quattro

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I giorni passavano e le cose iniziavano a cambiare.
Tutti i venerdì e sabato sera andavamo a casa di Leo, ormai facevamo parte del gruppo.
Con loro mi trovavo davvero bene e mi sembrava di star finalmente riprendendo la mia vita in mano.
Nonostante i miei crolli quasi giornalieri, il mio umore era cambiato, mi sentivo meno stanca e appesantita dai miei problemi.
Mavi e Matteo si frequentavano, non stavano ancora insieme ufficialmente, ma ero convinta che lui glielo avrebbe chiesto presto.
Non pensavo fosse possibile, ma la bionda sembrava più raggiante di prima ed era in una forma strepitosa.
Aveva l'aria di una persona che si stava godendo la vita a pieno, più di quanto già non facesse in precedenza.
Io e Matteo stavamo piano piano diventando grandi amici, mi trovavo bene a parlare con lui e ci divertivamo un sacco.

Andrea mi scriveva praticamente tutti i giorni e ogni volta che ricevevo un suo messaggio, sentivo che la mia giornata migliorava.
Ne avevo parlato con Mavi, la quale aveva fatto la saputella tutto il tempo dicendo che era sicura che ci fosse qualcosa.
Ogni volta che ci vedeva insieme, mi rivolgeva sguardi complici, facendomi fare spesso delle figure di merda con i ragazzi.

Mi sentivo un po' più leggera.
Ma, come al solito, in me c'era qualcosa che non andava.
La mia testa era piena di paranoie.
Avevo capito che mi stavo affezionando in una maniera pericolosa al moro, e questo mi spaventava a morte.
Quando iniziavo a fantasticare, pensando che forse il destino aveva in serbo un finale felice anche per me, subentravano tutte le mie paure, che mi facevano entrare in paranoia e distaccare dal mondo esterno.

Io e Andrea ci eravamo visti un paio di volte da soli, perché a detta sua, mi doveva assolutamente ridare indietro la sigaretta.
Successivamente ci aveva tenuto a specificare che quella sarebbe stata la sua scusa ogni volta che voleva vedermi.
L'ultima volta, mi aveva detto che si trovava nei pressi del ristorante in cui lavoravo, così a mezzanotte, mi aveva fatto una sorpresa, presentandosi alla fine del mio turno.
Eravamo rimasti in macchina per due ore a parlare, come se fossimo amici di vecchia data.
Era uscito anche l'argomento riguardante il mio ex, ma vedendomi a disagio aveva cercato di indirizzare la conversazione verso altro e non avrei potuto essergliene più grata.
Poi mi aveva accompagnata a casa e mi aveva salutata, promettendomi di rivederci il venerdì sera a casa di Leo.
Il fatto che ci stessi prendendo l'abitudine mi piaceva, alla mia routine si era aggiunta una parte della settimana
A dirla tutta, era forse quella che preferivo.

Era mercoledì sera.
Il mio turno era iniziato da ormai 4 ore e, anche se avrei dovuto staccare 1 ora dopo, ero esausta.
Quella sera il ristorante era pieno e avevo servito almeno quindici tavoli.
Mattia, il capo cameriere, mi intercettò mentre andava in cucina, con le braccia impegnate a sostenere una cosa come dieci piatti.
"Giuls sono incasinatissimo, andresti a prendere le ordinazioni al tavolo quattro?"era visibilmente stanco anche lui, il suo turno era iniziato ancor prima del mio.
Annui sorridendogli mentre spariva dentro la cucina, non prima di rivolgermi uno sguardo di gratitudine.
Mi diressi verso il tavolo, ma mano a mano che mi avvicinavo, le persone che vi erano sedute mi sembravano sempre più familiari.
E ne ebbi la conferma, non appena i volti dei miei amici si girarono nella mia direzione.
Sentii il sangue gelarmisi nelle vene.
Erano tutti sorridenti e mi guardavano divertiti.
"Che cosa ci fate qua?"incontrai lo sguardo del moro che mi squadrò da capo a piedi.
"Buonasera, noi saremmo pronti a ordinare"fece scoppiare tutto il tavolo in una fragorosa risata.
"Vi ho fatto una domanda"il mio tono era una via di mezzo tra la delusione e la rabbia.
"Non sei contenta?"solitamente il suo sorriso mi rendeva felice, ma in quel momento l'avrei preso a schiaffi.
Spostai lo sguardo su Mavi che mi osservava preoccupata, facendomi realizzare all'istante che lei non ne sapeva niente.
Capiva come mi sentivo in quel momento.
Il ristorante era l'unico luogo in cui potevo distrarmi e scollegarmi dal mondo esterno, concentrandomi sul mio lavoro.
Riuscivo a sfogare le mie frustrazioni lì dentro, passando il tempo con gente che conoscevo poco e sopratutto che conosceva poco di me.
Lei lo sapeva benissimo, infatti non si era mai permessa di venire anche solo a farmi un saluto.
Si era sempre limitata ad aspettarmi fuori per venirmi a prendere nelle sere in cui finiva di lavorare prima di me.
"Per favore andate via", le lacrime che minacciavano di uscire mi annebbiavano la vista.
"Ragazzi andiamo", la bionda fece per alzarsi e io la ringraziai con lo sguardo.
"Ma perché? Pensavo di aver fatto una cosa carina".
Il fatto che Occhi Verdi si ostinasse a rimanere seduto faceva salire la rabbia dentro di me.
"Andre, andiamo". Leo gli tirò una pacca sulla spalla, incitandolo ad alzarsi con loro.
Ma lui non lo ascoltava, rimaneva fermo al suo posto guardandomi sconcertato.
La prima lacrima rotolò giù dalla mia guancia, così mi limitai ad allontanarmi dal tavolo.
Percepivo i loro sguardi posati su di me come coltelli nella schiena.
Paola, la direttrice della sala, nonché proprietaria del ristorante, mi guardò comprensiva.
Era una persona molto empatica e sapeva che spesso avevo dei crolli, ma non si era mai permessa di chiedermi niente, mi concedeva semplicemente di staccare e riprendermi.
"Vai in bagno, non ti preoccupare. Chiedo a Mattia di sostituirti"mi posò una mano sulla spalla ed io la ringraziai, fiondandomi nel bagno dei dipendenti.

Chiusi la porta a chiave e mi accasciai per terra.
Vista da fuori la mia reazione sarebbe potuta sembrare esagerata, ma mi sentivo violata.
Odiavo essere così complicata e piena di problemi, i miei complessi non mi davano tregua ed io mi sentivo soffocata.
Non riuscivo a liberarmi della continua sensazione di vuoto che avvertivo nel mio petto.
Da quando avevo conosciuto i ragazzi la percepivo molto meno, ma in quel momento il dolore dentro di me era talmente forte, che arrivai a sentire male al petto.
Le lacrime non smettevano di rigarmi il viso e mi ritrovai le maniche della camicia sporche di trucco.

Ero riuscita a riprendermi un minimo e a terminare il turno.
Paola mi aveva detto che potevo andare a casa e che mi avrebbe fatta sostituire, ma volevo rimandare il più possibile il rientro.
Probabilmente i ragazzi erano tutti lì e l'ultima cosa che volevo fare era incontrare i loro sguardi carichi di compassione.
Finito il turno avevo preso la macchina e avevo iniziato a guidare senza una meta, per poi ritrovarmi nel parcheggio del supermercato.
Ogni volta che Lorenzo mi faceva del male, ogni volta che soffrivo ed ogni volta che avevo qualche problema, mi ritrovavo in quel fottuto parcheggio.
Ci passavo intere notti a piangere, sfogarmi e riflettere,con le canzoni più tristi di sottofondo.
Questa era forse l'unica cosa che Mavi non sapeva di me.
Sapeva che le notti in cui non tornavo era successo qualcosa, quindi mi aspettava sveglia fino alla mattina, quando esausta e con gli occhi gonfi, tornavo a casa e mi sfogavo con lei.
Era l'unico modo per capire ciò che stavo provando e schiarirmi le idee, così da poterle mettere nero su bianco, quando parlavo con lei.
Era la mia via di fuga dal mondo esterno, era un posto solo mio di cui nessuno sapeva il ruolo nella mia vita.

Mentre mi accendevo una sigaretta, presi in mano il telefono, che non avevo ancora avuto il coraggio di guardare.
Il mio turno al ristorante era terminato da più di un ora, infatti la quantità di messaggi e chiamate perse dai miei amici mi impedivano di sbloccare lo schermo, tante erano le notifiche che arrivavano in continuazione.
Il mio viso si illuminò e sul display apparve "Mavi".
Con mio grande stupore feci scorrere il mio esile dito sullo schermo e risposi alla chiamata.
"Giuls mi dispiace così tanto, io non ne avevo idea"ed ecco che le lacrime tornavano ad impossessarsi dei miei occhi.
La mia risposta fu rimpiazzata da singhiozzi soffocati.
"Non torni stasera vero?"la sua voce era incrinata.
"Ci vediamo domani mattina"riuscii a formulare la frase, il mio tono dettava disperazione.
"Fai attenzione Giuls, io ti aspetto qui. Ricordati che va tutto bene, prendi un respiro profondo e poi sfogati. Ti voglio un bene che non è esprimibile a parole"chiusi la chiamata prima che potesse aggiungere altro.
Le notifiche da parte di Andrea non facevano altro che aumentare, come le lacrime che si accumulavano tra le mie palpebre.
La musica faceva da sottofondo al rimbombo dei  pensieri nella mia testa.
E fu così che mi ritrovai per l'ennesima volta in quel fottuto parcheggio, con le maniche del maglione bagnate dalle mie lacrime.

SantanaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora