La Cattedrale di Millennio

By CactusdiFuoco

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[STORIA COMPLETA] Se in un antico e incantato paesino pagano, pieno di streghe, all'improvviso arrivasse un p... More

Prologo
PARTE 1 - Il prete
1. Un paese di matti
2. Un paese non troppo male
3. Un paese in pericolo
4. Un paese con lupi mannari
5. Un paese con omicidio
6. Un paese di cui... non ricordo bene?
7. Un paese con giocatori d'azzardo
8. Un paese che assiste a una sfida
9. Un paese che non spegne i fuochi
10. Un paese che cade nei tranelli
PARTE 2 - Il Diavolo
11. Una cattedrale con un licantropo dentro
12. Una cattedrale in cui andremo dopo
13. Una cattedrale che guarda case in fiamme
14. Una cattedrale con antiche regole
15. Una cattedrale in cui sboccia l'amore
16. Una cattedrale in cui... ma avrà da bere, il prete?
17. Una cattedrale con sparatoria
18. Una cattedrale che ti porta all'Inferno
19. Una tazza di té
20. La fede spezzata di un prete
21. La parola di Gesù
22. Don Lorenzo prende peso
23. La magia della cucina
-

Epilogo

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By CactusdiFuoco

Cinquecento candele erano accese nel buio. Cinquecento, bianche come ali di colomba, con fiamme dorate che danzavano ognuna con uno schema proprio e discordante, alzandosi e tremolando, abbassandosi e gettando ombre che parevano vive sulle pareti e sul pavimento marmoreo della cattedrale.

Il vecchio Dante aveva borbottato che cinquecento candele erano troppe, che ai suoi tempi non si sarebbe mai sprecata così tanta cera, ma lui aveva sempre da borbottare su tutto e così nessuno lo aveva ascoltato. Anche l'ultima volta, un anno prima, lui aveva avuto da ridire sul numero di candele. E anche l'ultima volta, nessuno lo aveva ascoltato.

«Oh, stai zitto» Gli aveva sussurrato la signora Gina, aggiustandosi il cappellino fiorato «Se persino il prete non ha niente da protestare, tu ti devi stare zitto».

Il vecchio Dante si era stretto al petto il gatto Aiolos e non aveva detto niente.

In prima fila, seduto composto, c'era don Lorenzo Impastato, con la tunica da sacerdote indosso e una corona di fiori intrecciati posti sul capo. Non aveva più capelli cortissimi, a spazzola, ma un codino stretto dietro la testa con un elastico dorato. Sul suo grembo riposava un gatto senza peli, con i grandi occhi chiusi, respirando lentamente: era Topino, con il suo nuovo collare a cui portava appeso un minuscolo crocefisso d'argento.

Un corteo di donne incappucciate iniziò a sfilare nella navata centrale per raggiungere l'altare, ognuna con in mano un robusto cero accesso, e mentre camminavano cantavano sommessamente; quando si dispose intorno al grande altare, il suo canto si levò più sonoro e rapido.

Una delle donne incappucciate allargò le braccia e parlò con voce così imperiosa da superare il canto del coro e l'urlo del vento che avvolgeva l'esterno della chiesa come una barriera fischiante.

«Sorelle e fratelli» Disse «Umani, fae e spiriti, io chiamo l'apertura del cerchio per voi!».

Le fiamme si levarono tutte di qualche centimetro e bastò questo perché l'interno della chiesa sembrasse ora quasi illuminato a giorno e molto, molto, più caldo e sicuro.

«Prima di continuare, è bene interrogare ancora una volta la Grande Magia» Seguitò a dire l'autoritaria donna incappucciata «Per sapere se il momento è propizio per ottenere ciò che cerchiamo...».

Un grande silenzio scese nella chiesa.

Niente porte che si aprivano, questa volta. Anche il vento tacque, come se fosse pronto ad ascoltare quella risposta, tendendo un invisibile orecchio.

La donna autoritaria si tolse il cappuccio: era ovviamente Renata. La cicatrice della bruciatura sul suo volto era ormai solo un velo sottile e bianco, difficile da vedere alla luce delle candele.

«Grande Madre, signora del grano e del vino, concedimi di guardare per una volta la Grande Magia! Grande Madre, an té a dhéanann na séasúir a leanúint, taispeáin dom cinniúint na talún seo taobh istigh de do veins ollmhóra, ag tabhairt cumhachta dom ar an toirt an todhchaí a fheiceáil, a Mháthair Mhóir!».

