Parte 2

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10 gennaio 2016

Mick, quel giorno, si svegliò senza alcuna preoccupazione, disturbato da forti colpi alla porta della sua camera d'albergo. Mandò mentalmente a 'fanculo la persona che lo aveva svegliato e si rigirò dall'altro lato, pienamente intenzionato a riprendere a dormire.

Nessuno era nel letto con lui, non quella notte. Come era stato sin da dodici anni prima... inconsapevolmente, Mick non aveva mai sostituito nessuno con David, nonostante non si sentissero da parecchi anni.

Eppure, nonostante fosse stato esplicito nell'ignorare lo scocciatore, la porta si aprì, facendo entrare qualche spiraglio di luce che ferì gli occhi del cantante.

"Ma che cazzo...", borbottò, vedendo Keith sull'uscio.

Il chitarrista deglutì, avvicinandosi con cautela all'amico. "Mick? Da quando... da quando non vedi David?", chiese, trafelato.

Silenzio, e poi un sorriso ironico da parte del castano.

Il cantante guardò con stupore l'amico, insospettito dal fatto che non si fosse nemmeno curato di salutarlo. "Dal 2004. E spero di non rivederlo ancora per molto tempo."

Keith deglutì un'altra volta, visibilmente in soggezione. "Mick, io..."

"Che c'è?", lo interruppe l'altro. "Non dirmi che quel coglione ha deciso di farsi vivo oggi, dopo dodici anni."

"Mick...", mormorò il chitarrista a mezza voce.

"Perché dopo quello che mi ha fatto, dopo il modo in cui mi ha trattato, mi aspettavo almeno una telefonata, sai? Spero vivamente che non sia qui, perché se è così lo uccido."

Keith a questo punto scosse la testa, ancora provato per la telefonata appena ricevuta da Iman. "Cazzo, Mick, non sono qua a sentire le tue lamentele da uomo con il cuore spezzato.", sbottò, cercando di essere comunque il più delicato possibile. "Questo è importante, e mi spiace, non vorrei essere io a dirtelo ma-"

Mick lo interruppe. "Non ho il cuore spezzato, lo sai che-", iniziò, ancora scocciato.

Ma poi un terribile presentimento lo investì, e collegò tutto: David, Keith, il suo risveglio alle sei di mattina.

"Perché sei qui?", ricominciò, con la voce leggermente tremante.

"Non è... non è un discorso facile.", mormorò Keith.

"Cosa c'entra David?", lo interruppe ancora.

Mick deglutì un'altra volta. "Non vorrei essere io a dirtelo, Mick. Dio sa che non vorrei essere io, ma...", tentò un'altra volta.

Mick non voleva stare a sentirlo. Era infinitamente preoccupato, ma non voleva esserlo, non voleva giustificare in alcun modo quel suo sentimento. Perché, se si fosse rivelato reale, avrebbe voluto anche dire che... "Dimmi che sta bene. Dimmi che quel coglione ha fatto una cazzata delle sue, che Blackstar era solo il suo modo per dirmi che con Iman è veramente felice, e non che...", a questo punto si interruppe, con un nodo alla gola.

Il fatto era che, sin dall'uscita di Blackstar, Mick sentiva un senso di oppressione sul petto. Si sentiva solo ogni volta che sentiva quei pezzi. Ma fino ad allora aveva associato quei presentimenti solo alla mancanza che aveva del biondo.

"Dimmi che è tutto a posto.", mormorò semplicemente.

Keith lo guardò con infinita pietà, ed appoggiò una mano sulla sua spalla. Mick odiava quel gesto. Anche David lo aveva fatto, quando gli aveva detto che non avrebbe potuto lasciare la moglie per andare a stare con lui.

Con un movimento lento Mick scostò la mano di Keith, che sospirò.

"Era malato, Mick.", iniziò, instaurando in Mick una paura tremenda, incontrollabile. Il castano ebbe un colpo al cuore all'utilizzo del passato, ma non disse nulla, raggelato. Aspettava il colpo di grazia. "Lui... David... ci ha lasciati... ci ha lasciati questa notte."

