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Isobel.
    Guardo fuori. Il cielo è ancora leggermente azzurro e assolato, nonostante siano le nove di una sera di fine Luglio, una sera come tante. Sento il fruscio di una lieve brezza estiva. Quel delizioso ed incessante canto delle cicale si diffonde in tutta la stanza. Sbircio dalla finestra che si affaccia sulla strada, vedo una ragazza che cammina con passo svelto verso una meta a me sconosciuta, seguita dal suo piccolo cane. Guarda a terra, ostinata e sensuale, nel suo vestito leggero, appena sopra il ginocchio. Porta un cappello ampio, anni '80, da cui posso scorgere il suo sguardo concentrato a terra, su quel cemento rovente. Sparisce dietro l'angolo e non la vedo più. Questo posto è così vuoto durante il periodo estivo. Vedo passare raramente delle persone, che il più delle volte camminano velocemente e svaniscono poi dietro l'angolo e dalla mia attenzione.
    Conduco lo sguardo verso l'orizzonte, se così si può chiamare quest'ammasso di case. Abito in uno di quegli appartamenti grandi abbastanza per tre persone, in un edificio a tre piani vicino al centro. Moderno, ristrutturato da poco ed accogliente. Mi piace fare le scale, perché così, pur non essendo moltissime, mi tengo in forma.
    «Izzieeeee!». Sento mia madre urlare dall'altra stanza, «Dimmiiiii». Sbraito.
Afferro due libri sparpagliati nella scrivania e li riordino nello scaffale vicino al letto, lo rifaccio velocemente e corro a mettere i cd sparsi sopra lo stereo al loro posto.
    «È arrivato lo zio! Ti ha portato un regalo! Vieni qui!».
    «Arrivo! Un secondo».
Col fiatone, guardo soddisfatta la camera, in pochi istanti sono riuscita ad ordinare. Mio zio è appena tornato dalla Grecia ed ha fatto un salto per venirci a salutare, quindi tutto deve essere in ordine.
    Mi guardo attentamente allo specchio vicino alla porta e mi ammiro. Ho gli stessi lineamenti di mia madre. Un viso squadrato, ma perfettamente proporzionato e magro. Labbra sottili, troppo spesso morse da quei denti perfetti, leggermente ingialliti dal fumo, ma bianchi abbastanza da donare uno dei più bei sorrisi tra tutte le ragazze del paese. Prendo un burrocacao alla fragola e lo spalmo sulle labbra, osservando accuratamente ogni singolo millimetro che percorro. Poi mi guardo negli occhi. Celesti, limpidi, profondi, con sfumature di verde vicino alla pupilla. Sono sereni, ma vedo qualche tonalità di tristezza. Hanno visto tanto in quei loro diciott'anni. Sono sinceri, gli è difficile nascondere un'emozione. Prendo una spazzola e mi lego i capelli a coda di cavallo. Sono lisci e profumano di pesca. Sono castano scuro, simile all'ebano e risplendono sempre quando un raggio di luce sembra giocare a nascondino tra loro. La fronte larga, ereditata da mio padre, è coperta da una frangetta che mi arriva quasi alle sopracciglia. Sono lunghi un po' più delle spalle, simili a quelli di mia madre, con l'unica differenza che i suoi sono mossi.
Mi sorrido, senza un motivo e mi avvio di là della camera di mia madre, verso la cucina.
    «Ciao zio!». Gli porto le braccia attorno al collo e gli do un bacio «Come stai? Cosa mia hai portato?».
    «Ciao Izzie! Sto benissimo! Ti ho portato questa».
Fruga un po' nella tasca del borsone blu che ha con sé, reduce dal viaggio in aereo. Nella mano destra tiene una catenina d'argento che stringe a sé la forma di una luna, con un piccolissimo brillantino nella punta inferiore. La tengo tra le mani, emozionata.
Mi sorride, scoprendo quelle piccole rughe a lato degli occhi, tipico di chi ride tanto. «Ti piace?».
    «È ... bellissima». Non so che dire. Sono semplicemente sorpresa. Continuo a fissarla, incantata dal bagliore di quella catenina, come se lì dentro ci fosse tutto l'amore di mio zio. Mi cerca con gli occhi, quegli occhi verdi che mi hanno da sempre ispirato sicurezza, felice di aver fatto la scelta giusta. Cappello sportivo e scarpe da ginnastica, questo è il suo stile. Ha una maglietta viola che fa intravedere dei bicipiti ben tonificati, anche se leggermente aggrinziti per l'età. Intravedo il tatuaggio sul polso destro, una I, la mia iniziale. Quando lo fece io avevo solo sette anni. Ero la sua principessa, indifesa e bellissima. E lui il mio principe, con quegli occhi verdi da favola che osservavo ammaliata. Giovane nei suoi quarantasei anni., ma con un'esperienza di vita alle spalle incredibilmente ricca. Felice per quella vita che è stata così generosa con lui.
