In nome del sangue, in nome d...

Galing kay kiralalucedelsole

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Higit pa

. 1 . Vecchie cicatrici e nuove ferite
. 3 . Punta d' ago e balsamo guaritore
. 4 . Dal passato nuovi fantasmi
. 5 . Sera di lucciole e mattino d'argento
. 6 . Indecenti proposte
.7 . Un patto col diavolo
. 8 . Confronti
. 9 . Il velo caduto
. 10 . Grandi speranze
. 11 . Promesse.
. 12 . Terra e acqua, muschio e sale
. 13 . Un passo indietro
. 14 . Preludio
. 15 . Miele
. 16 . Rivelarsi
. 17 . Il diavolo e l'acqua santa
. 18 . Come fratelli
. 19 . Prima di partire
. 20 . Il fiume dell'ira
. 21 . Sulla strada di casa
. 22 . Nessuno tranne una
. 23 . Incubi e sogni di un prigioniero
. 24 . La mano del gigante
. 25. Ad un passo dalla libertà
. 26 . Il prezzo della libertà
. 27 . Un nuovo giorno
. 28 . Una effimera tregua
. 29 . 7° 24' 25''
. 30 . L'esca
. 31 . Quando viene il buio
. 32 . Giochi di potere
. 33 . A casa prima dell'uragano (parte prima)
. 33 . A casa prima dell'uragano (parte seconda)
. 34 . Storia di un duello
. 35 . Tutto il mondo brucia
. 36 . Di piani, di fughe e di abbandoni
. 37 . Oltremare
. 38 . Qualunque cosa accada
. 39 . Lupi e agnelli, falchi e colombe
. 40 . Odi et amo
. 41 . Desiderio
. 42 . Il passato alle spalle
. 43 . L'ultimo conto da pagare
AVVISO
. 44 . Di culle, di baci e di bocciuoli di rose

. 2 . La verità

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Galing kay kiralalucedelsole

. 2 . La verità

- Eìos, amico ... - lo salutò con slancio Miran, avvicinandosi dal fondo della corte.

Ariela tremò nel sentirne la voce, mentre gli occhi invadenti dello sconosciuto rimanevano ancorati ai propri.

Dunque, si conoscevano.

Un groppo le dilaniò la trachea, una inquietudine finissima la destabilizzò e le labbra, mute, recitarono una preghiera, come una bimba al suo angelo custode prima di consegnarsi al sonno.

- Sono anni, amico mio, che non mi compiaccio della tua presenza nella mia casa ... - continuò, rivelando una conoscenza vecchia e consolidata.

- Io sono sempre stato qui! - gli rispose Eìos, scostante.

- E' vero ... - lo assecondò, l'altro con garbo, evidentemente avvezzo al suo carattere ispido. - Ma conosci mia madre e le sue velleità ... Ha preteso che conducessi i miei studi nella capitale: solo le migliori scuole del regno per il degno erede di mio padre! - giustificò la sua assenza.

Eìos trasalì nell'udire quelle parole, le dita ruvide sbiancarono, provate dallo sforzo, per la stretta sull'elsa del pugnale che portava al fianco, ed il viso si sporcò di una smorfia indefinibile per il suo interlocutore .

- Vi siete già conosciuti? - chiese poi Miran, rivolgendosi ad entrambi.

- Sì. - rispose, continuando a guardarla, mentre Ariela annuiva solamente, interdetta dalla scoperta della loro amicizia.

- Ma, ti prego, accompagnami in casa: è mio desiderio che tu conosca anche la mia sposa. - lo invitò.

Nell'attimo prima di abbandonare quelli di Ariela, un malsano intento si palesò negli occhi di Eìos, fumo denso a coprire una fonte di luce; seguì Miran, che gli faceva strada, procedendo verso l'interno della dimora, rivolgendole la schiena dritta del soldato alla guerra.

Ariela li seguì, veloce più di quanto le sue gambe tremolanti potessero fare, con il cervello alla ricerca dell'eventuale rimedio da adottare per impedire a quell'uomo di ripetere le offese.

Sebbene non le ritenesse che ingiurie infamanti, temeva che sull'onore di Miran sarebbero franate come un costone di roccia eroso dalla pioggia, un'onta estinguibile solo col sangue. Il pensiero di uno scontro mortale tra i due le attorcigliò le viscere e le strinse il respiro.
Pregò ancora la Vergine che quel folle tenesse in corpo le parole che poco prima l'avevano oltraggiata, mentre involontariamente, nel frastuono del suo petto in subbuglio, un piccolo, sedizioso dubbio si espandeva come una macchia d'olio.

