La sera prima della festa

25 1 1
                                    

Jalia stava camminando allegramente fra le bancarelle del mercato addobbate a festa, i capelli argentei coccolati dalla brezza. Trindin, la sua amata tribù, era tutta in fermento per uno degli eventi più importanti della comunità: il Sacro Rito, in cui i bambini finalmente avrebbero piantato i loro Rin, segnando la fine dell'età della fanciullezza e l'inizio di quella adulta. Ogni tanto Jalia sfiorava delicatamente il suo, custodito gelosamente incastonato nel petto, di un brillante color viola. Non vedeva l'ora che arrivasse l'indomani, ogni fibra del suo corpo era eccitata, come se ogni molecola stesse danzando al ritmo di una melodia frizzante. Sarebbe stato presente anche lo Zinshi in persona, il grande maestro! Gli dei li avrebbero benedetti grazie al suo bastone riccamente decorato, sarebbe stata finalmente un'adulta. Poteva vivere nel suo Elnir, alle sue regole, con i suoi spazi, senza più dividere la stanza con suo fratello minore, ancora troppo piccolo per pensare a qualcosa di diverso dai giochi.

Il sole stava cominciando a tramontare e le colline di Ladgha si stavano dipingendo di un tenue color bronzo, l'aria si faceva più intensa. -Primavera- pensò la ragazza fra sé e sé. Ammaliata dai profumi esotici delle spezie venute da lontano, dalla vista dei tessuti ricamati portati dai mercanti d'oltremare, si sedette ai piedi della grande fontana al centro della piazza. Gli occhi correvano fra le nuvole del cielo, man mano sempre più scure, pronte ad accogliere la notte.

«Jalia! Dove sei?» Una voce squillante, familiare, la riportò alla realtà

«Sono qui Nila! Alla fontana». La sua amica del cuore arrivò trafelata, le ciocche brune incollate alla fronte sudata. In Ritardo, come al solito.

«Nila, per gli dei, possibile che tu sia sempre in ritardo?»

«Scusa Jalia, mi ero fermata un attimo alla bancarella dei dolci. Ho perso la cognizione del tempo».

«So io che stavi facendo, ti sei vista ancora con Kelto, non mentire. Aspetta almeno di avere un albero tutto tuo!» Ridacchiò, le piaceva punzecchiarla. Era permalosa e quando si offendeva le gote le si dipingevano di rosso, mentre gli occhi andavano a destra e sinistra senza una meta. Nila le diede un buffetto sulla spalla:

«Ma piantala, sei solo invidiosa perché io ho uno spasimante e tu no.» Le mani stringevano i fianchi, dandole un'aria da signorina innocente.

«Certo come no! Piuttosto che farmi corteggiare da quel manichino preferisco rimanere sola a vita nel mio Elnir. Dai su, si sta facendo tardi». Jalia si alzò, prendendo la mano della sua amica fidata. Le famiglie delle due ragazze vivevano vicine e loro erano cresciute insieme, praticamente come sorelle. Erano inseparabili e nessuna faceva niente senza dirlo all'altra. Quando andavano a fare lezione con l'insegante, distese nel grande prato appena fuori la tribù, stavano sempre appiccicate e la signorina Trina era costretta sempre a riprenderle a causa del loro incessante chiacchiericcio. E ora che diventavano adulte, non avrebbero di certo smesso.

Camminavano allegramente sottobraccio, di ritorno a casa, senza smettere di parlare di quello che sarebbe accaduto l'indomani:

«Jalia, spero pianterai il tuo Rin vicino al mio!»

«Fossi matta! Non ti sopporterei un giorno di più!» A stento riusciva a trattenere le risate.

«Dai, non essere sempre così cattiva con me, crudele». Piagnucolava Nila, fingendo di asciugarsi l'occhio con il dito.

«Come potrei mai staccarmi da te. Anche se sono certa di non essere io quella a cui ti attaccherai una volta piantato il Rin». Jalia formò un cuore con le dita, mentre la bocca era impegnata a lanciare baci nell'aria.

«Ma insomma Jalia!»

«Oh Kelto, prendimi fra le tue braccia, quanto ti amo! Uniamo i nostri Elnir per tutta la vita, fai di me quello che vuoi!» La ragazza stava simulando un abbraccio, la voce era stridula, ammaliante. Nila cercava invano di fermarla, ma la realtà era che stava ridendo a crepapelle:

«Basta dai! Sei ridicola, come fai a inventarti queste cose, che gli dei ti prendano se mia madre sente queste cose! Non vorrai che...»

Il gioco fu interrotto da un grido di aiuto, come un fulmine a ciel sereno. Poco distanti da loro, due ragazzotti erano in cerchio, intenti a lanciare calci verso qualcuno. Li riconobbero: Ferno e Junge, i più arroganti e bulli del loro anno. A terra, con le braccia premute contro il viso, un ragazzo mingherlino stava rannicchiato al suolo, il corpo scosso dai colpi. Le due ragazze decisero di intervenire, tirando gli aggressori per la veste:

«Adesso finitela! Nila, aiuta il ragazzo ad alzarsi. Ma che vi ha fatto?» Il suo sguardo si posò sul giovane malconcio, i lunghi capelli rossi spettinati e pieni di terra.

«È strambo, ecco cosa! Se ne sta sempre in disparte, con quell'aria da mocciosetto presuntuoso, non posso crede che una simile nullità domani sarà un adulto come noi. Non si degna nemmeno di tagliarsi quei capelli maledetti».

«Per gli dei Ferno, chiudi quella bocca e lascialo stare, o dirò tutto a mio padre». Jalia, infatti, era la figlia prediletta di uno dei più importanti membri del consiglio della tribù. A quelle parole, Ferno abbassò la testa mentre Junge fissò dritto negli occhi la sua vittima:

«Salvato da una femmina. Sei proprio un codardo, degno figlio di quel criminale di tuo padre. Ferno, andiamo».

I due si incamminarono furiosamente mentre Jalia, piena di orgoglio per la sua buona azione, si precipitò dal ragazzo ancora spaventato:

«Tutto bene?» La sua voce era rassicurante.

«Sì, grazie.» Riuscì a rispondere lui con un filo di voce.

«Ti accompagno a casa, sta cominciando a diventare buio e sia mai che quelli ti prendano di nuovo in disparte. Nila, torna pure a casa e avverti mia madre che ritarderò per favore».

«Va bene, non ti preoccupare. State attenti, mi raccomando».

Jalia cinse le spalle del ragazzo. Zoppicava, non riusciva a camminare bene e, senza il suo sostegno, non sarebbe andato molto lontano. Intorno a loro regnava il silenzio, tutti gli abitanti erano tornati a casa presto quella sera, domani sarebbe stata una lunga giornata. Fra i due non volava una mosca, nessuna parola usciva dalle loro timide bocche. Ma non era spiacevole anzi, era stranamente rassicurante. I due procedettero così per pochi minuti, fino a che Jalia ruppe il silenzio:

«Tu sei Telion, vero? Te ne stai sempre da solo durante le lezioni».

Lui annuì, guardandola negli occhi. In quel momento, nell'animo di Jalia accadde qualcosa di strano. Cos'era quella sensazione così piacevole, così dolce come il dolce della domenica di sua madre? Una connessione, un'energia misteriosa scatenata da quell'unico sguardo. Non si erano mai visti prima di quel momento o almeno, non si erano mai guardati. Ognuno aveva la sua vita, le sue amicizie, e ora le loro strade si erano incrociate. Stava provando anche lui tutto questo? I due arrossirono, visibilmente imbarazzati. Ancora non sapevano cosa sarebbe successo l'indomani, alla cerimonia.

Jalia accompagnò Telion a casa, senza dire una parola in più. Ma, quel silenzio era carico di significati, di frasi che non avevano bisogno di essere dette. Arrivarono davanti all'albero della famiglia di Telion, la madre in attesa davanti alla porta. Appena vide il figlio in quelle condizioni accorse ansiosa, le braccia protese in avanti.

«Il mio bambino! Che gli dei ti proteggano, cosa è successo? E lei chi è?»

«Sono Jalia, una compagna di Telion. Io...»

«Oh, certo cara, giusto, sei la figlia di Nemir. Che è successo? Chi lo ha ridotto in questo stato?»

«Due bulli signora, ma non si preoccupi, non daranno più noie almeno per un po'. Spero che domani tu riesca a riprenderti, Telion».

I due si guardarono di nuovo, l'anima in subbuglio.

«Grazie. Vedrai, starò benone».

Jalia lasciò il ragazzo fra le braccia amorevole della madre e, con un gesto di congedo, tornò a casa. Ma che cos'era quella strana sensazione? Amore no, ne era certissima. Si era già presa una mezza sbandata per un giovane e di certo quella sensazione non era la stessa. Era come se un pezzo di anima si fosse staccato. Come non lo sapeva, era una sensazione talmente strana da non riuscire a descriverla. Con questi pensieri per la testa, arrivò dalla sua famiglia. Domani la sua vita sarebbe cambiata, e ancora ne era totalmente ignara.

Ladgha - il mondo degli alberiWhere stories live. Discover now