Come Acqua e Fuoco

By Miss_Chandra

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| ATTENZIONE: Questa è la seconda parte de "Come Aria e Terra"; se non hai letto quella, non proseguire con l... More

Bentornati
Cast
Guardiani
Prologo
• Parte prima: Guardiana •
2. Ti amo
3.1 Sacerdoti
3.2 Sacerdoti
4.1 Leblanc
4.2 Leblanc
5.1 Consiglio
5.2. Consiglio
6.1 Silenzio
6.2 Silenzio
7.1 Le Gall
7.2 Le Gall
8. Gennaio
9.1 Capirsi
9.2 Capirsi
9.3 Capirsi
10.1 Dame Noyer
10.2 Dame Noyer
11.1 Mamour
11.2 Mamour
11.3 Mamour
• Parte seconda: Arthur •
12.1 Fratelli
12.2 Fratelli
13.1 Ile-et-Vilaine
13.2 Ile-et-Vilaine
14.1 Per lei
14.2 Per lei
15.1 Trio - Artie
15.2 Trio - Nova
15.3 Trio - Jesse
16.1 Delegato
16.2 Delegato
17.1 Le Foyer
17.2 Le Foyer
17.3 Le Foyer

1. Consacrazione

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By Miss_Chandra


Monastero, Tempio del Guardiano, 1 gennaio 2018

Erano tutti sotto di lei.

Ogni fedele, sia del Sole che della Luna, era lì al Tempio ad osservarla. Chandra, invece, era in cima alla lunga scalinata, sullo spiazzo raggiungibile solo dal Guardiano e dai suoi Sacerdoti.

Fra lei e il pubblico c'erano circa due metri e mezzo di spazio.

La postazione era stata concepita per dare potere a chi vi stava su e incutere timore a chi restava in basso: un modo semplice ed efficace per ergere il Guardiano al di sopra di chiunque altro.

Tuttavia, in Chandra non suscitava nulla di tutto ciò: non si percepiva potente né sentiva che qualcuno la ritenesse tale. Provava solo un senso di vuoto, che andava avanti da quando Arthur l'aveva abbandonata.

Lì, a Pointe du Ciel, dove si era svolto il più patetico degli scontri fra accoliti che i due Ordini avessero mai visto, il cuore di Chandra si era frantumato in mille pezzi, e lei non aveva capito più nulla. Non sapeva neanche chi l'avesse riportata in Monastero: sapeva solo di non essere stata lei l'artefice dell'incanto di Movimento in questione.

Era diventata una bambola inanimata a tutti gli effetti da quando aveva messo piede nei suoi nuovi alloggi: si era lasciata guidare passivamente per le stanze troppo grandi dalle tre monache – rigorosamente della Luna – incaricate e aveva permesso loro di lavarla e vestirla come meglio preferivano.

Le uniche parole proferite, graffiate e soffocate dai postumi del pianto, erano servite per esprimere una semplice richiesta: un tè caldo per la gola. Ed era stata subito accontentata.

La bevanda bollente, tra l'altro, era stata quasi sicuramente incantata, poiché la voce, persa subito dopo lo scontro, era tornata con effetto immediato.

Le monache le avevano messo addosso un lungo abito azzurro, simbolo del Cielo, e le avevano mozzato il respiro con un corpetto blu scuro eccessivamente stretto. Al di sotto della gonna morbida, i tacchi vertiginosi la slanciavano di qualche centimetro.

Chandra non aveva avuto voce in capitolo nemmeno per i capelli che, andando contro a ogni suo gusto, erano stati lasciati sciolti e stirati fino a farne perdere le onde naturali. Ma, tanto, si sarebbero ri-arricciati già il giorno dopo.

L'unica nota positiva dell'insieme era il trucco pesante con cui le tre avevano corretto i rossori del pianto e le occhiaie della notte insonne precedente: almeno, grazie ad esso, il suo viso poteva ritenersi presentabile.

Tornando al presente, invece, i due Sacerdoti erano ai piedi della scalinata.

Nova, scappata dallo scontro, si era fatta trovare già al Tempio, ovviamente di pessimo umore. Ma Chandra non se ne era curata: ormai le era superiore, non doveva più renderle conto di niente. Erano finiti i tempi della sottomissione a Sorella Nova.

Era altrettanto facile notare il buonumore del Reverendo, del tutto in contrasto con la collega spirituale: lui aveva un sorriso soddisfatto disegnato sul volto da ore. Più Chandra lo guardava, e più desiderava strapparglielo via.

Dundra schioccò le dita. Tre monaci vestiti d'argento si fecero strada fra la folla. Avevano in mano i tre simboli che facevano del Guardiano la figura portante che era: due gioielli e un indumento che avrebbero dovuto renderla la mediatrice fra Ordini che non era e mai sarebbe stata.

Seguiti dai tre, Dundra e Nova iniziarono la scalata verso la cima, verso colei che aveva ingiustamente vinto lo scontro. Chandra, nel mentre, stava rigida ad attenderli, con le mani giunte sul davanti e il mento alto.

Chissà come sarebbe apparsa ai due Ordini: fiera? Felice? Insipida? L'ultima era la più probabile, perché era esattamente l'idea che voleva dare: una bambola imbellettata ma vuota, priva di alcuna espressività. Voleva apparire nell'esatto modo in cui si sentiva.

Dundra e Nova giunsero a lei. L'uomo si mise alla sua sinistra e la ragazza a destra. Chandra non si volse né dall'uno né dall'altra. Nessuno dei due meritava il suo sguardo.

«Figli e figlie del Cielo,» iniziò Dundra, allargando le braccia, «la tanto sofferta attesa ha avuto la sua fine: colei che la Luna e il suo compagno hanno voluto mandarci come guida ha trionfato. Chandra Noyer sarà, per un tempo a noi incognito, la nostra nuova Guardiana.»

Per un tempo a loro incognito ma per un tempo a Chandra definito: breve. Il suo mandato da Guardiana sarebbe stato infimo e ridicolo. Lei come Guardiana era una pagliacciata più grande della carica stessa.

Non aveva dimenticato le pretese del suo Ordine e, purtroppo, non avrebbe potuto realizzare le richieste dell'altro, qualsiasi esse fossero.

Di lì a qualche settimana, sarebbe stata lo zimbello più grande di cui avrebbero raccontato gli Annali.

Dundra si voltò verso Nova, oltrepassando la Noyer con lo sguardo. «Direi di passare subito alla sua Consacrazione, astenendoci dalle insulse precisazioni di contorno.»

«Ma sei stupido?» ringhiò sottovoce Nova, in modo da essere udita solo dagli altri due presenti. In altre circostanze, Chandra avrebbe riso. «Vuoi saltare un intero pezzo del rito?»

Dundra fece spallucce. «Il tuo Ordine, dopo tanti anni, sarà abituato alle formali scemenze che tessono le vostre lodi, mentre al mio non interessano. Chiudiamo in fretta la faccenda, senza tediare le orecchie altrui.»

Chandra non aveva bisogno di vedere il viso della Sacerdotessa per intuirne l'espressione: era sconvolta. Ma la Prigent non sapeva, non poteva sapere quanto Dundra detestasse la figura del Guardiano. E non poteva neanche immaginare quanta fatica gli costasse fingere il contrario per quell'ultima occasione.

«Fottiti», sibilò la Sacerdotessa, rivolta al Reverendo, ma quest'ultimo non ebbe alcuna reazione. Dopodiché, si schiarì la voce e si voltò verso i fedeli, anche se controvoglia. Difatti, l'unica persona apatica quanto la Noyer era lei, con lo stesso identico umore grigio.

«Nel millenovecento è stato annunciato l'Accordo che ci tiene uniti tutt'oggi, proposto da Phoebus Chevalier, nostro vecchio Reverendo», partì Nova, atona. «L'anno successivo, il primo di gennaio, Chandra Noyer è stata eletta nostra prima Guardiana. Lo scopo iniziale era siglare la pace fra Ordini, visti i nostri antecedenti storici poco felici, così da raggiungere in futuro l'Equilibrio Elementale.» Un sospiro grave. «C'erano diverse clausole da rispettare, sia per il Sole che per la Luna, ma mi sembra inutile ricordare che non tutte sono state portate a termine.»

Un leggero brusio invase il Tempio.

Chandra, con la coda dell'occhio, guardò il Reverendo: non stava reagendo e gongolava, com'era ovvio. Se Nova insultava l'Ordine della Luna, a lui poteva solo giovare. Più il Sole mancava di rispetto alla Luna e più la voglia di rivalsa di quest'ultima sarebbe cresciuta.

La Noyer tornò a guardare davanti a sé, concentrandosi prima sulla folla ammassata alla sua sinistra – ma alla destra del Tempio, se si considerava la loro prospettiva – e poi su quella a destra.

I fedeli del Sole erano circa tranquilli, abbastanza in pace con l'idea che fosse stata lei la vincitrice dello scontro. La gente della Luna, invece, si stava agitando; difatti, gran parte del rumore proveniva da essa.

«Così come è anche inutile dire che il risultato dello scontro è stato inaspettato, per tutti quanti», proseguì la Sacerdotessa, fomentata dalla rabbia.

Chandra trattenne il fiato e guardò la propria antenata, l'unica immensa statua presente sul lato dedicato alla Luna. La pregò di darle la forza, almeno lei. La supplicò di stare dalla sua parte, al contrario dei suoi successori nel versante opposto: quei tre la stavano deridendo con i loro occhi vitrei.

«La maggior parte degli scontri si è conclusa con una resa, ma mai in così poco tempo, mai con un nostro accolito che rinunciasse senza combattere. E per un motivo a noi incompr-»

«Basta», tuonò la voce di Chandra. Sì, aveva ricevuto la forza che cercava. «Sorella Nova, continua la Consacrazione come si è sempre fatto e senza fare storie, per cortesia.»

All'interno del Tempio calò il gelo.

La lingua serpeggiante di Nova s'annodò su se stessa. Volente o nolente, non poteva ribattere: la Noyer era la persona più importante lì presente e nessuno aveva più il diritto di umiliarla.

Poco contava quanto sarebbe durata al comando: finché fosse rimasta la Guardiana in carica, avrebbe preteso tutto il rispetto che la carica portava con sé.

Lo sguardo carbone della Noyer, ancora puntato sulla folla, venne attirato da uno in particolare, l'unico freddo e azzurro come il ghiaccio.

Jesse Deroy la fissava attento, con un sorrisetto compiaciuto in viso e gli occhi leggermente strizzati. La Noyer inarcò un sopracciglio. Lo stava incuriosendo, ma non sapeva se esserne felice o meno.

«Possiamo continuare», esordì Chandra.

Nova soffocò un lamento, mentre Dundra non emise neanche un sospiro. Lui era il più enigmatico, fra i due: l'improvvisa autorità di lei non sembrava averlo sfiorato o indispettito. Bastardo.

«La tua Guardiana ha parlato, Sorella Nova», intervenne Dundra. «Il primo Ordine da consegnarle, secondo la tradizione da voi professata per un secolo intero, è quello opposto.»

«Fottiti di nuovo.»

Nova fece segno a uno dei tre monaci intenti a fare da sfondo di avvicinarsi. Quello che reggeva lo Scettro del Sole, simbolo dei suoi Reverendi prima dell'Accordo, fece qualche passo in avanti.

La Sacerdotessa prese in mano il bastone e, accompagnata da un'espressione tutt'altro che felice, si inginocchiò. Con immensa fatica dettata dalla ferita all'orgoglio subita, tese le braccia verso la nuova Guardiana.

«In nome del Sole, Astro mio Creatore, io, Nova Soraya Prigent, vostra umile e fedele serva, vi affido l'Ordine che rappresento e il popolo di cui sono figlia.»