    «Sono contento che ti piaccia, piccola. Viene da Creta sai?».
    «Grazie, zio. È splendida, giuro». Gli vado vicino e gli do un bacio sulla guancia.
    «Allora, com'è la Grecia?»
    «Ah la Grecia è ... bellissima, indescrivibile. Ci sono dei tramonti mozzafiato, soprattutto a Santorini. Non dimenticherò mai quelle case marmoree che spiccavano nel paesaggio. Ed il mare che si affacciava... Immenso, spaventoso, ma affascinante». Sorride e volge lo sguardo fuori della finestra, ricordando il mondo che aveva visto, con occhi sognanti. «Quando il sole si addormentava dietro l'orizzonte sentivo il cuore in pace, come se fosse vuoto, ma sereno. È un contrasto lo so, ma ho avuto questa sensazione di povertà e ricchezza allo stesso momento. Povertà perché io potevo solo contemplare quel magnifico spettacolo che accadeva davanti ai miei occhi e non poteva essere mio. Ricchezza, invece, perché mi rendevo conto che, cavolo...ero fortunato a poter vedere con i miei occhi quel tramonto che domani sarà diverso, più bello, forse, ma unico. A volte mi chiedo come può esistere una meraviglia così». Ritorna a posare gli occhi su di me e sorride lievemente. «La prossima volta però vieni con me, vero Izzie? » dice attorcigliando un dito in una ciocca dei miei capelli.
Eccome. Mi piacerebbe davvero moltissimo. Poter scoprire quella terra piena di profumi, ascoltare una lingua a me incomprensibile, ridendo con lui delle varie pronunce e poter sognare vedendo quel famoso tramonto di cui parlano tanto. Sentire il cuore ricco di una gioia indescrivibile. Poter essere felice veramente, almeno per pochi minuti. Poi, quando il sole sarà tramontato, me ne andrò a ballare e a confondermi con quelle persone così diverse da me.
    «Si zio ... Contaci!». Sorrido, sapendo bene che mamma non mi avrebbe mai lasciato andare con lui, infatti, lei arriccia subito la bocca, pronta a dire qualcosa, ma io sono più veloce.
    «Mamma, io tra un po' esco.».
    «Cosa?». Sembra confusa, quasi sorpresa. «E dove vai? Con Rosalyn? Quanto stai fuori?». Mi bombarda con quelle domande tipiche di una madre apprensiva e sola, nella sua modesta villetta di città.
    «Sì, esco con Rosalyn. Andiamo al Piper, mamma, contenta?». Sbuffo, stanca dei suoi soliti impicci nella mia vita. Ormai ho diciott'anni, posso fare quello che voglio.
    «Non rispondermi così Isobel».
    «Vado a cambiarmi». Do un bacio a mio zio e corro in camera. Mi sdraio nel letto. Possibile che mia madre debba essere così...così come? Protettiva? È naturale Izzie. È tua madre. Ha già perso tuo padre, vuoi che perda anche te? Sì, è vero devo stare calma. In fondo lei lo fa per il mio bene.
    Istintivamente mi rifugio negli occhi della persona che amo di più al mondo e che se n'è andato quando ero piccola, mio padre. Accanto al letto ho un grande quadro. C'è una foto di me e lui insieme, che mia madre ha ingrandito fino a diventare esteso quanto un poster. Lo osservo attentamente. Quegli occhi sono un mondo, per me. Un mondo dove lui è ancora vivo e mi protegge, mi ama. Celesti, proprio come i miei, mi donano una quiete inconcepibile e troppa dolcezza. I suoi capelli sono leggermente lunghi, scomposti e color caffè. Le labbra sottili, vellutate, come quelle di un bambino. Mi manca tantissimo.
«Mi manchi». Lo sussurro. E già mi sento le lacrime agli occhi. Mi accorgo a ricercare una sua risposta. È una cosa stupida, me ne rendo conto. Una lieve brezza d'aria all'improvviso mi accarezza la schiena. Sento un brivido, ma non ho freddo. Mi alzo e chiudo le ante della finestra. Metto una mano nel vetro, consapevole che ne rimarrà l'impronta. Chiudo gli occhi.
Mi manchi, papà.

LibbyWhere stories live. Discover now