11| One good reason to stay

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8 Aprile, giorno 37
⏯ Million reasons, Lady Gaga

Dopo una settimana passata tra le coperte del letto, spizzicando qualcosa di tanto in tanto e piangendo tutte le lacrime a disposizione, Eva trova difficile persino vestirsi e rendersi presentabile. Avrebbe evitato volentieri questa gita in commissariato, ma la giustizia non aspetterà che lei si riprenda.

Sua madre la aiuta ad infilarsi il blazer nero, come quando era una bambina. Se non fosse per lei non muoverebbe un dito, per questo Caterina, guidata dalla sua infinita pazienza, le sistema i capelli e le da un tono con un po' di trucco, il minimo necessario a nascondere le occhiaie violacee e i graffi sul collo. Nascondere la polvere sotto al tappeto. Eva ha imparato a farlo piuttosto bene negli ultimi anni.

Sua zia attende fuori, nel salone di casa Bianchi, insieme a Daniele e Leonardo. La guardano tutti come se stesse camminando verso il patibolo e questo la irrita maggiormente, se possibile. Presa da un'orticaria nervosa, comincia a grattarsi in modo frenetico sulle braccia, arrossandosi la pelle. Sua madre le da un colpo secco sulle mani, beccandosi una brutta occhiataccia.

«Eva smettila!» la rimprovera, subito dopo però il suo sguardo si addolcisce.

«Sei sicura che non vuoi che venga con te?» le chiede afferrandole le mani.

Eva annuisce impassibile, dirigendosi verso la porta senza salutare nessuno, immersa in un silenzio tombale. Sua zia Isabella la segue in ascensore, con il corpo rigido. Non è mai facile affiancare Eva, specie quando è una mina vagante.
Prima ancora di arrivare al pian terreno e affrontare la folla di giornalisti che da giorni si apposta sotto casa sua, si abbassa gli occhiali scuri sul volto, completando il suo look da funerale.

«Parla il minimo indispensabile, ci penserò io a rispondere quando potrò.» esordisce sua zia in procinto di aprire le porte dell'ascensore.

«Mi sto allenando piuttosto bene.» ribatte la ragazza con tono piatto.

«Usciamo dal garage.» le dice su zia, afferrandola per un braccio e trascinandola fino alla sua macchina.

I giorni precedenti sono stati terribili da affrontare, un crollo emotivo dietro l'altro. Non è bastato che Eva si vedesse scivolare il mondo dalle mani, ha dovuto anche sopportare la delusione della sua famiglia nello scoprire che era immischiata in questioni non molto legali. Per i suoi non è mai stata una figlia perfetta, nonostante l'abbiano sempre amata incondizionatamente, ma di certo non si aspettavano tutto questo.

Quando tre anni fa Mattia le propose di modificare le macchine con cui correva, Eva si trovava nel periodo più fragile della sua vita e lui aveva capito di avere una grande presa su di lei. Sembrava la cosa più elettrizzante del mondo, un'attività che avrebbe unito la sua più grande passione al brivido di fare qualcosa di illegale. Un po' come due sedicenni idioti, che pensano di essere Bonnie e Clyde.
Qualche volta hanno anche rischiato di essere presi, ma per fortuna Mattia aveva i giusti contatti per evitare ad entrambi di finire dentro.
E se magari a rovinarla fossero state solo le corse illegali, ora si troverebbe semplicemente senza il lavoro dei suoi sogni, ma con una stabilità emotiva e non intrappolata in un caos di emozioni contrastanti.

Anche se l'instabilità mentale ce l'ha da sempre. Quella è forse l'unica cosa di cui Mattia non ha colpe. È una condanna che ha dalla nascita.

Non appena la macchina di sua zia sfreccia via dal garage vicino la palazzina antica, i giornalisti tentano in vano di rincorrerle. Una preoccupazione in meno per oggi.
Eva lascia cadere la testa, sempre più pesante, sul braccio poggiato al finestrino. La città scorre veloce lungo il vetro, lasciandola intrappolata nel suo varco spazio temporale indefinito. È così che si sente, bloccata, senza respiro.
Non sa se è pronta a rivedere Mattia dopo quello che le ha fatto, non sa come potrebbe reagire. Solo il pensiero la fa agitare e la fa tornare a grattarsi le braccia, fino a sanguinare.

In mezzo alla polvere // Charles LeclercWhere stories live. Discover now