Chandra prese lo Scettro con entrambe le mani. Era pesante e troppo lungo. Il pomello conclusivo, contornato da una corona di rubini, sbatteva contro la pedana in marmo scuro. Faceva fatica a tenerne su l'estremità opposta, pur non potendo fare altrimenti: la sfera color del fuoco, agguantata da fili d'oro brillante, doveva puntare verso l'alto.

«Che lo Scettro, un tempo posseduto dai nostri Reverendi, possa donarvi la loro forza. Che il suo oro forgiato dal Fuoco e mitigato dall'Aria possa spingere voi, Chandra Noyer, alla crescita e noi verso un futuro radioso sotto la vostra guida.» Nova si issò in piedi, drizzando le ginocchia, e alzò il viso. «Astro mio Creatore,» – allargò le braccia verso l'alto – «infondi calore nel cuore della tua nuova figlia.»

I suoi fedeli la seguirono: alzarono tutti le braccia al cielo – non sembravano curarsi del fatto che questo fosse nascosto dal soffitto a cassettoni bombato – e ripeterono la stessa frase. 

Non tutti però mostrarono lo stesso trasporto: c'era chi teneva gli occhi chiusi ed era parecchio coinvolto, chi tra i più giovani ridacchiava e chi, come Jesse Deroy, muoveva a stento le labbra.

Chandra, pur essendo abituata in modo del tutto differente, non se ne stupì: Arthur le aveva detto, tempo addietro, che molti degli incantatori più giovani erano distanti dalla vita spirituale dell'Ordine e si definivano agnostici, compreso lui.

Tornato il silenzio, Nova si fece da parte e arretrò alle spalle del trono.

Chandra trasse un lungo respiro. Ora era il turno dell'altro.

Si voltò verso Dundra, che le stava a sinistra. «Sbrigati.»

Il viso olivastro dell'uomo si irrigidì, e un grave cipiglio gli si disegnò in viso. Chandra sapeva che l'impossibilità di reagire, la stessa che l'aveva bloccata tante volte quand'era una semplice accolita, lo stava corrodendo dall'interno.

Dundra non poteva umiliarla, non più, non pubblicamente. Lei se ne compiacque e gli sorrise beffarda.

Dundra schioccò le dita. Una monaca sua coetanea, di circa una trentina d'anni, avanzò e gli passò il secondo gioiello, per poi sparire nuovamente sullo sfondo.

Il Reverendo issò la Corona d'argento verso l'alto, tenendola ferma con indici e pollici. A differenza della sua collega, lui non si inginocchiò poiché, appartenendo allo stesso Ordine della nuova Guardiana, non era obbligato per tradizione a farlo. Purtroppo.

«Fin dalla nostra origine, abbiamo seguito con cieca fedeltà i dettami della nostra Madre: ne abbiamo sempre onorato la storia e le tradizioni da essa derivate. Mai abbiamo camminato lontani dalle orme dei nostri avi e mai lo faremo.» Si girò verso la ragazza, tenendo il copricapo sospeso. «Io, Dundra Olivier, figlio della Luna nonché sua estensione su questa terra, dono a voi, Chandra Noyer, discendente della prima Guardiana, portatrice del segno della Dea, accolita vincitrice, la Corona tramandata da Sacerdotessa in Sacerdotessa affinché vi arrivasse in questo giorno glorioso.»

E il gioiello circondò la testolina argentata.

Chandra andò a sfiorare la Corona con la mano sinistra. Era composta da due semplici strisce piatte, che cingevano l'intera circonferenza del capo fino a deviare leggermente verso l'altro e scontrarsi poco sopra fronte; lì, una gemma, brillante come il Plenilunio di cui era simbolo, li chiudeva insieme.

Avrebbe dovuto provare qualcosa: stava indossando lo stesso copricapo tramandato dalle Sacerdotesse del suo Ordine, tra cui la sua antenata, dopotutto; ma non riusciva a sentire niente, se non i sensi di colpa per l'apatia che l'aveva invasa.

«Che il passato sia sempre una fonte di luce e non sia mai dimenticato», proseguì Dundra. «Che la vostra memoria, Chandra Noyer, ne custodisca sempre la preziosità e ne tragga insegnamenti per il futuro.» In seguito, abbassò il viso in segno di riverenza e sovrappose le mani all'altezza del cuore.

Un atto di preghiera falso, come tutto quanto.

Chandra, schifata, spostò lo sguardo verso il basso. Coloro che avrebbero dovuto essere i suoi fedeli, facenti parte della sua stessa comunità, avevano copiato il Reverendo e la stavano contemplando. Tuttavia, al di là delle apparenze, non vi era traccia di sincerità nella loro sottomissione: solo la convinzione che sarebbe stata lei, la nuova Guardiana in carica, a sottomettersi alla loro volontà.

Se avesse potuto, si sarebbe cavata gli occhi a mani nude pur di estraniarsi da quel vergognoso teatrino.

Un attimo dopo, ebbe le mani dei due Sacerdoti addosso: Dundra le adagiò un Manto bianco, dall'interno dorato, sulle spalle, mentre Nova ne attaccò le due estremità sul davanti con la Spilla, unico gioiello che miscelava oro e argento insieme.

Chandra, non appena fu libera dai due Sacerdoti, calò il viso sul proprio petto. C'era un ridicolo fermaglio con il Sole unito alla mezzaluna per simboleggiare una ridicola unione che non esisteva.

Perfettamente ridicolo.

Ridicola lo era anche lei, conciata in quel modo, con tutti quei gioielli sfarzosi che non rappresentavano nulla, se non un'accozzaglia di oro e argento vomitatale addosso tanto perché era richiesto dalla tradizione.

Uno strano brusio, questa volta proveniente della comunità del Sole, non tardò a presentarsi, distogliendo Chandra dalle proprie lamentele silenziose.

Non le ci volle molto per capirne la ragione: l'intera funzione era sospesa nel silenzio in un momento in cui non erano previste pause. E, in realtà, non le ci volle nemmeno troppo a capire a cosa fosse dovuto.

«Che stai facendo, adesso?» sibilò Nova, rivolta a Dundra, a denti stretti.

Chandra chiuse gli occhi e trasse un lungo respiro. «Procedi tu», le ordinò, riprendendo il contatto visivo.

Nova sbatté le palpebre, leggermente confusa. «Noyer, ma sai com-»

«Rivolgiti a me con rispetto, Sorella Nova. Lo stesso rispetto che io ti ho sempre mostrato da accolita.»

Il viso della ragazza si inasprì. «Dame Noyer, questa parte della funzione va svolta dal Sacerdote del vostro stesso Ordine.»

Chandra ne era al corrente, così come sapeva che Dundra non l'avrebbe mai eseguita, seppur gli toccasse: stava volutamente mancando di rispetto a lei e all'intera figura del Guardiano, solo che né Nova né i suoi fedeli potevano saperlo.

«Fallo tu», ripeté. Sebbene fosse un'anomalia, era l'unico modo per rattoppare la voragine che il Reverendo stava, sapientemente, squarciando.

«Hai sentito, Sorella Nova? La tua Guardiana ti ha dato un ordine.»

«Sono anche la tua Guardiana, Fratello Dundra», rimarcò Chandra. «Ora stai zitto, che ci stai facendo sprecare tempo.» Tornò rivolta a Nova. «Puoi procedere.»

Il Reverendo si irrigidì. La sua mascella divenne tanto contratta da portare Chandra a domandarsi come facessero le arcate dentarie a essere ancora integre. Ciononostante, lui non osò difendersi: non poteva osare farlo. Vederlo costretto al silenzio le diede un senso di rivalsa meraviglioso.

«Il Manto è ora sulle vostre spalle, Dame Noyer: che l'argento esterno ricordi a tutti la vostra provenienza, così come l'oro interno sia per voi un promemoria del nuovo Ordine che vi accoglie e che si affida a voi.»

Alle parole di Nova, il cuore della Noyer tremò e, d'istinto, le dita aumentarono la presa sullo Scettro, alla ricerca di una forza che non riusciva a trovare.

L'intero Ordine del Sole aveva alzato le braccia, tenendole leggermente allargate, e la stava fissando.

«Pst, Dame Noyer,» la chiamò Nova, «ora tocca a voi.»

«Lo so.»

Trasse un respiro e liberò la mano sinistra, continuando a stringere il manico con l'altra – sebbene fosse mancina, le venne naturale usare la destra per l'oggetto simbolo del Sole. Drizzò le braccia verso l'alto e rivolse gli occhi al soffitto. Non capiva bene perché nell'altro Ordine si pregasse in quel modo anche negli ambienti chiusi, ma pur trovandola una pratica insensata non se la sentì di giudicare.

Astro Creatore

Accoglimi in spirito fra i tuoi figli

Che nel mio cuore arda la tua fiamma

Che il tuo respiro mi guidi

Chandra pronunciò la preghiera.

Arthur le aveva spiegato, durante una delle loro innumerevoli lezioni, che nell'Ordine del Sole c'erano parole precise da usare per ogni occasione, cosa che per la Luna era inconcepibile: per i fedeli di quest'ultima, il momento di preghiera era intimo e personale, con parole derivate dall'interno e non da testi tramandati nei secoli.

Già da allora Chandra aveva deciso che ne avrebbe imparate quante possibili, sia da Sacerdotessa che da Guardiana, per avvicinarsi a un mondo che credeva avrebbe esplorato con Arthur.

Ora non ve ne trovava più il senso. Aveva imparato giusto quella perché era obbligatoria, visto l'Ordine opposto: se ci fosse stato Arthur al suo posto avrebbe dovuto solo sovrapporre le mani sul petto e chiedere la benedizione della Luna in silenzio.

Beato lui, andò a pensare lei: almeno avrebbe potuto fingere.

«Astro mio Creatore, accoglila», disse Nova, seguita a ruota dall'Ordine. Dopodiché tutti loro abbassarono le braccia e tornarono a fissare la ragazza davanti al trono.

Il cuore di Chandra, rimasto sopito per tutta la funzione, accelerò. Era arrivato il momento cardine, quello che l'avrebbe resa Guardiana da oggi fino al giorno della sua morte.

Deglutì. Doveva giurare fedeltà all'Accordo davanti alle due intere comunità pur essendo consapevole che sarebbe stata una menzogna.

Serrò le dita intorno all'asta dorata per nascondere il tremolio delle mani.

Sebbene stesse dando l'impressione opposta, ricordava perfettamente le parole da pronunciare: le aveva studiate e ripetute con Arthur fra una lezione d'incantesimi e l'altra.

Lei non aveva avuto difficoltà a imparare il giuramento a memoria, mentre il Leblanc cambiava di continuo passaggi oppure ometteva pezzi casuali. Alla fine, pur di farglielo entrare in testa, Chandra aveva iniziato ad associare ogni frase a qualcos'altro, trasformando l'intero testo in una gigantesca filastrocca.

A quel ricordo, il labbro inferiore sussultò e gli occhi si velarono di lacrime, che però furono subito ricacciate indietro.

No, non poteva mostrarsi debole. Lei era la Guardiana, adesso. La Guardiana impassibile che, almeno in quel momento, avrebbe annullato ogni emozione. Se lo doveva: era una questione di sopravvivenza.

Scrutò la folla alla ricerca di un punto fermo. Si rese presto conto che, a eccezione della sua famiglia, l'Ordine della Luna continuava a provocarle un forte senso di rabbia e preferì, dunque, concentrarsi sull'altro.

Non conosceva gran parte dei fedeli del Sole: i visi nelle loro file erano a lei estranei e, con ogni probabilità, lo sarebbero rimasti. Benché non le trasmettessero le stesse emozioni negative dei conoscenti, neppure loro riuscirono a darle la spinta che cercava.