Giunsero nella sala padronale, dove la ricchezza della casata di Miran, traspariva da ogni arredo: cesellati argenti ornavano mobili di fattura e legni pregiati; le pareti erano arricchite con affreschi dai colori densi ed armoniosi e broccati finissimi tappezzavano ampi divani.

Uno di questi, posto al centro della grande stanza, ospitava tre donne.

Le due più avanti negli anni ricamavano sapientemente teli di mussola bianca, mentre la più giovane, setosa pelle olivastra e capelli scuri raccolti sulla nuca, agitava pigramente un ventaglio, più per scacciare la noia, che per rinfrescarsi dall'aria tiepida del pomeriggio.

- Signore ... - richiamò la loro attenzione il giovane, distogliendole dalle loro occupazioni. - La nostra casa accoglie un ospite inatteso. Questo gentiluomo è Eìos. Madre, ricordate il protetto del dottor Elmisk? - chiese, rivolgendosi alla donna che gli sedeva di fronte.

Era piuttosto bella, nonostante il viso fosse già intaccato dagli anni, aveva carnagione ed occhi chiari, come Miran, ed il suo fisico era asciutto e discreto, anche se sacrificato in un abito da lutto che non le rendeva giustizia.

La donna fissò Eìos, qualche istante, fredda come la galaverna, e così fece pure l'altra, che le sedeva accanto, e che sembrò trasalire dinnanzi agli occhi induriti e distanti dell'uomo, finché un tonfo sordo sul tappeto di seta, che ricopriva il pavimento, catturò l'attenzione di tutti i presenti.

Nubia era riversa al suolo, gli occhi serrati, la bocca leggermente schiusa ed un pallore innaturale diffuso sul volto.

Miran le si precipitò accanto, sollevandole il capo molle, mentre l'altra donna, la madre di lei, visibilmente spaventata, si stringeva le mani al petto, invocando tutti gli angeli del cielo.

Eìos abbozzò un sorriso divertito e, rivolgendo gli occhi soddisfatti ad Ariela, la guardò sicuro, come l'imputato che dimostra l'infondatezza dell'accusa che grava sul suo capo.

La giovane rimase immobile, incatenata agli occhi di lui, stravolta e spaurita, mentre gli altri si affrettavano a portare la sorella nelle sue stanze.

Solo la madre di Miran rimase un altro istante a fissare la figura di Eìos, che rimaneva fermo, le braccia incrociate sul petto, il portamento fiero ed arrogante ed il sorriso divertito. Per un minuto lungo un'eternità, ella sprofondò nel ricordo sopito di un altro uomo con gli stessi occhi prepotenti, il medesimo sorriso tagliente, la stessa sfacciata consapevolezza di sé: il suo sposo.

Lasciò la stanza senza un accento, seguendo il codazzo dei parenti e della cameriera che si affrettava a raggiungerli, agitando i sali.

Appena furono soli, Ariela tagliò il silenzio, che aveva legato i loro occhi fino a quel momento, e lo aggredì con tutta la sua piccola forza disperata.

- Avete ottenuto ciò che vi eravate prefissato ... andate via, ve ne prego! - lo supplicò in un richiesta accorata, le mani giunte al petto, quasi fosse una preghiera.

- Quello che volevo, dite? - chiese, ironico.

- Avete portato scompiglio in questa dimora ... - spiegò.

Eìos scosse il capo, con un sorriso dissacrante, sciolse le braccia che gli coprivano il petto e si avvicinò a lei.

- Dunque, mi credete ora? - le domandò sorridendo, soddisfatto.

- Non ho detto questo! Siete un folle e ciò è sufficiente per temere che la vostra presenza in questa casa possa portare solo dolore. -

- Ho appena iniziato ... - minacciò.

- E' il danaro, forse, che vi anima con tale viltà? - insinuò, facendosi forte di un coraggio che non possedeva.

- Il danaro? - finse di riflettere, quasi fosse un invito così allettante da indurlo a cedere.

Lo aborriva, invece, detestava l'influenza malefica che esso esercitava sulla maggior parte degli uomini: li rendeva aridi ed egoisti; prevaricatori e superficiali, lupi famelici in mezzo ai lupi. Disprezzava coloro che ne facevano un'arma; che compravano e vendevano la propria anima e quella degli altri, come spezie pregiate al mercato.

Ariela, di contro, era di un mondo in cui il denaro era il letto placido su cui la casta giaceva; il potere che permetteva ad essa di vivere, incurante, sulle miserie altrui. Non si stupì, Eìos, di quel tentativo di barattare il proprio silenzio con ciò che, per quelli come lei, valeva più delle anime.

Eppure, ella lo aveva fatto con tale candore disperato, come se ingenuamente, davvero lo credesse l'unico strumento, che Eìos ne fu intenerito, un vecchio davanti all'ingenuità di una bambina.

- Se è questo ciò cui agognate ... io ... io potrei offrirvi una somma cospicua ... - sussurrò, la voce decisa tra le labbra tremanti.

Eìos sorrise, scuotendo il capo in un diniego: - E credete che il vostro danaro potrebbe soddisfare la mia sete? Siete una bambina ingenua ... - la schernì.

- Cosa, allora? Sono pronta ad ogni richiesta ... in cambio del vostro silenzio. - insistette, senza pesare le parole.

- Abbiate più giudizio, signora: mercanteggiare con una simile feccia ... - si indicò, - ... non è affare per vergini sprovvedute! - sorrise di nuovo, sfacciato ed insolente, riducendo ancora l'aria che li separava. - Ho perso una donna, un'amante ... Potrei acquietarmi solo con una "mercanzia" di egual valore! - la provocò, vicinissimo, sfiorandole, con l'indice, la guancia di porpora.

La guardò, inspiegabilmente attratto; il verde degli occhi si incupì e la pupilla si dilatò, come quella di un gatto nel buio, alla ricerca di qualcosa.

Se avesse dovuto spiegare cosa fosse quel richiamo che sentiva attirarlo a lei, non ne sarebbe stato capace. Quella donna gli rimescolava i sentimenti, in un battito di ciglia: il disprezzo diveniva desiderio; la rabbia si tramutava in ricerca affannosa del contatto.

Non era, certo, una di quelle pulsioni che infiammano i lombi, Ariela era come gli aghi di brina sulle foglie nuove: troppo distaccata e fredda, seppure splendente, per generare una tale incendio.

Né era infatuazione amorosa: di lei sapeva soltanto che apparteneva al mondo che disprezzava, falso e decadente, dal quale il fato lo aveva mirabilmente preservato.

Ciò che però, Eìos non sapeva ancora, è che il fuoco più devastante nasce dalla piccola scintilla, che la fiamma di una candela è sufficiente a consumare, col suo fuoco lento, anche il ramo più nodoso.

- Mi state mancando di rispetto ... - si difese la giovane, sottraendo la pelle al suo tocco insolente.

- Eìos, Ariela ... - li sorprese Miran, ritornando nella grande sala.

In un istante soltanto il corpo di Eìos si ritrasse da quello di lei, la risacca sulla battigia, ed ella inaridita, si riscosse tornando in sé.

- Come ... si sente mia sorella? - si impegnò a chiedere, ancora instabile, chinando il viso, per nascondere l'evidente imbarazzo.

- Si è ripresa, forse l'affanno della cerimonia, la preparazione delle nozze ... - azzardò l'uomo, avvicinandosi. - Ti ringrazio di aver intrattenuto Eìos ... - le disse con garbo. - Vieni. - lo invitò, con un gesto della mano, - Ho in animo di parlarti, amico mio. - concluse, facendogli strada verso il suo studio.

- Permettete, signora. - si congedò Eìos, freddo e distante, quasi il contatto di pochi istanti prima non si fosse mai palesato.

********

Ariela, rimasta sola, si decise a raggiungere il piano nobile, dove erano distribuite le camere padronali.

Non le era sfuggito lo sguardo sorpreso e stravolto che Nubia aveva rivolto ad Eìos, prima di perdere i sensi.

Non le era apparso come quello che si riserva ad uno sconosciuto e questo l'aveva insospettita: anche se, per quanto una loro conoscenza fosse possibile, anche se sconveniente, non avrebbe mai dubitato della condotta di sua sorella.

Erano cresciute nella stessa casa, allevate con gli stessi precetti morali e cristiani, e sebbene Nubia possedesse un carattere più aperto ed affabile, sebbene la sua bellezza fosse più prorompente, Ariela era certa che mai potesse dedicare attenzioni ad altri uomini all'infuori del suo promesso.

Era vero, però, che Nubia, fin da giovinetta, aveva curato più il proprio aspetto, che la propria anima. Trascorreva interminabili ore a scegliere le stoffe ed i colori che meglio si accompagnavano alla sua carnagione; accudiva, ogni giorno, la propria pelle con impacchi delicati alla pesca e bagni di latte; curava le mani affusolate e arricciava i capelli, che lasciava scorrere morbidi in sottili boccoli ai lati del viso. Ciò che più aveva a cuore era ammaliare, suscitare ammirazione in chi la guardava, soddisfare la propria vanità, una dea confusa tra gli uomini.

Questo comportamento, agli occhi più severi e morigerati di Ariela, appariva come superficiale e frivolo. Ella aveva sempre badato di più alla propria istruzione, che all'aspetto del corpo, sebbene, nel mondo in cui viveva, la cultura fosse un bene riservato solo agli uomini. Detestava l'idea di imbellettarsi per conquistare un eventuale pretendente; di tenere per sé opinioni e pensieri per compiacerlo; di apparire muta e accondiscendente, più come una serva obbediente, che una sposa.

Per cosa poi? Per tenere un uomo legato alle proprie sottane, per ignorare tradimenti e bugie, per preservare l'onore e la rispettabilità agli occhi del mondo?

Era grata alla vita per averla fatta nascere seconda, in una famiglia con un buon nome, ma pochi mezzi per dare ad entrambe una dote; meno bella e affascinante; meno appetibile per quegli uomini che solo questo cercavano in una donna: un unione di ricchezze e buon nome, più che un legame di anime.

Rimuginava su quegli aggrovigliati pensieri, per scacciare dalla mente il ragionevole dubbio che le parole di Eìos non fossero assurde ed infamanti menzogne, quando raggiunse la stanza della sorella.

Nubia se ne stava sdraiata sul letto, immersa tra le lenzuola candide finemente ricamate, la camicia da notte che le fasciava le forme generose dei seni, la pelle delle spalle scoperta ed un'espressione pensierosa e persa.

- Perché hai perduto i sensi? - l'aggredì, attanagliata dal dubbio.

- Sei gentile, Ariela, a curarti della mia salute! - la schernì, altezzosa.

- Sai chi è quell'uomo? - insistette, senza dare alcun peso alle parole di Nubia.

- Quale uomo? - finse, coprendo la bocca con una mano, per nascondere un annoiato sbadiglio.

- E' stato il tuo amante? Rispondi, Nubia ... - le intimò, vicina alla sponda del letto, stringendo le piccole mani lungo i fianchi.

- Non essere sciocca ... - la liquidò, con un gesto della mano, come si farebbe con una mosca fastidiosa.

- Lo ha detto lui ... ed io l'ho visto uscire dalla tua camera una notte ... - mentì, sperando di coglierla in fallo.

- Menti: non sono stata così sciocca da incontrarlo nella mia stanza. - si tradì, - E comunque nessuno ti crederebbe ... - sorrise, sicura.

- Come hai potuto ... Eri promessa ... tu eri promessa, come hai potuto concederti, prima del matrimonio, ad un uomo che non sarebbe stato il tuo sposo? -

Nubia la guardò vacua, come se le parole della sorella fossero di poco valore.

- Non puoi provarlo, ti ho detto ... - le ricordò, con una superficialità che indispettì Ariela.

- Io no, certo, ma quell'uomo ... E' con Miran, adesso, nel suo studio. Tu che li conosci entrambi ... di cosa pensi discorreranno? Del prossimo raccolto o del prezzo dell'olio nuovo? - chiese retorica.

Nubia impallidì, come se solo in quell'istante si fosse resa conto del possibile pericolo. Si sollevò, mettendosi a sedere, stringendo tra le mani nervosamente i lembi delle lenzuola.

In quel preciso istante la loro madre fece capolino, nella stanza, schiudendo la porta.

- Il Signore sia lodato! - esclamò, sollevata, - Hai ripreso colore, figlia mia ... - si accertò, avvicinandosi al letto e sedendole accanto.

- Madre ... - la chiamò Ariela, intenzionata a raccontarle ciò di cui ormai era certa.

Nubia la guardò supplicandola, con gli occhi soltanto, di tacere ed Ariela si lasciò impietosire, liberando la stoffa del suo abito, tormentata dalle dita nervose.

- Sì? - le si rivolse, con un sorriso la donna.

- Nulla, madre ... - la rassicurò, - Scendo nelle cucine, a chiedere che preparino un infuso di tiglio e miele per Nubia. -

Lasciò la madre e la sorella sole in quella stanza, portando con se quell'ingombrante segreto, come un carico pesante sopra le spalle sottili, mentre nel cuore spossato, sgranava le poste del Rosario, sperando che la Vergine Celeste, posasse la mano sul cuore di quell'uomo che tutto sembrava tranne disposto a dimenticare.

*********************************

Un saluto a tutti!

Questa è la mia prima storia originale; l'avevo in mente da un po', così ho provato a scriverla.

Non è un racconto che può definirsi propriamente storico,

poiché non ci sono riferimenti precisi all'epoca o ai luoghi in cui si svolge.

E' solo una storia d'amore che si dipana in un passato lontano in cui
il nome, il denaro sono le fondamenta di una società dominata da pochi.

Spero vi abbia incuriosito e che continuiate a leggerla.

Ringrazio
coloro che si sono fermati a leggere.

Spero vogliate farmi sapere cosa ne pensate!

Alla Prossima!

Ipagpatuloy ang Pagbabasa

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