Parte I

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La camera era orizzontale, non troppo convenzionale, ma con una sua logica. Sbattei subito contro il frigo-bar che stava in punta aspettando la parte del corpo che fosse più lontana possibile dal piede. Cercai di vedere me stesso mentre alzavo le ciglia in segno di dissenso, tenendo stretto in una mano l'unico bagaglio che avesse un finto doppio fondo, nell'altra la tessera magnetica. L'unica e la sola.

La stanza sembrava costruita dentro il tronco di una quercia. Le pareti di legno, quasi abbozzato, erano ancora abbastanza taglienti, ma stranamente avevano scacciato via l'umidità sopprimendola senza alcun bisogno di ventilazione. Al centro un generoso letto alla Francese e qualche caramella di benvenuto sotto al cuscino. TV a schermo piatto sulla parete in fondo e sulla destra una piccola scrivania incassata nella parete tra l'armadio e la finestra. Sul piano di appoggio stavano un bollitore e il solito questionario di fine soggiorno.

Non si poteva propriamente definire "vista sul mare", anzi nessuno me lo aveva accennato, piuttosto "vista su straordinari alberi magri", per quanto non fosse propriamente l'entroterra, ma c'era abbastanza legna per fare una giungla.

L'aria che si respirava tuttavia era sottile, sapeva di salsedine e crema solare, quasi a poterla mangiare. Lasciava scorrere gli aghi di pino che si adagiavano sui lampioni e sulle ringhiere.

Non doveva sembrare un posto qualunque perché mi avevano garantito che alla conferenza sarebbero venuti in molti tra villeggianti e residenti del posto. Avevo scelto personalmente quel luogo di mare per sentirmi il più vicino possibile all'ispirazione. Sapevo che la gente avrebbe tirato fuori i cellulari e la penna per impreziosire il mio lavoro. Ero pur sempre all'inizio di un promettente progetto che parlava forte.

Il primo romanzo della mia vita, a soli ventuno anni, come niente fosse, così dal nulla.

La sala conferenze al piano terra sarebbe stata gremita e calorosa e nella sua interezza avrebbe mostrato tutta la sua curiosità per un'opera fresca e promettente. O perlomeno così raccontava il mio editore, ma comunque aveva fatto centro presso qualche lettore e media, quelli che ritraevano domande a sproposito nel momento in cui avrei preferito non rispondere.

C'erano degli orari da rispettare e puntualmente si fece l'ora di pranzo. Erano passate all'incirca tre ore da quando arrivai in albergo. In tutto quel tempo ero rimasto disteso sul letto con il computer a cavalluccio preparando quelle frasi che non potevo sbagliare durante il discorso. Scesi alla hall, molto seicentesca o forse fingeva di esserlo, lasciando il menù precompilato.

Di quei quattro o cinque pensionati non mi conosceva nessuno. Di quei sei o sette tra ragazzi e ragazze solamente in due avevano avvicinato il telefonino tra le fessure della sedia per riprendermi durante il pasto. Mi ero ben caricato di salumi, formaggi e peperoni grigliati. Il mio tavolo era poco fuori dalla sala, in una terrazza completamente avvolta da edere allegre che riparavano dal sole.

Arrivò il maître.

Mi fece parlare qualche istante in attesa del cameriere o della cameriera. Era un uomo alto e robusto con un paio di occhiali rettangolari talmente fascianti che le tempie erano sempre all'ombra.

« Spero che possa aver fortuna con la sua opera, ne parlano molto bene » detto da uno che faceva dell'eleganza il suo mestiere non sapevo se il complimento fosse sincero o semplicemente un'abitudine. Apprezzai lo stesso.

« Diciamo che non mi sono mai preparato abbastanza per momenti del genere »

« Arriva sempre un momento nella vita in cui ti senti qualcuno » quel sorriso sembrava stampato.

« Il problema è sapere quanto possa durare »

« Potresti essere mio figlio, te lo auguro veramente tanto » quello era sincero.

« Grazie mille »

« Le faccio chiamare subito la cameriera, la servirà la nostra Dea »

« Mi accontento anche di qualcuno più vicino, eh » a quel punto fece sfoggio di tutto il suo repertorio con quella risata perfetta e poco progredita che seguì la mia battuta. Poi si riprese.

« Si chiama proprio così signore, alcuni pensano addirittura che ne sia innamorato...» e appunto mi si presentò lo sguardo da innamorato «...in realtà è tra le più brave, per questo le ho assegnato il suo tavolo » si prese il diritto di farmi una confidenza.

Se ne andò lasciandomi a Dea.

Forse in pochi ci crederanno, ma in quel momento i miei occhi si trasformarono a immagine e somiglianza di una cinepresa. Non avevo tutto il tempo del mondo per scorrerla dal basso verso l'alto, ma fece abbastanza piano da poterlo fare.

La testa va subito col detto "quel viso mi è familiare", e infatti pensai subito di averla vista in qualche bar o in un altro albergo. Non potevo neanche chiedere consiglio a mia madre che teneva una memoria fotografica. Me lo avrebbe detto. L'avrebbe riconosciuta.

Ma in fin dei conti, com'era Dea?

Forse era così povera di dettagli che non si poteva spiegare. Ma sapeva perfettamente dove andare a colpire. Non pensai tanto alla lunghezza dei capelli o al girovita, e neanche alla targhetta sul seno con sopra il nome o alle labbra. Fu solo un sussulto. Ecco, lei fu solo un sussulto.

« Cosa le porto da bere? » feci finta di essermi appena svegliato.

« Ehm, due bottiglie d'acqua, una fredda e una a temperatura ambiente » speravo che si fosse appena svegliata anche lei.

« Posso poi portarti il primo? » probabile che il suo sonno fosse stato più lungo del mio.

Pranzai solo per vederla arrivare coi piatti.

Non disperdere nell'ambienteWhere stories live. Discover now