Prologo

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Cinquecento candele erano accese nel buio. Cinquecento, bianche come ali di colomba, con fiamme dorate che danzavano ognuna con uno schema proprio e discordante, alzandosi e tremolando, abbassandosi e gettando ombre che parevano vive sulle pareti e sul pavimento marmoreo della cattedrale.

Il vecchio Dante aveva borbottato che cinquecento candele erano troppe, che ai suoi tempi non sarebbe mai sprecata così tanta cera, ma lui aveva sempre da borbottare su tutto e così nessuno lo aveva ascoltato. Il risultato era stato pazzesco, bello da mozzare il fiato, con le luci che si riflettevano e amplificavano sui candelabri d'argento e sui volti crepati delle statue, che si arrampicavano sulle tende rosse come pennellate di un maestro rinascimentale.

Un tempo la cattedrale era stata usata dai cristiani per le loro funzioni religiose, ma erano più di cinquant'anni che nessuno di loro metteva piede in quella chiesa ormai sconsacrata e l'edera che ne divorava la facciata aveva iniziato a penetrare anche attraverso le vetrate rotte.

Adesso, in quella notte senza luna, un corteo di donne incappucciate sfilava nella navata centrale per raggiungere l'altare, ognuna con in mano un robusto cero accesso, e mentre camminavano cantavano sommessamente. Le vecchie panche della chiesa, scricchiolanti e mangiucchiate dalle tarme, erano occupate da bambini, ragazze, donne e pochissimi uomini.

«Pensi che si possa riprendere?» Domandò sottovoce Matilda, quindicenne esuberante, a Rosa, sedicenne composta

«Nessuno ti sta dicendo niente» rispose Rosa, occhieggiando allo smartphone che l'amica teneva sollevato per registrare il rito «Quindi... credo di sì?».

Il corteo incappucciato si dispose intorno al grande altare e il suo canto si levò più sonoro e rapido. I peli sulle braccia di Matilda e Rosa si drizzarono quando un vento freddo sibilò attraverso le fessure nel rosone e tutte le candele rabbrividirono nello stesso momento.

Una delle donne incappucciate allargò le braccia e parlò con voce così imperiosa da superare il canto del coro e l'urlo del vento.

«Sorelle e fratelli» Disse «Umani, fae e spiriti, io chiamo l'apertura del cerchio per voi!».

Le fiamme si levarono tutte di qualche centimetro e bastò questo perché l'interno della chiesa sembrasse ora quasi illuminato a giorno e molto, molto, più caldo e sicuro.

«Che figata» Commentò sottovoce Matilda.

Dante, seduto nell'ultima fila con in braccio il suo vetusto gatto Aiolos, borbottò qualcosa. O forse gli si era solo spostata la dentiera e ora cercava di rimettersela a posto fingendo di borbottare, che poteva dirlo...

«Prima di continuare, è bene interrogare ancora una volta la grande magia» Seguitò a dire l'autoritaria donna incappucciata «Per sapere se il momento è propizio per ottenere ciò che cerchiamo...».

Non ebbe il tempo di domandare nulla, perché qualcuno aprì la porta principale, quella alta sette metri, e di colpo le fiamme di tutte le candele tornarono normale. Un vocio si diffuse fra tutti gli occupanti delle panche.

«È il Diavolo?» Chiese la signora Gina, nascondendosi una salamandra sotto al cappellino fiorato

«Certo che no» la rassicurò la signora Ofelia «Il diavolo non entrerebbe mai in una chiesa»

«Ma è una chiesa sconsacrata!» pigolò Francesca

«Ma proprio per questo il Diavolo non può entrare, no?».

La persona che aveva spinto la porta entrò e la richiuse dietro di sé, poi avanzò finché tutti non poterono vedere chi fosse. Era un uomo dai capelli tagliati cortissimi, con occhi arrossati dal freddo e dalla stanchezza, grandi mani screpolato e un altrettanto grande (e screpolato) naso aquilino. Indossava un lungo vestito nero con l'inconfondibile collare da prete e un crocefisso di legno che pendeva sul petto piatto.

La Cattedrale di MillennioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora