volume uno: 𝑬𝐫𝐚𝐧𝐨 𝐬𝐨𝐥𝐨 𝐯𝐨𝐜𝐢

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My truest life is unrecognizable, extremely interior and not a single word can describe it

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My truest life is unrecognizable, extremely interior and not a single word can describe it.



Jungkook non aveva mai preteso di essere il protagonista. Si era sempre rannicchiato in un angolo, i piccoli piedi affondati in colline di sabbia, attendendo il momento giusto per raggiungere quel castello imperfetto, plasmato da mani non sue, e aggiustare la punta della torre più alta. Era un processo che richiedeva solo qualche secondo: aveva il tempo di approfittare delle mamme che richiamavano i bambini e del marasma opprimente contro l'ingresso del parco. Era sempre passato inosservato. Se qualche anno dopo qualcuno avesse chiesto a quei bambini chi fosse il fantasma che perfezionava le loro opere, loro non avrebbero potuto rispondere se non con la magia.

«Eravamo sempre in tre. Il parco era abbastanza piccolo per far sì che noi scorgessimo altre presenze in quella piccola pozza di sabbia. Lo avremmo notato.»

Jungkook non si lasciava scoprire. Un fantasma. Il personaggio secondario. La comparsa. I riflettori non avevano mai stuzzicato il suo interesse, nemmeno quello dei genitori. Se durante la senilità qualcuno avesse chiesto a Jungkook cosa ne pensasse dei suoi genitori, lui non avrebbe potuto rispondere se non con una smorfia di disgusto.

«Erano scarafaggi. A malapena si udiva il tonfo delle loro zampette rachitiche sul pavimento quando accendevi la luce e si rifugiavano nelle zone più buie.»

A diciassette anni, tuttavia, Jungkook li considerava due ottimi genitori. Sua madre era una donna di comune aspetto, occhi troppo grossi per un volto troppo scarno, i capelli neri come la maggior parte della popolazione coreana e, caratteristica che aveva sempre sollazzato gli spiriti bollenti degli uomini, una pelle bianchissima. Fino all'età di tre anni gli aveva sempre permesso di disegnarci, su quella pelle bianchissima. Soffiate le quattro candeline qualcosa era scattato nella mente di Jungkook, cominciando a preferire tracciare linee disordinate su se stesso.

Suo padre, d'altro canto, aveva la stessa loquacità di un crostaceo. Il suo carattere placido non si distanziava esageratamente dalla signora Jeon. Un grande lavoratore, un uomo profondamente buono, era riuscito a mantenere la dignità nonostante il primo e ultimo scandalo di cui si era reso partecipe Jungkook. 

«Non me lo aspettavo dal figlio dei Jeon. È sempre stato un bravo ragazzo. Mi aiutava spesso con la spesa quando mio nipote non c'era.»

La prima esperienza che ebbe coi riflettori puntati in faccia. Aveva occupato il centro esatto di un palcoscenico che non voleva. Allorché Jungkook non aveva stretto i pugni incamminandosi verso l'uscita, ma aveva preferito rannicchiarsi su se stesso per chiedere scusa.

«Io e tua madre siamo delusi dalla tua pessima condotta. Non credevamo che nostro figlio fosse... Non riesco  nemmeno a dirlo. Speravo di averti cresciuto meglio di così. E invece no.»

Lo avevano fatto sentire piccolo piccolo, infinitesimamente insignificante, la testa compressa tra le clavicole per il tentativo malsano di dissolversi nell'aria.

«Piccolo mio, siamo giunti alla conclusione che questa sia solo una fase per te. Erano solo dei giornaletti. Gli adolescenti hanno questi... Strani spiragli di curiosità, in questo caso insana, ma ti staremo vicini nel percorso che intraprenderai. Vogliamo solo il bene per il nostro Jungkook. Sei la cosa più importante che abbiamo.»

Gli occhi di sua madre gli erano parsi sinceri. Onesti. Leali. Comprensivi. Il tono dolce con cui aveva modulato le parole lo aveva quasi convinto che lo stessero facendo per lui. Jungkook aveva taciuto: cosa avrebbe dovuto dire, dopotutto?

Nel salotto striminzito della casa in cui era cresciuto, il diciassettenne Jungkook aveva acconsentito a scalfire la sua adolescenza con il primo trauma della sua vita.

«Ora che ci penso, Jungkook è sempre stato strano. Mi fissava spesso. Ogni volta che mi giravo, durante le lezioni di biologia, avevo quei suoi enormi occhi inquietanti puntati addosso. Pensavo mi invidiasse per il mio successo nel club di karate o per la mia relazione con Somin.»

«Camminava in modo goffo, come se si vergognasse di farsi guardare dagli altri. Ha sempre nutrito un bizzarro disagio verso se stesso.»

«Avevo una cotta per lui, sapete. Non l'ho mai rivelato a nessuno perché era lo studente sinistro della nostra classe. Ora mi sento addirittura sporca, come se fossi stata ingannata. Avrebbe dovuto dirlo a tutti anziché spezzarmi il cuore. Sono contenta di non avergli mai confessato il mio amore.»

«Nessun ragazzo ha mai parlato con lui, vero? Preferiva la compagnia delle femmine. Altroché playboy, avremmo dovuto capire fosse solo un frocio.»

CATTIVITÀ NORMATIVA // vkookDove le storie prendono vita. Scoprilo ora