Capitolo 1 - il testamento

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Noli
10 agosto 1995
Ore 5,30

Da qualche tempo non riusciva a sentirsi tranquilla.
Era scappata da Milano per rifugiarsi in quella piccola casa che sua nonna le aveva lasciato nel testamento. Aveva preso la macchina due giorni prima, esausta della sua esistenza, del suo stupido lavoro, del suo fidanzato che di lì a poco avrebbe sposato, e di tutto quello che una città affollata di gente che corre e di orologi tenuti cinque minuti avanti, poteva rappresentare in quel momento della sua vita.
Sua nonna era morta da una settimana, strappandole quel poco di serenità che era riuscita a costruirsi a fatica.
E le mancava, le mancava tremendamente.
Le mancavano le cose più stupide di lei. Quei gesti ripetuti, come il suo modo di bere il caffè proprio accanto al manico della tazza, oppure quella sua strana mania di cantarle scherzosamente la canzone della buonanotte che tanto le piaceva da bambina, malgrado i suoi ventisette anni.
Le mancavano le battute taglienti, la sua passione per il vino, e anche per qualche bicchiere di troppo.
Semplicemente le mancava lei, e le mancava il mondo che le era sempre ruotato intorno.
Quando il notaio aveva aperto il testamento era venuta a conoscenza di quella piccola casetta di cui, fino ad allora, nessuno aveva mai sentito parlare.
Sua nonna era ligure, lo sapevano tutti.
E chi, per puro caso non lo avesse saputo, veniva messo a parte della questione non appena lei si fosse azzardata ad aprire bocca.
Quell'accento inconfondibile le aveva garantito per tutta la vita il soprannome "la marinara" e, sin da quando era piccola e veniva portata a Bergeggi sulla 500 gialla tutta scassata, aveva sempre avuto la sensazione che sua nonna amasse e odiasse la sua terra natia con uguale intensità.
Aveva passato l'infanzia sulle coste liguri.
Sua nonna a mangiare acciughe fritte e bere Pigato, nascosta all'ombra di un ombrellone in ultima fila, lei nelle acque cristalline di un mare che vantava pochi contendenti in Italia.
Non aveva mai saputo della piccola casa di Noli.
Sua nonna non lo aveva mai detto a nessuno e, a dire la verità, non ci era mai voluta nemmeno andare, a Noli.
Quando facevano le loro lunghe passeggiate andavano dappertutto, tranne che a Noli!
Ogni anno, ogni maledetto anno per tutta la sua infanzia e l'inizio della sua adolescenza, sua nonna aveva preso la 500 dal garage della casa di Bergeggi, l'aveva portata oltre Capo Noli, superando la città velocemente e senza guardarsi intorno.
Poi arrivavano al confine del bel paesino di Varigotti, parcheggiavano l'auto e si inerpicavano in mezzo alla vegetazione.
Camminavano per ore, lei lamentandosi e sua nonna ignorando i suoi lamenti.
Quando finalmente giungevano ad un punto preciso in mezzo alla boscaglia, in quello che sembrava un piccolo terrazzamento ovale di terra battuta, sua nonna le diceva immancabilmente: "Guardati bene intorno, Francesca. Facciamo un gioco! Cerca di ricordare ogni particolare di questo posto, di quella stradina che scende leggermente verso il mare, la vedi? Quando arriveremo a casa dovrai disegnarla. Se lo farai bene, questa sera andremo a mangiarci una pizza gigante nel ristorante sul mare che ti piace tanto, d'accordo?".
Da piccola adorava quel gioco, malgrado la fatica che comportava il fatto di arrivare fin lassù.
Poi da adolescente aveva cominciato ad odiarlo, ma sua nonna sembrava tanto felice di quella loro piccola tradizione che lei si era sempre sentita una persona disgustosa al pensiero di dirle la verità.
Ma la marinara era una donna intelligente, molto più di quello che lasciava apparire, e man mano aveva trasformato i premi in un paio di orecchini, un paio di scarpe con un accenno di tacco da tenere rigorosamente nascosto a suo padre, un'ora in più sul coprifuoco serale...
Insomma, si era guadagnata la sua tradizione, anno dopo anno.
Un'altra delle cose assurde che le mancavano di lei.
Sua nonna era sempre stata una persona strana. Ma era una nonna con i fiocchi!
Erano andate ovunque. Una volta avevano persino raggiunto a nuoto l'isola di Bergeggi, ci erano salite sopra e avevano esplorato la vegetazione selvaggia, giocando ai pirati.
Avevano visitato Savona, Finale Ligure, Finalborgo con il suo entroterra e le sue montagne a picco sul mare.
Ma mai, mai e poi mai, erano andate a Noli.
Sua nonna l'aveva sempre liquidata come una cittadina noiosa, senza nulla di interessante da vedere o da fare.
Francesca si era sempre chiesta cosa diavolo ci fosse di tanto banale a Noli, ma nella sua testa di bambina, se sua nonna diceva che una cosa era poco interessante, allora era poco interessante. Punto.
Poi era cresciuta, aveva cominciato la sua travagliata adolescenza in una Milano piena di stimoli e di sfide da affrontare, e la domanda era semplicemente morta insieme alla curiosità.
Le estati a Bergeggi nella grande villa affacciata sull'acqua si erano fatte via via più rade, fino a sparire del tutto, lasciando il posto alle vacanze ad Amsterdam con gli amici, ai viaggi di studio, alle fughe di due giorni in montagna a sciare o alla programmazione di grandi viaggi on the road, sempre studiati con dovizia di particolari e poi mai affrontati veramente.
In fin dei conti lei non amava molto il mare, perlomeno non da quando era diventata adulta.
L'idea di passare ore ed ore su un lettino ad arrostire non la entusiasmava ormai da un pezzo, e la Liguria, ogni buon milanese lo sa, si trasforma puntualmente, tutte le estati, in un carnaio a cielo aperto, dove è impossibile prendere il sole, parlare o bere un drink, senza avere almeno dieci persone a più di cinquanta centimetri di distanza.
E questo le faceva ribollire il sangue.
Così aveva abbandonato definitivamente la riviera da ormai cinque anni con la ferma convinzione di non farci più ritorno.
Poi sua nonna era morta, il testamento era stato aperto e lei si era ritrovata proprietaria della casa in Liguria.
Quando il notaio aveva letto il documento, parlando della casetta al mare, Francesca aveva pensato di ereditare la maestosa villa di Bergeggi, da poter affittare a qualche tedesco innamorato delle acque blu, e invece si era ritrovata con una proprietà sconosciuta a chiunque altro della sua famiglia.
La grande casa era andata a suo padre che si era subito premurato di dirle di usarla ogni volta che ne avesse avuto bisogno.
Il suo lascito, aveva scoperto due giorni prima, consisteva in un appartamento di due stanze, dove non sarebbe entrata la luce del sole nemmeno per sbaglio, affogato nei carruggi della Noli vecchia.
Già, la Noli vecchia.
Più Francesca ci pensava e più non riusciva a capire come sua nonna avesse sempre potuto liquidare quel paesino con tanto disinteresse.
Noli era magnifica. Non c'erano altre parole per descriverla.
Oh certo, vittima anche lei, come tutta la costa, di vacanzieri impazziti che invadevano ogni sua spiaggia, ma la città, quella all'interno delle mura, beh... Quella era qualcosa di indescrivibile.
Si respirava medioevo ad ogni angolo, in ogni carruggio.
La storia parlava a chiunque avesse avuto voglia di ascoltarla. Soffiava con il vento, cantava con le campane.
Il suo appartamento faceva schifo, non c'era altro da aggiungere.
Ma fuori, al di là dei mattoni antichi più marci che intonacati, si perdeva un paesino bellissimo.
