Capitolo Uno

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{2008}

CAPITOLO UNO

Erano le sette di sera del 3 Ottobre e mio nonno aveva chiuso la libreria da qualche minuto. Io mi trovavo lì, come sempre, per aiutarlo. Sebbene, infatti, ad Ottobre il negozio non fosse mai particolarmente affollato, c’era molto da fare perché bisognava prepararsi al periodo di Natale e, più precisamente, all’ingente numero di acquirenti che a breve avrebbero varcato la soglia in cerca di regali, al quale mio nonno, da solo, non avrebbe potuto far fronte.

A Regent's Street tirava un forte vento freddo che metteva in guardia la gente dall’uscire per fare compere; secondo i meteorologi quell’inverno sarebbe stato estremamente rigido. La calma inconsueta che regnava nel grande viale, dunque, mi rendeva di buon umore.

Poiché mio nonno stava discorrendo sul retro al telefono con chissà chi, io ero solo nel locale e stavo mettendo apposto un paio di copie di “The Hunger Games”, impaziente di potermene tornare a casa, quando qualcuno bussò due volte sulla porta d’ingresso. Infastidito per l’ennesimo scocciatore che ignorava il cartello con su scritto “chiuso”, posai a terra l’ultimo libro che mi era rimasto e mi diressi verso l’ingresso. Non appena girai la chiave, la porta si aprì e, accompagnata dal soave suono delle campanelle affisse sopra di essa, lei entrò.

Mi bastò guardarla negli occhi perché il nervosismo svanisse via. Era bellissima.

La prima cosa che notai furono i suoi grandi occhi grigi e splendenti come diamanti. Indossava un maglioncino a collo alto color panna che faceva risaltare il suo collo da cigno e teneva in mano due grandi buste dorate di Burberry.

Si scusò per l’orario e mi pregò di venderle, nonostante avessimo chiuso, un libro qualunque. Quella sera, infatti, si sarebbe dovuta recare da una coppia di amici del marito che avevano una figlia tredicenne. Qualcosa nel suo modo di esprimersi e di atteggiarsi mi mise a disagio, tanto che mi dovetti sforzare per riuscire a seguire il suo discorso.

Un po’ stordito, in un certo senso, dalla sua bellezza ammaliante, mi affrettai a prenderle quella copia di “The Hunger Games” che per colpa sua non avevo riposto sullo scaffale e, approfittando del fatto che il registratore di cassa non fosse stato ancora chiuso, gliela vendetti. Si dileguò senza neppure darmi il tempo di strappare lo scontrino. L’ultima frase che disse, mentre era sull’uscio, fu: « Molto bella questa libreria. Uno di questi giorni tornerò con le mie figlie. »

Confuso, finii di sistemare le ultime cose, presi il mio cappotto, salutai mio nonno e tornai a casa.

Solo due settimane prima io ed il mio migliore amico, Louis, avevamo deciso di separarci dalle nostre famiglie e di andare ad abitare insieme. L'appartamento in cui ci eravamo trasferiti apparteneva al padre di Louis ed era un vecchio loft che egli aveva adattato ad abitazione nel corso degli anni per affittarlo a studenti universitari. Sebbene fosse di soltanto sessanta metri quadrati, era perfetto per noi, perché composto da due grandi camere da letto, ciascuna con il proprio bagno, un modesto soggiorno con cucina a vista e una terza stanza, più piccola, in cui noi eravamo soliti fare le prove con il nostro gruppo musicale: “The Eskimo”.

Quella sera io e Louis ordinammo una pizza d'asporto e delle lattine di birra e ci stravaccammo sul divano a guardare la replica di una partita di football. Stremato da una settimana intensa, ben presto mi addormentai.

Il mattino seguente fui svegliato dall’odore di caffè che Louis aveva appena fatto. Ero sdraiato sul divano, avvolto in un plaid nero e con una tazzina di caffè fumante posata su un tavolino basso a pochi centimetri dal mio naso. Come al solito Louis si era preso cura di me ed ora stava sorseggiando il suo tè con dei biscotti al burro, poggiato contro il bancone della cucina, che mi guardava con un sorriso dolce.

Amami, ti prego {Harry Styles & Larry Stylinson AU}Where stories live. Discover now