2. C'è di peggio

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Feci in tempo a mettere il piede oltre alla porta e ad appoggiare lo zaino a terra, che un'improvvisa forza dalla spalla sinistra si propagò per tutto il corpo e prima che potessi accorgermene mi ritrovai con il sedere nell'aiuola.

Lo spazietto che mi ero ritagliata era stato occupato in tempo zero dalla figura sottile e slanciata di un ragazzo dai capelli corvini scompigliati dal vento che, dopo aver recuperato velocemente il fiato, corto a causa della corsa, mi rivolse pure un'occhiataccia di sfida e commiserazione, scoprendo da sopra la sciarpa un paio di occhi più scuri della notte da cui io rimasi immediatamente stregata.

D'un tratto, però, la magia del momento si ruppe bruscamente, riportandomi alla realtà.

Le porte si chiusero davanti ai miei occhi e l'autobus partì, lasciandomi senza parole e come una cretina con il sedere tra la terra e i fiori morti.

Le porte si chiusero davanti ai miei occhi e l'autobus partì, lasciandomi senza parole e come una cretina con il sedere tra la terra e i fiori morti

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Una volta, quando ero alle elementari, ricordavo di essere finita in una situazione poco più che assurda.

Non avevo uno straccio di amico, cosa tuttavia non molto diversa dalla mia condizione attuale, eppure il caso volle che fossi notata dal bambino più bello della classe.

Alto, biondo e con quell'aria di trasgressione che faceva sempre impazzire le bambine a quell'età, inutile dire che era sempre circondato da una muraglia umana di ammiratrici, tanto che, se anche avessi voluto, non avremmo mai avuto modo di parlare.

Questo fino alla quarta elementare.

Un giorno, durante la ricreazione, mi rivolse la parola e io feci il grandissimo sbaglio di rispondergli.

Non mi aveva detto nulla di particolare, voleva solo che mi aggiungessi al suo gruppo per una ricerca di geografia perché pensava che, sotto sotto, fossi simpatica.

Io non avevo fatto nulla di male, il mio unico peccato capitale punito con la rovina della mia infanzia era stato quello di accettare ringraziandolo per la sua gentilezza.

Probabilmente se avessi rifiutato cacciandolo a calci avrei avuto lo stesso risultato.

Da quella stessa notte Luke, come si chiamava il bambino, per un paio di settimane fu perseguitato dagli incubi, sempre i soliti e ricorrenti, di cui io ero la protagonista.

Alcune volte lo uccidevo, altre ero io a morire, altre ancora un'ombra che mi portavo appresso lo seguiva fino al mattino. Non aveva reagito subito male, aveva cominciato a raccontarli scherzandoci sopra per i primi giorni, ma quando questi peggiorarono di colpo riversò la colpa su di me, accusandomi di portare sfortuna.

Era un bambino popolare, le ragazzine pendevano letteralmente dalle sue labbra.

In breve tempo, prima l'intera classe e poi la scuola, aveva sentito che Karin Price, la bambina dagli occhi strani che stava sempre da sola, portava sfortuna.

Inutile dire che rimasi più sola di quanto già fossi.

Le voci ovviamente si modificavano di racconto in racconto e le interpretazioni della mia sfortuna ormai erano tantissime, alimentate poi dal fatto che dopo che Luke mi aveva allontanata i suoi incubi erano finiti.

Nightmare Where stories live. Discover now