romantica come me, che avevo visto quello stesso guardo dipinto su molti quadri o scolpito in tante statue marmoree. Anzi, prendiamone una sotto mano, per capirci meglio.

Amore e Psiche di Andrea Canova, grande artista italiano neoclassico, il "Nuovo Fidia" per gli studiosi dell'arte. Non mi soffermerò sul mito alla base di questo capolavoro, ossia la storia d'amore tra il dio figlio di Venere e quella che era ritenuta la più bella tra i mortali, perché le circostanze tra me e Ran erano totalmente diverse (Amore, come avrebbe mai potuto essere quello tra noi, allora?), ma sulla statua in sé.
Come le persone che mi conoscono sapranno, io credo che l'arte abbia uno dei più grandi poteri di questo mondo: conferire eternità all'anima di un artista e rendere immortali i sentimenti umani nella loro più splendida manifestazione. Ecco, nella statua del Canova gli sguardi dei protagonisti si contemplano l'un l'altro con una dolcezza di pari intensità e Ran mi guardava così. O almeno, a me piaceva pensarla in questo modo.

Abbandonando questa retorica, forse strana e quasi folle di primo acchito, vi basti sapere che la conferma di un prossimo pomeriggio insieme, della sua presenza nella mia vita seppur per brevi frangenti, rientrava tra quelle piccole, speciali cose della vita che vanno custodite con cura.

Questo equilibrio che avevamo raggiunto si incrinò nell'ultima settimana del mese di ottobre: quel martedì Ran non si presentò, con mio sommo dispiacere. Non potevo certo lamentarmi del fatto che non mi avesse avvisata, perché ancora non ci eravamo scambiati i rispettivi numeri di telefono: io sapevo che lui sarebbe venuto ogni settimana, interrompendo l'attività del mio club a venti minuti dalla fine.

Rimasi un po' amareggiata quel pomeriggio e tornai a casa mia a piedi. Era quello che avevo sempre fatto negli ultimi dieci anni di scuola, eppure mi parve qualcosa di assolutamente estraneo alla mia routine.

*

Il giorno dopo, il 31 ottobre, mi recai a lezione come di dovere, ma le ore sembrarono interminabili, quasi quanto la settimana che mi si prospettava fino all'arrivo del martedì successivo. Ma se lui non fosse più venuto neanche nei giorni a seguire?

Al suono della campanella, nel primissimo pomeriggio, tutti gli studenti si precipitarono fuori dall'istituto scolastico e io mi intrattenni vicino al cancello con le mie amiche.

-Perché quella faccia, Reiko?- chiese Rika, notando che la mia attenzione era focalizzata su tutt'altro che il discorso intavolato.

-Ieri non è venuto...-

-Secondo me è un bene. Insomma, la sua prima apparizione era stata totalmente inaspettata, pensi che sia normale quella routine a cui ti sei abituata nelle ultime settimane? E poi, almeno questa settimana abbiamo potuto concludere l'attività del club in tutta calma e serenità.-

Megumi non era mai stata una ragazza con molti peli sulla lingua e, a posteriori, capisco anche il suo sollievo nel non aver visto il ragazzo nel pomeriggio precedente: aveva sempre un certo timore latente nei suoi confronti, nonostante si fosse sempre mostrato abbastanza gentile.

Mei la fulminò con lo sguardo, invitandola tacitamente a non proferire più parola, e si rivolse a me con parole consolatorie: -Non corrucciarti, Reiko. Forse ha avuto un'emergenza e, dato che non ha il tuo numero, non ha potuto chiamarti. Non andare a pensare che ti abbia tagliata fuori dalla sua vita per qualsivoglia motivo... non guardarmi così! Ti conosco da abbastanza tempo da sapere come sei fatta! Ora vai a casa, studia, riposati e magari pensa a qualcosa da proporgli quando arriverà a prenderti in classe la prossima settimana.-

Mi sorrise e io ricambiai, consapevole che quello che mi aveva appena detto fosse la spiegazione più logica.

Salutai le ragazze e mi incamminai verso casa, prendendo una piccola scorciatoia per far durare quel tragitto il meno possibile. Lungo la via, passai di fronte ad una vecchia discarica. Nulla di strano, in condizioni normali, ma quel giorno stava succedendo qualcosa.