Il primo giorno aveva vagato per i vicoli, guardato le vetrine e comprato verdura ad un prezzo spropositato sulla piazza del mercato.
Poi si era chiusa nella casa fatiscente e aveva cenato da sola, guardando il muro del palazzo di fronte.
Il giorno dopo aveva girovagato per il paese, di nuovo, ma aveva avvertito qualcosa di strano.
Sentiva sempre qualcuno dietro di lei, senza mai trovarlo. Come se il paese stesso la stesse guardando, spiando ogni sua mossa, ogni suo sguardo.
Era una sensazione stupida che Francesca liquidò con la sua solita razionalità fastidiosa, imputando al vento, alla morte di sua nonna, all'umido delle pareti della casa, un qualcosa che sembrava esistere solo nella sua testa.
Però quella notte non era riuscita a dormire.
C'era qualcosa che le imponeva di alzarsi dal letto, qualcosa che la spingeva fuori da quella casa satura di odore di muffa.
Alle 5,30 si era ritrovata su una passeggiata che di giorno aveva sempre evitato come la peste, aveva osservato i pescatori rientrare dal lavoro, preparare i banchi del mercato sul lungo mare e infine, quando la prima luce timida del sole aveva rivendicato il suo spazio nel buio, aveva guardato in alto e lo aveva visto.
Era un castello, arrampicato sulla collina. Un castello che non aveva notato quando era arrivata in macchina la prima sera, nascosto com'era dalle case nei vicoli del paese.
Un castello che aveva dimenticato.
Lo stesso che tante volte, da bambina, aveva spiato da lontano, fantasticando di cavalieri e principesse, che un tempo lo avevano abitato.
Quando si trovò immobile, sulla passeggiata, con il naso puntato per aria e una mano a tenere un cappello che, non sapeva bene il perché, si era pianta sulla testa prima di uscire, decise di assecondare la sua innata voglia di scoperta.
Quella che aveva avuto fin da bambina e che con gli anni aveva dimenticato.
Si avvicinò ad un pescatore, lo salutò educatamente rispondendo con un sorriso al suo sguardo interdetto.
«Mi scusi, sa dirmi come si arriva a quella torre?» chiese, sfoderando tutto il suo fascino.
« Deve prendere la strada sotto la prima porta, poi costeggia il muraglione. Continua finché le pietre della parete non finiscono e alla fine ci sbatte dentro.»
Glielo disse scaraventando letteralmente una cassa di pesci non meglio identificati sul lavandino di marmo del banco.
«Ma cosa ci va a fare alle cinque del mattino? Aspetti almeno le 9 per salire, la vista è bellissima da monte Ursino a quell'ora!» biascicò con un forte accento ligure, afferrando una nuova cassa di pesci che avevano tutta l'aria di essere ancora vivi.
«Monte Ursino...» sussurrò Francesca senza pensare.
«Come dice, signorina?»
«No, niente!» si riscosse, aggiustandosi meglio il cappello sulla testa e fissando il pescatore che la osservava come si osserva una povera pazza. «Io... io ci devo andare adesso! Devo essere lassù in fretta!»
Un nuovo sguardo interdetto dell'uomo già tutto sudato, malgrado la brezza del mattino.
«Come preferisce, signorina. Se vuole fare in fretta tagli dalla strada del Vescovado. Nel muraglione di cinta, dopo qualche metro, si apre una porta. Lei ci passi attraverso. Troverà una scala mezza rotta, un ammasso di pietre. Se sale di lì è su in dieci minuti al massimo.» disse grattandosi la testa pelata. «Ma faccia attenzione ai rovi, tagliano come lame!»
Francesca udì le sue ultime parole quasi ovattate, mentre si girava di scatto e si dirigeva verso le mura medioevali che avvolgevano la città.
«Grazie!» urlò riscuotendosi in direzione del pescatore che, quasi sicuramente, l'aveva già classificata come una vacanziera con qualche problema mentale e che le sventolò distrattamente una mano, tornando a dedicarsi alle sue casse di pesce.
