Gocce di pioggia

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Ieri hai chiuso la porta e il contatto tra il nostro embrione e la sua catena si stava perdendo e quel sapore di noi non ci sembrava più lo stesso

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Ieri hai chiuso la porta e il contatto tra il nostro embrione e la sua catena si stava perdendo e quel sapore di noi non ci sembrava più lo stesso.

Salivamo le stesse scale dove ogni base e ogni acido formavano la coppia successiva che scoloriva ogni riflesso di noi.
Non era uno specchio ma la distanza tra noi e quel profumo che ci distingueva era lì, tra le tue mani e le mie in quel legame che, malgrado tutto, esisteva ancora.
Era lì e sembrava non avesse importanza che ci fosse un tempo o un luogo per sopravvivere.
Era un confine ed io ci stavo bene.
In quel limite, la consapevolezza che se soltanto uno di quei legami si
fosse sciolto, la catena si sarebbe piegata e quella scala non avrebbe più avuto gradini da salire.
Proprio così, quella parola "gradini" esprime quasi il valore di un grado in sequenza, in un ordine che diventa disordine se si torna indietro.

Quell'embrione cresceva, stava per diventare forma e contenuto di un amore prossimo e la sua nascita, una vita.
Tu ed io in quel progetto, tu ed io in quell'evento inatteso in una strada grigia con un divieto di sosta e tante ville che fiancheggiavano il passaggio.
Senza divieto noi sostammo.
E fu piacevole.
Non potevi chiudere la porta;
davanti a te un ingresso, una scala a chiocciola e dei frammenti di noi che aspettavano di diventare un'altra volta quell'intero che eravamo.

E adesso, lassù rivedo noi in quello stesso progetto che eravamo e che ancora siamo con la voglia di salvarci, la voglia di salvare quella scala e i suoi gradini che diventano gradi se guardiamo all'ordine del crederci ancora, malgrado le distanze, malgrado le assenze che sembrano sfiorare la fine della storia.
Ed è così che quel confine segna il nostro limite, come due stati vicini, silenziosi, discreti e complementari.
Siamo noi, i limiti di noi stessi, instancabili autori delle nostre vite con divieti di accesso e semafori verdi che oltrepassiamo per raggiungerci. I
l ritrovarsi, un giorno, sarà un sogno.

A volte ci incontriamo nella vita senza alcuna ragione, a volte la troviamo e noi l'avevamo trovata quella ragione:
il destino.

Qualche volta i sentieri del tempo ci separano e le nostre ricerche si affidano al vento che in estate va in vacanza insieme alle piogge e all'amore che spesso si perde, ma non sono le stagioni a definirci, sono gli attimi che sembrano frammenti di pensiero.
In effetti siamo l'unità in cui si mescola quel " noi" che riusciamo ad essere quando siamo insieme, dove si annulla ogni porta chiusa, ogni gabbia aperta, perché noi lo chiudiamo lo sportello per restare soli e si perde ogni desiderio di volare via.
In un istante nasciamo come fosse la prima volta che ci cerchiamo per ricordarci che siamo nati per caso da quell'embrione,
dal nostro embrione.
Come quando ti cercavo dal tavolino del nostro bar, attraverso il vetro che gocciolava di pioggia o attraverso i riflessi del sole della nostra isola, quella della nostra storia, coi colori a pastello.

Eri l'arcobaleno in un cielo di pioggia appena finita, eri la speranza del sole che torna da dietro le nuvole e porta con se il calore che mancava.
Ti aspettavo.
Ed ho ancora voglia di aspettarti, all'uscita del bar o all'entrata, per il solito caffè che dividiamo, per il saluto un po' distratto per la fretta del mattino, per dirti che ti amo ancora e che nessun divieto sarà un ostacolo,
se ancora lo vorrai.
Noi che abbiamo colorato
i gradini della nostra scala,
noi che vogliamo credere che il nostro sogno esiste ancora, che malgrado tutto, troviamo ancora il cielo nella notte buia delle nostre distanze, noi siamo qui a voler continuare la nostra storia a pastelli.

Una storia a pastelliWhere stories live. Discover now