D'un tratto, fra i tanti, ne incrociò uno dai tratti virili e spigolosi. E vi rimase incatenata per qualche secondo.

Jesse Deroy era uno dei pochi a fissare la Guardiana dritto negli occhi, raggelandola con le sue iridi azzurre. Aveva un'espressione divertita e sfacciata stampata in volto, accentuata dai capelli corvini pettinati all'indietro.

Il ragazzo le sorrise di nuovo e la salutò con la mano. Chandra pressò le labbra fra loro, in un vano tentativo di tenere a bada la rabbia appena montatale in corpo.

Non riusciva a reggere l'atteggiamento del Deroy dal primo incontro, da quando aveva sminuito Arthur davanti a lei per la pura e semplice invidia; il suo aver sorriso durante la resa dell'amico, poi, non aveva fatto altro che aggravare l'antipatia da lei provata.

L'attenzione della Noyer fu però presto attirata dalle due figure vicine al Deroy. Le bastò guardarle negli occhi per comprendere chi fossero: il padre e la sorella di Arthur.

Miranda, con quel suo sorriso delicato, era bellissima. Cyriaque, così si chiamava, era tale e quale al primogenito, solo più maturo e con un'acconciatura diversa: mentre il figlio portava i capelli corti con il ciuffo laterale più lungo, lui aveva legato l'intera chioma lunga e liscia in un codino basso.

Ammirare i Leblanc, anche se per pochi attimi, le fece finalmente realizzare e accettare la verità: c'era una singola persona capace di infonderle coraggio, l'unica non presente in quella Sala, la sola che aveva il cuore distrutto quanto lei. Ed era a questa che Chandra si sarebbe rivolta.

Immaginò di essere di nuovo nella camera dell'accolito del Sole, distesa a pancia in giù sul letto, nel bel mezzo della notte.

Il rivale – ormai non più – le stava di fronte, ancora lì per lei.

Come allora, Arthur prendeva un elastico da un cassetto, legava il ciuffo biondo in un pennacchio e iniziava a imitarla. Le sue labbra sottili, a quel punto, ripetevano il discorso con una voce tanto solenne da risultare esilarante.

Sì, poteva farcela.

Le bastò schiudere le labbra per far cessare ogni brusio in Sala. «Il mio nome è Chandra, nata e vissuta Noyer, consacrata alla Luna fin dalla nascita.» Iniziò col presentarsi, com'era consuetudine. Subito dopo, però, si bloccò ancora a causa di un ricordo.

Durante il periodo in cui avevano studiato il giuramento, Arthur le aveva posto una domanda interessante: se lui avesse vinto ma fosse stato sposato con lei, avrebbe dovuto presentarsi come Arthur nato Leblanc vissuto Noyer?

La domanda, benché potesse apparire stupida, era legittima: durante la prima fase del giuramento, ovvero quando il Guardiano si presentava, bisognava nominare sia il cognome di nascita che quello da sposato, se tale; ma sorgeva un problema relativo all'Ordine d'appartenenza: nella Luna era la donna a dare il cognome alla famiglia mentre nel Sole era l'uomo.

Dunque, se Chandra e Arthur fossero stati sposati, il vincitore fra i due avrebbe dovuto fare riferimento al proprio Ordine o a quello del coniuge?

Combattendo l'enorme imbarazzo che quella domanda le aveva provocato, la risposta di Chandra era stata affermativa: Arthur, se fosse stato suo marito, avrebbe dovuto presentarsi come Arthur nato Leblanc vissuto Noyer.

Il ragazzo, però, non si era mostrato d'accordo: a detta sua, era l'uomo a tramandare il cognome sempre e comunque.

Ne era nata una discussione accesa ma che si era risolta in fretta, con le scuse da parte di lui per aver fatto affermazioni maschiliste.

Chandra prese un respiro. «Lo scontro mi ha resa vincitrice, i miei fratelli e sorelle Guardiana, e il Cielo vostra guida.»