Dalle punte delle fiamme delle candele si levarono pennacchi di fumo denso e multicolore, che sembravano quasi disegni ad acquerello freschi, patine sparse con un pennello morbido e ancora umide che si contorcevano mentre raggiungevano il soffitto della cattedrale e si addensavano, intrecciandosi, allacciandosi tra loro, formando le sagome di mani, di bocche, di dorsi, di fauci canine e corna di capre, di volti umani appena abbozzati. Le sagome rifluirono le une nelle altre, si toccarono e si intrecciarono, compenetrandosi, e divennero un gigantesco volto femminile dal naso adunco, la testa coronata di erbe, di foglie, di frutti che mutavano, si ingrossavano, maturavano e appassivano, di fiori che si muovevano come tentacoli di un polpo.

«Parla, strega anziana: formula la tua domanda» Disse il volto, con una voce composta, fatta di molti strati, di molti toni, di uno scampanio argentino e di una profondità di tomba.

Tutte le streghe rabbrividirono, in un moto che era insieme di gioia e di paura. Non accadeva spesso che si potesse vedere un'emanazione così chiara del volto della Dea, per giunta nella sua incarnazione da oracolo, la forma con cui la Grande Magia stessa parlava. Era bellissima e terribile, inquietante e delicata.

Tutti i gatti presenti nella sala iniziarono a fare le fusa contemporaneamente. Ci sono due possibili motivi per cui un gatto fa le fusa: la felicità e il dolore. Non sono in molti a sapere che un gatto malato, talvolta in fin di vita, emette quel peculiare suono che fa vibrare come un motorino la sua laringe, per tranquillizzare sé stesso, come se dicesse «Io non ho paura, andrà tutto bene, tutto bene come quando mamma gatta mi leccava il pelo generosamente, con la sua lingua calda e gentile. Tutto bene, perché dalla Dea io vengo e, se dovesse andare male, alla Dea ritornerò, nel suo grembo caldo, prima di rinascere».

E quei gatti, perché facevano le fusa? Era gioia o era dolore, amore o paura? Forse era tutto insieme.

Topino si era svegliato e fissava il tetto, dove l'enorme volto cangiante attendeva, con occhi spalancati.

«Hai paura?» Gli sussurrò Don Lorenzo, sfiorandogli amorevolmente la schiena, in corrispondenza della spina dorsale.

Il gatto non si mosse, solo le sue narici si dilatavano e restringevano, quasi impercettibilmente, e la coda rigida pareva un serpente pronto a scattare.

«Ho una domanda per te, Grande Magia» Disse Renata, aprendo le braccia «Benediresti l'unione mia e di quest'uomo, Lorenzo Impastato, in un matrimonio sacro?».

Il grande volto parve pensieroso, mentre fili di una nebbia violacea vorticavano intorno alle sue narici e alla sua bocca, come il vapore sulle labbra di un drago.

«No» Disse infine

«Sarà come tu vuoi, allora» Renata chinò il capo, con deferenza «Questa unione non verrà benedetta».

Don Lorenzo sentì il cuore che gli sprofondava quasi fin giù allo stomaco. Renata ci aveva tenuto molto, prima di sposarlo, a conoscere il parere della Grande Magia, per evitare di fare un errore madornale che (secondo lei) avrebbe potuto segnare l'inizio del declino dell'intera comunità magica, così aveva deciso che durante il più importante evento divinatorio dell'anno avrebbe chiesto il permesso di ottenere una celebrazione sacra.

Lorenzo aveva voluto credere che la Grande Magia potesse essere magnanima e concedergli la mano di Renata, ora che lui aveva aperto la sua mente e il suo cuore all'amore verso ciò che era diverso. Si era sbagliato.

«Ora che a questa domanda è stata data risposta, io chiedo...» Continuò Renata, in tono fermo, come se non avesse provato alcuna delusione «... Ci sono altri pericoli che incombono su Millennio? Altri esseri che dobbiamo combattere, in questo anno venturo?»

«I pericoli vi saranno sempre, strega anziana, ma sono a dir la verità assai piccoli» rispose l'enorme volto, mentre fiori di gelsomino sbocciavano fra i suoi capelli «Nulla che abbia poteri superiori ai tuoi o a quelli della più giovane delle mie figlie presenti in questa stanza».

Ninetta, di anni sei, si impettì tutta e sorrise mostrando la finestrella vuota degli incisivi mancanti: era lei la strega più giovane della chiesa e sapeva di essere assolutamente promettente. Sulla sua spalla stava appollaiata una civetta nana, che sua zia le aveva portato dalla Russia, e che aveva già scelto di diventare il suo famiglio.