Vidi un gruppo di ragazzi, che parevano indossare delle specie di uniformi, uscire in massa da quel luogo. Supposi che si fossero riuniti per una di quelle tante risse tra ragazzi che andavano per la maggiore in quegli anni e, normalmente, la cosa non mi sarebbe interessata più di tanto, se non fosse stato per il fatto che tra quello sciame di persone riconobbi Ran. Mi fermai dall'altro lato della strada, guardandolo mentre camminava con disinvoltura indossando una delle sue tante tenute sportive seguito dal fratello minore. All'improvviso, volse lo sguardo verso di me e abbandonò il flusso di persone in mezzo alle quali si muoveva per venirmi incontro, lasciando interdetto Rindou. Rimasi immobile, perché non mi aspettavo di certo che in quella situazione così estranea a me si fosse accorto della mia presenza, eppure, quando mi fu di fronte, perse la sua aria annoiata e si rivolse a me con tono quasi preoccupato.

-Reiko-chan, cosa ci fai qui?-

-Stavo tornado a casa da scuola proprio adesso. Tu, piuttosto, che cosa fai qui?-

-Ero andato con Rindou ad assistere ad una rissa, ma è finita nel peggiore dei modi. Meglio andarsene da qui prima che la polizia arrivi, ti accompagno io a ca...-

-Haitani, perché tanta fretta?-

La voce, a cui non seppi associare nell'immediato un volto, proveniva da un ragazzo a me sconosciuto, fino ad allora. Era alto e magro all'incirca come Ran, con dei capelli neri a spazzola con qualche ciocca bionda e indossava una giacca bianca che avevo visto addosso ad altre persone che uscivano dalla discarica.

Stava avanzando nella nostra direzione con tutta calma, come se la fretta e l'agitazione della folla dall'altro lato della strada gli fossero del tutto estranei. Man mano che si avvicinava, la sua camminata ieratica mi incuteva in senso di inquietudine sempre maggiore, che raggiunse l'apice quando vidi tatuati sui dorsi delle sue mani due kanji: "Delitto" e "Castigo".

Ran si voltò, faccia a faccia con il suo interlocutore, posizionandosi in modo che io rimanessi alle sue spalle, protetta dallo sconosciuto in questione.

-Non vedo come possa interessarti quello che faccio o non faccio, Hanma.-

-Quanta scortesia, e io che pensavo di essere gentile!- rispose il ragazzo, scoppiando in una fragorosa risata che mi fece venire la pelle d'oca e cercando di fissare il suo sguardo su di me, che me ne restavo silenziosa a testa bassa sperando che questo spiacevole incontro giungesse subito al termine.

-Sai, sei troppo lezioso per i miei gusti. Ti conviene andartene prima che gli sbirri arrivino.-

-Mh, ho trovato qualcosa di interessante qui. Dimmi un po', chi è che stai nascondendo alla mia vista?-

-Non credo che ti servano gli occhiali per capire che è una ragazza. Ora la tua curiosità dovrebbe essere soddisfatta.-

Ran era chiaramente seccato e voleva porre fine il prima possibile alla conversazione.

-È la cagna che ti scopi ogni sera? Quando te ne liberi, mi piacerebbe farci un giro.- disse il suo interlocutore leccandosi il labbro superiore, suscitando in me un disgusto che mai dimenticherò e facendomi quasi scoppiare a piangere dalla rabbia per le parole dette.

Fu una frazione di secondo: Ran gli tirò un pugno secco al centro della faccia, facendolo sanguinare. Hanma era a terra, con un'aria divertita nonostante il naso probabilmente fratturato.

-Ti conviene chiudere il becco e sciacquarti la bocca prima di parlare di Reiko, chiaro?! Ora vattene e torna strisciando nel buco da cui sei venuto.-

Il ragazzo, tuttavia, non sembrava avesse intenzione di mollare la presa e si eresse in tutta la sua statura, ridendo mentre il sangue scorreva sul suo volto sporcando la giacca immacolata.

La situazione stava prendendo una piega sgradevole, finché, con mia grande sorpresa, dietro ai due contendenti vidi Rindou avvicinarsi per poi afferrare Hanma per il braccio e rivolgersi a lui: -Hanma, vedi di levarti di torno. Se provochi ancora mio fratello, non mi farò scrupoli a dargli manforte e spaccarti i legamenti.-

-Oh oh oh, questa è buona. I due Haitani che accorrono in difesa dell'amichetta che si passano a turno!-

Ringraziai mentalmente il fatto che, in quel momento, le sirene della polizia si stessero facendo sempre più forti, ponendo fine al diverbio e spingendo quel ragazzo ad andarsene.

-Peccato, mi sarebbe piaciuto fermarmi un po' di più a chiacchierare. Arrivederci, Reiko-chan!-

Io sbiancai e mi pietrificai sul posto, mentre i due fratelli rimasero sulla difensiva ancora per un minuto buono. Solo quando Hanma si era definitivamente allontanato, Ran disse al biondo: -Torna a casa Rin, l'accompagno e ti raggiungo più tardi.-

Il minore se ne andò ed io e il fratello più grande rimanemmo soli.

-Vieni, ti porto a casa.- e mi prese sottobraccio, senza lasciarmi, per tutto il tragitto.

*

-Non hai mangiato molto.-

-Va bene così, non ti preoccupare.-

Una volta rientrata, Ran ha preferito rimanere almeno per pranzo a farmi compagnia, turbato da quanto ho dovuto vedere. Mia mamma mi aveva fatto trovare una porzione abbondante di carne e verdure nel frigorifero, che avevo offerto anche al ragazzo. Tuttavia, il mio stomaco era chiuso e mandare giù pochi bocconi era stato abbastanza difficile.

-Non devi preoccuparti. Hanma attacca briga per il puro gusto di fare a botte, ma te l'ho già detto: nessuno si mette contro i fratelli Haitani, né, tanto meno, ci riprova dopo aver compiuto l'errore di farlo.-

-Aspetta!- lo interruppi, cogliendolo di sorpresa e afferrando la mano con cui aveva sferrato il pugno circa un'ora prima.

-Non è niente.-

-Non è "niente"! Hai le nocche sbucciate! Vieni, te le sistemo io.-

Lo costrinsi ad alzarsi e lo portai in bagno, nonostante continuasse a lamentarsi e borbottare sotto voce. Presi il piccolo kit di primo soccorso che tenevamo in casa per le emergenze e ne estrassi una boccetta di disinfettante, delle garze e dei cerotti.

-Potrebbe bruciarti un pochino...- gli dissi, mentre gli ripulii la mano facendogli stringere i denti. Nonostante avesse il dorso coperto di sangue sia fresco che seccato, la pelle della sua mano era liscia e morbida al tatto, fatto salvo qualche piccolo callo appena percettibile sul palmo.

Dopodiché, presi le bende, avvolsi le nocche e chiusi la fasciatura con un cerotto. Il mio "paziente" iniziò ad aprire e chiudere la mano, per testare l'eventuale scomodità della mia medicazione.

-Grazie, anche se non era necessario.-

Tornammo in sala e si avviò, con mia sorpresa, verso l'ingresso.

-Forse è meglio che vada, Rindou mi starà aspettando a casa.-

Non risposi subito, ma appena lo vidi in procinto di rimettersi le scarpe lo fermai.

-Puoi fermarti qui ancora un po', per favore?-

-Non mi sembra il caso. E se i tuoi dovessero tornare? Come gli spiegheresti la mia presenza qui?-

-Sono al lavoro per ancora quattro ore. Ti prego, resta qui. Non voglio stare in casa da sola oggi.- gli risposi abbassando lo sguardo e guardando il pavimento, leggermente in imbarazzo per la mia stessa richiesta che poteva sembrare quasi infantile.

Mi rivolse un lieve sorriso, per poi fare dietro front. Rimase fino alle cinque del pomeriggio, un'ora prima del rientro dei miei genitori a casa. Non è stato chissà cosa: gli ho fatto vedere la mia stanza, dove si è soffermato a guardare i numerosi tomi di arte sugli scaffali e le mie fotografie sulla scrivania, abbiamo bevuto una tazza di thè e, per la maggior parte del tempo, si è seduto accanto a me e mi ha guardata studiare.

Al momento del congedo, fece qualcosa di inaspettato, tanto per me quanto probabilmente per lui: mi abbracciò, appoggiando il mento sulla mia testa e sussurrandomi queste parole: -Dimentica quello che ti ha detto Hanma: non una sola parola di quello che ha detto su di te è lontanamente vicino alla realtà. Ci vediamo martedì, tu aspettami in classe.-

Prima che potessi anche solo ringraziarlo, se ne andò, lasciandomi sola sull'uscio della porta, ma con il tepore delle sue braccia che ancora mi avvolgeva.

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