Pochi secondi più tardi si ritrovò su una salita che, lo sapeva bene, non avrebbe lasciato scampo ai muscoli già provati delle sue gambe.
La strada che le aveva indicato l'uomo del porto era effettivamente un ammasso di pietre sconnesse che avrebbero messo in seria difficoltà un funambolo navigato.
I rovi le avevano già tagliato le caviglie, lasciate scoperte dagli stramaledetti pantaloncini da trekking di suo cugino, che continuavano a caderle dalla vita, malgrado la cintura tanto stretta da impedirle quasi di respirare.
Passò in mezzo ad una nuova boscaglia, ormai il castello era sempre più vicino e lei, non capiva neppure il perché, sapeva di dover essere lassù il più in fretta possibile.
Forse era la consapevolezza che l'alba stesse per salire del tutto, forse era la volontà ferrea di non perdersi lo spettacolo. Questo era quello che il suo cervello razionale continuava a sussurrarle all'orecchio, cercando una ragione sensata alla sua corsa tra i rovi che ormai le avevano sfregiato anche la faccia.
Quando ne prese sul naso uno più grosso degli altri e sentì il sangue colarle sulle labbra, si riscosse per un attimo.
Rovistò freneticamente nello zaino, ne estrasse una salvietta con cui cercò di ripulirsi alla bene meglio e di togliersi il sapore ferroso dalla bocca.
Poi prese un barattolo di crema solare a schermo totale e se la spalmò sul naso, nel tentativo mal riuscito di attenuare un po' il bruciore.
Imprecò mentalmente.
Non solo la crema non aveva tolto il bruciore, ma se possibile lo aveva amplificato.
Ributtò tutto nello zaino con poca grazia e proseguì la sua corsa.
L'alba stava nascendo e lei non aveva più tempo.
Ma tempo per cosa? Maledizione, quanto si sentiva cretina. E più si sentiva cretina, più continuava a salire.
Quando raggiunse le mura del castello era sudata fradicia, puzzava come uno scaricatore di porto e probabilmente aveva più porzioni di pelle occupate da ferite lacero contuse di quelle scampate alla accoppiata devastante tra la sua stessa follia e la natura semi selvaggia.
Eppure si sentiva felice, come se fosse riuscita a fare quello che doveva fare.
Raggiunse il portone del castello.
Era chiuso.
Spinse con forza una, due, tre volte. Voleva entrare lì dentro. Ad ogni costo.
Un rumore alle sue spalle la fece sobbalzare.
Improvvisamente si ricordò della strana sensazione del giorno prima, quella di avere qualcuno alle spalle, qualcuno che non era mai riuscita a vedere.
E, in quell'istante, si rese anche conto di essere da sola, in mezzo alla boscaglia, ai piedi di un castello semi diroccato dimenticato da Dio e dagli uomini.
Ed ebbe paura.
Si voltò di scatto.
Questa volta la sua sensazione non era più solo una sensazione.
Un uomo la guardava, con gli occhi spalancati, che sembravano velati di stupore.
Per un attimo la sua educazione le suggerì di intavolare una conversazione, ma poi il terrore ebbe il sopravvento.
Si sentiva seguita, da giorni, e adesso un uomo le stava in piedi davanti, alle prime luci dell'alba, in un posto in cui non avrebbe dovuto esserci anima viva.
Corse, Francesca.
Si precipitò giù dalla collina, tagliandosi le poche parti di pelle che erano sopravvissute alla salita, lacerandosi i pantaloni che suo cugino tanto si era raccomandato di trattare come un cimelio, perdendo il cappello in mezzo alla sterpaglia e sentendo il fiato tornarle nella gola, solo una volta raggiunto il paese, nel quale le prime attività di una giornata di vacanza cominciavano a farsi strada nel mattino.

La donna a cui nessuno riuscì a dipingere gli occhiWhere stories live. Discover now