SEI

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A fine luglio Alberto ci salutò. Come ogni anno mio zio, suo padre, era arrivato in porto. Le botte e le punizioni ci avevano allontanati e ci guardavamo ancora in cagnesco, ma eravamo troppo giovani per avere assimilato le modalità dell'odio. Un abbraccio cancellò il ricordo della lite, anche se i bernoccoli ci facevano ancora male.

«Tanto l'anno prossimo ti frego a battone
«E io a Monopoli.»

Alberto caricò lo zaino in macchina e tornò nuovamente verso di me. Le settantanove figurine della famosa vincita me le regalò con un velo di tristezza.

«Tanto a scuola da me non ci gioca nessuno.»

Due giorni prima di Ferragosto, Germana partì per Lauria. Era mezz'ora di strada, ma per me era andata in un altro mondo, parallelo e irraggiungibile. Billi prima di andare mi lasciò in custodia la famosa figurina.

«Così ti tiene compagnia. Però è mia, poi me la ridai.»

Un giorno prima di Ferragosto, Don Maiano disse che quella era l'ultima volta che diceva messa per l'Assunta. L'anno dopo sarebbe andato da un'altra parte - lo sapeva solo Dio dove - e che alle questioni spirituali avrebbe pensato il parroco di Buglia. La gente mormorò un poco, ma si sapeva da quando c'era stato l'incidente, che troppe cose erano destinate a cambiare.
Oggi il Mago ha chiuso l'emporio ed è andato a trovare il fantasma del figlio. Germana mi ha detto che presto imparerà nuovamente a camminare, ma è una fesseria inventata dal padre in un impeto di protezione verso la figlia. Il Mago non tornerà più. Ha ricominciato da tempo a inveire la notte contro le ombre. E così al terzo tornante per Lauria, penserà bene di lasciare le mani dallo sterzo e volerà giù. Lo troveranno due giorni dopo, seppellito dalle lamiere rosse della sua utilitaria. L'ultima cosa che hanno registrato i suoi occhi, prima di spegnersi, è stata la figura di una donna silenziosa, con un bambino per mano, anche lui zitto. Il Mago era riuscito ad accennare un segno di saluto, con la testa, prima di andare via nel silenzio squarciato dai boati dei razzi, esplosi dal moletto di Buglia.
Io adesso sono qui, solo. Seduto in spiaggia. Ho ancora i miei capelli in testa e un nubifragio nello stomaco. Alle undici in punto inizia quello che, fino all'anno scorso, era lo spettacolo. Normalmente, con le altre teste pelate, mi sarei buttato in acqua, nel vano tentativo di pescare le luci, che si spengono nel mare di Favara, ma oggi è un tipo di Ferragosto differente. A parte me non c'è nessuno che ha avuto voglia di arrivare fino alla spiaggia. E anche io sono qui, solo in attesa di una fine. Della necessaria fine dei fuochi, del Ferragosto, di Don Maiano, del tempo scandito dalla campana della chiesa. Una fine logica, comprensibile, accettabile almeno. Percepisco che tutti a Favara la aspettano. A tutti è successo qualcosa; non a tutti la stessa, va bene, ma è successa. Difficile dire se sia stata la presenza scenica dei miei capelli, la cappelletta rossa demolita o il fantasma del figlio del Mago, ma sicuramente quella fine non poteva che compiersi lì, a due passi dal mare, in quel punto dove la luce antica delle stelle, da sempre, terminava il suo percorso cosmico, materializzandosi nei ricordi miei e di Germana. In quel posto dove la luce artificiale della festa dell'Assunta, completava la sua parabola, morendo in mare.
Alle undici in punto la prima esplosione nel cielo! La prima pioggia di stelle artificiali. Sì! Tutto è trasfigurato, strutturalmente modificato. Le stesse persone che conosco si sono appannate e stento a distinguerle le une dalle altre. Appaiono come un mosaico di frammenti di bottiglie di vetro colorato. Hanno forme logiche nel complesso, ma la singola tessera evoca la bottiglia originaria solo a me che ho memoria esatta del suo colore. Il problema vero è che io li sto dimenticando i colori, a mano a mano che le scie precipitano in acqua. Così come sto dimenticando le teste pelate che non urlano più. Stanno in silenzio, dietro i vetri delle case, poco dietro le sterpaglie. Trasformati in ombre dalle lampade giallastre delle stanze dove, volontariamente, si sono segregati, in attesa della fine. Non hanno neanche più i capelli così corti. Hanno facce diverse, visi lontani dal tempo in corso, attraversati da rughe, incompatibili con i giocattoli disordinatamente disposti ai piedi dei letti a castello nei bugigattoli precari delle case di vacanza. A ogni esplosione, uno ad uno, si riducono in frantumi, tessere variopinte di un mosaico astratto e futurista.
La seconda esplosione nel cielo! Proiezione verticale di particelle pirotecniche che deflagrano in comete evanescenti. E nessuno ha voglia di pescare insieme a me le luci, nell'acqua verde petrolio di Favara. Attendono tutti, con fastidio, che il rumore finisca, che quel bombardamento termini per andare a letto e dimenticare per sempre il Ferragosto, Buglia, Favara, Don Maiano, il Mago, la cappelletta rossa, la mia testa rasata, il Monopoli, il fantasma con la moto, Vito Chimenti, Billi. Vogliono la demolizione completa della memoria, della scenografia estiva che maschera la tristezza di Alberto, mentre cena insieme al padre che non ha mai vissuto un'ora intera della sua vita con lui. Per questo sono disposti a sacrificare l'esistenza concreta di Germana, lasciandomi lì, sulla spiaggia a guardare luci che nessun palombaro potrà aiutarmi a ritrovare in fondo a quel mare.
La terza esplosione nel cielo. Rumore di devastazione, mascherato di ludica ilarità, inonda le orecchie di quelli che attendono quest'ultimo finale. Il rumore del motore è alle mie spalle, ma non mi volto a vedere la sorgente reale. In fondo, se tutto deve finire in questo momento, non posso impiegare tempo interessandomi a fantasmi che se ne vanno in giro in moto, a Ferragosto. Devo concentrare la mia attenzione sulla conta delle scintille ancora sopravviventi, focalizzare la traiettoria del razzo prima che evapori nel cromatismo della cascata di fuoco, immagazzinare memoria del rumore sinistro dell'esplosione, imprimendo sulla mia retina l'immagine decolorata del borgo estivo virata, incredibilmente, nello stesso sepia antico della foto dei nonni, miracolosamente recuperata tra le macerie del bombardamento del '43.
Sono concentrato sul pezzo, anche se avverto il rumore croccante delle sterpaglie sotto i piedi del fantasma, dietro le mie spalle. I sensi rivolti alla scena pirotecnica e la sua mano che tocca, delicatamente, la mia spalla. È seduto accanto a me adesso il fantasma, naso all'insù segue distrattamente la fine.

