Tear

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Blaine quella mattina non aveva nessuna voglia di seguire la lezione. Aveva passato la notte a far salire di livello il suo paladino-tank su World of Warcraft, cercando nel frattempo di ottenere soldi per la mount, che senza accorgersene si era già fatta l'alba. E ora aveva delle occhiaie che gli scavavano profondamente il viso olivastro e una postura che assomigliava molto a quella di un australopiteco, per la schiena curva, le braccia abbandonate inermi davanti a sè e il passo pesante di chi volesse fare tutto, tranne che dirigersi in classe. E se era a malapena in grado di tenere gli occhi aperti, come diavolo avrebbe fatto a contare i millilitri dei beker nella lezione di scienze?
Stava seriamente considerando l'idea di saltarla. Lo aveva già fatto altre volte, e non se ne era mai veramente pentito, anche perchè, tutto ciò che sperimentavano in classe lui lo aveva già verificato per conto suo a casa, una o due volte ogni tanto; si era ritrovato spesso a chiedersi quale fosse l'utilità di alzarsi presto la mattina e ri-fare le stesse cose. Che poi, non era un affare così impossibile far eruttare un vulcano di cartapesta. Bastava una reazione giusta di biossido di carbonio, azoto e poi-
Una voce grottesca e baritonale piombò alle sue orecchie. L'avrebbe riconosciuta tra mille.
Era quasi arrivato in classe, ma non era ancora entrato; giusto in tempo per vedere un gruppetto di giocatori di football - Azimio, Samuelson e Smeath, conosceva a memoria i loro nomi, ormai – gracchiare con le loro voci roche e provocare Kurt e Mercedes, seduti l'uno vicino all'altra.
Osservò incuriosito il modo con cui il ragazzo fulminò gli altri tre, specialmente quello più grosso, e come li prese in giro tirando fuori quella battuta acida che lui non avrebbe mai avuto il coraggio di fare: ma era Kurt, lui non aveva paura di un gruppetto di energumeni con qualche chilo in più, lui non si lasciava terrorizzare da minacce a vuoto e risate gutturali.
Eppure, non riuscì a fare a meno di notare il suo viso incupirsi di colpo dopo aver ascoltato chissà quale frase di Azimio, sussurratagli ad un orecchio; non pensava che anche Kurt subisse quel genere di cose. Certo, non veniva spintonato, nè, tantomeno, buttato nei cassonetti: era protetto dalla Sylvester e la coach non avrebbe mai permesso che venisse infortunata la sua gallina dalle uova d'oro. Ma Blaine pensò che quello fosse ancora peggio. Non riusciva ad immaginare cosa gli avesse detto, ma con una sorta di amarezza ipotizzò che fosse qualcosa di molto pesante, oppure, di affilato, specifico, qualcosa su di lui e che lo aveva scosso nel profondo: perchè Kurt adesso si stava accarezzando il petto come se gli mancasse il respiro, e le sue mani tremavano al solo pensiero di qualcosa.
Ma fu solo un momento: nell'attimo successivo il suo viso era tornato ad essere di pietra, la schiena eretta, le labbra serrate e fredde. Eppure, quello sguardo rimaneva. Era come se il suo corpo mostrasse una cosa, ma i suoi occhi un'altra. E Blaine conosceva bene quell'espressione, perchè la vedeva riflessa nello specchio ogni mattina. Solo, non avrebbe mai pensato di vederla in Kurt.
Continuava ad osservarlo, mentre qualcosa dentro di sè premeva per andare dritto da lui e confortarlo. Ma come poteva? Lui non aveva di certo bisogno del suo aiuto; sembrava non aver bisogno di nessuno, in realtà.
Si chiese se fosse veramente possibile; e alla fine, mosso dalla sua folle impulsività, dalla solidarietà nel vivere la stessa cosa oppure, semplicemente, da un istinto, più radicato nel profondo, fece l'unica cosa che era in grado di fare: non poteva parlargli, non di fronte a tutta quella gente, così gli scrisse un messaggio, sperando di fargli scappare almeno un timido sorriso. Voleva solo dire qualcosa di divertente e che, allo stesso tempo, che lo facesse star meglio; probablimente non avrebbe mai capito l'allusione a Tekken. Probabilmente, appena letto il messaggio, avrebbe ottenuto l'effetto contrario ricevendo una smorfia orripilata oppure uno sbuffo altamente annoiato: avrebbe cominciato a sbottare: "che cavolo vuole adesso questo Blaine da me?!", o peggio, "perchè mai ho deciso di dargli il mio numero?!"
E poi si rese conto dei suoi stessi pensieri: oh Dio, che aveva fatto? Aveva agito senza riflettere, dando per scontato che fosse veramente nella posizione di poter mandare sms abusivi degni del peggiore stalker. Kurt non lo avrebbe gradito, l'avrebbe soltanto trovato impertinente. Ci mancava solo che avesse scritto "so dove vanno a fare piscina i tuoi figli", e sarebbe stato degno di un carcere.
Si voltò di scatto, con la schiena appoggiata al muro, la porta della classe ad una spanna da lui eppure incredibilmente lontana. Se prima non aveva nessuna voglia di andare a lezione, adesso aveva anche un valido motivo per saltarla: con che faccia si sarebbe presentato davanti a Kurt? Non poteva certo dirgli "hey, sì, prego per quel messaggio, sai, ti ho spiato dalla porta". Altro che carcere: Kurt avrebbe chiamato direttamente l'igiene mentale.
Ma, soprattutto, non aveva il coraggio di scoprire la sua reazione; non aveva il coraggio di sentirsi dire "stai al tuo posto", oppure, come quella volta nello sgabuzzino, "io e te non siamo amici".
Perchè non lo erano: il suo carattere gentile e affettuoso glielo faceva costantemente dimenticare.
Cominciò a correre via, ignorando il suono della campanella, il professore che si stava avvicinando dall'altra parte del corridoio, le voci dei bidelli che gli urlavano di non correre.
In quello stesso momento, Mercedes si soffermava ad osservare il sorriso raggiante di Kurt, chiedendosi cosa avesse fatto Blaine Anderson per far scaturire una cosa tanto bella.


Per tutto il resto della lezione, e anche per quella successiva, Kurt continuò ad alternare stati di ansia profonda a colpi di sonno mortali. Si appisolava sul banco quando i suoi occhi non ce la facevano più, e si svegliava di soprassalto ogni qual volta qualcuno urlava il suo nome, oppure, semplicemente, ad ogni rumore particolarmente brusco. La frase di Azimio lo aveva colpito più di quanto non volesse ammettere, e lo notò anche Mercedes. Durante il cambio d'ora lo afferrò delicatamente per un braccio, guardandolo dritto nei suoi occhi stanchi: "Kurt, va tutto bene?"
Esitò soltanto qualche secondo, avvertendo il calore emanato dell'amica, ma, allo stesso tempo, gli sguardi di sottecchi dei ragazzi che camminavano lungo il corridoio.
"Certo. Sono solo un po' stanco", rispose, perchè era la verità. Almeno in parte.
"Perchè non ti vai a riposare un po' in infermieria? Ti copro io con la Sylvester. Gli dico che ti sei sentito poco bene."
Non era una cattiva idea. Saltare i durissimi ed estenuanti allenamenti, in cambio di un caldo e morbido lettino, nella pace più assoluta e, soprattutto, senza giocatori di football ed occhi indiscreti. Avrebbe avuto un momento per se stesso, come se fosse stato nell'intimità della sua camera, libero di immergersi in un mondo che non gli apparteneva ma che ogni volta illuminava i suoi sogni. E voleva farlo con tutto il cuore: in quel momento, era tutto ciò di cui aveva bisogno.
Sorrise sommessamente e le strinse velocemente una mano, come per salutarla, come per dirle, "grazie mille, Mercedes", e l'amica parve capire. Ricambiò il gesto e prima di dirigersi verso parti opposte della scuola si promisero una chiamata infinita da effettuare dopo cena.


La sala dell'infermieria non era mai tanto affollata, anzi, vista la fobia americana di prendersi assurde malattie era un posto che veniva preferibilmente evitato. Kurt tuttavia non credeva in febbri gialle o influenze dei polli (*), quindi entrò senza farsi tanti scrupoli e spiegò alla dottoressa i motivi del suo malessere. Ovviamente, non le disse che aveva dormito due ore per passare la notte davanti al computer: piuttosto avrebbe finto qualche malattia sconosciuta, sperando che l'infermiera se la bevesse. Ma quella donna lo guardò storto ancora prima che cominciasse ad aprire bocca, ne conosceva a bizzeffe di ragazzini che si sentivano male solo per saltare qualche test, e quei cheerios non godevano certo di una buona reputazione.
"Ragazzino, che sintomi hai?"
Kurt sviò lo sguardo da un'altra parte, tentando con tutte le forze di atteggiarsi da malato e biascicare un'efficiente diagnosi:
"Ho...ho un forte mal di testa... stanchezza incrontrollabile... e anche qualche capogiro. E' come se potessi svenire da un momento all'altro, ecco."
A malapena trattenne un sorrisetto compiaciuto, mentre l'infermiera rimaneva ad osservarlo immobile: era un attore nato, non c'era niente da fare, nemmeno Cal Lightman di Lie to Me sarebbe riuscito a smascherarlo.
"Ragazzino, ti sei reso conto di aver descritto i sintomi del ciclo mestruale?"
Okay, forse non era così tanto bravo.
"L-l'ho fatto?!" Domandò, con un tono di voce inquietantemente alto e spaurito, e la donna gli rivolse un'ultima smorfia prima di sbuffare, fare un gesto convesso con il polso ed indicargli una brandina nascosta dalle tendine.
"Ti do mezz'ora. Non un minuto di più. Al cambio dell'ora fili fuori."
Ci furono una serie interminabile di "grazie", e, "non puoi avere il ciclo, lo sai", ai quali susseguirono anche dei "sì, lo so, sono un cheerio, non un giocatore di football: abbiamo cervello, noi", ma alla fine Kurt ottenne il suo tanto amato lettino, e perfino l'infermiera che se ne andava a prendere un caffè per lasciarlo dormire più tranquillamente.
"Ah – lo richiamò, giusto un secondo prima di chiudersi la porta alle spalle – c'è un altro ragazzo che riposa nel lettino accanto, vedi di non disturbarlo."
Le rivolse un'occhiata assolutamente gelida, e per pocò non le rispose male: ma per chi lo aveva preso?! Solo perchè qualche volta rispondeva male a un paio di persone non voleva dire che era un maleducato! Insomma, non si sarebbe mai sognato di importunare qualcuno che stava veramente male. Ma questo fu bene attento a non dirlo ad alta voce.
Si sedette sul letto, sfoderando cuffie e lettore mp3 e sdraiandosi un po' seccato: adesso aveva solo voglia di mettere su Barbra Streisand, isolarsi dal resto del mondo e viaggiare di fantasia. Preferì non pensare al volto furibondo di Sue Sylvester che lo rimproverava per aver disertato le prove, e nemmeno a quello saccente di Quinn Fabray che gli diceva "te l'avevo detto", solo per farsi bella davanti alla coach e ottenere il ruolo da capo-cheerleader.
Che se lo prendesse quel maledetto ruolo. Ne aveva fin sopra le tasche di ginnastica, frullati ipocalorici e stress; ma poi, come tutte le altre volte, scosse leggermente la testa, e sospirò. Non era vero: non era affatto stufo, anzi, era soddisfatto di quella vita, ne era grato. Era faticoso, certo; ma bastava ricordare il motivo per cui lo stava facendo per fargli dimenticare ogni lamentela.
Nonostante la rinnovata convinzione, quelle riflessioni miste alla simpaticissima conversazione di poco prima gli avevano fatto passare anche quel briciolo di buon umore che aveva; quello che era riuscito a recuperare grazie al messaggio di Blaine, così inaspettato, eppure, così gentile.
E chissà, disse tra sè e sè, pensieroso, vagamente sorridente: prima o poi avrebbe avuto anche l'accortezza di ringraziarlo.
Solo, pensava che lo avrebbe fatto più poi, che prima.
Un secondo dopo la tendina del lettino di fronte a sè si separò, mossa da un gesto secco di un paio di mani, rivelando così il volto stanco e ancora assonnato di un ragazzo che emise un piccolo sbadiglio, le guance arrossate, gli occhi –privati da ingombranti occhiali- che si aprivano e richiudevano svegliandosi pian piano.
E Kurt non riuscì davvero a trattenere il modo sorpreso, felice ed imbarazzato con cui disse quella parola:
"Blaine?!"
Il sottoscritto trasalì, sussultando sul posto, rivolgendo a Kurt un'occhiata allibita e, allo stesso tempo, confusa: "K-Kurt! Che-che ci fai tu qui!? Stai male?"
"N-no, io no! E tu? Tu stai bene?"
"S-sì, ora sto bene, ma non riesco a capire, voglio dire, io sono qui, e tu sei lì, ed è..."
"Strano."
"Sì, strano! Quante possibilità avevamo?"
"Poche."
"Nulle!"
"Un momento, cosa vuol dire ora sto bene? Che avevi prima?"
Quando Blaine esitò per rispondere, quando si morse appena il labbro inferiore rimanendo in silenzio, Kurt si rese conto di aver agito e parlato in un modo che non poteva fare. E poi, perchè lo aveva chiesto?Perchè sì, rispose immediatamente una voce dentro di sè. E poi aggiunse anche di essere stata molto eloquente.
Ma no, non aveva nessun diritto di parlare in quel modo a Blaine, non erano fatti suoi se fosse male o meno; ma nemmeno lo aveva realizzato. Blaine sembrava davvero combattuto contro qualcosa, tanto da attirare completamente la sua attenzione.
Il ragazzo, però, non spiegò niente. In risposta, si morse appena il labbro inferiore e mormorò: "Stavo solo schiacciando un pisolino. Ho dormito poco questa notte."
Aveva l'aria di uno che non fosse abituato a mentire; questo pensò Kurt, mentre lentamente cercava di incrociare i suoi occhi nocciola.
"E tu?"
Il cheerio inarcò le sopracciglia, rispondendo senza troppo interesse: "Oh, stesso motivo. Anche io ho dormito poco."
Lo guardò per un secondo, di sottecchi, prima di sorridere: "Ok dai, confessa. Film o discoteca?"
"Come scusa?"
"Non credo che tu abbia passato la notte a levellare a WoW come me, quindi, le opzioni sono due: o hai fatto serata, come dite voi altri – sottolineò, con un certo cinismo- oppure ti sei sparato qualche film."
Kurt stava seriamente considerando l'idea di strabuzzare gli occhi e dirgli di aver cannato in pieno tutte le sue supposizioni, soprattutto la prima. Purtroppo per lui, però, era rimasto ancora all'inizio della frase.
"Tu hai fatto...cosa? E dove? Hai livellato un...un cosa? ...Sei un operaio?"
Ok, la risata che seguì subito dopo fece intuire che, forse, anche lui aveva appena cannato in pieno.
Blaine restò per diversi secondi in quella situazione, ridendo talmente tanto da posare una mano sulla pancia e l'altra a strofinarsi gli occhi con la punta delle dita. I suoi occhi adesso erano limpidi, per il sonno, o per il divertimento, a Kurt non importava: erano così interessanti, nella loro luminosità, con quel bagliore di dolcezza. Ed erano così particolari. E poi, doveva ammetterlo: senza quei grossi e larghi occhiali, Blaine...
"Stai bene."
Oh Dio, non lo aveva appena detto ad alta voce.
Lo aveva fatto?
Blaine adesso lo fissava incuriosito, aveva appena smesso di ridere.
Prese diversi profondi respiri perchè sì, lo aveva appena detto, e accidenti alla sua bocca che parlava senza pensare, e accidenti al suo cervello che pensava senza riflettere. Adesso doveva dare una spiegazione logica a qualcosa che non aveva senso. E stavolta non stava parlando con Brittany o qualche altra cheerio, stavolta non se la sarebbe cavata con una risatina e via. Ma più aumentava quel silenzio, più il suo cuore andava in iperventilazione, con le guance che si coloravano da un rosa pallido ad un rosso acceso.
Andiamo Kurt, inventati qualche frase di circostanza, qualsiasi cosa, la prima che ti passa in mente e poi svignatela via!
"Occhiali. Voglio dire, gli occhiali, non ci sono."
Il sottotesto perfetto sarebbe stato: qui parla capitan Ovvio. Va bene: il suo cervello lo stava palesemente prendendo in giro.