Il gelo scese sui due. Mick era fermo, raggelato, non si muoveva. Sembrava che non avesse collegato, ma Keith sapeva benissimo che lo aveva fatto.

"Ti prego. Dimmi che scherzi.", lo scongiurò.

Una calda lacrima gli rigò la guancia, scendendo con disarmante lentezza sulla sua pelle.

"Mick, ascoltami. Iman mi ha chiamato questa mattina, e-"

Il cantante scosse la testa. "Si tratta di un altro dei suoi scherzi, vero? Vuole che io mi preoccupi, fa così quando-"

"Ascoltami, Mick..."

"Non ascolto proprio un cazzo, ok?", gli urlò contro l'altro. "Quello che dici non ha senso, David stava benissimo, e lui-", continuò, interrompendosi a causa di un singhiozzo che non seppe trattenere.

Keith sobbalzò, stupito da quello scatto. Sapeva che era il suo modo per fare fuoriuscire la tristezza, il senso di colpa che provava.

"Aveva un tumore."

"Era in forma, era ancora giovane, non ha senso che-", lo interruppe Mick, scuotendo la testa.

"Mick. Non c'è più."

Ma Mick non lo voleva ascoltare. "Vaffanculo. Non sei divertente, Richards."

Keith sentì una stretta al cuore. Il castano non utilizzava mai il suo cognome, nemmeno quando era incazzato. Mai. L'unica volta in cui l'aveva fatto... era quando David gli aveva detto che lo odiava.

Mick era stato male per settimane, fino a quando il biondo non aveva suonato alla sua porta con un mazzo di fiori in mano.

Ma quella volta David non sarebbe tornato a scusarsi per il male che stava facendo al castano.

C'era solo Keith, che poteva fare ben poco in quel momento. "Non scherzo, Mick, io-", mormorò, affranto.

Ma il castano, ormai in lacrime, continuava a negare, a non accettarlo. "Stai zitto. Non voglio sentire un'altra di queste cazzate, giuro che uccido te e poi lui, perché non è possibile che... non... non può essere... non può essere vero. Lui... David... David no. No.", mormorò, singhiozzando disperato.

Keith lo strinse a sé, accogliendo i suoi lamenti senza dire una parola.

I suoi erano urli di dolore, pianti piani di disperazione. Nessuno, oltre a Mick e David, sapevano quello che avevano condiviso, e Keith non poteva capirlo, non completamente.

E Mick piangeva, piangeva come un bambino, nonostante la sua età. Piangeva, perché sapeva di avere appena perso una delle persone più importanti della sua vita.

"Keith...", mormorò tra i singhiozzi. 

Il chitarrista annuì. "Dimmi.", sussurrò, stringendo quel corpo tremante.

"Mi lasci.. mi lasci solo?", domandò.

Keith lo guardò, soppesando quella richiesta. Aveva paura per lui, ma lo comprendeva. Anche lui, quando Brian era morto, desiderava solamente la solitudine.

E sapeva benissimo cosa passava nella mente dell'amico, per questo non voleva lasciarlo andare.

Ma il cantante aveva notato l'esitazione dell'altro ed aveva fato un sorriso, dietro le lacrime. "Starò... starò bene.", mormorò, tirando su con il naso.

Entrambi sapevano che era una bugia, una bugia enorme, eppure Keith annuì, comprendendolo. Si alzò.

Una volta raggiunta la porta chiuse gli occhi, distrutto dalla litania che Mick continuava a mormorare. Il nome di David non cessava di risuonare nella stanza, ed il chitarrista si girò un'ultima volta verso di lui, sdraiato sul letto, che continuava a singhiozzare.

Poi uscì, lasciando Mick solo con il suo dolore, consapevole di avere fatto tutto ciò che doveva, e di non poterlo aiutare più di così.

sleep in peace old friend - the rolling stones, David Bowie - [completata] Where stories live. Discover now