UNO

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Il pomeriggio con Evan era passato tra abbracci e pianti per tutto quello che si erano raccontati. Era tanto, troppo tempo che non si aprivano l'uno all'altra. Era stato liberatorio.

A cena si era creato un qualcosa come un velo di rabbia tra Astrid e Sua madre, mangiò in silenzio e si stupí che i suoi non chiedessero a Evan come fosse andata la sua giornata. Erano soliti farlo anche se sapevano quanto mi facesse sentire inutile.
Poi vide suo padre aprire bocca, come se volesse parlare, ma subito si pentí e mascherò il tutto mettendo una forchettata della sua insalata in bocca.

Dopo 10 minuti buoni la madre cominciò a parlare. Ogni tanto mi farebbe piacere se chiudesse la bocca.

"Abigail. Io e tuo padre abbiamo discusso e abbiamo deciso di mandarti in un istituto privato per ragazzi difficili." Spiegò come se fosse la cosa più normale al mondo. Rimase impassibile, per mandarla in confusione. Era furiosa.
Si alzò di scatto spingendo la sedia a terra, prese il piatto e lo lanciò a sua madre il più forte possibile. La Mancò.
Prendi bene la mira Abigail. Non fai altro che sbagliare.
Riprovai con il bicchiere di vetro. Mancai anche quel lancio.
"Perché mi fate questo?!" Urlò esasperata.
"Abby calmati, è solo per il tuo bene. Terrai meglio sotto controllo la tua salute mentale lí." Evan lo sapeva? Sapeva ogni cosa?
"Tu lo sapevi..." borbottò.
"Tu lo sapevi, non è cosí? Sapevi tutto! E mi hai tenuta buona tutto il pomeriggio per farmi cenare qui e non avere scelta!" Si girò incazzata e lo spintonò fino a farlo cadere per terra. Si mise a cavalcioni su di lui e iniziò a riempirlo di pugni. La rabbia le aveva offuscato completamente la mente.

Le voci erano incontrollabili.

Suo padre la prese di peso -non che pesasse così tanto- e la trattenne cosichè la madre potesse curare il povero Evan. Che aveva ferite ed ematomi sul viso. Vedi non fanno altro che pensare a lui! Tu non vali nulla per nessuno.

"BASTA! Non ce la faccio più." Corse in camera urlando e chiuse a chiave la porta, si infilò una felpa oversize e si mise sotto le coperte.
Respirava a malapena. Oggi non aveva preso gli ansiolitici. Sentí il petto bruciare e le tempie pulsare, cadde in ginocchio sconfitta d dolorante.

Un conato le salí in gola e prontamente corse in bagno e rigettò il poco che aveva mangiato nel wc.
Continuò per un po'. E finalmente crollò sul pavimento piastrellato e freddo del bagno.

14 Settembre.

06:30 a.m.

La sveglia con la voce di Louis Tomlinson in 'kill my mind' la svegliò dolcemente e di buon umore. Stranamente.
Erano più di ventiquattro ore che non usciva dalla sua camera, non aveva mangiato, non che di solito lo facesse, ne aveva parlato con nessuno. La lametta le faceva compagnia e le cicatrici soffrivano la solitudine. Aveva smesso da una settimana con gli antidepressivi, si sentiva come più leggera, ma allo stesso tempo più pesante. Mentalmente.
Aveva passato il sabato sera e la domenica a leggere Juno Dowson e ascoltare musica. Non aveva parlato neanche con Harry.

Perchè lo nomino sempre? Non sa nulla di me. Perché dovrei parlargli delle mie crisi? Scapperebbe. Come tutti.

Oggi avrebbe voluto svegliarsi tardi e rimanere a letto ancora qualche giorno. Non sarebbe stato possibile, dato che si sarebbe dovuta trasferire in quell'istituto.
Non aveva intenzione di muoversi da camera sua.
Si fece una doccia e mi vestii, adidas, tuta e felpa.
Che fantasia Abigail! Cazzo vestiti meglio.

"Abby è ora di andare!" Divertente Evan, Divertente.
Stese zitta cosí che pensasse che dormisse.
Ovviamente non ci credeva nessuno. Si era sempre svegliata alle 6. Per gli incubi, gli attacchi di panico, la paralisi del sonno e le voci. Oggi no.

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