«Dormo da voi nella stanzetta questa notte.»
«Sei tornata per vedere come finisce?»
«Sì. E per riprendere la figurina di Billi.»
«Non poteva finire senza i giochi di fuoco, vero?»
«No, non poteva finire senza.»

Finalmente mi giro a guardarla: ha i capelli sciolti e la camicia di garza di cotone. La cingo con il braccio e lei poggia la testa sulla mia spalla. Il buio mescola insieme i nostri capelli impedendone la netta distinzione. Il vuoto ci avvolge, finalmente, e ci inizia al bacio, come se tutto questo surrogasse una qualche tardiva promessa.
L'ultima esplosione nel cielo! Scintille rabbiose precipitarsi contro quest'ultimo fotogramma, guardando dall'alto un panorama speculare a quello inciso sulla retina spossata del Mago. Flash gigantesco per impressionare la scena del volo dal terzo tornante della strada per Lumia. Per immortalare l'ombra della donna zitta, che tiene per mano il bimbo, pietre di sale davanti al groviglio di lamiera rossa, fumante. A quell'ombra il Mago sorride, indirizzando lo sguardo oltre la frattura del parabrezza, sulle labbra un ti ho ritrovata, pacificatorio.
Le scie si spengono, placate, sulle increspature iridescenti della superficie del mare. La scena è oramai memoria, disegnata sul mosaico di vetro, comprensibile a me solo. Una a una le luci espongono i singoli, ultimi, fotogrammi. La penultima luce il viso di Germana che accarezza i miei capelli. L'ultima Vito Chimenti, innaturalmente sorridente sulla figurina di Billi.

La figurina di ChimentiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora