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La signorina Allen era giovane e brillante. Vestiva in maniera semplice, sempre in gonna di pesante tessuto marrone e blusa bianca, impeccabile. Però, quando si trovava nel bel mezzo di una spiegazione da più di quindici minuti, il suo coinvolgimento era così intenso che puntualmente le maniche della blusa venivano rigirate rozzamente fino ai gomiti e un ricciolo castano sfuggiva alla perfetta crocchia di capelli. 

Alla fine di ogni lezione di letteratura inglese, la signorina Allen sembrava più una lavandaia che una maestra. 

E di questo tutte le ragazzine dell'istituto se ne rendevano pienamente conto. 

"Hai visto oggi, la Lavandaia? Sembrava ancora più matta del solito".

Ruth alzò gli occhi dal suo quaderno, dove stava terminando le operazioni di matematica prima dell'ora di lezione del signor Truman, quando udì la risatina odiosa di Mary Rose Brown. Era appena un bisbiglio, ma le sue orecchie erano diventate così sensibili a quel tono detestabile che era impossibile ignorare le sue parole. Tanto più che a lei la signorina Allen piaceva. 

"Mia sorella Helena dice che con quell'aspetto, deve aver lavato parecchie camicie prima di arrivare qui" le rispose Minnie Jackson, la sua amica del cuore, con cui condivideva il banco e i pettegolezzi di tutta la classe. 

"Vorrei ben sapere che altro faceva, quando non fregava panni vecchi" insinuò di nuovo Mary Rose, che tra le due pensava di essere la più adulta e andava sempre in cerca di malizia, abituata com'era a convivere con un fratello maggiore dandy.

Ruth sospirò debolmente, cercando di ignorare quelle risatine sciocche. Aveva tredici anni, ma si sentiva molto più adulta della sua età. La signora Eglantine le aveva detto che le bambine orfane crescono molto più in fretta delle viziatelle del Santa Barbara. Ruth avrebbe voluto crederci, se solo si fosse ricordata con certezza cosa l'avesse fatta crescere così velocemente. 

Solo al riflettere su quel chiodo fisso, si rattristò. L'addizione che stava completando sfumò, mentre i suoi occhi si fissavano sull'ultimo cinque ben disegnato e la sua mente tornava all'ultimo incubo che aveva avuto, nemmeno due notti prima. 

Cosa aveva sognato? Non ricordava quasi niente, solo un cielo color antracite e una pioggia fredda, sul viso. Gli incubi che raccontavano le sue compagne di classe parlavano sempre di mostri, assassini nascosti nelle ombre oscure della notte, grida di donne e d'infanti in pericolo. I suoi sogni, invece, erano sempre perfettamente silenziosi. E per questo ancora più spaventosi.

"Tu cosa ne pensi, Ruth? Tu ci hai vissuto in quel mondo, no?"

La risatina acuta di Mary Rose penetrò tra le volute nebbiose dei ricordi e strappò la ragazzina dal suo baratro di malinconia. Senza voltarsi, raddrizzò lentamente la schiena e dopo qualche secondo rispose: "Nel mio istituto non si facevano queste cose".

"Nel tuo istituto" la scimmiottò Mary Rose, mentre Minnie ridacchiava. "Come si chiamava, ce lo ricordi?"

Ruth si chiese perché dovesse sempre prestarsi a quel gioco. Invece di arrabbiarsi, come avrebbe voluto fare, cercò di rimanere impassibile e ripetere, per l'ennesima volta: "Piccole Serve del Sacro Cuore".

"Istituto per orfane ed esposte, Piccole Serve del Sacro Cuore" sottolineò l'altra ragazzina, con una punta di crudeltà nella voce. "Non vorrei che te lo dimenticassi".

"Già" concordò Minnie. "Devi dire il nome completo".

"Mary Rose se lo ricorda, mi pare" rispose Ruth. In realtà lei non si ricordava di quel presunto orfanotrofio dove doveva essere cresciuta. Le informazioni che ripeteva come un merlo indiano ogni volta che una delle bambine del collegio avevano il ticchio di torturarla le erano state gentilmente fornite dalla signora e dal signor Eglantine. Suo padre le aveva detto che aveva sofferto un incidente molto grave ed era per questo che soffriva d'amnesia. Le aveva promesso che prima o poi i ricordi sarebbero tornati, ma Ruth non era sicura di volerli indietro. La sua vita scorreva estremamente tranquilla, tolti i puntuali episodi di crudeltà delle sue compagne. 

"Non ci credo proprio che non vi facessero lavorare, lì" le fece notare Mary Rose. "Tutte le orfane vengono sfruttate, è normale, sai? Mio fratello Roger dice che la società è come una catena alimentare e le orfane sono come i vermi che vengono mangiati da tutti gli altri animali. Sicuramente le suore vi facevano fare dei lavoracci... non hai mai lavato le latrine?"

Questa volta Ruth si voltò. Lentamente. Incrociò gli occhi azzurri e maligni di Mary Rose. Non si degnò di rivolgere uno sguardo a Minnie, che non era altro che la sua versione più scialba. 

"Stai zitta, Mary Rose".

"Perché, altrimenti cosa fai, orfana?" la sfidò l'altra, sorridendo. Aveva piccoli dentini bianchi. Sarebbe stata una bella bocca, se non fosse stato per le labbra, troppo spesse e rosa per quei dentini. Davano un aspetto crudele e stupido al suo viso. Ruth si concentrava sempre su quel contrasto quando si trovava a scontrarsi con lei. 

"Ho detto: stai zitta".

"Dovresti portare più rispetto" le fece presente Minnie. "Mary Rose viene da una famiglia rispettata".

"Anche la mia".

"Gli Eglantine non..." iniziò Minnie, ma la sua difesa si spense sul nascere. Ruth le rivolse uno sguardo di sfida e attese che continuasse, ma la bambina bionda distolse lo sguardo e non proseguì. Nessuno mai aveva il coraggio di proseguire quando si parlava dei suoi genitori adottivi. Ruth non era sicura del motivo, ma le piaceva. Sua madre, in particolare, sembrava essere una specie di tabù per la maggior parte delle sue compagne. Strano, visto che Elysia Eglantine sembrava avere molti amici a St. Paul by-the-river. 

"Non sei nata in quella famiglia" tagliò corto Mary Rose, ma anche a lei era venuta meno la voglia di litigare. Con una classe innegabile, appoggiò un gomito sul banco e, senza neanche più rivolgere un'occhiata a Ruth, si voltò verso la sua migliore amica e domandò: "Allora, cosa facciamo alla tua festa di compleanno? Pensi che i tuoi genitori ti regaleranno un gattino? La gatta di Emily Thompson ha dato alla luce cinque piccini, forse può dartene uno".

Ruth tornò alle sue operazioni di matematica. Si chiese per l'ennesima volta cosa ci facesse in quel collegio privato interamente femminile, ma preferì concentrarsi sulla seguente addizione. La lezione stava per iniziare. 



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