1.| Come nasce una stella

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𖡼.𖤣𖥧𖡼.𖤣𖥧
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«Mamma, quella bambina con gli occhi verdi ha appena dato fuoco alla mia bambola!», stava piagnucolando una voce stridula, proveniente da qualcuno che arrivava più o meno a un metro di altezza. Delle mani rosee stringevano quella che un tempo era una piccola Riccioli d'Oro di pezza.
Un tempo, per l'appunto.
Ora dalla sua testa usciva un fumo nero e la faccia sembrava una candela consumata.

La madre della bambina era appoggiata su una valigia viola e aveva il cellulare aperto su una scheda Google che recitava "treni in partenza dalla stazione di King's Cross-Londra, 1° settembre 2017: prenota ora". Cliccò su "esegui pagamento" prima di alzare il capo per guardare sua figlia, la bambola incenerita e infine la bambina con gli occhi verdi.
Ricambiai lo sguardo con un sorriso a trentadue denti.

Anche la donna aveva gli occhi verdi, ma non erano neanche lontanamente paragonabili ai miei. I miei erano due biglie di un surreale verde elettrico, e le facevano impressione.
Non esitò un solo istante ad afferrare il polso della figlia e intimarle: «Vieni via, non avvicinarti.»

Forse non avrei dovuto usare la magia davanti a dei babbani così deliberatamente, ma avevo solo undici anni e lo trovavo divertente.
Ora, che di anni ne ho diciassette, credo che lo farei lo stesso.

Il mio nome è Leila Wright. Penso possa tornare utile sapere in anticipo che sono piena di problemi e che non ho mai imparato a risolverli. Se la vita non mi ha ancora dato il benservito, non è di certo merito mio.

Non che quel giorno stessi pensando a questo, comunque; se stai per frequentare il tuo primo anno a Hogwarts, sei occupata a spiegare ai tuoi genitori adottivi babbani che stai andando davvero in una scuola, e non in "una setta di fanatici" o a un "convegno di schizofrenici". E poi, eventualmente, incendi la bambola di una bambina che ha provato a rubarti il gatto.
Ma di certo non pensi ai tuoi problemi.

Per esempio: mentre abbracciavo Alessia e Matthew Wright, non mi stavo preoccupando del fatto che l'unico motivo per cui avevo il loro cognome era che, quattro anni prima, li avevo trovati in una lista di genitori che aspettavano di adottare un figlio da un orfanotrofio e gli avevo fatto un incantesimo affinché adottassero proprio me. Né mi interessava che parte dell'affetto che provavano nei miei confronti fosse dovuto alla magia, perché era comunque più di quanto chiunque mi avesse mai dato prima di allora.
E quello non era il momento di pensare al prima.

Non credo di essere mai stata tanto felice per il mio futuro quanto quel giorno. Non ansiosa, non insicura. Felice.
Probabilmente è proprio per questo che non andai in escandescenza quando un pallone da calcio colpì in pieno la gabbietta della mia gatta. Mi limitai a voltarmi con gli occhi ridotti a due lame di rasoio, studiando in silenzio l'espressione mortificata della ragazzina alle mie spalle. Aveva i capelli del colore del miele raccolti in una coda improvvisata, una maglietta oversize a maniche corte piena di terra e fili d'erba e dei pantaloncini sportivi.
Mi chiesi come facesse ad avere così caldo, ma dovevo supporre stesse giocando a calcio all'inizio. Di fatto, aveva ancora il fiato corto quando si avvicinò per scusarsi: «Merda, mi dispiace tantissimo», fece per accarezzare la gatta, che però si tirò indietro soffiando.

«Venus, non soffiare agli sconosciuti», la rimproverai allora. Poi piegai la testa verso la ragazza. «Gli sconosciuti vanno sbranati.»

«Può farlo davvero?», domandò lei, seriamente spaventata. «I gatti magici lo fanno? Perché nessuno me lo ha detto?»

Prima una bambina a cui bruciare la bambola, ora una babbana da prendere in giro: ero all'apice del divertimento. «Ci alzano i voti a scuola, se manteniamo il segreto.»

Inhale sky, exhale starsWhere stories live. Discover now