16. Una cattedrale in cui... ma avrà da bere, il prete?

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Renata si infilò sotto le coperte rosse, nel suo maestoso talamo con la testiera a forma di avvoltoio di bronzo. Era stato suo marito a scegliere che il loro animale protettore del sonno fosse quell'uccello, e esattamente un anno dopo era morto nel cuore della notte. Il pover'uomo si era svegliato di soprassalto quando l'infarto lo aveva colpito, ma non era riuscito a chiamare aiuto ed era rimasto immobile. Lo avevano ritrovato la mattina dopo, con gli occhi spalancati a guardare il nulla come se prima che il suo battito cessasse avesse visto qualcosa di mostruoso... forse la sua scelta non era stata la migliore, ma sua moglie Renata preferiva pensare che fosse stata solo una fatalità imprevedibile. Lei dormiva da più di trent'anni in quel letto e non le era mai accaduto nulla di male (a parte la dipartita di suo marito, si intende).

L'avvoltoio era stato un eccellente guardiano per i suoi sogni e non solo... i suoi occhi immobili e senza pupilla si erano posati su innumerevoli amanti. Da quando suo marito era morto, dopo un matrimonio eccezionalmente costoso e sfarzoso, Renata aveva deciso di non impegnarsi mai più seriamente con nessuno. Tanto morivano, meglio non affezionarsi.

Perciò era abituata ad essere baciata da giovanotti che pensavano di impressionarla (e non la impressionavano affatto). Neanche quel prete la aveva impressionata. No. Neanche un po'. Non sapeva neanche che doveva fare, il poveretto! E poi non aveva neanche insistito per continuare, per andare oltre, anche se erano soli in una camera da letto, a lume di candela... e buon per lui, perché Renata gli avrebbe detto di no. Niente affatto impressionante!

E allora perché la strega anziana non riusciva a prendere sonno? Guardava il tetto e si accarezzava le nocche. Era preoccupata: erano successe tante e tali cose a Don Lorenzo che era plausibile che si sarebbe messo di nuovo nei guai.

"Non è della mia gente" Pensò "Non dovrebbe importarmi così tanto di lui. Non morirà di certo se lo lascio da solo poche ore, giusto? Deve solo dormire. Cosa può accadergli in qualche ora di sonno? Non può mica morire anche lui così, come mio marito, giusto? E anche se accadesse, cosa me ne importerebbe?".

Un rumore la strappò dai suoi pensieri: erano i passi di qualcuno che saliva le scale. Che attraversava il corridoio. Che apriva la porta della camera.

Un uomo enorme entrò nella stanza da letto. Aveva gli occhi iniettati di sangue, i lunghi capelli gettati sulle spalle che odoravano di bruciacchiato e un leggero affanno nel fiato. Si passò una mano sulla barba, fermandosi per un istante, poi si avvicinò al letto cercando di capire se la donna che vi giaceva era addormentata. Annusava l'aria delicatamente, cercando di non fare rumore.

Renata mosse la testa per guardarlo con aria interrogativa, quasi sorpresa.

«Hanno provato a farmi fuori» Disse lui, con un vago accento spagnolo «Ma ci vuole ben altro per ammazzarmi» si batté una mano sul petto e prese un profondo respiro «Sono tornato da te»

«Vieni a letto, Alejandro» disse Renata «Ma lascia fuori quella camicia, che puzza come un posacenere»

«Sono mai entrato vestito nel tuo letto?» scherzò lui, togliendosi la camicia per rivelare il torso muscoloso e spolverato di peli biondi che alla luce lunare sembravano fatti d'argento «Sempre se le manette non contano come vestiti, ovviamente»

«Chi è stato?»

«Che importa?» lui si slacciò la cintura «Comunque mi ha sottovalutato e la pagherà. Mi crede morto, pensa un po': questa è già una vittoria. Domani mi occuperò di lui e sarà un vero piacere»

«Quindi è un lui»

«Può darsi...» sussurrò lui, vago.

Renata si alzò su un gomito per guardare il corpo perfetto e tatuato del licantropo, la spalla sinistra ricoperta da un disegno di squame, il disegno di un bacio col rossetto sul lato del collo. Le sarebbe dispiaciuto veramente tanto se fosse morto, ma non più di quanto le sarebbe dispiaciuto di perdere il suo libro preferito (anche se c'è da precisare che era un libro molto speciale e molto magico). Non si sarebbe mai permessa ad amare uno come lui, ma che le piaceva, beh, questo era indubbio.

Rabbrividendo, Alejandro si infilò sotto le coperte e si raggomitolò con il lenzuolo sotto il mento. Sorrideva.

«Stai bene?» Gli domandò la strega

«Sono solo un po' freddoloso» replicò lui «Ma il letto si scalderà in un attimo»

«Per il tuo tentato omicidio, intendo. Non per il freddo. Stai bene?»

«Le bruciature sono già guarite» rispose lui, rannicchiandosi ancora di più «E la gente prova ad uccidermi tutto il tempo, senza neanche avvicinarsi a riuscirci. La mia è una vita spericolata... sono abituato».

"Ecco" Pensò Renata "Se quel prete fosse resistente, autonomo e forte quanto te potrei stare tranquilla, invece di chiedermi se ha sete proprio adesso e se gli ho lasciato da bere... avrà dell'acqua per stanotte?".

«A cosa pensi?» Le domandò Alejandro, con gentilezza

«A quanto sei carino così, come un burrito di coperte» mentì lei, con naturalezza

«Non è una cosa che mi sono sentito dire spesso» rise lui

«Ma è la verità. Sei adorabile, Alejandro Roberto De Rocamora».

Il licantropo si raggomitolò ancora più stretto nelle coperte e la guardò con curiosità, come se non l'avesse mai vista prima. I suoi espressivi occhi castani catturarono per un attimo la luce, brillando ferini: possedevano un tapetum lucidum, quello strato riflettente dietro la retina che è tipico dei predatori notturni e che funziona come un catarifrangente. Il brillio durò però sul un istante, quanto bastava perché il licantropo spostasse la testa per guardare meglio negli occhi Renata.

Se era un animale, in quel momento Alejandro sembrava uno del tutto domestico, pronto a ricevere crocchette per cani e grattini sul pancino.

«Stai cercando di sedurmi, con quella faccia da labrador?» Domandò Renata, divertita

«Io non cerco di sedurre la gente» sbuffò Alejandro

«Ah no?»
«No. È come dire che uno scorpione punge una preda perché cerca di avvelenarla, ma lui non "cerca" di avvelenarla, la avvelena e basta»

«Non tutti le prede sono sensibili al veleno dello scorpione»

«Le mie sì»

«E non tutti gli scorpioni sono velenosi, Alejandro» rise Renata

«Io sono uno scorpione giallo, un deathstalker, il più velenoso del mondo»

«Hm. Convincente».

Lei si sporse a baciarlo sulle labbra e fu immediatamente sopraffatta dal suo calore, dal suo odore, dalla sua presenza; per un po' si dimenticò di Don Lorenzo.

La Cattedrale di MillennioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora