Campane stonate

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"Ho diciassette anni e sono pazza. Mio zio dice che queste due cose vanno sempre insieme."
- Ray Bradbury, Fahrenheit 451

Con tutto quello che possedeva c'avrebbe fatto un bel falò, si sarebbe scaldato le mani e avrebbe mangiato un paio di marshmallow mentre, dietro alle sue spalle, la sua casa cadeva in un ammasso di assi di legno, insieme a lei venivano distrutte l...

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Con tutto quello che possedeva c'avrebbe fatto un bel falò, si sarebbe scaldato le mani e avrebbe mangiato un paio di marshmallow mentre, dietro alle sue spalle, la sua casa cadeva in un ammasso di assi di legno, insieme a lei venivano distrutte le grida di dolore, i pianti isterici di cui nessuno avrebbe mai saputo l'esistenza, i litigi devastanti, la sua anima disperata. Detestava quella casa, ed era così bella, grande, spaziosa. La detestava perché dentro di essa lo possedeva un senso di solitudine assoluto, una voglia matta di legarsi una corda al collo, e nonostante la sua immensa apparente armonia, quella casa era l'inferno terreste. La sua pigrizia gli impediva di prendere qualche vestito e andare da qualche altra parte, inoltre, la sua camera era tutto quello che aveva. All'interno di quelle quattro mura c'era tutto; la sua musica, i suoi milioni di libri comprati qualche anno prima e ancora mai sfiorati, i suoi disegni adolescenziali riusciti male realizzati nel periodo in cui credeva di voler fare l'artista, c'erano tanti, troppi sogni, il letto che aveva ospitato ogni suo stato d'animo e ogni sua incertezza, c'era la sua vita, i bigliettini dei parenti che gli venivano dati tassativamente a Natale e al compleanno. Odiava quella casa, ma la sua camera era come un punto di sosta, un luogo ancora mai toccato da loro, dal loro egoismo, dalla loro ipocrisia. Quando stava male prendeva uno dei suoi cd preferiti e teneva il volume al massimo fino a quando sua madre non doveva andare a dormire e quindi si trovava costretto a spegnere ogni cosa, la musica e la mente. Non leggeva da tanto, non scriveva nemmeno più, ma ci provava, soprattutto durante le lezioni. Aveva un taccuino tutto nero che riempiva di parole inutili, era come un diario con qualche poesia qua e là, la maggior parte di esse scritte quando aveva fumato un po' d'erba.
Stava passando in rassegna la sua breve vita, il pensiero della morte s'era fatto più prepotente, aveva avuto un attacco d'ansia la sera precedente, dopo tanto tempo che non accadeva. Oh ma lui lo sapeva, sapeva che sarebbero tornati. La preoccupazione era insostenibile, non c'era pace, non c'era speranza che la situazione potesse risolversi, stava diventando pian piano paranoico, non si fidava di nessuno e non sapeva nemmeno più con chi stesse vivendo. Era tutto un fottuto casino, e con tutto, è da intendere proprio tutto. Non che facesse chissà che cosa, la sua quotidianità era composta dalla scuola e dall'inferno. Ogni tanto aveva qualche appuntamento, come il corso per il B2 d'inglese, le ripetizioni di matematica e le sedute dalla psicologa. Niente di più, niente di meno.
Yoongi stava male, molto male. Vedeva il suo futuro così lontano, la libertà nascosta, impaurita, piangente. Ogni volta che andava fuori a fumarsi una sigaretta il vuoto gli divorava lo stomaco, aveva paura che un altro attacco di panico potesse finalmente ammazzarlo, guardava il cielo e si chiedeva se valesse davvero la pena soffrire ancora così.

Non aveva nessuno, Yoongi, e se ne rese conto quando aveva veramente bisogno, un bisogno disperato di parlare con qualcuno, ma quel qualcuno non c'era

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Non aveva nessuno, Yoongi, e se ne rese conto quando aveva veramente bisogno, un bisogno disperato di parlare con qualcuno, ma quel qualcuno non c'era. I suoi amici non sapevano abbastanza, in più non sarebbero riusciti ad aiutarlo, avrebbe dovuto sentire solo il solito "cazzo, è proprio una situazione di merda" come se non lo sapesse, come se dirglielo avesse dei benefici. Era incompreso, lasciato a marcire. Sua madre ogni tanto lo cercava di consolare, ma non agiva in nessun modo, era quasi completamente impassibile, quasi, forse...chi lo sa, morta. Come poteva pensare che tutto quello schifo non avesse delle conseguenze sulla vita scolastica e sulla sanità mentale di Yoongi? Come poteva pensare che lui non avesse mai qualche crollo emotivo e che qualcuno potesse farsi due domande sulla faccenda? Ovviamente Yoongi non avrebbe mai messo in mezzo la scuola, anche perché non gli sembrava giusto, non potevano fare nulla e non erano affari loro. Ci sono quei professori ficcanaso che lui proprio non sopportava. Quelli che si prendono un sacco di libertà e pretendono di essere usati come confessionale. Li detestava, come detestava la loro incoerenza e il loro finto interesse. Nessuno si salva, davvero nessuno.
Yoongi lo sapeva, nonostante i diciotto anni di età, sapeva che nessuno al mondo si sarebbe mai salvato da esso. I soldi soffocano, il potere soffoca, il voler essere superiori agli altri soffoca, soffoca così tanto che non ti rendi nemmeno conto di essere una completa nullità, non realizzi nemmeno che ti stai rendendo ridicolo davanti agli occhi di tutti, non capisci che non sei niente e non sarai mai niente. L'invidia acceca; non vedi che sei solo una feccia? Sei disgustoso, irritante, menefreghista, bastardo insensibile. Non vedi? Purtroppo Yoongi lo vede e non vorrebbe far altro se non vomitare fino a spaccarsi i capillari degli occhi.
È sempre stato forte, ha sempre superato ogni ostacolo, magari con l'aiuto della psicologia, ma doveva servire a questo, no? Adesso, però, sentiva che qualcosa s'era spezzato. C'era qualcosa di diverso, percepiva quel desiderio di morire presente come mai prima d'ora. Non si faceva i soliti dialoghi interiori in cui si diceva che aveva la testa colma di idee, di viaggi da compiere, di sogni che voleva assolutamente realizzare, adesso non c'era nulla. L'unica cosa che riusciva a pensare era la possibile vera libertà che la morte potesse donagli. Voleva scomparire dalla vita delle persone, voleva che suo padre venisse devastato dai sensi di colpa, voleva che succedesse qualcosa, qualsiasi cosa, e se l'unica soluzione era quella di buttarsi giù dalla finestra, o conficcarsi un coltello da qualche parte, o ancora, entrare nella vasca piena d'acqua e fare il bagno insieme al phon, allora prima o poi l'avrebbe fatto. Sapete, per questo tipo di cose ci vuole un po' più di pazzia, e forse quella ancora mancava, ma era vicina, era vicinissima, così vicina che Yoongi sentiva il suo fiato riscaldargli il collo.
Non avrebbe chiesto scusa, comunque, nel caso avesse davvero deciso di compiere un passo del genere. Forse si sarebbe scusato solo con sua madre perché l'aveva lasciata nelle grinfie di un pazzo psicopatico, nonostante si fosse ripromesso che non l'avrebbe mai fatto, e invece la vita è anche questo; cambi di programma improvvisi, colpi di scena, lacrime d'indecisione. Non si sa se Yoongi si riprenderà anche questa volta, se nonostante tutta la sofferenza riesca a sopravvivere, ma è ciò che spero. Ci spero davvero tanto, perché tutti durante la nostra vita siamo stati lui almeno una volta, anche solo per un giorno, anche solo per un minuto. Io sono Yoongi, lo sono da sempre, da diciotto anni.

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Non ho nulla da aggiungere. Solo grazie a chi leggerà, grazie di tutto. Mi fa sentire meglio che le mie parole non siano proprio buttate al vento, nonostante l'inutilità di pubblicarle. Grazie ancora e dormite bene.

Solo e mal accompagnato - myg Where stories live. Discover now