«Il Diavolo stesso» Continuò la voce, invadendo con ancora più forza la cattedrale, come una maestosa cascata «Non sarà più un problema per la comunità, chiunque sarà ad essere scelto come prossimo successore. Io vedo attraverso le concatenazioni di eventi, attraverso i cristalli di ghiaccio come fossero lenti per vedere il futuro di questo mondo, e quest'anno prevedo calma, gioia, amore per tutti voi»

«Grazie per il tuo aiuto e per le tue parole» Renata chinò nuovamente la testa, poi sollevò il mento, fiera «Sciolgo il cerchio. Potete andare, spiriti e fae, potete disperdervi nel vento: non necessito più, per adesso, del vostro aiuto. Potete andare, figli del mondo, e io benedico il vostro passo, il vostro volo, il vostro nuoto. Andate, disperdetevi, gioite della vita che vi è stata data, della Grande Magia che con me e con voi ha parlato. Siamo benedetti, figli del mondo, siamo benedetti, per questo non temo nulla e sciolgo il cerchio».

Mentre parlava, la strega muoveva le mani lentamente, solennemente, creando figure precise nell'aria. La figura del volto sul tetto si sciolse, le fiamme delle candele si abbassarono, e la cattedrale si svuotò di quella sensazione insieme opprimente ed esaltante che l'aveva permeata. La Grande Magia se n'era andata, lasciando lo spazio alle piccole magie di tutti i giorni, agli incantesimi comuni che scandivano le vite di Millennio. I gatti smisero di fare le fusa e si quietarono. Topino chiuse gli occhi.

«Renata... Renata, io...» Disse Don Lorenzo, sussurrando. Non aveva il coraggio di alzarsi, dopo quello che aveva visto, e anche se l'avesse avuto non avrebbe osato.

La strega anziana gli si avvicinò, gli sfiorò il volto con le dita, poi si chinò a toccargli il naso con il proprio.

«Questa è una lezione per te, amore mio» Gli disse, piano

«La sto imparando. È dura, ma la sto imparando» rispose lui, chiudendo gli occhi «Non si può avere tutto, non è così?»
«Non hai imparato la lezione» rise lei «Non ancora. Ti sei già arreso, prima di ascoltare il mondo, non è vero?»

«Io... non so... quindi, questa lezione?»

«Non tutto deve essere sacro, Lorenzino. Non tutto deve essere benedetto. La Grande Magia ha visto il futuro di questa comunità, sa che non ci accadrò nulla di male»

«E allora?»

«Se ha visto il futuro di questa comunità, sa che ti sposerò»

«Non benedirà la nostra unione»

«C'è sempre il rito civile, Lorenzino. Questa è la tua lezione: non tutto deve essere benedetto».

Il prete sentì lo stomaco che gli si stringeva tanto quanto il cuore. Era amore, quello? Sì, senza ombra di dubbio. Dopo un anno ne era sicuro. Le candele gli parvero brillare come migliaia di soli, penetrando anche attraverso le sue palpebre chiuse, e la gola gli si strinse in un groppo. Stava per piangere, ma si frenò con la pura forza di volontà.

«Mi sposerai?» Domandò

«Ti sposerò» rispose lei «Questa notte stessa, Lorenzo. E balleremo, Lorenzo, berremo il vino, faremo l'amore. Lascia che venga la mezzanotte»

«La mezzanotte».

La sua dimissione dallo stato clericale sarebbe entrata in vigore solo il giorno successivo. "Tra poche ore" Pensò lui, fremendo.

Non avrebbe più avuto la dignità e i compiti ecclesiastici, non avrebbe più potuto insegnare discipline teologiche, officiare la messa, dirigere nulla in ambito pastorale... ma avrebbe potuto sposarsi. E non avrebbe più dovuto obbedire a quello spocchioso, prepotente, malvagio vescovo.

Chi se ne importava di portare la parola di Cristo, parola d'amore, quando l'amore avrebbe potuto dimostrarlo e averlo?

I presenti erano venuti per vedere la predizione per l'anno nuovo, l'evocazione della Grande Magia, ma anche per partecipare al suo matrimonio. Le vecchiette avevano abiti colorati, cappelli intrecciati di fiori di serra, bracciali d'oro e d'argento, le ragazzine indossavano abiti alla moda o tailleur decorati da delicati disegni di fiori, i pochi uomini portavano pesanti giacche, cappelli con spille, anelli con pietre preziose, e persino i famigli avevano collari da festa, ingioiellati.

«Quindi?» Domandò il vecchio Dante, dal fondo della chiesa «Lo sposerai lo stesso, Renata? Meglio di no, giusto?».

La strega anziana raddrizzò la schiena e guardò tutti, muovendo lentamente lo sguardo. Tutti guardarono lei indietro, alla ricerca di una risposta: cosa avrebbero dovuto fare adesso, tornare a casa? Rinunciare al banchetto, alle danze? Rimettersi i pigiami e tornare semplicemente a dormire, quando avevano auspicato una notte di sfrenati festeggiamenti?

«Non essere ridicolo, Dante» Disse Renata, con un sorriso sbilenco che mascherava la gioia con ironia «La Grande Magia non ha benedetto la nostra unione e posso comprenderne il perché: Lorenzo è ancora un prete, legato ad una chiesa diversa. Non ha abbandonato Cristo e forse non lo farà mai, perché ha accettato nel suo cuore quello che crede un insegnamento d'amore, perciò sarebbe sconveniente per lui tanto quanto per noi benedire questa unione come se fosse quella fra due streghe. Ma l'amore fa quello che vuole, se ne infischia degli idoli e delle magie, della storia e del pregiudizio: è più grande, più complesso di quello che potremo mai comprendere. L'amore fa quello che vuole, perciò... rito civile. Abbiamo già compilato tutto, resta solo la parte finale».

Risa e versi di giubilo si levarono dalla folla. Renata sorrise, stringendosi nelle spalle.

«Eh, e poi guardate un po', sono anche la sindaca di Millennio... avrò diritto di sposare il mio boy toy?».

Don Lorenzo rise a bocca aperta, apertamente, con il petto che sussultava. Sarebbe stato un "Don" solo per poco tempo ancora. Guardò l'orologio. Mancavano quindici minuti alla mezzanotte.

Sentiva l'odore delle candele, come se si fosse acuito, come se fosse diventato il profumo più buono del mondo. Il rumore del vento gli carezzava le ossa. I suoi trentasette anni gli parvero diciotto e il mondo gli parve stare per iniziare solo ora, come se non ci fosse ancora niente, tranne il buio, fuori dalla cattedrale e che tutti gli esseri umani della terra fossero lì con lui, ad aspettare che la vita cominciasse.

«Inizia ora, inizia ora» Sussurrò a Topino.

Renata gli venne incontro e lo fece alzare in piedi, tenendolo per mano. Il gatto saltò sulla panca di legno e si scrollò tutto.

Risatine nella sala, qui e lì. Un cellulare che suona (e la suoneria è "Feel Good Inc.", dei Gorillaz), prontamente silenziato.

Il tempo si annienta. Shh, il tempo si annienta.

Streghe che tirano fuori strumenti musicali dalle loro custodie. C'è un violino, una viola, una ghironda, un sintetizzatore, e sono tutti egualmente meravigliosi. Gatti che miagolano. Lo sfrigolio quasi impercettibile delle candele.

E poi Renata che si toglie il mantello nero per svelare il suo abito verde bottiglia e nero, con elaborati ricami dorati.

«Non l'avevo mai visto prima» Fa Don Lorenzo

«Non è una vostra tradizione?» ribatte Renata «Lo sposo non deve vedere l'outfit della sposa prima di entrare in chiesa»
«Cos'è un outfit?».

Risatine sparse. Il suono unico, spiccatamente medievale, allegro, della ghironda.

I capelli di lei sono bianchi come neve, quelle di lui neri come la pietra lavica. Ghiaccio e fuoco. Si tengono le mani, si guardano negli occhi.

«Mancano dieci minuti!» Grida qualcuno «Presto! Qualcuno insulti lo sposo!»

«Hai il naso brutto come mia suocera. Non tipo come il suo naso, ma proprio brutto come mia suocera intera» biascica Dante.

Risate. Anche Don Lorenzo ride: non gliene importa niente, perché se è bello per Renata è come se fosse bello per tutti. Lei è tutto per lui. Tutto.

Lancette di orologio. Ragazzine che ballano in cerchio al suono della ghironda, il violino si unisce al brano. Fanno un pezzetto di Take Me To Church di Hozier, c'è anche una donna che la canta, poi Toxicity dei System of a Down, che fatto con la ghironda è stranissimo, e ragazzini che fanno le percussioni sui banchi.

Si preparano registri, penne, documenti.

Mancano tre minuti. Tutti gli strumenti insieme fanno Love Today, di Mika.

«Questa l'ho già sentita!» Esclama Don Lorenzo «Però non la so cantare. È di coso, di Robbie Williams».

E poi suona la mezzanotte. Il tempo ritorna.

«Bene, non sei più un prete» Disse Renata «Facciamo le cose noiose, qualcuno deve leggere gli articoli del codice civile riguardo ai diritti e doveri reciproci dei coniugi. Poi facciamo quello che vogliamo»
«Davvero?»

«Davvero. Non è noioso come in chiesa. Qui si balla. Ora...» Renata voltò la testa per guardare verso la massa di gente che danzava e cantava «Dante! DANTE! Vieni qui, leggi un po' le formule».

Il vecchio si avvicinò con aria seccata. Un diamante enorme, grande come un uovo di quaglia, luccicava sul suo petto, in una grossa spilla decorata con piume di diversi uccelli.

«Che pizza, sei tu la sindaca» Borbottò «Perché devo farla io questa cosa?»
«Perché non posso celebrare la mia cerimonia, la legge lo proibisce. E perché ti ho pagato in anticipo per farlo»
«Che pizza! Sarebbe stato meglio se tu e l'orrendino, qui, aveste deciso di non sposarvi»

«Non rompere e vai a leggere o ti incenerisco le orecchie»
«Prepotente»
«Bastardo»

«Guardate verso qua, voi due piccioncini! Forza! Sono dietro l'altare, non nel mezzo delle vostre fronti! Eccovi qua, mia Dea, tu avrai ottant'anni e tu quanti? Sedici? Vabbò, cominciamo... sei tu Lorenzo Impastato e tu Renata Cavalcabò?»

«Certo che sì, scemo»

«Ehi, guarda che ci sta proprio scritto nel coso, qua, nel foglio che ve lo devo chiedere! Tu, prete, ti chiami Impastato?»

«Ehm, sì?» fece Lorenzo, come se fosse confuso

«Vabbò. Do lettura degli articoli centoquarantatré, centoquarantaquattro e centoquarantasette del Codice Civile riguardante i dritt... diritti e i doveri dei coniugi che voi siete tenuti ad osservare e rispettare...».

Le candele bruciavano. Lentamente, sottilmente. Meno di un millimetro era consumato quando la lettura degli articoli finì.

«Lorenzo, vuoi tu prendere in moglie Renata?» Domandò il vecchio, con il tono di chi non avrebbe accettato un sì come una buona risposta

«Sì» rispose senza esitare lui, chiedendosi se dovesse aggiungere qualcosa o se avrebbe rovinato tutto

«Renata, vuoi tu prendere in marito Lorenzo?»

«Sì» disse tranquillamente la strega

«I testimoni hanno sentito? Oppure eravate troppo impegnate a farvi le mosse di Gioncena, là sotto?».

La signora Gina e la signora Ofelia, che stavano provando delle semplici mosse di wrestling, si fermarono con aria imbarazzata in mezzo alla navata.

«Abbiamo sentito, Dante» Disse la signora Gina, con un filo di fiatone.

Dante sbuffò dal naso, scuotendo la testa, poi finì di leggere il rito.

«A seguito della risposta affirminat... ehm... affermativa, io, Ufficiale dello Stato Civile del Comune, dichiaro in nome della Legge che siete uniti in matrimonio» Disse, poi si allontanò borbottando e spargendo fogli per tutto il salone.

«Ogni tanto è anche utile» Commentò Renata, compiaciuta

«Ma se ha fatto tutta quella confusione» rise Lorenzo

«E non finisce qui, che alla fine della celebrazione ci sarà da firmare roba. Se n'è andato prima di finire»

«Ah. Quindi non siamo ancora...»

«No, no, lo siamo. Però poi firmiamo»
«Dopo?»
«Dopo»

«E ora...»

«E ora balliamo»

«Non so ballare»

«Ma che vi hanno insegnato a questo catechismo» sospirò Renata, ironica

«Però voglio ballare lo stesso» disse lui, con entusiasmo autentico, quasi pregando «Fammelo fare. Imparerò. Imparerò, davvero»

«Perché credi che ti abbia voluto sposare?»
«Forse lo so. Ma mi spezza il romanticismo, dirlo ad alta voce, e mi sta piacendo tutto troppo per permettere alla tua mancanza di romanticismo di rovinarlo»

«Guarda come sei sicuro di te!» esclamò la strega, poggiando il naso contro quello di suo marito «Sei proprio un sacerdote, lo sai?»
«Non più» rise lui

«E allora, se ti sei spogliato da solo, perché non lasciare che ti spogli anch'io?».

Lui sentì una fitta di piacere così cupo e profondo che gli tremò nei polsi. Aveva la bocca secca.

«Prima però si balla. Prometti» Riuscì a mormorare in risposta

«Perfetto»

«Perfetto».

E, per la prima volta nella vita, Colui-che-fu-Don Lorenzo danzò. Libero. E chi se ne importava se aveva fatto ridere tutti?

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