Eppure, Blaine sembrò essere preso contropiede, perchè deglutì un paio di volte, prendendo un lungo respiro, e mormorando: "Sì, li ho lasciati a casa." Perchè non poteva dire che, in realtà, glieli avevano rotti i bulli giusto qualche ora prima.
Kurt, fortunatamente, sembrava troppo agitato per accorgersi della sua piccola bugia. Sembrava cercare con tutte le sue forze di creare qualche frase degna di logica, e a Blaine tutto quello sembrò semplicemente adorabile. Ma anche molto strano: perchè il rossore, i balbettii, le mani che stavano torturando i lembi della maglietta, sembravano tutti dei chiari segni di imbarazzo. Ma Kurt non poteva essere imbarazzato. E per cosa, poi? Non riusciva a capire il filo del suo pensiero. Sempre se ci fosse qualche pensiero dedicato a lui, dentro quella testa così riservata.
Alla fine, con grande sorpresa di entrambi, Kurt si ritrovò a dire: "Dovresti curarti di più, sai? No, non volevo dire questo. Insomma, non volevo offenderti; è solo che gli occhi, hem, gli occhiali. Voglio dire, i tuoi occhi. Spiccano di più senza gli occhiali."
Non avrebbe saputo ripetere quel discorso nemmeno con la moviola. Ed era un vero idiota, perchè Blaine sicuramente l'avrebbe preso per scemo, e lui era veramente pessimo quando veniva messo sotto pressione.
Era talmente preso a gestire il suo, di imbarazzo, che non si accorse di quello dell'altro quando, timidamente, si limitò a dire: "Grazie."
"Grazie a te. – Fece subito lui - Sì, insomma, per il messaggio."
"Oh. Lo hai letto."
"Sì."
Un'altra, flebile, pausa.
"N-non ti stavo stalkerando."
"Come?"
"Non c'è di chè."
"A-ah. Anche io. Voglio dire, per quella sottospecie di complimento di prima: non c'è di che."
E tra di loro piombò il silenzio. Immersi nei propri pensieri e persi in quelli dell'altro.
Era tutto molto strano. Il loro comportamento, i loro pensieri. Erano tutti e due diversi da come si mostravano nella realtà. Però, nessuno dei due sapeva dire se diverso volesse dire "bello" oppure "brutto". Nessuno dei due, in quel momento, realizzò che diverso poteva significare speciale.
Uno perchè, semplicemente, non ne era ancora in grado. L'altro, perchè non poteva.


"Kurt!? Kurt, sei qui?"
La voce squillante di Mercedes la precedette nella sua entrata in stanza, e aveva tutta l'aria di aver passato un pessimo quarto d'ora. Non appena varcò la soglia l'atmosfera trai due ragazzi cambiò: perfino a livello fisico, Blaine si voltò istintivamente da un'altra parte e Kurt tirò indietro le spalle, alzandosi in piedi di scatto, allontandosi di qualche passo da lui e rivolgendo alle ragazze un'occhiata imperscrutabile.
Erano tornati ad essere il cheerio e il ragazzo delle ripetizioni.
"La Sylvester è su di giri, dice che di questo passo non vinceremo mai le nazionali e ha detto che vuole vederti nel suo ufficio seduta stante. Muoviti, cosa aspetti!? Ti sta aspettando da dieci minuti!"
Non ebbe nemmeno il tempo di replicare: la ragazza lo afferrò immediatamente per un braccio e lo trascinò in un batter d'occhio nel bel mezzo del corridoio.
Non aveva nemmeno fatto caso allo sguardo che gli aveva rivolto Blaine.

"Mercedes, calmati! Che sta succedendo!?"
"E' assurdo, Kurt, la coach ha cominciato ad arrabbiarsi perchè tu salti una prova sì e l'altra pure, e-"
"Aspetta. Non mi avevi detto che mi avresti coperto?"
"L'ho fatto! Ma quegli idioti di Azimio e Samuelson le hanno detto di averti visto stamattina, e che stavi un fiore. Non sapevo più cosa dire!"
Nemmeno lui. Adesso aveva un'espressione indecifrabile in volto, le gambe che presero a correre più veloce, il respiro che si era fatto improvvisamente più affannato. Stava sudando freddo.
Perchè proprio quando una piccola luce aveva cominciato a risplendere, ecco che il mondo si era fatto buio, freddo.
Era tornato tutto come sempre.
Azimio e Samuelson avevano ideato un nuovo modo per fargliela pagare. Ma purtroppo, avevano trovato quello giusto.

"Io ne ho abbastanza, Hummel."
La coach era seduta davanti a lui, gli occhi pieni di rabbia, le mani intrecciate fermamente sulla scrivania.
"Prendi voti schifosi in matematica, non ti presenti alle prove. E ora vengo a sapere che fingi pure un malore?"
"Coach Sylvester, posso spiegare, io-"
"Non dire una parola. Sei molto bravo a girare la frittata in tuo favore, quando ti fa comodo. Ma adesso tocca a me parlare. Non fai altro che ripetere quanto i cheerios siano importanti per te...ma non me lo hai mai dimostrato."
"M-ma coach, mi alleno duramente quasi tutti i giorni, sto perfino prendendo ripetizioni per-"
"Quinn Fabray salta molto più in alto di te. Mi spieghi perchè dovrei tenerti capo-cheerleader, quando ho una come lei? Mi spieghi perchè dovrei tenerti nei cheerios?"
Era arrabbiata. Era proprio incavolata nera.
Ma non poteva permetterglielo, non avrebbe potuto. Perchè più sentiva scivolare via la sua divisa, come un manto di cera appena incendiato, più sentiva le risate orripilanti di quei tre bulli farsi più vicine.
E Kurt ebbe paura. Paura di perdere tutto, di tornare all'inferno di prima. Ma non avrebbe resistito di nuovo, non un'altra volta.
"Mi impegnerò."
Perfino la coach si stupì di quanto il suo tono risultò glaciale.
"Farò tutto, coach. Tutto. Preparerò alla perfezione il numero. Prenderò quella B in matematica. E non salterò mai più le prove, nemmeno una."
La professoressa aveva appena sentitò esattamente ciò che voleva sentire.
"E' la tua ultima possibilità, Hummel. Altrimenti, mi riporti indietro la divisa."

I corridoi della scuola sembravano improvvisamente vuoti.
Forse, perchè lui si sentiva così. Come un involucro senz'anima, un burattino retto unicamente dalle fila di quel gioco che era la scala sociale. Triste, deforme. Necessario.
Aveva bisogno di quel ruolo. Perchè non era coraggioso come credeva. Perchè, con quella addosso, anche se per poco, era al sicuro.
Perchè senza di quella sarebbe tornato ad essere nessuno. Per Azimio, per Samuelson.
E anche per Blaine.
Perchè in quel momento pensò che Blaine fosse esattamente come tutti gli altri. Un ragazzo qualunque, a cui non importava veramente chi fosse. E sì, per un momento, aveva anche creduto che potessero diventare amici. Ma fu un inganno: era ovvio, Blaine voleva essere suo amico solo per la popolarità. Perchè non c'era altra spiegazione, no? Per quale altro motivo era stato così gentile, sennò?
Era ovvio, sarebbe stato l'ennesimo che lo avrebbe buttato via, una volta concluso il suo momento di gloria, una volta passata quell'avventura, da poter raccontare agli amici.
Che stupido. Era proprio uno stupido.
Perchè, alla fine, ci era quasi cascato, no?
Quel Blaine, lui, per poco non aveva fatto crollare tutto il suo perfetto castello di carte. Tanto perfetto, quanto fragile.
Ci era mancato davvero poco. Si era quasi dimenticato di dove fosse, di chi fosse: Kurt Hummel, capo-cheerleader. Il ragazzo più popolare della scuola. Il ragazzo che sopravviveva, nonostante tutto.
Giusto, lui era quella persona.


Si immaginava già il volto di Blaine, mentre con tono beffardo incontrava qualcuno e diceva: "Hey, sentite un po' questa, ho dato ripetizioni a Kurt Hummel."
Delle lacrime salate bagnarono le sue labbra serrate, incurvate all'insù.
Sembrava una bella storia.
E poi Kurt rise, di una risata amara.
Perchè era una barzelletta.

Come un HEADSHOT al cuoreWhere stories live. Discover now