Ma chi voleva prendere in giro? Arthur avrebbe dovuto essere lì a giurare, non lei: la resa dell'avversario dopo cinque minuti non poteva essere considerata una vittoria. Lo sapevano tutti, lei compresa. Pure Sole e Luna ne erano al corrente.

«Oggi, ringrazio la Luna, Madre nel cielo notturno; ringrazio il Sole, Astro Creatore del mattino; ringrazio chi mi ha cresciuta e chi mi ha accolta. In Loro e per voi, accetto con onore e gratitudine l'impegno conferitomi.»

Mise le mani sul petto, all'altezza del cuore, e chinò il capo. La sua comunità la seguì, mentre l'Ordine del Sole alzò le braccia al cielo, come avrebbe fatto Arthur se fosse stato lì a giurare.

Le parole successive le tremarono sulle labbra. «Obbedirò alle leggi sancite dall'Accordo, nella memoria della Luna e nella forza del Sole.» Memoria e forza, proprio ciò che avrebbe distrutto lei e gli Ordini. «Io giuro sui quattro sacri Elementi che d'ora innanzi sino all'ultimo giorno della mia vita sarò fedele a te, Cielo, e a voi, incantatori e incantatrici. L'Aria guiderà il mio istinto, il Fuoco farà ardere in me la passione, l'Acqua nutrirà il mio corpo e la Terra mi ricorderà il modo giusto di agire.»

Ancora una volta, si vide costretta a fermarsi.

Più andava avanti con il giuramento, più le parole che uscivano dalle sue labbra le suonavano vuote, senza senso, prive di enfasi o di trasporto personale. Erano promesse false: stava giurando il falso di fronte alla Luna, di fronte al Cielo e a tutti i suoi fedeli.

Con la coda dell'occhio, guardò il memoriale della sua antenata. Chissà cosa avrebbe pensato la vecchia Chandra Noyer della nuova, chissà cos'avrebbe detto la fondatrice dell'Accordo quando la sua erede lo avrebbe distrutto.

Chandra aveva creduto che il suo scopo fosse concludere ciò che la prima Guardiana aveva lasciato a metà: unire gli Ordini nello spirito, oltre che nella pura e semplice formalità. E lo avrebbe fatto con Arthur, se Dundra non si fosse intromesso e lei non lo avesse lasciato vincere.

E fu proprio verso il Reverendo che girò il viso, prima di proseguire.

Lui puntava ad avere il pieno controllo dell'Ordine, a esserne l'unica figura di rilievo, e aveva sfruttato l'amore fra Chandra e Arthur per riuscirci.

Una mossa vile, certo, ma furba: aizzare definitivamente la Luna contro il Sole, appellandosi a un gioco subdolo fra accoliti mai avvenuto, non poteva definirsi in altro modo.

Mettere la propria accolita con le spalle al muro ancor prima che potesse reagire era stato un piano tanto meschino quanto funzionale.

Tornò rivolta ai fedeli e, nel silenzio generale, procedette con la penultima fase della Consacrazione: la presa di posto sul trono.

Piegò le gambe e si lasciò cadere sul seggio. Era ancora troppo grande per lei, ma almeno il vestito lungo le copriva i piedi, così nessuno avrebbe notato che non riusciva a toccare la pedana sottostante.

Sfregò le mani umidicce sui braccioli imbottiti.

Da quella prospettiva, aveva a disposizione l'intera visione del Tempio, l'intera visione delle due comunità che ora le appartenevano.

Reverendo e Sacerdotessa furono i primi a inginocchiarsi e gli altri li seguirono a ruota: dalla prima fila, come un'onda, i fedeli si abbassarono uno ad uno, tenendo sempre il capo chinato.

Si prostrarono tutti a lei, alla nuova Guardiana, com'era giusto che fosse.

Chandra si sistemò meglio sul posto, poggiando le spalle allo schienale immenso per stare più comoda, e pronunciò la frase conclusiva: «E mai di persona verrò meno alle mie parole.»

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