Neanche per sogno

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Non sapevo perché tutti avessero la mania di definirmi presuntuoso.

Va bene, dʼaccordo, forse lo sapevo.

Ma, dʼaltro canto, fare il mio lavoro e non avere un pizzico di mania di protagonismo, era pressoché impossibile.

Vuoi che la gente ti guardi, vuoi piacergli e vuoi attenzioni, sarebbe da ipocriti dire il contrario.

Forse io ne mostravo più di un pizzico, ma cʼerano delle motivazioni.

Avevo il terrore di fallire e di deludere le persone che amavo, ed essere tagliato fuori da qualcosa, qualunque fosse, scatenava in me grande insoddisfazione e rabbia.

Perché se ti escludono, significa che non sei il migliore.
E se non sei il migliore, finirai per deludere tutti.

Poteva darsi quel meccanismo dentro di me fosse scattato per via della dislessia, perché mi sentivo come se qualcosa mi mancasse e quindi tendevo a voler riempire quella sorta di vuoto con altro.

Comunque, in generale, mi piaceva eccellere, pretendevo tanto da me stesso, ero perfezionista e maniacale.

Ogni disegno doveva piacermi appieno, essere fatto a regola dʼarte, oppure non riuscivo nemmeno a guardarlo.
Dovevo essere il migliore nei miei videogiochi preferiti, non farmi battere mai da nessuno o erano guai.
Non dovevo cadere mai dallo skateboard, o almeno non in pubblico.

E, se riuscivo in tutte queste cose, mi piaceva dirle ad alta voce. Non per vantarmi, solo per... dimostrare di avercela fatta.

Beʼ, dʼaccordo, ero presentuoso.

Ma stronzo? Addirittura stronzo?

Eppure, lei, nemmeno troppo velatamente, me lʼaveva fatto capire, mentre durante lʼintervista descrivevo la mia ragazza ideale dicendo che avrei voluto mi tenesse testa, non perché fossi stronzo, appunto, ma semplicemente non mi piacevano le persone piatte e prive di personalità.

A chi piacevano?

Se sei stronzo o meno dovresti lasciarlo decidere a loro.” Aveva detto.

Andai in paranoia.

Davo sul serio quellʼimpressione?
Insomma, dʼaccordo, non avevo il carattere tra i più facili da gestire, ma come aveva potuto darmi dello stronzo in cinque minuti di conoscenza?

Cosʼera, il tono della voce? La mimica facciale? O semplicemente il viso? Avevo il viso da stronzo?

Ma perché mi stavo preoccupando del parare di una sconosciuta di cui a stento conoscevo il nome?

Che nome, però.

Luce.

Forse persino più bizzarro del mio, avevo una voglia irrefrenabile di cercare su Google quale dei due fosse il meno comune. Ugh, ero proprio un caso perso.

“Ragazzi, è stato un vero piacere.” Sorrise il tizio al quale non avevo fatto minimamente caso per tutto il tempo. Comʼè che si chiamava? Tiziano? “Tornate a trovarci.” Poi, si rivolse a lei. “Luce, ti va un caffè? Avviati se vuoi, passo in direzione e arrivo subito.”

Lei annuì e poi se ne andò, anche se prima ci fece un cenno con la mano, che ricambiammo tutti, Lele in modo particolare.

“Ma ti piace la nanetta?” Chiese Gian, mentre io drizzavo le orecchie, senza però dare il minimo segno di interessamento con lʼespressione facciale.

Nanetta. Sì, effettivamente sembrava arrivare a stento al metro e sessanta.

“A me?” Ridacchiò il biondino. “Ma quando mai, è solo tanto simpatica. Non sono io qui quello che se la mangiava con gli occhi.”

Defenceless Where stories live. Discover now